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La testimone

«Perché non lasci che ti faccia il tè, tesoro? Concediti dieci minuti una volta tanto».

Sento la voce di mio marito ma non mi giro. Dalla soglia tengo gli occhi fissi sulla corrispondenza sullo zerbino. In mezzo a fatture e buste bianche la vedo, un pugno nell’occhio. La puntuale busta scura. Questa volta l’indirizzo è stampato su un’etichetta bianco latte.

«Non fa niente. Davvero. Mi conosci, preferisco andare». Mi sbrigo a raccogliere la posta e a compattarla, sento il cartoncino dentro la busta scura e la nascondo al centro mentre Tony comincia a scendere le scale.

«Sicura, Ella?»

«Dei sandwich al bacon? Di’ a Luke ancora un quarto d’ora, vuoi? Se non si dà una mossa c’è rischio che perda l’autobus». Sento il cuore che mi martella il petto ed evito accuratamente di guardarmi nello specchio dell’anticamera, non voglio vedere la prova della mia colpa. La faccia rossa.

Avevo davvero creduto di poter chiudere la questione facendo intervenire Matthew, ho sinceramente creduto di poter evitare questa preoccupazione a Tony, che è già abbastanza sotto pressione per conto suo.

In cucina frugo nella posta per dare a Tony la corrispondenza del club enologico e della banca. So che dovrei dirglielo e mi sono ripromessa di farlo presto. Molto presto. Dopo aver parlato con Matthew. Ma la prenderà male di nuovo ed è già abbastanza teso adesso che è in gara per la promozione. Mi sento in colpa perché mi aveva espressamente sconsigliato di andare in Cornovaglia. Oddio. Speravo tanto che Matthew mi risolvesse questo guaio.

«Niente di interessante?». Tony sta guardando la corrispondenza che ho in mano.

«La compagnia di assicurazioni. Un’offerta per chi ha più di un’auto in famiglia».

Lui fa una smorfia e si volta dall’altra parte mentre io accendo il forno e comincio a darmi da fare con pane e bacon. In quel momento suona il telefono.

«Rispondo io», dico pensando che potrebbe essere Matthew. Credevo di avergli detto di telefonarmi al negozio.

«Sta succedendo qualcosa, Ella, vero? C’è qualcosa che non mi stai dicendo».

«Non ora, Tony. Per favore. Non c’è niente». Dannazione. Se non è la madre in Cornovaglia, dobbiamo consegnare questi biglietti alla polizia. Bene. Allora sì che dovrò dirlo a Tony.

Mentre con una mano apro una nuova confezione di bacon, prendo il telefono preparandomi a chiedere a Matthew di chiamarmi più tardi in negozio.

«Parlo con la madre di Luke?»

«Sì. Sono Ella Longfield. Chi è?»

«Rebecca Hillier. La mamma di Emily. Speravo che potessimo confermare l’appuntamento».

«L’appuntamento? Credo di non capire».

C’è una pausa molto lunga. «Luke non le ha parlato?»

«No. Qualcosa che non va?»

«Senta… non è una questione da trattare per telefono. L’avevo detto chiaramente a Luke. Mi dica, è libera questo sabato o no?».

Adesso Tony sta formulando domande con la bocca. Chi è? Cosa c’è?

«Be’… mio marito gioca a poker con gli amici perciò…».

«Facciamo questo sabato. Alle sette e mezzo. Da noi. Luke ha l’indirizzo». E riattacca.

«Molto, molto strano. Anche poco gentile, direi. Puoi chiedere a Luke di venire giù?»

«Ma cosa succede?»

«Vorrei saperlo anch’io».

Comincio a posare mezza dozzina di fette di bacon sulla teglia disponendoli in maniera che ci stiano tutti. Mentre sento i passi di Tony che sale le scale, apro velocemente l’odiata lettera.

Attenta. Ti sto guardando…

«Ella! Credo che dovresti venire su».

Oddio…

Nella stanza di Luke capisco al volo che la situazione è grave; l’angoscia passa istantaneamente dal biglietto a mio figlio. Da un paio di settimane fa sempre più tardi. Ha perso lo scuolabus tre, forse quattro volte e non è da lui. È arrivata una comunicazione dalla scuola su certi compiti a casa che non ha fatto. Mi si suggeriva di parlare con il suo tutor. Avevo intenzione di sbrogliare quest’altro impiccio, ma con tutto quello che sta accadendo…

«Cosa diamine succede, Luke?». Lì per lì Tony è più arrabbiato che preoccupato.

Luke è raggomitolato sotto le coperte con addosso i vestiti di ieri. Jeans e una pesante felpa con cappuccio verde-azzurro. Sudato. Puzzolente.

«Hai freddo? Ti senti la febbre?». Cerco di mantenere una voce abbastanza calma. Mi sento in colpa per essere stata così distratta.

«Vedi di parlare, Luke. Cos’è questa storia?». Tony sta aprendo le tende.

Luke non risponde, ha un’aria tetra, palpebre pesanti.

«Ho appena sentito al telefono la madre di Emily. Su non so quale appuntamento. È stata piuttosto brusca con me. Sembra che avrei dovuto saperlo. Quale incontro, Luke?». Mi sforzo di non sembrare in collera.

Lui non dice ancora niente.

«Allora, Luke?». E adesso mi prende il panico. Penso di tutto. Droga? Ha rubato in qualche negozio? Si è messo nei guai con la polizia? No. Certamente non il mio Luke. Il mio invidiabile Luke che fino a quando non è cominciato questo nuovo comportamento incomprensibile era lì lì per un’occasione a Oxbridge. Una fase, ha concluso Tony. Un po’ di ribellione per via di un anno scolastico che si è rivelato molto più duro del previsto. Forse è solo stufo di fare esami. Sarà quello?

«Per favore, Luke. Dicci cosa c’è. Forse possiamo aiutarti». La voce di Tony è meno aspra.

E a quel punto Luke ci coglie tutti e due di sorpresa e si mette a piangere. Un pianto straziato, convulso. Lacrime da bambino, incongrue e drammatiche e allo stesso tempo sconcertanti, perché sgorgano dagli occhi di questo ragazzone di quasi un metro e novanta, completamente vestito sotto un piumone blu a strisce comprato da Marks and Spencer.

Capisco due cose all’istante.

Che quello che è successo, qualunque cosa sia, è molto serio e che io sono stata troppo concentrata sul caso di Anna Ballard per accorgermene.