Castello di Middleham, contea dello Yorkshire, estate 1476.
Mio figlio Edoardo ha tre anni ed esce dalla nursery, si toglie gli abitini e indossa vestiti adatti. Il sarto di Riccardo gli crea copie in miniatura degli abiti scuri di suo padre e io lo vesto ogni mattina, facendo passare i lacci attraverso gli occhielli alle maniche, infilandogli gli stivali da cavallerizzo. Ben presto bisognerà tagliargli i capelli, ma questa estate gli spazzolo i riccioli castano dorati e me li avvolgo attorno alle dita. Ogni mattina prego che arrivi un altro bambino o almeno una bambina, se questa fosse la volontà di Dio. Ma i mesi passano e non mi sento mai male al mattino e non provo mai quella meravigliosa languidezza che avverte che una donna è incinta.
Mi rivolgo a un’erborista, faccio venire un medico. L’erbborista mi dà schifose pozioni da bere e un sacchetto di erbe da portare al collo, il medico mi dice che devo mangiare carne di venerdì e mi avverte che il mio umore è freddo e secco e che deve diventare caldo e umido. Le mie dame di compagnia mi sussurrano che conoscono una saggia donna, una donna dai poteri soprannaturali, capace di creare un bambino, di far scomparire qualcuno, di suscitare con un fischio una tempesta, un forte vento, ma qui le blocco. «Non credo a queste cose», avverto con fermezza. «Non credo che si possano fare cose simili, in ogni caso sarebbero contro la volontà di Dio e al di là della conoscenza umana e non voglio avervi nulla a che fare.»
Riccardo non si lamenta, ma sa di essere un uomo fertile; sono a conoscenza di due figli suoi, di prima del matrimonio, e potrebbero essercene altri. Suo fratello il re ha figli disseminati nei tre regni e ne ha generati sette con la regina. Ma Riccardo e io ne abbiamo uno solo, il nostro amato Edoardo, e mi chiedo come faccia la regina ad avere così tanti figli; conosce forse cose che sono al di fuori della volontà di Dio e della sapienza dell’uomo?
Ogni mattina, camminando lungo il muro esterno fino alla torre dove c’è la nursery di Edoardo, sento il cuore battere un po’ più forte per tema che sia ammalato. Ha avuto tutte le malattie infantili, gli sono spuntati i dentini, cresce, eppure sono sempre preoccupata per lui. Non diventerà mai un uomo di robusta costituzione, come suo zio il re. Assomiglierà più a suo padre, snello, basso ed esile. Lo amo profondamente e non potrei amarlo di più se fossimo una povera famiglia con nulla da lasciare in eredità a un figlio. Ma non siamo poveri, siamo una famiglia illustre, la più importante del Nord, e non dimentico mai che lui è il nostro unico erede. Se lo perdessimo, perderemmo non solo un figlio ma anche il nostro gradino nel futuro, e l’enorme patrimonio che Riccardo ha messo insieme unendo le sovvenzioni ricevute da suo fratello il re alla mia grandissima eredità verrebbe sprecato, disperso tra i nostri parenti.
Isabella è molto più fortunata di me. Non nego di essere gelosa della sua facilità a concepire figli e dell’ottima salute dei piccoli. Mi scrive che aveva temuto che la nostra stirpe fosse debole, nostra madre aveva dato alla luce solo due bambine, e dopo una lunga attesa. Mi ricorda che la regina ci aveva maledette, augurandoci lo stesso debole seme, ma la maledizione non tocca Isabella che ha già due figli, la bella Margaret e il piccolo Edward e mi scrive esultante che è di nuovo incinta e che questa volta è sicura che sarà un altro maschio.
La sua lettera, scribacchiata con la sua larga calligrafia e macchiata di troppo inchiostro per la gioia, mi dice che il nascituro è in posizione alta, certo segnale che è un maschio, e che scalcia con forza come un piccolo lord. Mi chiede di dare a nostra madre la buona notizia e io le rispondo freddamente che, pur essendo felice per lei e di non vedere l’ora di conoscere il neonato, non vado mai a trovare nostra madre in quella parte del castello e che se Isabella vuole che riceva la buona novella, dovrà dargliela di persona. Come ben sa, per la legge nostra signora madre è morta. Che Isabella voglia forse opporsi a quell’atto?
Come immaginavo, ciò la riduce al silenzio. Si vergogna, come me, di avere imprigionato nostra madre e di averle rubato l’eredità. Con mia madre non parlo mai di Isabella, non le parlo affatto.
Non vado mai nella sua stanza; una volta alla settimana chiedo informazioni sulla sua salute alla sua dama di compagnia. Mi assicuro che riceva i piatti migliori dalla cucina, il vino migliore dalla cantina. Può passeggiare nel cortile davanti alla torre, che è totalmente cinto da mura e ho posizionato una guardia alla porta. Può chiedere che vengano ad allettarla musicisti, a patto che io li conosca e che vengano perquisiti quando arrivano e se ne vanno. Va a sentire la messa nella cappella, si confessa solo con il nostro prete e lui mi riferirebbe, se avesse mosso una qualsiasi accusa. Non ha motivo di lagnarsi della sua situazione e nessuno può sentire le sue lamentele. Ma io mi assicuro di non essere mai nella cappella quando lei entra, non passeggio mai nel giardino. Quando guardo dall’alta finestra della mia camera e la vedo camminare in circolo sul sentiero di sassi, volto la testa. È davvero una donna morta, è quasi come se fosse sepolta viva. Come una volta avevo temuto fosse, è murata viva.
Non rivelo a Riccardo ciò che mia madre mi aveva detto di lui, non gli chiedo se il nostro matrimonio è valido, se nostro figlio è legittimo, né domando mai a lei se ne è sicura o se aveva parlato solo per ripicca, per spaventarmi. Vorrei non avesse mai detto quelle cose, vorrei non averle sentite o, dopo averle dovuto sentire, vorrei essere capace di dimenticarle. Mi disgusta sapere, in cuor mio, che è tutto vero. Il mio amore per Riccardo è intaccato non tanto dal fatto che mi ha sposata senza la dispensa papale, eravamo molto innamorati, quanto dal fatto che non ha richiesto la dispensa dopo il matrimonio, che non me ne ha parlato e che, ed è questa la cosa più agghiacciante, si sia garantito i suoi diritti sulla mia eredità anche nel caso mi avesse messa da parte e avesse negato di avermi sposata.
Sono legata a lui dall’amore, dalla sottomissione alla sua volontà, dalla mia prima passione e perché è il padre di mio figlio, il mio signore. Ma che sono io per lui? È questo che vorrei sapere e che ora, grazie a mia madre, non posso più chiederglielo con fiducia.
In maggio Riccardo mi dice che dobbiamo lasciare Edoardo a Middleham con il suo tutore e che andiamo a York per dare inizio al corteo che raggiungerà Fotheringhay, per una solenne cerimonia: la sepoltura di suo padre.
«L’esercito di Margherita d’Angiò aveva decapitato lui e mio fratello Edmondo e aveva infilzato le loro teste su una picca sulla Micklegate Bar, la porta di York», spiega triste Riccardo. «Ecco che genere di donna era la vostra prima suocera.»
«Sapete che non avevo scelta», ribatto, parlando con calma, benché mi irriti che non riesca a dimenticare o a perdonare quella parte della mia vita. «Ed ero bambina a Calais quando è successo e mio padre stava combattendo per York a fianco a fianco con vostro fratello.»
Fa un gesto con la mano. «Sì, d’accordo, tutto questo ora non importa. Ciò che importa è che farò seppellire nuovamente con ogni onore mio padre e mio fratello. Che ne pensate?»
«Penso che sia un’ottima cosa», rispondo. «Adesso sono sepolti a Pontefract, non è vero?»
«Sì. Mia madre vorrebbe che fossero sepolti nella cripta di famiglia nel castello di Fotheringhay. Vorrei venisse onorato come si deve. Edoardo mi ha affidato il compito di organizzare il tutto, per questa faccenda ha preferito me a Giorgio.»
«Nessuno lo saprebbe fare meglio di voi», gli dico con calore.
Sorride. «Grazie, so che avete ragione. Edoardo è troppo noncurante e Giorgio non ha alcuna passione per la cavalleria e l’onore. Ma io sarò orgoglioso di farlo e contento di vedere mio padre e mio fratello sepolti decorosamente.»
Per un attimo penso al corpo di mio padre trascinato fuori dal campo di battaglia a Barnet, il sangue che gli sgorgava dall’elmo, la testa ciondolante, il grande destriero nero steso a terra, come se dormisse. Ma Edoardo era un nemico giusto, non ha mai ingiuriato i cadaveri dei nemici. Li ha mostrati in pubblico, affinché tutti vedessero che erano morti, poi ha lasciato che venissero sepolti. Il corpo di mio padre giace nell’abbazia di Bisham, nella cripta di famiglia, sepolto con onore, ma senza alcuna cerimonia. Isabella e io non siamo mai andate a ossequiarlo e mia madre non è mai andata a vedere la sua tomba e ora non ci andrà mai più. La seppellirò accanto a lui, nell’abbazia di Bisham: è stata più una moglie che una madre. «In che modo posso aiutarvi?» è tutto ciò che chiedo.
«Ecco, potreste pianificare il percorso e darmi consigli su come dovrà abbigliarsi la gente e su quali cerimonie predisporre. Non è mai stata fatta una cosa simile. Voglio che sia tutto perfetto.»
Riccardo, il suo capo delle scuderie e io programmiamo il percorso, mentre da Middleham il nostro prete ci spiega quali sono le cerimonie da compiere lungo il percorso e quali preghiere dovranno essere recitate a ogni sosta. Riccardo fa scolpire una figura del padre da porre sulla bara, affinché tutti possano vedere che grande uomo era stato, e aggiunge la statua in argento di un angelo che sostiene una corona aurea sopra la testa dell’effigie, per indicare che il duca era un re per diritto, morto combattendo per il suo trono. Svela anche quanto Edoardo sia stato saggio a fidarsi per questa cerimonia di Riccardo e non di suo fratello Giorgio. Quando Giorgio si era unito a mio padre, aveva negato che il duca era un re per diritto e che suo figlio Edoardo era legittimo. Solo Riccardo e io sappiamo che Giorgio sostiene ancora questa tesi, solo che ora lo fa segretamente.
Riccardo organizza una splendida processione per portare i corpi del padre e del fratello da Pontefract a casa loro. Il corteo viaggia per sette giorni da York verso sud e a ogni fermata i corpi vengono esposti nelle camere ardenti delle grandi chiese. Migliaia di persone sfilano silenziose per ossequiare il re che non era mai stato incoronato e viene loro ricordata la gloriosa storia del casato di York.
Per Riccardo questo è molto più che una degna sepoltura del padre; questo evento è la riaffermazione del diritto di suo padre a essere re d’Inghilterra, re di Francia. Con questo lungo corteo Riccardo onora il padre, rivendica la sua regalità e rammenta al Paese la grandezza e la nobiltà del casato di York. Noi siamo tutto ciò che i Woodville non sono e Riccardo lo dimostra con la sontuosità e la bellezza di questa cerimonia commemorativa.
Lo aspetto a Fotheringhay e lui si mostra attento e tenero con me. Ricorda che suo padre e il mio erano stati alleati, parenti. Suo padre era morto prima della disastrosa alleanza del mio con la regina cattiva, era morto addirittura prima di vedere suo figlio salire sul trono, prima che Riccardo avesse combattuto la sua prima battaglia. Quella sera, prima che Riccardo esca per l’ultima veglia accanto alla bara del padre, c’inginocchiamo e preghiamo insieme, l’uno accanto all’altra nella bella chiesa di famiglia. «Il nostro matrimonio l’avrebbe reso felice», mormora Riccardo alzandosi. «Sarebbe stato felice di sapere che ci siamo sposati, malgrado tutto.»
Per un attimo, mentre alzo gli occhi su di lui, ho sulla punta della lingua la domanda: Il nostro matrimonio è valido? Ma poi noto la solenne tristezza del suo volto e lui si gira e va a prendere il suo posto accanto agli altri cavalieri che vigileranno per tutta la notte la bara fin quando l’alba li scioglierà da questo compito.
Giorgio e Isabella vengono a Fotheringhay per il funerale e lei e io restiamo l’una accanto all’altra, ambedue con indosso splendidi abiti blu scuro, il colore del lutto di casa reale, mentre il re, la regina e la loro famiglia accolgono le due bare nel cimitero della chiesa di Fotheringhay. Edoardo bacia la mano dell’effigie e vedo Giorgio e poi Riccardo fare la stessa cosa. Giorgio appare particolarmente tenero e pio, ma nessuno attira gli sguardi più delle piccole principesse. La decenne Elisabetta, squisitamente bella, è in prima linea e tiene Maria per mano e dietro di loro avanzano gli ambasciatori venuti da tutti i paesi del mondo cristiano per onorare la famiglia reale di York.
È un masque, un’esibizione piena di simboli oltre a essere una cerimonia di lutto. Nessuno può vedere la famiglia reale seppellire il proprio avo come se fosse un re senza riflettere su quanto regale siano Edoardo e i suoi fratelli, quanto rispettoso il piccolo principe e quanto affascinanti e regali Elisabetta e le sue figlie. Non posso evitare di pensare che sono più simili ad attori che a veri re e regine. La regina Elisabetta è tanto bella e dignitosa, le sue figlie, in particolar modo la principessa Elisabetta, tanto consapevoli di loro stesse e del loro posto nel corteo. Alla sua età avevo paura di calpestare lo strascico di mia madre, ma Elisabetta cammina a testa alta, senza guardare né a destra né a sinistra, una piccola regina in fieri.
Dovrei ammirarla, tutti paiono adorarla e forse, se avessi una figlia, le indicherei la principessina e le direi che deve apprendere il portamento da sua cugina. Dato che non ho una figlia, non posso guardare la principessa Elisabetta senza provare una certa irritazione; la trovo viziata e affettata, un precoce cagnolino che sarebbe meglio tenere in una stanza dello studio invece di farla partecipare a un serio cerimoniale come se stesse eseguendo passi di una danza, esultante d’avere gli occhi di tutti su di sé.
«Visone», mi sussurra nell’orecchio mia sorella, e devo abbassare gli occhi e soffocare un sorriso.
Come sempre, quando c’è di mezzo Edoardo, c’è un banchetto e uno spettacolo sfarzoso. Riccardo siede accanto al fratello e beve poco e mangia ancor meno, mentre più di mille ospiti cenano nel castello e un altro migliaio sotto splendidi tendoni. Per tutta la durata della cena viene suonata musica e viene versato dell’ottimo vino e tra ciascuna portata un coro canta solenni inni e viene servita frutta. La regina siede alla destra del marito, come se regnasse con lui e non fosse soltanto una moglie con una corona in testa, un pizzo blu scuro sui capelli, e si guarda in giro con la serena bellezza di una donna che sa che la sua posizione è al sicuro e che la sua vita non è contestata.
Mi sorprende a guardarla e mi rivolge il gelido sorriso che dedica sempre a me e a Isabella e mi chiedo se anche durante questa seconda sepoltura cerimoniale di suo suocero stia pensando a suo padre che era stato ucciso assieme a suo figlio nella piazza di Chepstow come un criminale dal mio. Isabella, seduta vicino a me, rabbrividisce come se qualcuno avesse calpestato la sua tomba. «Hai visto come ci guarda?»
«Oh, Isa», la rimprovero. «Cosa può fare ora per ferirci? Con il re che ama così tanto Giorgio? Con Riccardo tanto rispettato da entrambi? Con noi due diventate duchesse reali? Sono andati in Francia alleati e sono tornati buoni amici. Non credo che ci ami molto, ma non c’è nulla che possa fare contro di noi.»
«Può farci un incantesimo», ribatte lei sottovoce. «È stata capace di sollevare una tempesta che per poco non ci ha fatte annegare, come ben sai. E ogni volta che il mio piccolo Edward ha la febbre o non riesce a dormire a causa dei dentini, mi chiedo se non ci abbia fatto il malocchio o non stia modellando la sua immagine o infilando uno spillo nel suo ritratto.» Copre con la mano il ventre gonfio. «Indosso una speciale cintura», mi rivela. «Giorgio l’ha avuta dal suo consigliere. È stata benedetta proprio per tenere lontano il malocchio, per proteggermi da Lei.»
La mia mente corre a Middleham e a mio figlio che potrebbe cadere dal pony o ferirsi mentre si allena a giostrare, prendersi un’infreddatura o la febbre, mangiare qualcosa di avariato, respirare un miasma, bere acqua contaminata. Mi sforzo di scacciare i miei timori. «Dubito che pensi mai a noi», ribatto con fermezza. «Per lei non esistiamo.»
«Ha una spia in ogni casa del Paese», replica Isabella. «Pensa a noi, credimi. La mia dama di compagnia mi ha riferito che Lei prega ogni giorno di non dover tornare nel rifugio e che suo marito mantenga il trono senza contrasti. Prega per la distruzione dei suoi nemici e fa più che solo pregare. Ci sono uomini che seguono Giorgio ovunque vada. Lei mi sorveglia in casa mia, so che mi fa spiare. Avrà messo qualcuno a spiare pure te.»
«Oh, davvero, Isa, sembri Giorgio.»
«Perché ha ragione», replica con serietà. «Ha ragione a sorvegliare il re e a temere la regina. Vedrai. Un giorno verrai a sapere che sono morta all’improvviso, senza un buon motivo, e sarà solo perché lei mi ha augurato la morte.»
Mi faccio il segno della croce. «Oh, non dire cose simili!» Lancio un’occhiata al tavolo d’onore. La regina sta intingendo le dita nella ciotola dorata con acqua di rose e le asciuga in un tovagliolo che le porge un servitore inginocchiato. Non sembra una donna che si protegge mettendo spie nelle case delle cognate e infilando spilli in immagini. Sembra una donna che non ha nulla da temere.
«Isa, noi la temiamo perché sappiamo cosa ha fatto nostro padre al suo e perché sappiamo che era una cosa sbagliata. Abbiamo il peccato di nostro padre sulle nostre coscienze e temiamo le sue vittime. La temiamo perché lei sa che abbiamo sperato entrambe di rubarle il trono, una dopo l’altra, e che eravamo sposate a uomini che avevano alzato i loro stendardi contro il suo. Ma siamo state sconfitte e lei ci ha accolte in casa sua. Non ci ha rinchiuse, non ci ha accusate di tradimento né imprigionate. Si è sempre dimostrata cortese nei nostri confronti.»
«È vero, è sempre stata cortese. Non ha mai mostrato ira né desiderio di vendetta, ma neppure gentilezza, calore, un qualsiasi sentimento umano. Ti ha mai più detto che non può dimenticare ciò che nostro padre ha fatto al suo? Dopo quella prima volta? Quella tremenda volta quando sua madre, la strega, aveva sollevato con un fischio un vento gelido che ha spento tutte le candele?»
«Una candela», la correggo.
«Ha mai detto che è ancora arrabbiata? Ha mai detto che ci perdona? Ha mai detto una sola cosa da cognata, da una donna a un’altra, una qualsiasi cosa?»
Controvoglia, faccio cenno di no.
«A me non ha mai detto niente, non una sola parola d’ira o di vendetta. Ci guarda come se fosse Melusina, l’emblema della sua famiglia, per metà donna, per metà pesce. È fredda come un pesce e giuro che sta pianificando la mia morte.»
Scuoto il capo al servitore che mi offre un piatto.
«Prendilo», mi sprona mia sorella. «L’ha mandato Lei dal tavolo d’onore. Accontentala.»
Prendo una cucchiaiata di pâté di lepre. «Non temi che sia avvelenato?» chiedo, tentando di ridere delle sue paure.
«Puoi ridere se vuoi, ma una delle sue dame mi ha detto che lei ha una segreta scatola smaltata in cui conserva un pezzetto di carta su cui sono scritti due nomi. Due nomi scritti con il sangue e giura che le due persone nominate non vivranno.»
«Quali nomi?» le chiedo sottovoce, lasciando cadere il cucchiaio nel piatto, senza più appetito. Non posso continuare a fingere di non credere a Isabella, di non temere la regina. «Quali nomi nasconde?»
«Non lo so. La dama di compagnia non lo sapeva. Ha solo visto il foglio, non i nomi, ma se fossero i nostri? Il tuo e il mio? E se i nomi scritti con il sangue sul quel pezzetto di carta fossero Anna e Isabella?»
Isabella e io trascorriamo insieme una settimana a Fotheringhay prima di andare a corte a Londra. Lei partorirà suo figlio nella sua casa londinese, l’Erber, e questa volta mi sarà concesso di partecipare al suo isolamento. Riccardo non si oppone, a patto che vada di tanto in tanto a corte con lui per mantenere i rapporti con la regina e assicurarsi di non sentire una sola parola contro la famiglia reale.
«Sarà bello stare di nuovo a lungo insieme», ammette Isabella. «E io preferisco l’isolamento quando sei con me.»
«Riccardo dice che posso restare solo per le ultime settimane. Non vuole che stia sotto la protezione di Giorgio troppo a lungo. Sostiene che Giorgio ha ricominciato a parlare contro il re e non vuole che si possa sospettare di me.»
«Che cosa sospetta il re? E Lei cosa sospetta?»
«Non lo so, ma Giorgio è apertamente sgarbato con lei, Isa. Ed è peggiorato dopo i funerali.»
«Avrebbe dovuto organizzare lui il riseppellimento del padre, ma il re non si era fidato di affidarlo a lui. Dovrebbe esserci lui al fianco del re, ma non viene mai invitato. Pensi che non si accorga che è messo da parte ogni giorno di più?»
«Sbagliano a trascurarlo», ammetto. «Ma la situazione si fa sempre più strana. Lui guarda di traverso la regina e sparla di lei dietro le sue spalle ed è irriverente con il re e incauto con gli amici del re.»
«Perché Lei è sempre accanto al re prima che chiunque altro possa avvicinarglisi o se non lei, i suoi figli Grey o William Hastings! Il re dovrebbe stare con i suoi fratelli, con tutti e due. La verità è che, sebbene sostenga di avere perdonato Giorgio, non dimentica. E se se ne dimenticasse, anche solo per un minuto, glielo ricorderebbe Lei.»
Non replico. La regina, sebbene intenzionalmente fredda con noi due, è gelida con Giorgio. E il suo grande confidente, suo fratello Anthony, barone di Rivers, sorride quando Giorgio gli passa accanto come se trovasse il carattere esplosivo di mio cognato divertente e degno di ben poco rispetto.
«Ecco, in ogni caso potrò venire solo per le ultime tre settimane», ripeto. «Ma mandami a chiamare se non ti sentissi bene. Verrei immediatamente se tu fossi ammalata, qualsiasi cosa dicano, e almeno sarò con te per il parto.»
«Parli sempre del nascituro al maschile», mi dice gioiosa. «Anche tu pensi che sarà un maschio?»
«Come potrei non farlo, parli sempre di un bambino! Come lo chiamerai?»
Sorride. «Lo chiameremo Richard in onore di suo nonno, naturalmente. E speriamo che tuo marito gli faccia da padrino.»
Sorrido. «Allora avrai un Edward e un Richard, proprio come i principini reali», osservo.
«È ciò che dice Giorgio! Dice che, se il re, la regina e la sua famiglia scomparissero dalla faccia della terra, ci sarebbero sempre un principe Edward Plantageneto da mettere sul trono e un principe Richard Plantageneto dopo di lui.»
«Sì, ma non riesco a immaginare quale disastro potrebbe cancellare il re e la regina dalla faccia della terra», replico, abbassando la voce per prudenza.
Isabella ridacchia. «Credo che mio marito lo immagini ogni giorno.»
«Chi è allora l’uccello del malaugurio? Non Lei!»
Di colpo Isabella torna seria e si gira. «Giorgio non augura nulla di male al re», mormora. «Sarebbe tradimento. Stavo scherzando.»