LA MUMMIA

Una ragazza alla soglia dei vent'anni è ancora poco più di una bambina capricciosa con la pretesa, dentro la sua piccola testa, di dominare il mondo e naturalmente anch'io ero così. E per questo la maggior parte del tempo ero scontenta e irritata senza capirne la ragione. Forse è un problema di ormoni. Succede però che quel disordine ormonale produca una sensibilità straordinariamente acuta. è un momento di splendore molto breve, che dura il tempo di un arcobaleno.

E per di più, sono poche le persone in grado di percepirne il profumo.

Mi ero iscritta alla facoltà di Farmacia, ma anche se eravamo solo a giugno, l'università mi era già venuta a noia.

Quella sera, mentre tornavo a casa dopo le lezioni, triste e depressa, passando per il parco vidi i colori evanescenti di un arcobaleno brillare in alto nel cielo. E tutt'a un tratto pensai che forse per un po' di tempo non avrei potuto guardare il cielo come stavo facendo ora.

Il mio presentimento si rivelò esatto. Quel giorno fui costretta a seguire un ragazzo, incontrato lì nel parco, uno che conoscevo di vista perché abitava da quelle parti, fui fatta prigioniera e per un po' di tempo non potei ritornare a casa.

Di quel ragazzo chiamato Tajima sapevo soltanto che era iscritto al corso di dottorato, che collaborava a degli scavi ar-cheologici e che passava metà dell'anno in Egitto. Aveva la pelle abbronzata, il fisico snello, portava gli occhiali, era quel genere di giovane professore privato che ha un certo successo con le ragazze. Da molto tempo avevo notato che aveva begli occhi, e se lo incrociavo per strada non mancavo mai di salutarlo.

"Buonasera" gli dissi con semplicità, facendo un leggero inchino.

Lui abbozzò un sorriso, disse: "Stavo lavorando alla tesi, ma sono uscito a fare due passi, per distrarmi un po'".

"Il mese scorso qui c'è stato un omicidio" aggiunse. "è pericoloso, sarebbe meglio che tu non camminassi da sola.

Vuoi che ti accompagni?"

Che prove ci sono che non sia pericoloso tu? pensai, ma non lo dissi.

"Non hanno ancora preso il colpevole?" chiesi.

"No, hanno fatto indagini anche da noi all'università. Forse perché lavoriamo nei nostri studi anche di notte. E abbiamo strumenti con i quali si possono fare a pezzi le persone" disse.

"è stata fatta a pezzi? La persona uccisa?"

"Pare di sì. Non hanno ancora trovato la testa."

"La testa..."

Quasi tutte le informazioni riguardo a quello che stava per accadere, in realtà, le ebbi in anticipo. In quel momento, riuscii a leggere nei suoi occhi, mentre mi portavo la mano alla testa, il mio destino nelle ore successive.

Tuttavia, nel parco dove si addensava l'oscurità, facendo uno sciocco confronto tra l'assassino e il ragazzo che conoscevo di vista, provai un attimo di terrore per l'assassino che forse si nascondeva nel buio, e credetti di aver fatto la scelta più logica. Scelsi lui e cominciammo a camminare, fianco a fianco. Il fatto che per gli esseri umani non esista una stagione dell'accoppiamento, e che il desiderio sessuale possa ma-nifestarsi in qualunque momento durante tutto il corso dell'anno, è un'altra delle ragioni per cui lo seguii. Forse nella luce che aveva negli occhi captai qualcosa che mi attirava.

Forse, se fossi stata un animale selvatico, sarei scappata via di corsa. Intuendo il pericolo per la mia vita. Ma io, che ero solo una semplice donna ottusa, dissi di sì al richiamo del desiderio. Perdendo quella che sarebbe stata l'unica possibilità di fuggire.

Ma era già tardi. A quel punto noi avevamo già cominciato a scendere, tra le nere sagome degli alberi, verso un mondo buio e cupo, tutto nostro.

Arrivati nei pressi di casa mia lui disse:

"Penso che noi due non ci possiamo separare così".

Il suo sguardo era serio.

Io risposi:

"Vuoi che prendiamo un appuntamento per rivederci? è questo che intendi?".

Lui non era per niente il mio tipo di uomo. Non avevamo assolutamente nulla in comune, e anche i nostri interessi erano diversi. C'era soltanto, nel camminare così fianco a fianco, quella sensazione di essere avvolta da qualcosa... era soltanto questo. L'unico motivo di interesse. Non riuscivo assolutamente a immaginare la scena di noi due che ci davamo appuntamento davanti alla stazione o in un caffè, e la situazione mi sembrava assurda, quindi tentai di andarmene.

"Aspetta, c'è una cosa che vorrei farti vedere" disse, e in quel vicolo di sera poco frequentato mi strinse forte. Odorava di secco, come un vecchio pullover. Se non fossi andata con lui, prima o poi mi avrebbe seguita e uccisa, la cosa si sarebbe trascinata, allora tanto valeva farla finita subito. Era questo ciò che pensai. Ma no, forse volevo semplicemente seguirlo. Quel giorno volevo a tutti i costi mettere in contatto una parte del mio corpo con il suo. Il suo desiderio si tra-smise a me. Quel desiderio era una febbre sgradevole che non avevo mai provato prima, ma aveva qualcosa che tocca-va il mio spirito.

Il suo appartamento era grande come un deposito, e in effetti era il deposito del suo padrone di casa riconvertito in abitazione. Il soffitto era alto, e c'era una scala che portava a un soppalco. Mi sedetti lì, da sola in mezzo a quello spazio vuoto. Lui preparò un caffè. Guardavo fissa i vetri appan-narsi per il vapore dell'acqua che bolliva. Nell'appartamento c'erano un sacco di oggetti dall'aspetto sinistro. Cose che sembravano uscite da antiche tombe egizie... Ampolle, oggetti simili a punte di frecce, teste di coccodrillo di pietra, delle specie di frammenti di terracotta.

"Cos'era che volevi farmi vedere?" chiesi.

Rendendomi conto da sola che era una domanda idiota, visto che entrambi avevamo in mente una cosa sola.

"Te la faccio vedere dopo" disse.

E come se mi avesse letto dentro, mi spinse con forza sul tatami.

Di lui non mi piaceva niente: né la forma del suo corpo, né il suo viso mentre lo facevamo, né il suo modo insistente di fare sesso che sembrava imparato guardando una video-cassetta. Il suo desiderio, più che nella penetrazione o in qualsiasi altra cosa, sembrava appagarsi soprattutto nel guardare, e non sembrava preoccuparsi molto di dare piacere a me. Per la sua insistenza non volendo raggiunsi più volte l'orgasmo, ma non era la sensazione piacevole che si prova normalmente facendo del sesso normale: era una specie di godimento contorto. Ma come spiegarlo?

Le sue braccia stranamente sottili, la spina dorsale in rilievo, le parti in cui era molto peloso, il fatto che senza occhiali avesse delle ciglia molto lunghe... tutti questi particolari, più mi apparivano sgradevoli, più mi facevano godere.

Anche il fatto che facesse tutto in silenzio dall'inizio alla fine mi attraeva.

Assomigliava perfettamente alla sensazione di quando, bambina, andando al mare, mi stendevo sulla riva. La sensazione della sabbia impregnata d'acqua che si muoveva sotto il mio corpo. Era una sensazione vagamente piacevole, ma la sabbia si infilava sempre più nel costume e anche se dopo un po' mi accorgevo di provarne fastidio, a un certo punto smettevo di preoccuparmene e me ne restavo stesa così sulla riva. Sebbene all'inizio si possa averne fastidio, una volta che si è stati catturati dalla forza morbida della sabbia, si vorrebbe restare lì pigramente.

Finita la prima volta, salimmo nudi la scala che portava al soppalco. Per tutta la notte mi fece fare quello che voleva, senza lasciarmi telefonare ai miei per avvisarli.

Anche se in modo infantile, io avevo un mio criterio per valutare se c'era l'amore. Bastava capire se nelle mie fanta-sie potevo permettere all'altro di farmi qualsiasi cosa o no.

Se non potevo, per quanto potessimo andare d'accordo, era solo un amico. Ed ero convinta, fino ad allora, di avere amato solo persone a cui potevo permetterlo. Ma non avevo mai pensato a un rapporto che esistesse solo per fare sesso come questo. Quante cose nuove ci sono ancora per me nel mondo, pensai. Continuammo a farlo forsennatamente, senza parlare e senza calmarci. Una sola cosa gli domandai:

"Quando è stata l'ultima volta che hai fatto sesso?". Cominciavo ad avere paura della sua energia. "Quando ero al liceo, è stata l'unica volta" rispose. Ah, è così, pensai. Adesso capivo.

Anche se avessi voluto sapere l'ora, lui aveva nascosto l'orologio e le finestre erano coperte da tende spesse e nere, di quelle che si usano per le camere oscure. Dopo essermi addormentata e svegliata una volta, mi ero come rassegnata, e bevevo solamente acqua. Naturalmente neanche in gabinet-to mi era concessa la privacy. Mi feci anche la pipì addosso mentre ero legata. Il sesso è veramente incredibile: si possono fare davanti a una persona che si conosce appena cose che non si farebbero nemmeno davanti ai propri familiari.

Man mano che passava il tempo, come in un'allucinazione mi sembrò di avere vissuto così da sempre.

"Non era una bugia, il fatto che volevo mostrarti una cosa."

Fu quello che mi disse tutt'a un tratto, dopo che gli avevo ripetuto per la ventesima volta che dovevo avvisare i miei, prima che chiamassero la polizia. Quindi dal fondo di uno scaffale dove erano ordinatamente allineati i suoi materiali di studio, tirò fuori una scatola lunga e stretta. Sollevò il co-perchio: dentro c'era, piccolo e rinsecchito, un gatto mummificato.

"Ah!" gridai. "L'hai fatto tu?"

Lui annuì. Rimasi di stucco. L'avevo detto quasi per scherzo.

"Era un gatto a cui ero molto affezionato. Ha vissuto di-ciotto anni. E allora io, come facevano gli egizi, gli ho levato le viscere, l'ho imbottito di erbe profumate, e l'ho mummificato. Non ti sto a raccontare il procedimento perché sarebbe troppo lungo, ma ha richiesto molta pazienza e coraggio. In effetti c'era in me anche la curiosità di sapere se ero in grado di fare una mummia, ma da sola non sarebbe bastata a farmi fare una cosa così spaventosa."

"Deve essere stato duro, farlo."

"Sì, è stato veramente duro. Tu forse penserai che mi so-no divertito, ma è stato un lavoro veramente duro, triste, do-loroso. Non mi va nemmeno di ricordarlo. Anche se non l'avevo ammazzato io, mi sono venuti pensieri molto cupi, co-me se fossi stato io a ucciderlo."

"Posso immaginare."

"Però volevo a tutti i costi conservarla, la sua immagine."

"Penso che ci sarebbero anche altre persone che, se co-noscessero la tecnica, vorrebbero farlo. Non è un'intenzione molto diversa da quella di chi fa impagliare gli animali, o si fa un pullover con il loro pelo" dissi.

Dopo una pausa, lui disse:

"So bene che non vorrai vedermi più, ma non resteresti ancora un giorno solo con me? Adesso puoi anche telefonare a casa tua".

"No, è impossibile" dissi.

Il gatto mummificato, avvolto con delicatezza in una bella stoffa, era posato lì. Se avessi finito col vedere la sua genti-lezza, la sua personalità, non sarei più potuta diventare una belva come prima. Un corpo estraneo chiamato pietà si stava già facendo avanti.

Era una cosa che faceva arrabbiare i miei, ma da quando ero bambina io avevo sempre avuto quel lato freddo. Per esempio, quando andavamo in un grande magazzino, se c'e-ra un commesso che non sapeva trattare bene i clienti, non era cortese, non sapeva consigliare negli acquisti, io me uscivo con frasi del tipo: "Quel commesso vale meno di un insetto". I miei mi sgridavano severamente, dicendo che non dovevo pensare cose del genere. Mi dicevano che era un mo-do di guardare le persone dall'alto in basso. Eppure io non avevo per niente l'orgoglio di chi guarda gli altri con supe-riorità. Era semplicemente che in quel momento il commesso io lo vedevo proprio così. Come un insetto che si agita in una scatola, confuso e senza scopo. Anche adesso era così.

Era una sensazione diretta. Io non volevo provare tenerezza nei confronti di una persona con cui non pensavo di poter avere una storia.

"Telefono a casa" dissi.

Ma quando feci per tirare fuori dalla borsa il mio cellulare, me lo strappò dalle mani e lo schiacciò sotto il piede.

"Che fai?" disse.

Io mi ero alzata e stavo dirigendomi verso la porta, lui mi assalì con violenza scaraventandomi a terra e tentò di nuovo di possedermi. Io, non resistendo più, afferrai una statuetta stretta e lunga che era lì vicino e lo colpii in pieno viso. La statuetta, fatta di terracotta, si spezzò e il suo viso si riempì di sangue. A quella vista, tutti i pensieri classificabili sotto la voce amore che dormivano dentro di me raggiunsero il punto di ebollizione. In un istante tutte le persone che avevo amato fino ad allora, tutte quelle che avrei amato nella mia vita da allora in avanti, tutti i pensieri che non avrei potuto dividere con loro, lo struggimento, lo strazio, mi invasero.

"Scusami, come ho potuto farlo!" gridai con gli occhi pieni di lacrime, stringendolo fra le braccia.

"No, non è niente, è stata colpa mia" disse lui.

Gli disinfettai la ferita, telefonai ai miei, dissi che stavo partendo per un viaggio di due, tre giorni, perché avevo bisogno di pensare ad alcune cose, e riagganciai subito.

Quindi entrai di nuovo nel suo futon sul soppalco, questa volta con un atteggiamento di un gradino più vicino all'amore.

Feci l'amore con lui, attenta a non toccargli la ferita.

Ma ciò nonostante, il momento della separazione ormai si avvicinava. Lo capivamo entrambi.

Quando durante la notte mi svegliai, alla debole luce che filtrava dall'esterno vidi che si era alzato. E che guardava fissamen-te la mia pancia scoperta. Fissamente. Come se vedesse fino alle viscere. Pensai: Vorrebbe fare di me una mummia... Stranamente non avevo paura. Poi mi addormentai di nuovo.

Quando mi svegliai c'era il rumore di una forte pioggia.

"Appena smette di piovere me ne vado" dissi, e lui annuì. Il sangue sul suo viso si era ormai completamente seccato. In mezzo al rimbombare dei tuoni, trascorremmo il nostro ultimo tempo insieme.

Non mi va neanche di ricordare quanto i miei genitori si infuriarono con me. Se lui fosse stato l'assassino sarebbe stata una conclusione interessante, ma non fu così, e il vero colpevole fu arrestato presto. Un degenerato signore di mezza età che aveva ucciso la sua amante e l'aveva fatta a pezzi.

Dopo di allora, non mi capitò mai più di incontrare Tajima per strada. Sentii dire che mentre era all'estero si era am-malato di malaria, che dopo essere tornato in Giappone aveva avuto un esaurimento nervoso in seguito al quale era stato ricoverato in ospedale, o aveva dovuto fare delle cure, non so bene. Io mi laureai, diventai farmacista e lasciai la città.

Poi, alcuni anni dopo, lui esordì come scrittore con un ro-manzo giallo ambientato in Egitto, diventò abbastanza famoso e ogni tanto si parlava di lui sulle riviste. Anche questa, che conclusione scontata, pensai. Per uno intelligente, appassio-nato di archeologia, dotato di una sensibilità fuori dal comune come lui, dedicarsi a una professione del genere era una cosa troppo banale. Si vede che tutto sommato non era questo genio, pensai, ma era una di quelle mie opinioni arroganti che avrebbero fatto arrabbiare di nuovo i miei genitori.

Si era sposato, e sulle riviste era apparsa anche la foto della moglie. Quando vidi che la moglie aveva un corpo molto simile al mio, così simile che lo si capiva nonostante i vestiti, provai una leggerissima stretta al cuore.

Io avevo un amore normale, il mio fidanzato e io ci in-contravamo come fanno gli innamorati, chiacchieravamo, mi facevo bella per vederlo, facevamo l'amore. Probabilmente non mi sarebbe successo mai più di provare desiderio per qualcuno incontrato per strada di notte. Era stato un momento in cui la sensibilità straordinariamente amplificata della giovinezza aveva realizzato una fantasia. Le cose normalmente sono formate da tante angolazioni diverse. Ma se si spazzasse via tutto, e si concentrasse lo sguardo su un solo mondo, tutto diventerebbe possibile. Quella sera noi due ci eravamo incontrati per caso, lui aveva risposto al mio straordinario mondo interiore con una forza esattamente uguale, era accaduto qualcosa di simile a una trasformazione chimi-ca, ed entrambi avevamo fatto un salto in una dimensione diversa dalla realtà. Era forse entrata in gioco un'energia talmente violenta da disorientare entrambi.

A volte penso: Ma questa vita di adesso, così ricca di tanti aspetti, è proprio sicuro che sia più giusta e più felice?

La bellezza di quella notte, del rimbombare dei tuoni, sentita dentro i futon mentre facevo l'amore con lui a occhi spalancati. Forse io non sono mai riuscita a uscire da quel mondo, sono rimasta ancora lì.

Ho provato a immaginare. Per esempio me in un'altra dimensione in cui sono stata trasformata in mummia, come quel gatto. O lui, distrutto dal mio amore fino al punto di non poter più respirare, con la testa spaccata, morto.

E questa idea proprio non riusciva a sembrarmi così brutta.