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Il padre
Henry guarda la mosca sul muro. Non capisce perché la polizia gli faccia domande su Sarah. Non glielo vogliono spiegare.
È sotto chiave da così tanto che gli sembra siano passate ore, e quella mosca lo sta facendo impazzire. Per un attimo è ferma e poi salta, prima di traverso per mezzo metro e poi un secondo balzo in verticale. Henry socchiude gli occhi e cerca di individuare il motivo per cui questa scena gli è stranamente familiare, fruga nella mente finché trova il nesso.
Ride forte. Norman Bates. Ride di nuovo e scuote la testa davanti a quell’assurdità surreale. L’acustica della cella della polizia è reattiva e ascolta l’eco della sua risata che si spegne, prima all’esterno e poi dentro la sua testa. Attende il silenzio assoluto chinandosi in avanti per posarsi per un momento la testa nelle mani prima di prendere una decisione e alzarsi in piedi.
Okay, Norman, facciamo che questa volta ammazziamo la mosca.
Si sente all’improvviso tonificato da questo suo nuovo obiettivo: la coscienza di qualcosa da fare concretamente; così si guarda intorno per rispondere alla sfida successiva, vale a dire cosa usare per arma. Per un momento considera di togliersi la camicia e usarla per sferzare la mosca ma al pensiero del sergente di guardia che sbircia dallo spioncino e vede il suo busto molliccio preferisce scartare l’ipotesi. Hanno ancora la sua cintura per motivi di sicurezza. Mmm. Poi gli sovviene. Si guarda i piedi.
Si sfila la calza sinistra e ne saggia l’elasticità. Il tessuto è cedevole quel tanto che basta. Bene. Per fortuna è cotone misto lana, non una di quelle porcherie inventate dall’uomo. Potrebbe funzionare a dovere. Allora si immobilizza, seduto sul materassino di plastica blu, e aspetta. La mosca si sposta ancora qualche volta e finisce per posarsi sul muro a mezza altezza direttamente davanti a lui.
Henry prende piano la mira, mantenendo il resto del corpo il più fermo possibile. Pazienza, Henry. Pazienza. Aspetta… aspetta… e spara. Merda. La calza colpisce il muro a una velocità impressionante ma manca il bersaglio di un niente e la mosca schizza via attraverso la stanzetta.
Henry si alza in piedi per recuperare la calza e torna a sedersi sul letto, e in quel momento si rende conto di una nuova ironia della sorte. La sua annosa battaglia con le mosche.
Fin da quand’era piccolo ha sempre trovato insopportabile vedere come tormentano il bestiame. Provava addirittura un inizio di nausea nel vederle trotterellare verso gli occhi di una vacca o di un vitello mentre il povero animale non poteva far altro che agitare la coda e le orecchie.
Era stato messo bene a conoscenza dei rischi, e non solo per il bestiame. In cucina sua madre denunciava con angoscia le terribili malattie di cui le mosche sono portatrici. In alto, sulla parete, aveva fatto fissare una versione in miniatura di apparecchi insetticidi che si vedono nelle cucine dei ristoranti. Henry osservava il dispositivo, in parte ipnotizzato e in parte anche leggermente disgustato ogni volta che il tubo di luce blu annunciava con uno sfrigolio una nuova condanna a morte.
Intanto ai pascoli suo padre lo istruiva sulla necessità di controllare la popolazione delle mosche a protezione delle mandrie. Era una parte essenziale delle tecniche di allevamento perché le mosche non erano solo una seccatura, ma provocavano malattie agli occhi, bassa resa e problemi di ogni genere. Quando aveva finalmente assunto la gestione della fattoria, Henry si era già rassegnato alla spiacevole realtà di dover assegnare ogni anno una sostanziosa fetta di budget a insetticidi e marcatori per le orecchie.
Detesto le mosche con tutto il cuore, sta pensando adesso mentre scruta i muri della cella in cerca del suo nuovo nemico. Suppone che la mosca sarà attratta da quell’orrore che è la tazza d’acciaio del water ed ecco che effettivamente di lì a pochi minuti va a posarsi sul bordo. Per un attimo Henry si chiede quanto ci vorrà ancora prima che lo rilascino e prega che accada prima che abbia bisogno di scaricarsi. Non sopporta il pensiero del sergente di custodia che apre la porta nel bel mezzo della più personale delle funzioni umane. Hanno forse un protocollo? Guardare dallo spioncino per lasciarti finire?
La mosca non si muove. Henry tende la calza per la seconda volta, mettendocela tutta per mantenere immobile il resto del corpo. Ora la mosca cammina, prima dentro la tazza, ma poi di nuovo lungo il bordo, non c’è sedile, e si muove in senso antiorario. Finalmente si ferma di nuovo e Henry prende la mira.
Questa volta non è solo trionfo, ma giubilo assoluto. Beccata! Gli esce dalla gola più potente del dovuto e un attimo dopo c’è una faccia nuova dietro la griglia nel piccolo riquadro della porta. Un agente di custodia diverso, più giovane, a conferma di un cambio della guardia.
«Che succede lì dentro?».
Henry sta contemplando con una smorfia il prezzo pagato per aver centrato il bersaglio. Ora la sua calza è nell’acqua assieme alla mosca defunta.
«La mia calza è finita nella tazza del cesso».
«E perché diavolo ha messo una calza nel water? Stava cercando di otturarlo, eh?»
«No. Stavo uccidendo una mosca».
«Be’, la finisca pure da sé». E poi la faccia nuova sparisce dallo spioncino.
Henry medita per un momento rigirandosi la frase nella testa e domandandosi come possa servirsene a proprio vantaggio. Di certo non possono obbligarlo a infilare una mano nel water, giusto? Presenterà un reclamo formale. Lo dirà al suo legale. Scriverà alle autorità competenti. Al giornale locale.
È proprio sul punto di dare nuovamente voce a questa assurda protesta, quando si sente il rumore della chiave nella serratura e appare il nuovo sergente di servizio che evidentemente ci ha ripensato. Entra indossando guanti protettivi con un sacchetto di plastica e uno spazzolino di plastica.
«In piedi contro il muro», ordina in tono asciutto e Henry ubbidisce all’istante. Poi guarda il giovane sottufficiale ripescare la calza con lo spazzolino, infilarla nel sacchetto e far scorrere l’acqua.
«Ha visto la mosca morta?». Henry sente il bisogno di essere creduto.
«Lasci perdere la mosca. Mi dia invece l’altra calza così evitiamo un bis».
«Avrò freddo ai piedi».
«A questo avrebbe dovuto pensarci prima di mettere a repentaglio il nostro impianto idraulico».
Henry sospira, si toglie l’altra calza e gliela porge.
«Quando torna il mio avvocato? Aveva detto questa mattina presto. E avete controllato le mie dichiarazioni di ieri sera all’ispettore? Su dove mi trovavo veramente quando Anna è scomparsa. Adesso mi lasciate andare? Non potete tenermi qui. Conosco i miei diritti».
Il nuovo sergente di custodia emette un lungo soffio dalle labbra socchiuse uscendo dalla cella e chiudendo di nuovo con la chiave prima di parlare dal corridoio.
«Non dipende da me, no?». Gli mostra il sacchetto di plastica. «Io faccio solo il lavoro sporco».