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Il padre
La settimana dopo c’è un’ondata di calore. Un picco clamoroso in tutte le previsioni meteorologiche. Henry la vive con la rabbia che gli rode dentro. L’unica situazione che quelli delle previsioni sanno centrare senza fallo, quando basta guardare fuori dalla finestra per sapere che tempo fa. Intanto sua figlia è completamente dimenticata. Non fa più notizia. I telegiornali sono pieni invece di grafici sulle temperature con operatori turistici che decantano compiaciuti i nuovi record raggiunti e la rinnovata tendenza a trascorrere le vacanze in patria. La miglior stagione da anni. In tutto il Devon e in Cornovaglia le facce prendono la stessa sfumatura dorata dell’erba dei prati.
Oggi c’è una nuova segnalazione di delfini che appaiono più regolarmente e in maggior numero lungo la costa, e un biologo marino sta dicendo che presto potrebbero esserci anche più squali. È il riscaldamento globale.
«Il riscaldamento globale, sì, come no». Henry sta riponendo altri indumenti in un’altra valigia con la televisione che mormora con l’audio abbassato in un angolo della camera da letto. Ogni volta che torna a casa a prendere altri effetti personali, la tira più lunga possibile nella speranza di un allentamento nell’adamantina presa di posizione di Barbara. Nella speranza che gli faccia un tè. Che gli parli. Che lo lasci restare. Niente da fare. Ora sente la sua voce che grida da sotto le scale. Che si sbrighi, per favore. Prenda le sue cose prima che Jenny torni a casa. Sembra che la loro figlia maggiore sia fuori con Tim e Paul. Barbara dice che da quando le cose si sono messe malissimo, quei due ragazzi sono stati la sua àncora di salvezza.
E ora siamo ripiombati tutti in questo stallo insopportabile, pensa Henry mentre chiude la lampo della valigia. Di Anna ancora non si sa niente. I telegiornali con l’ossessione delle condizioni del tempo. E lui in esilio.
Torna giù e ci prova ancora una volta.
«Non possiamo almeno parlare, Barbara? Fare un tentativo? Per Jenny?»
«Un tentativo? Hai la faccia tosta di propormi un tentativo? Dopo che per poco non ti sei fatto saltare le cervella nel fienile e poi scopro che te la stavi facendo con un’altra praticamente sullo zerbino di casa. Te ne andavi a puttane mentre nostra figlia…».
Ancora non ha capito come Barbara abbia scoperto la sua relazione. Ancora non sa chi è la donna in questione, grazie al cielo, ma ci sta arrivando. Ha il sospetto che sia stata Cathy a lasciarsi scappare volontariamente qualcosa, anche se lei nega decisa. Dopo la débâcle in Spagna, il loro ufficiale di collegamento non li frequenta più come prima. Passa ogni giorno per un caffè e quattro chiacchiere. Probabilmente le provoca imbarazzo il fiasco totale della polizia nell’indagine. L’assedio spagnolo si è sgonfiato come una bolla di sapone. Hanno saputo che la bionda nell’appartamento dov’era asserragliato Karl era la sua nuova ragazza. Quella dell’ostaggio era una messa in scena che doveva servire a ottenere una macchina con cui scappare. Un tentativo deciso lì per lì quando, dopo la segnalazione, la polizia era andata ad arrestare Karl.
Tutto quello che è stato riferito ai Ballard dopo l’arresto è che Karl avrebbe un alibi per la sera della scomparsa di Anna. Nello stesso cantiere spagnolo dove lavorava Karl, la polizia ha trovato anche Antony, fermato a sua volta. Entrambi negano di aver avuto in qualche modo a che fare con la sparizione di Anna. La loro versione è che già durante la prima ora nel locale notturno avevano perso interesse per le due ragazze e non hanno idea di che fine abbiano fatto. Sostengono di essere andati a un party con degli amici a Vauxhall e che così avevano in programma, fin dal principio. Queste nuove informazioni sono state verificate tramite testimonianze e registrazioni di telecamere della sicurezza e finora tutte le immagini e le deposizioni confermerebbero la loro versione. Finora gli investigatori londinesi non hanno trovato nessun buco temporale che induca a pensare a qualche responsabilità nella scomparsa di Anna.
Entrambi hanno dichiarato di aver fatto perdere le proprie tracce nelle prime ore del mattino dopo solo perché avevano paura di essere incolpati o incastrati. Avevano temuto di finire di nuovo dietro le sbarre. Così si erano procurati dei passaporti falsi e un passaggio in nave per la Francia. La Scientifica sta ancora esaminando l’appartamento dove si era tenuto il party. Hanno messo sotto torchio altri testimoni del loro alibi. Ma finora… zero. La ragazza di Karl, il presunto ostaggio, è una cameriera inglese che ha conosciuto in un bar sei mesi fa.
Ai Ballard è stato assicurato che Karl e Antony finiranno probabilmente di nuovo in prigione per non aver rispettato la libertà condizionata e per la messinscena di Karl in Spagna. E Anna? Sembra che la polizia si stia lentamente ricredendo sulla presunta responsabilità dei due giovani. E non hanno altre piste da battere. L’ispettore è tornato a Londra, nuovamente distratto dal caso del serial killer.
E allora? continua a chiedersi Henry. Continuiamo a indagare. Il caso è ancora assolutamente aperto…
In questa canicola Henry prende lentamente atto della sua paura più grande. Che non troveranno mai sua figlia, non sapranno mai cos’è successo. Immaginare questo come suo futuro, il futuro di tutti loro, è un incubo. Ora lo vede anche negli occhi di Jenny. E in quelli di sua moglie.
In questo terribile limbo Barbara ha finalmente ceduto agli antidepressivi ma, a quanto pare, le provocano gravi sbalzi di umore. Secondo Jenny, il problema è che si rifiuta di prenderli tutti i giorni e l’irregolarità nell’assunzione mette in crisi il suo equilibrio emotivo. Henry non può mai prevedere in che stato d’animo sia, se dimessa e silenziosa con la luce spenta negli occhi o maniacale, occupata a pulire con furia la casa, pronta a mettersi a urlare se tenta di ragionare con lei.
«Dovresti sentire di nuovo il dottore, Barbara».
«Quello che faccio non ti riguarda più, Henry».
Questo è un pugno allo stomaco. Non solo senso di colpa, ha scoperto, ma una profonda e pervasiva tristezza.
«Io ti voglio ancora bene, Barbara». Troppo tardi, mentre glielo dice, si accorge che è vero e vorrebbe poter far tornare indietro le lancette dell’orologio per mitigare la sua irritazione, la sua insoddisfazione per la vita che ha fatto, imprenditore agricolo trasformatosi in direttore di camping.
«Ah, allora sono proprio fortunata, eh?»
«Non rinuncerò a questa famiglia, Barbara. Dobbiamo pensare a Jenny».
«Quale famiglia, Henry?», lo aggredisce lei. «Nel caso non l’abbia notato, non abbiamo più una famiglia. Anna non c’è, e non so se la potremo mai riavere. E Tim e Paul si preoccupano del benessere di Jenny più di quanto abbia mai fatto tu».
«Sei ingiusta».
«Ingiusta? Ti dico io che cosa è ingiusto. Che tu non abbia avuto il coraggio o la decenza di dirmi con chi eri, mentre di nostra figlia non si sapeva più nulla».
Sammy è di fianco a Henry, che avverte la tensione nella postura del cane. Coda abbassata. Occhi abbassati.
«Ma dài, Henry, va’ a farti un giro. E porta il tuo cane con te».
«Mi terrò in contatto».
«Non vedo l’ora».
Henry trascina la sua valigia alla Land Rover e nel sollevarla per metterla dentro finge che sia pesante. La verità è che porta via solo pochi indumenti alla volta per avere una scusa per tornare, sempre nella speranza che Barbara ci ripensi. Non riesce ad accettare che finisca proprio così.
Che sia tutto finito.
Contempla per un’ultima volta il prato davanti a casa, chiude gli occhi sull’immagine di Anna che fa la ruota e poi si siede e sorride. Lo saluta con la mano.
Sente un formicolio nelle dita, il desiderio di rispondere al saluto. Dopo un po’ stringe le labbra, con molta, molta forza, apre gli occhi e prende la strada che porta ai cottage delle vacanze, la fila di quattro unità ricavate da uno dei fienili più grandi. Henry occupa uno di quelli con due camere da letto. Gli sembra di recitarla, la vita, invece di viverla, anche perché gli altri tre cottage sono pieni di vacanzieri, con i praticelli pieni di tavole da surf, mute, risate e sabbia sparsa dappertutto.
Henry porta la valigia nella bigia cameretta con le sue pareti neutre, la biancheria da letto neutra e il pavimento in finto rovere. Durante la ristrutturazione Barbara gli ha lungamente spiegato che la parola d’ordine è praticità. E ROI, che è l’indice di redditività. Infissi e installazioni devono essere neutri, durevoli e facili da gestire, gli ha spiegato. Non è una questione di gusto o scelta personale, ma di ROI. Abbassa lo sguardo sul pavimento facile da gestire e pensa ai più pregiati parquet in vero rovere nelle stanze al piano di sopra della fattoria. Le venature e i nodi. Le irregolarità del legno.
Si sdraia sul letto e fissa il soffitto. Pensa al suo mondo preferito. Il mondo reale al quale è ancora aggrappato. Il fieno imballato grazie al tempo favorevole. Gli agnelli svezzati e mandati a brucare. Adesso cosa viene? Deve decidere se cominciare ad arare i campi più alti per il grano dell’anno prossimo. Ne vale la pena? Può sperare di continuare a giocare all’allevatore? Si guarda intorno. Il piccolo armadio di legno di pino. È abbinato alla cassettiera e al comodino. Tutto troppo nuovo. Tutto di una tonalità che vira esageratamente sull’arancione.
Pensa a Sammy sul suo giaciglio nella cucina facile da gestire, il povero cane sconfortato e confuso quanto lui. Cosa ci fai qui, padrone, gli chiedono tutti i giorni i suoi occhi ambrati. Lui chiude i propri e incita il sonno, ma in quel momento sente il suono stridulo del campanello. Un altro orribile tocco di modernità. Uno stridio acuto che è tutto l’opposto della vecchia suoneria della casa padronale.
Chi diavolo è?
Aspetta sperando che vada via, ma lo strillo si ripete. Una seconda volta. Una terza. Allora si alza per andare a vedere chi c’è attraverso il vetro al centro della porta d’ingresso.
«Oh, santo cielo. Jenny. Jenny… entra. Scusa. Non immaginavo che fossi tu».
La figlia osserva il disordine che regna nell’open-space del cottage. Una pila di piatti sporchi nel lavello perché Henry continua a dimenticarsi di comprare le pastiglie per la lavastoviglie. La sua tuta da lavoro abbandonata sul tavolo della zona cucina e impronte di stivali sporchi di fango su tutto il pavimento.
Va diretta al frigorifero e ci guarda dentro. Annusa il latte scaduto e scuote la testa. Di altro ci sono dei sandwich imbustati e una confezione di panini alla salsiccia e una di tortini di carne di maiale comprati alla stazione di rifornimento.
«Va bene. Ho visto tutto. Non sopporto di vederti così. Andiamo a fare la spesa assieme e ti preparo qualcosa per cena. Forza».
«No, tesoro. Non c’è bisogno. Ho detto che me la cavo bene».
«Non te la cavi per niente. Andiamo». Fa tintinnare le chiavi della sua macchina, una vecchia Fiesta. Henry l’aveva comprata per entrambe le figlie. Jenny aveva passato l’esame di guida al primo colpo e Anna avrebbe cominciato le lezioni di lì a poco. Henry ce la mette tutta per non pensarci. Aveva la sincera intenzione di comprare abbastanza presto una seconda automobile in maniera che ne avessero una a testa.
Un’ora più tardi, di ritorno dal supermercato, Henry guarda sua figlia cercare tra le stoviglie una pentola adatta per fare il ragù.
«Userò pomodoro in scatola per pura pigrizia, ma verrà buono lo stesso. Non come quello di mamma, ma sempre meglio dei tortini di maiale». Fa soffriggere cipolla e aglio. Henry la guarda aggiungere la carne, aspettare che rosoli e versare la polpa di pomodoro e si vergogna della sua inettitudine. Si chiede quando mai Jenny abbia imparato a cucinare. Non se n’era accorto.
«Immagino che mi consideri un vecchio dinosauro, visto che non so cucinare».
«Non ce n’era bisogno, finora, giusto?».
Jenny è troppo pallida e Henry non sa intuire che cosa sia venuta a dirgli. Ma lo sente. Lo sforzo di trattenersi. Si fronteggiano in punta di piedi mentre cuoce il ragù e lui non fa pressione.
Il pranzo è buono e Henry prova insieme gratitudine e rimorso.
«Ho scordato il parmigiano, papà».
«Non fa niente. Non so dirti quanto apprezzo quello che hai fatto. Sembra così sbagliato, tu che badi a me…».
«Allora, dimmi, è vero? Hai una donna? La mamma non dice più di tanto. Di questi giorni è quasi sempre a letto. Dorme nella stanza di Anna. Raggomitolata con i suoi vecchi maglioncini».
«Oh, cara, sono così mortificato che tu debba affrontare anche questo da sola, oltre a tutto il resto». Henry respira a fondo. Non ha la forza di guardarla. «Sì, lo ammetto, sono stato un imbecille e lo rimpiango, ma era una cosa senza valore. Te lo giuro. Io amo tua madre. E ha tutte le ragioni di viverla così male. Tutte».
«Pensi che ti perdonerà? Ti lascerà tornare a casa?». Sul fondo della sua voce c’è un tono che gli ricorda uno sciacquio, Henry lo trova insopportabile. «Sembra che sia tutto finito per sempre».
Henry allunga il braccio per prenderle la mano e il gesto la fa scoppiare in lacrime. Poi Jenny dice una cosa che lui non capisce.
«Mi è anche appena arrivato questo brutto messaggio da Sarah. È ancora nel Devon con sua sorella. E dice…». Jenny guarda il padre negli occhi, con le lacrime che colano dai suoi.
«Sarah non spiega perché. Non mi dà nessun particolare. Ma dice che abbiamo il diritto di sapere che è possibile che la polizia di Londra interroghi suo padre. Per Anna».
«Bob? Il papà di Sarah? Bob?»
«Sì».
«Ma perché? Non capisco».
«Proprio non saprei. Hanno interrogato te, certo. Hanno intenzione di interrogare tutti i papà? Questo fanno?»
«Incomprensibile. Bob? Ma perché ora? Sono anni che è andato via di casa. Avevo l’impressione che non avesse neppure mantenuto i contatti con la famiglia».
Sente la confusione disegnarglisi sul viso. I muscoli tesi di sconcerto. Guarda per terra, sposta lo sguardo qua e là. Gli stivali. Il cane tornato nella sua cesta. I sacchetti della spesa vuoti. Il ricordo di Sarah e i suoi alla sagra del villaggio. Sarah e Anna sulla giostra, un’amicizia nuova, con i quattro genitori a chiacchierare. Bob con quell’aria distaccata, superiore. Bell’uomo. Un po’ spocchioso. Non certo il suo tipo. Non gli era andato a genio, fin da subito.
Poi ricorda qualcos’altro, ricorda Bob che fotografava in continuazione. Incessanti foto di bambini. La famiglia non sembrava navigare nell’oro, eppure lui aveva una fotocamera costosa con una batteria di obiettivi. Una vera borsa da fotografo. Barbara aveva detto che era carino che volesse raccogliere ricordi, ma a lui non era sembrato del tutto normale. Non gli era affatto dispiaciuto che Bob se ne fosse andato di casa, dal paesino.
No.
Davvero?
Ha una strana sensazione nella pancia.
«Devo chiamare Melanie Sanders. Quel sergente così gentile. Ormai è rientrata. Mi dirà cosa succede». Henry si è alzato per prendere il cellulare che ha in tasca, mentre si passa l’altra mano nei capelli.
«E tu devi risentire Sarah. Coraggio, Jenny. Su. Fatti spiegare di cosa si tratta. Chiamala subito».
Ma Jenny non si muove. Lo guarda e basta, con le lacrime che le gocciolano dal mento. «C’è un’altra cosa, papà».