La fiaba che ho tenuta per ultima è quella che più mi faceva paura da piccola. Me la raccontava la solita zia fiorentina, zia Rosa, che aveva una voce un po’ roca e tonante e soprattutto era dotata di un certo gusto dell’horror, perché insisteva sulle parti che mi terrorizzavano.
Mentre zia Rosa raccontava, io immaginavo, visualizzavo come in un film il bosco e la casetta, e mi vedevo, io Cappuccetto, a bussare alla porta. Che paura! Non riuscivo nemmeno a sentirmi confortata alla fine, perché questa è una fiaba strana, con una conclusione che non esiterei a giudicare un po’ “tirata via” se la leggessi per la prima volta in un testo scritto da qualche allievo. Così, non amo raccontare questa fiaba ai miei nipoti, che del resto, come ho ripetuto più volte, non gradiscono storie paurose dove si presentano orchi, streghe e lupi cattivi.
Ma Vivian mi chiede espressamente di raccontarle “Cappuccetto Rosso”. È la mia nipote più piccola. Ha cinque anni, è la più tranquilla di tutti, la più timida, e non osa di certo chiedere una storia dettando condizioni, come fanno gli altri. Però lei preferisce una fiaba che conosce, che addirittura sa a memoria perché a scuola è stata illustrata, drammatizzata, tradotta in musica, riscritta in colori diversi, insomma, narrata in tutte le salse!
«Sei proprio sicura che vuoi sentire “Cappuccetto Rosso”?» ripeto, tante volte avesse cambiato idea e mi dicesse che opterebbe volentieri per una storia mai sentita. Invece appare compiaciuta: «Sì, per favore. La “Cappuccetta Rossa”».
Non mi resta che rievocare questa bambina disobbediente o distratta o tutt’e due le cose. La bambina che si caccia nei guai, malgrado tutte le raccomandazioni. La bambina che prima o poi siamo tutti. In onore a Vivian, le cambiamo nome in Cappuccetta.
CAPPUCCETTO ROSSO
C’era una volta una bambina soprannominata la Cappuccetta Rossa, per via del color rosso ciliegia della mantellina con il cappuccio, che indossava sempre per uscire.
Un giorno la sua mamma le dette questa incombenza:
«Ascoltami, Cappuccetta. Bisogna che tu porti da mangiare alla nonna che è malata».
«Benissimo mamma» rispose lei che era molto gentile.
«Ti metto tutto in questo paniere» le disse la donna e poi si raccomandò: «Non passare dal bosco, segui la strada, d’accordo?».
«Sì, sì» fece Cappuccetta.
«Ripeto, non passare dal bosco perché potresti incontrare il lupo. Ci siamo capite?»
«Sì-ì» cantilenò la bambina, un po’ stufa di farsi ripetere le cose troppe volte. Prese il panierino con il pane, la frutta e tante cose buone da mangiare. Uscì di casa e si incamminò per la strada che portava a casa della nonna. Ma a un certo punto pensò di cogliere un po’ di fiori, erano così belli e colorati, alla nonna avrebbero fatto piacere! Così, cogliendo un fiore dopo l’altro, si allontanò dalla strada e cominciò a prendere un sentiero nel bosco.
Di colpo, gli uccellini smisero di cantare e si fece un gran silenzio. Cappuccetta si guardò intorno e vide sbucare dalla sterpaglia un grosso lupo grigio. «Buongiorno bambina» la salutò, piuttosto cortese.
«Buongiorno signor lupo».
«Come ti chiami?» domandò lui e lei: «Cappuccetta Rossa».
«Bel nome, originale» si complimentò il lupo. «E dove vai di bello?»
«Vado a trovare la nonna, che è malata. Abita in una casetta dall’altra parte del bosco» lo informò lei, innocente.
«Ah, ecco» commentò lui. «Allora, buona passeggiata!» le augurò e corse via. Cappuccetta pensò tra sé che alla fine la mamma esagerava, con quest’idea del lupo cattivo. Questo per esempio era stato molto educato. E mentre così pensava e proseguiva per la strada, il lupo svelto si precipitava a casa della nonna malata e bussava alla porta.
«Toc-toc»
«Chi è?» chiese la nonna.
E il lupo, facendo una vocina: «Sono io, Cappuccetto Rosso».
«Entra entra, la porta è aperta» rispose la nonna ignara. Il lupo salì le scale a balzi, entrò in camera e la nonna strillò: «Dovevo capirlo subito! Hai detto Cappuccetto e non Cappuccetta…» ma non finì nemmeno di parlare, perché il lupo la mangiò in un boccone. Poi si mise una camicia da notte, una cuffia e gli occhiali della povera anziana, si sdraiò a letto e attese che arrivasse la bambina. Che arrivò infatti dopo poco tempo, tutta allegra con il suo panierino appeso al braccio e un bel mazzolino di fiori. Anche lei, bussò alla porta.
Il lupo, imitando la voce della nonna fece: «Chi è?».
E lei: «Sono io, nonna, sono Cappuccetta Rossa».
«Vieni vieni» fu la risposta. «La porta è aperta».
Così, Cappuccetta entrò in casa e salì le scale. La camera della nonna era in penombra e sul letto la donna appariva più grande e grossa di come la bambina si ricordava.
«Vieni nipotina mia, vieni più vicino…» la invitò il lupo travestito.
Cappuccetta si avvicinò al letto e osservò, sbalordita: «Nonna, ma che orecchie grandi che hai!».
«Cara, è per ascoltarti meglio» rispose il furbone.
«Nonna, che occhi grandi che hai!» notò la bambina.
«È per guardarti meglio» spiegò lui.
«Nonna, ma che mani grandi e pelose che hai!»
E il lupo: «Per abbracciarti meglio».
«E che bocca enorme che hai!»
«Per mangiarti meglio!» ringhiò il lupo e in un sol boccone la divorò.
Poi, con la nonna e Cappuccetta in pancia, si sdraiò di nuovo sul letto e si addormentò in modo talmente profondo che attaccò a russare.
Mentre il lupo dormiva saporitamente, passò da quelle parti un cacciatore che sentì quel russare sonoro e si insospettì. “Ma chi è, la nonna che vive qui dentro a russare in questo modo?” disse tra sé. Così, entrò quatto quatto dalla porta, salì su per le scale e entrò nella camera dove vide il lupo, con un enorme ventre, giacere nel letto. Senza dire una parola, il cacciatore imbracciò il fucile e pam! sparò in bocca al lupo. Poi prese il coltello e gli tagliò quel pancione da cui uscì Cappuccetta Rossa con la sua mantellina color ciliegia e la nonna, un po’ sgangherata ma ancora viva. Il cacciatore si prese la pelle del lupo, la nonna mangiò il pranzo e Cappuccetta capì la lezione: mai più sola nel bosco!
«Fin qui la storia la conosci, vero? È così?» chiedo a Vivian che conferma: «Sì, zia».
A questo punto, c’è una piccola sorpresa, perché i miei nipoti amano essere un po’ presi alla sprovvista, altrimenti dov’è il fascino delle storie, soprattutto quelle molto conosciute?
Così le annuncio: «Be’ io so che c’era anche un’aggiunta della fiaba. La vuoi conoscere?»
«Sììììì».
Allora, ascolta.
Pare che la volta successiva che Cappuccetta partì da casa per andare dalla nonna, non si allontanò dalla strada, ma vide che nel bosco un lupo la fissava con occhiacci gialli. Quindi si affrettò per la via e arrivata dalla nonna le raccontò che un lupo l’aveva spiata e forse seguita.
«Brutta bestiaccia» sbottò la nonna, che non ne poteva più di questi lupi. «Chiudiamo la porta con il paletto, e non facciamoci sentire».
E così fecero. Dopo un po’, il lupo grigio arrivò con la lingua di fuori, bussò alla porta e fece la solita manfrina: «Apri, nonnetta, sono venuta a portati della focaccia…».
Ma la nonna e Cappuccetta restarono ferme e zitte. Il lupo però non si dette pace. Si arrampicò fin sul tetto, per vedere se poteva trovare un abbaino, un camino, un pertugio per entrare nella casa. Allora Cappuccetta ebbe un’idea. Prese l’acqua dove avevano bollito le salsicce e senza farsi vedere riempì svelta una vasca fuori in cortile. L’odore delle salsicce salì fin sul tetto e il lupo si spenzolò giù per vedere da dove venisse quell’odorino di carne. Si allungò finché non scivolò, perse l’equilibrio e finì dritto dentro la grande vasca e vi affogò.
Cappuccetta così tornò a casa contenta e nessuno più le fece del male.
«Questa non la sapevo» ammette Vivian.
«È un finale che nessuno si ricorda» constato io.
«A me piace» dichiara lei.
«Anche a me».
Finché dei lupi non ci liberiamo da sole, non ci passerà mai il terrore e l’ansia, penso. Ecco perché avevo così paura da piccola, con un finale che mi sembrava un po’ rabberciato, per l’intervento di uno che per caso passava da quelle parti. Forse avevo già una mente da scrittrice e pensavo che dovesse essere la protagonista a risolvere il proprio dramma, uscirne vittoriosa.
Ho letto ogni genere di racconto moderno divertente, schierato dalla parte dei lupi, come se si trattasse di difendere quei nobili, liberi animali selvaggi. Se pensiamo che sia più moderno stare dalla parte dei lupi e degli orchi, non permettiamo alle fiabe di aprire la porta segreta dentro di noi, e accompagnarci nel mondo dell’immaginazione e dell’irrazionale, dove i sentimenti, le paure, i desideri, prendono corpo in figure magiche, e ci indicano la strada.
Per cosa?
Lo sapete, ormai: per costruire il nostro regno, la nostra speciale personalità.