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LA FILACCHIAPPA
L’esimio professor dottor Jerbal Argon, gnomo, espose un giorno alla PsicoFratellanza elfica una teoria, nota come Legge delle probabilità decrescenti. La legge di Argon sostiene che più insoliti sono i soggetti coinvolti in un conflitto, più improbabile sarà la risoluzione dello stesso. Si tratta con ogni probabilità della teoria comportamentista più vaga che sia mai stata pubblicata su un giornale scientifico, ed è in effetti più una nozione che una legge. Nel caso della prima avventura magica dei gemelli Fowl, però, si rivela essere alquanto accurata, come si evincerà dall’improbabile finale di questa storia.
I postulati della legge sono senz’altro soddisfatti, dal momento che quel giorno era, senza alcun dubbio, pieno di individui insoliti:
- un duca immortalista;
- un troll in miniatura;
- un assortimento di fratelli gemelli umani, il primo dei quali era un genio certificato con tendenze criminali latenti nella corteccia prefrontale, mentre il secondo aveva un talento del tutto singolare, appena manifestato ma non del tutto esplorato.
Altri due individui insoliti avrebbero completato a breve il quadro di questa vicenda: la suorterrogatrice, di cui si è già fatto cenno, avrebbe fatto ben presto una delle sue plateali entrate in scena; ma il prossimo personaggio insolito a unirsi al nostro cast di protagonisti era più che semplicemente insolito: si trattava, infatti, di una creatura biologicamente unica. Fece la sua apparizione dall’alto, librandosi trenta metri sopra l’isola di Dalkey.
Quell’insolito personaggio era la specializzanda della Libera Eroica Polizia Lazuli Platz, che, cinque minuti prima, era entrata nello spazio aereo dell’isola per completare una manovra di addestramento nella zona franca dei Fowl. Tali zone franche, solitamente, si trovavano in zone remote del globo ma, nei rari casi in cui si giungeva a un accordo con gli occupanti umani, la zona poteva essere più vicina alla civiltà, rappresentando così una sfida più complessa per gli specializzandi. L’isola di Dalkey era una di queste: un luogo in cui Artemis Fowl Junior, in amicizia con la LEP, aveva garantito franco passaggio agli elfi.
Dal punto di vista umano, Lazuli era insolita semplicemente per il fatto di essere una creatura fatata volante e invisibile; dal punto di vista del Popolo, invece, la specializzanda Platz era insolita perché era un’ibrida, ossia una meticcia. Gli ibridi erano piuttosto comuni tra la popolazione fatata, specialmente da quando le famiglie erano state costrette negli spazi angusti del sottosuolo, e tuttavia ognuno di essi era del tutto peculiare, dal momento che ogni ibrido era unico come un cristallo di neve e la manifestazione delle sue abilità magiche era imprevedibile.
Nel caso di Lazuli Platz, la sua magia si era ostinatamente rifiutata di manifestarsi in qualsivoglia forma o sostanza. La particolare categoria di ibrido cui apparteneva Lazuli era nota come pixel, ovvero un incrocio tra pixie ed elfi (benché spesso venisse definita semplicemente “elfa”). Nel suo DNA ancestrale erano presenti anche altre specie, ma pixie ed elfi costituivano più del novantacinque per cento dei suoi nucleotidi totali. E, benché tanto i pixie quanto gli elfi fossero creature magiche, nell’incrocio non pareva essere sopravvissuta nemmeno una briciola di potere. Con i suoi ottanta centimetri scarsi di altezza, la specializzanda Platz si accostava alla media pixie; la sua testa, però, aderiva al modello elfico ed era più piccola di quanto ci si sarebbe aspettati di vedere su un corpo da pixie, oltre alle consuete linee elfiche di zigomi e mandibola salienti, e le orecchie a punta. Tanto bastava a tradire la sua natura ibrida a qualsiasi creatura fatata che si fosse presa la briga di osservarla attentamente. E, nel caso fosse rimasto ancora qualche dubbio, la pelle e gli occhi di Lazuli erano del blu acquamarina tipico dei pixie di Atlantide, mentre i capelli erano di quel biondo chiaro e delicato che tutti associamo agli elfi dell’Amazzonia. Sparsi sul collo e sulle spalle portava una spruzzata di voglie gialle a punta di freccia; secondo i paleofatologi, un tempo tali voglie avevano la funzione di camuffare gli elfi, spacciandoli da girasoli agli occhi dei predatori aerei.
A meno che l’elfo in questione non sia un ibrido dalla pelle azzurra, pensava spesso Lazuli, e si guasta tutto l’effetto.
Tutta quella sapienza paleofatologica per Lazuli significava soltanto una cosa, ossia che i suoi genitori si erano probabilmente conosciuti in vacanza, il che esauriva la sua conoscenza sull’argomento, a parte il fatto che uno dei due – o entrambi – l’aveva abbandonata all’angolo di una piazza pubblica, dettaglio cui si era ispirato il direttore dell’orfanotrofio nel darle il nome di Lazuli Platz.
«Ho cambiato qualche lettera, ed ecco fatto» le aveva detto il direttore. «È un mio giochino, e devo ammettere che per te ha funzionato bene, a differenza di Frido Rifero e Walter Klò.»
Il folletto direttore aveva una vena molto umana, e faceva spesso commenti pungenti del tipo: «Il lapislazzuli, o pietra azzurra, è una pietra semipreziosa. Semipreziosa, ibrida. Credo che i tuoi genitori pensassero la stessa cosa di te, altrimenti non saresti finita qui».
Rideva seccamente a quella sua battuta di pessimo gusto ogni volta che la ripeteva. A Lazuli non aveva strappato mai nemmeno un vago sorriso.
Per una pixel era terribilmente esasperante non possedere tratti fenotipici magici, tanto più se la sua massima ambizione era quella di raggiungere il grado di capitano della squadra di ricognizione LEPrecup, una posizione in cui abilità come mesmerismo, invisibilità e poteri curativi erano senz’altro considerati come una manna dal cielo. Fortunatamente per Platz, la sua caparbietà, la sua mente acuta e la sua mira perfetta con la pistola ossalide le avevano permesso di superare due anni di addestramento intenso nell’Accademia LEP, fino alla specializzazione in zone franche. Lazuli aveva il sospetto che la sua domanda di ammissione all’Accademia potesse essere stata facilitata dalle politiche di inclusione delle minoranze della LEP.
E Lazuli faceva certamente parte di una minoranza. L’analisi del suo profilo DNA dava come risultato quarantadue per cento elfo, cinquantatré per cento pixie e cinque per cento indeterminabile. Era unica.
L’esercitazione di quella sera era semplice: sull’isola erano state nascoste delle creature fatate, e la sua missione era quella di acciuffarle. Non si trattava di vere creature fatate, ovviamente. Erano avatar virtuali che potevano essere toccati passando una mano guantata attraverso gli ologrammi proiettati dalla telecamera integrata del casco. Ci sarebbero stati degli indizi da seguire: reazioni cromatografiche, tracce, lievi odori e la conoscenza acquisita circa le abitudini delle specie ricercate. Una volta giunta sul posto, la specializzanda Platz avrebbe avuto trenta minuti per acciuffare quanti più fuggitivi virtuali possibili.
Prima ancora che Lazuli avesse il tempo di ripetersi il mantra che l’aveva sostenuta in tutti quegli anni e nel corso di molte crisi personali – che corrispondeva a “Piccole dimensioni, grande motivazione” – un grumo viola e pulsante spuntò sul display del suo visore.
Era davvero insolito. Il viola era il colore riservato ai troll. Forse il casco era difettoso. Non sarebbe stato sorprendente, dal momento che gli equipaggiamenti dell’Accademia erano in fondo alla scala delle priorità quando i finanziamenti venivano strappati via a fatica dai bilanci degli altri dipartimenti. La tuta stessa di Lazuli era logora e mal dimensionata, equipaggiata con armi che non erano più in uso da decenni.
Sbatté le palpebre per ingrandire il grumo viola e si rese conto che c’era per davvero un troll sulla spiaggia, per quanto minuscolo. Quel poverino era più piccolo di Lazuli, eppure non sembrava intimidito quanto lei dal mondo umano.
Devo salvarlo, si disse Lazuli. Era senza ombra di dubbio la cosa giusta da fare, a meno che quel troll non fosse in qualche modo coinvolto in una operazione sul campo. La tutor di Lazuli, che dirigeva l’esercitazione in remoto da Cantuccio, le aveva esplicitamente e ripetutamente ordinato di non andare mai a ficcanasare in un’operazione sul campo.
«Ci sono due tipi di corsie preferenziali, specializzanda Platz» le aveva detto la tutor proprio quella mattina. «La corsia preferenziale per la cima, e quella per la porta di uscita. Tu ficca il naso in un’operazione che non ti riguarda, e indovina su quale corsia ti ritroverai…?»
Non serviva nemmeno immaginarlo.
Le era balenato in mente un pensiero: e se la comparsa accidentale di un troll su quell’isola fosse stata il suo puzzoverme?
Era più che plausibile, considerando quanto fossero subdoli gli istruttori della LEP.
Spesso si metteva alla prova la tempra degli specializzandi inscenando un’emergenza e osservando in che modo reagivano. I novizi dicevano che quelle verifiche erano come farsi tirare un puzzoverme perché, come ogni membro del Popolo ben sa, se ti tirano un puzzoverme e sbagli a maneggiarlo, il risultato è esplosivo, appiccicoso e puzzolente. In Accademia girava una leggenda su uno Specializzando che era stato scaraventato nel cratere di un vulcano apparentemente attivo per vedere come avrebbe gestito la crisi. Il povero diavolo non aveva reagito con la forza d’animo richiesta ed era stato trasferito a incantare tesserini di registrazione al Dipartimento Mobilità.
Lazuli non aveva nessuna intenzione di ritrovarsi a incantare tesserini alla Mobilità.
Potrebbe essere il mio puzzoverme, pensò.
In tal caso era meglio limitarsi a osservare, dal momento che la sua tutor la stava senz’altro tenendo d’occhio.
O magari invece era un’operazione vera e propria.
E in tal caso doveva tenersi bene alla larga da lì, poiché ci sarebbero stati agenti della LEP in azione.
C’era però una terza possibilità.
Opzione C: possibile che i Fowl stessero portando avanti una qualche loro operazione, in quel luogo? La relazione del Popolo con l’umano Artemis Fowl era caratterizzata da luci e ombre, dopotutto.
Se fosse stato questo il caso, Lazuli avrebbe dovuto salvare il troll nano, che si trovava a meno di un paio di metri da due bambini che il suo software di riconoscimento facciale etichettò come Myles e Beckett Fowl.
Lazuli rimase a mezz’aria mentre rifletteva sulle sue scelte. La sua tutor aveva menzionato il nome Artemis prima dell’esercitazione sull’isola di Dalkey.
«Se mai dovessi incontrare Artemis Fowl, dovrai fidarti di lui» le aveva detto appena pochi minuti prima che Lazuli salisse a bordo della capsula magmatica. «Le sue istruzioni vanno seguite senza discussioni.»
I suoi compagni nello spogliatoio, però, dicevano una cosa ben diversa.
«Quella famiglia è un cancro, lo sono tutti, dal primo all’ultimo» le aveva detto un folletto dei Ricognitori. «Ho visto alcuni dei file secretati prima di una missione. Quel Fowl ha rapito uno dei nostri capitani e se l’è svignata con i soldi del riscatto. Credi a me: una volta che una famiglia umana assaggia l’oro degli elfi, è solo questione di tempo prima che torni a cercarne altro. Per cui fa’ attenzione, là fuori.»
Lazuli non aveva altra scelta che fidarsi della tutor. Ma forse avrebbe fatto bene a tenere d’occhio quei gemelli. O doveva fare qualcosa di più?
Osservare, stare alla larga o intervenire?
Come poteva una specializzanda distinguere tra un’emergenza reale e una messa in scena?
Tutta questa riflessione si risolse nell’arco di tre secondi, grazie alla mente acuta di Lazuli. Dopo il terzo secondo, l’emergenza maturò in crisi aperta quando uno sparo riecheggiò nell’aria e il piccolo troll capitombolò via per la forza dell’impatto, atterrando proprio ai piedi del bambino chiassoso. Beckett Fowl aveva poi immediatamente raccolto e trattenuto il troll nano.
Questo, di fatto, risolveva il dilemma della specializzanda Platz. Era proprio come avevano predetto i suoi compagni: i Fowl mettevano in atto il rapimento una creatura del Popolo!
La prima responsabilità di un agente della LEP era proteggere la vita, con priorità al Popolo, per cui ora Lazuli aveva l’obbligo professionale e morale di salvare il troll nano.
Quella prospettiva la terrorizzava e, al contempo, la elettrizzava.
La prima cosa da fare era informare la sua tutor degli sviluppi, anche se durante le esercitazioni il protocollo prevedeva il silenzio radio.
«Specializzanda Platz a Cantuccio. Comunicazione prioritaria…»
Se all’altro capo della linea ci fosse stato qualcuno, sarebbe rimasto con la curiosità di sapere quale fosse la comunicazione, perché in quel preciso istante dalla casa furono lanciati decine di razzi di segnalazione, e la specializzanda Platz fu costretta a effettuare una manovra evasiva per evitare di farsi centrare. Aveva a malapena ripreso il controllo dell’equipaggiamento quando giunsero una serie di esplosioni e Lazuli sentì un’ondata crepitante che le attraversava il corpo. Le scariche non erano particolarmente dolorose, ma ebbero l’effetto di disattivare il suo comunicatore, e con esso ogni altro circuito e sensore della tuta cangiante. Sotto gli occhi inorriditi di Lazuli, i suoi arti cominciarono a diventare visibili.
«Oh…» esclamò, prima di precipitare giù dal cielo.
Non fino a terra, per fortuna, visto che la tuta specialistica passò alla modalità operativa provvisoria, che funzionava come un orologio perché era un orologio: un complicato intrico di ingranaggi e pignoni sigillati, ingegnosamente collegati in una serie di meccanismi in rotazione epiciclica e planetaria, che s’innestavano direttamente in un motore nelle protesi alari.
Lazuli sentì le gambe della tuta irrigidirsi e, d’istinto, cominciò a pedalare prima di rovinare a terra come un uccello ferito. Gli ingranaggi erano di un’efficacia formidabile, con una dispersione energetica inferiore al singolo joule grazie alla scocca sigillata, e così la specializzanda Platz fu in grado di riportarsi in quota grazie a una sostenuta pedalata a mezz’aria. Era però in pieno spettro visibile, e aveva tutto l’aspetto di un’equilibrista su un monociclo invisibile.
Benché la sua spina dorsale non fosse stata compressa da un impatto ad alta velocità con l’isola di Dalkey, Lazuli doveva ancora risolvere il problema di come affrontare un cecchino mentre la sua tuta andava a pedali. Se avesse tentato di avvicinarsi al cecchino, quello avrebbe potuto spararle addosso senza nessuna difficoltà.
La visibilità era un problema.
Basta diventare invisibili, Platz.
Ma come si fa a diventare invisibili, senza magia né tute operative a spettro cangiante?
Un modo c’era, però non era a prova di errore né era mai stato testato sul campo, benché fosse stato provato in condizioni piuttosto turbolente, ossia nell’area comune degli spogliatoi dei cadetti, all’interno degli armadietti 28 e 29, per la precisione. Lazuli lo sapeva perché aveva assistito a quell’episodio di bullismo, e aveva perso dieci punti dalla sua media annuale per aver ripetuto l’esperimento sul bullo.
Frugò in una delle mille tasche della tuta e ne trasse una cam-capsula pressurizzata di filamenti cromoforici sotto tela di ragno rinforzata. La Filacchiappa, com’era nota tra gli agenti della LEP, veniva usata di rado, e sarebbe stata rimossa dall’equipaggiamento standard di lì a qualche mese proprio per via dell’imprevedibilità del suo raggio di azione; in quel momento, però, era l’unica arma nell’arsenale di Lazuli che potesse tornare davvero utile, visto che non aveva parti elettroniche ed era precaricata.
La Filacchiappa funzionava secondo lo stesso principio di certe piante che disperdono i propri semi. Le fibre all’interno dell’uovo essiccato erano compresse le une contro le altre per creare tensione e, quando l’involucro di seta s’infrangeva, i filamenti riflettenti esplodevano con forza considerevole, creando una distorsione visiva in grado di fornire una copertura sufficiente a generare una confusione momentanea.
Io però ho bisogno di qualcosa di più che un po’ di confusione momentanea, pensò Lazuli. Ho bisogno di essere invisibile.
Ed era qui che entrava in gioco l’incidente dello spogliatoio. Quando un cadetto demoniaco grande e grosso aveva sbattuto un piccolo pixie nel suo stesso armadietto e l’aveva chiuso dentro con una Filacchiappa innescata, il pixie era riemerso coperto di filamenti e praticamente invisibile – e anche, come saltò fuori dopo, malconcio e illividito.
Mi sa che non è una buona idea, pensò Lazuli; poi strappò via la sicura in seta di ragno prima di poter cambiare idea. Aveva circa dieci secondi prima che la seta cedesse alla pressione interna ed esplodesse in una fitta pioggia di filamenti cromoforici che si sarebbero adattati al colore dominante della zona, ossia quel blu-nero del Mare d’Irlanda alla sera.
«D’Arvit» imprecò Lazuli in gnomesco, ben sapendo che quell’esperienza sarebbe stata come minimo decisamente spiacevole. «D’Arvit!»
Ma cos’erano un po’ di lividi e ammaccature, a fronte della vita di un troll?
La specializzanda Platz si strinse la Filacchiappa al corpo e tornò con la mente nel suo posto del cuore, ossia il cubicolo che aveva da poco preso in affitto sulla Booshka e che condivideva con una sola piantina e assolutamente nessun altro.
«Ci vediamo presto, Felce» disse. Poi la Filacchiappa detonò con un’esplosione una decina di volte più forte di quella dell’armadietto.
La sensazione era più violenta di quanto la specializzanda Platz non si fosse aspettata, e le suscitò immediatamente un moto di rispetto per quel pixie chiuso nell’armadietto che aveva sopportato quello strazio senza un lamento. Lazuli si sentiva come se fosse stata scaraventata in un nido di vespe estremamente irritabili, a cui non andavano a genio i fatati ibridi. I filamenti si attaccavano a ogni centimetro della tuta, e più di qualcuno era riuscito a intrufolarsi al suo interno, lacerandole la pelle. Quei graffi erano accompagnati da una tremenda pressione, che spedì pedalare in fondo alla lista di priorità di Lazuli e scaraventò la pixel a capofitto verso terra, frenata soltanto dall’attrito dell’apparato quadrialare.
Mentre precipitava, Lazuli ebbe la prontezza di riflessi di notare un velo frastagliato di filamenti avvolgersi attorno alla piccola isola, rendendola invisibile a chiunque fosse stato fuori dal campo d’azione.
Bene, pensò. Se sopravvivo alla caduta, i filamenti mimetici dovrebbero rimanere in azione abbastanza a lungo da facilitare il salvataggio del troll.
A dire il vero, forse i suoi pensieri non erano davvero così lucidi. Forse erano più una cosa del genere: Aaaaargh! Cielo! Soccorso! D’Arvit!
Comunque fosse, la specializzanda Platz aveva ragione: se fosse riuscita a sopravvivere – ed era un se di proporzioni titaniche, per un elfo privo di magia – il velo della Filacchiappa avrebbe dovuto garantirle tempo a sufficienza per correre in aiuto del troll nano.
E glielo avrebbe garantito per davvero, se fosse rimasto al suo posto. Sfortunatamente, pochi istanti dopo, un elicottero militare arrivò rombando su Punta Sorrento e le folate del rotore dispersero il velo di Filacchiappa ai quattro venti. Così com’era scomparsa, l’isola di Dalkey tornò di colpo visibile.
La specializzanda Lazuli Platz rovinò a terra. Tecnicamente, non toccò affatto la terra, ma qualcosa che vi era appoggiato sopra. Qualcosa di morbido, viscido e che schioccava come la plastica a bolle da imballaggio, mentre lei affondava tra i vari strati.
Lazuli non poteva sapere che la sua vita era appena stata salvata dal silo di fermentazione delle alghe di Myles Fowl. Sprofondò attraverso diversi livelli di viscosità prima di fermarsi nel terzo inferiore del gigantesco barile e, un istante prima che le alghe la ricoprissero del tutto, riuscì a vedere l’elicottero di piombo che la sorvolava: notò allora una figura ammantata di nero fuori dal velivolo, in piedi sul pattino di atterraggio, con la gonna che svolazzava nelle raffiche generate dal rotore.
Che sia ciò che gli umani chiamano ninja?, si chiese Lazuli, cercando di ricordare qualcosa dei suoi studi umani. Ma ninja non era la parola esatta. Cosa c’era subito dopo il ninja, nella tabella dei mestieri umani?
Non è un ninja, si rese conto. È una suora.
Poi le alghe scivolarono sopra il corpo minuto di Lazuli e, siccome l’universo ama l’ironia, l’impressione che ne ricavò fu quasi esattamente quella di venire sommersa in una vasca di rame piena di anguille.