2. IL GATTO CON GLI STIVALI

Leonardo mi pone una questione essenziale per chi pensa che fiaba sia uguale a racconto di fate e soprattutto di principesse, quindi storie per bambine e ragazze: «Zia, nelle fiabe ci sono solo principesse?».

Ottima questione, mi strofino mentalmente le mani, pronta a dilungarmi in articolate spiegazioni. E parto motivatissima: «No no no, nelle fiabe ci sono tantissimi personaggi! C’è tutto un mondo di principi e poveri, cavalieri, contadini, animali che parlano…».

«E mostri?» m’interrompe Leo che, come sappiamo, non gradisce storie troppo paurose. Anche quando nei cartoni arrivano certi bruttissimi ceffi, con occhiacci e zanne, si affretta a cambiare programma o film.

«Non ci sono proprio mostri. Ci sono lupi, streghe…»

«Orchi»

«Sì, ecco…»

«Non sono mostri?»

Stiamo andando un po’ sullo specifico, temo di essermi impantanata. «Bisogna vedere a cosa ti riferisci, i mostri di soliti sono spaventosi a vedersi, invece gli orchi…»

«Non si vede, sono persone che sembrano normali» conclude il ragionamento lui. «Anche alcuni mostri».

Ora io non vorrei proseguire su questo crinale che mi pare già piuttosto scivoloso. Quindi cerco di cambiare argomento: «Ci sono fiabe con animali straordinari, per esempio c’è un gatto…».

«Ancora gatti?» mi interrompe Bianca, a cui i gatti non piacciono granché. Li trova poco rassicuranti, strani, pronti a balzare, a inarcarsi, a soffiare. Anche quelli che si dicono buonissimi e che si esibiscono in fusa e moine. Non ha tutti i torti, e a ben guardare, il gatto di cui voglio raccontare possiede le caratteristiche predatorie per cui un felino non è un coniglietto né un agnellino, anche se passa il suo tempo sparapanzato sul divano.

In ogni caso, trattandosi di una storia con un animale umanizzato un po’ buffa, mi affretto a rassicurare sia lei che il fratello, che ha già sollevato le antenne ed è pronto a ridiscutere la faccenda dei mostri: «Sì, ma questo guardate che è proprio specialissimo, è un gatto molto simpatico, che aiuta il suo amico umano e addirittura va in giro indossando gli stivali!».

«Come sarebbe? Gli stivali veri, quelli delle persone?» osserva Leo perplesso. È un bambino molto concreto e queste faccende magiche di animali che parlano e addirittura indossano abiti e scarpe non lo convince. Sta a vedere che sono un po’ mostri.

Meglio tagliare corto, e iniziare subito il racconto.

IL GATTO CON GLI STIVALI

C’era una volta un uomo che aveva un mulino e due figli. Quando morì, divise le sue proprietà in questo modo: al primo figlio lasciò il mulino, al secondo il gatto.

«Un gatto!» si disperò il ragazzo. «E cosa ci faccio con un gatto, io?»

Ma a quel punto, il gatto, che di solito miagolava e faceva le fusa come tutti i gatti, parlò in questa maniera: «Amico mio non ti preoccupare, fidati di me».

«O perbacco!» esclamò il ragazzo, sconcertato. «Ma tu parli?»

Il gatto non si dette la pena di rispondere a questa domanda, invece disse con una certa cortesia: «Avrei però bisogno che tu mi comperassi un bel paio di stivali».

«Stivali» ripetè scombussolato il ragazzo. «E poi?»

«Se la trovi, anche una bella mantellina e già che ci sei anche un cappello, si fa una certa figura con un bel cappello in testa. Ah, anche un sacco, perché mi servirà» rifletté a voce alta il gatto.

Il ragazzo uscì di casa e andò dal calzolaio, borbottando: «Ma guarda un po’ cosa mi deve succedere: non solo non ho una casa, né un soldo, ma devo pure comprare stivali e abiti per quel gattaccio!».

Un po’ seccato, tornò a casa con un paio di bellissimi stivali di cuoio per cui si era indebitato con il calzolaio, una mantellina e un cappello con la piuma che il gatto approvò con entusiasmo. In più aveva trovato anche il sacco richiesto.

«E adesso?» chiese il ragazzo, mentre il gatto indossava gli stivali e il resto, pavoneggiandosi davanti allo specchio.

«Adesso aspettami, torno presto. Fidati di me» rispose il gatto, e uscì in fretta.

Corse fuori della città e si nascose dietro i cespugli di un grande campo, lasciando a terra il sacco ben aperto, con dentro una manciata di semi.. Non dovette aspettare molto, che giunsero due pernici e cominciarono a beccare i semi. Con un guizzo, il gatto saltò dal cespuglio e chiuse il sacco, imprigionando i due uccelli. Poi, sacco in spalla, si diresse al palazzo reale. Davanti al portone, apostrofò così le guardie: «Buongiorno! Devo essere ricevuto subito dal re».

«Ohibò!» esclamarono le guardie quasi in coro. Poi commentarono tra loro: «Un gatto che parla! E che begli stivali indossa! Deve appartenere a qualcuno di importante, se deve parlare con il re».

Insomma, non solo lo fecero entrare nel palazzo, ma lo scortarono fino dal re in persona.

«Buongiorno sire» lo salutò il gatto con un bell’inchino, sventolando il cappello fin quasi a terra.

«Un gatto che parla!» si stupì il re, aggiungendo: «E com’è beneducato!». Così gli si rivolse con molto interesse: «Buongiorno, chi sei?».

«Sono il gatto con gli stivali, servitore del Marchese di Carabàs!»

«Carabàs? Mai sentito» commentò il re, aggrottando la fronte. Il gatto spiegò, in tono cortese: «Il mio padrone, il marchese, è appena tornato da un viaggio che lo ha tenuto lontano per anni, e vi manda queste due belle pernici come omaggio». Così dicendo, il gatto tirò fuori dal sacco i due uccelli, tenendoli stretti per le zampe.

«Ah, ma senti» fece il re, osservando le due pernici che agitavano le ali. Sfarfallò una mano in segno di allontanare quegli animali dalla sua vista e concluse: «Bene, bene, di’ al tuo padrone che lo ringrazio molto».

«Presenterò» rispose il gatto, inchinandosi di nuovo prima di allontanarsi.

Il giorno seguente, il gatto tornò nel campo e stavolta catturò una bella lepre, poi tornò a palazzo, dove le guardie lo riconobbero subito:

«Ma guarda chi c’è! Di nuovo il gatto parlante».

«Devo consegnare questo nuovo omaggio al re» disse lui. E dal momento che era ormai noto a corte, fu subito ricevuto dal re in persona.

«Di nuovo tu? Il gatto di quel marchese… Come si chiama?»

«Il marchese di Carabàs» gli rammentò il gatto.

«Ah, sì. Giusto. E cosa mi hai portato oggi?»

«Una bella lepre appena catturata, sire».

«Molto gentile, amico mio. Portala giù nelle cucine, fammi il favore. E salutami il marchese».

«Di Carabàs» ribadì il gatto testardo.

«Ah, certo, Carabàs» ripeté il re, già annoiato. «Adesso lasciami, sono in ritardo. Mia figlia mi aspetta».

«Arrivederci sire» lo salutò il gatto con un bell’inchino.

Uscendo, la guardia reale lo informò: «Il re tra poco uscirà per la consueta passeggiata in carrozza con la principessa».

«E dove andrà?» chiese l’altro.

«Lo sanno tutti che ogni sabato il re e la principessa fanno un giro in carrozza per le strade del regno».

A questo punto, il gatto corse di filato a casa dove il ragazzo lo dava ormai per disperso. Anzi, si ripeteva che era stato sciocco ad aver dato retta a un animale imbroglione e infido come quello. Appena il gatto gli comparve davanti agli occhi, il ragazzo lo aggredì con la domanda: «Ma dove sei stato?».

«Non c’è tempo, amico mio!» ribatté il gatto, senza fornire spiegazioni. «Devi uscire, seguirmi e fare quel che ti dirò. Fidati di me».

«O Perbaccolina» si lamentò l’altro. «Cosa vuoi ancora? Guanti? Borsa?»

«No, no, vieni con me, e fai come ti dico. Fidati ti ho detto!» Gli ordinò il gatto, che lo stava già sospingendo fuori della porta.

Il ragazzo lo seguì mentre correva verso il fiume. «Ma dove andiamo?» gli chiedeva ogni tanto, affannato. Il gatto non rispose mai, però una volta sulla riva del fiume, gli intimò: «Spogliati e buttati in acqua».

«Ma tu sei matto!» protestò il ragazzo. «L’acqua è freddissima!»

«Non importa, ci starai molto poco, fidati di me».

«Sì, sì, fidati di me…» attaccò a protestare il ragazzo, ma intanto si tolse tutti gli abiti e si immerse nel fiume. «Aaaaah» strillò. «È gelato!»

Il gatto, però, non lo ascoltò, né si impietosì. Invece, corse su per la riva fino alla strada, dove in quel momento stava passando la carrozza del re.

«Aiuto!» strillò. «Aiuto!»

Per poco il gatto non finì sotto gli zoccoli dei cavalli, che si impennarono.

«Ma che succede?» sbraitò il re, affacciandosi alla finestra della carrozza. Il gatto gridò con quanto fiato aveva in corpo:

«Aiuto! Il mio padrone, il marchese di Carabàs, è stato derubato e buttato nel fiume dai ladri!»

«Il marchese di Carabàs?» ripeté il re e subito ordinò: «Guardie, presto! Andate a salvarlo!»

Le guardie smontarono da cavallo e corsero dietro il gatto, tirarono fuori dal fiume il povero ragazzo che batteva i denti e lo avvolsero in un mantello. Poi lo trasportarono di peso su fino alla carrozza, dove il re ordinò che gli fossero offerti degli abiti. Vestito come un nobiluomo, il ragazzo fu invitato a entrare in carrozza, proprio accanto al re e di fronte alla principessa che lo scrutava curiosa.

«Dunque voi siete il famoso marchese di Carabàs?» chiese il re.

«Come dite voi, maestà» rispose il ragazzo, chinando la testa. Chissà cosa aveva inventato quel suo gatto! Proprio in quel momento, l’animale si affacciò al finestrino e disse: «Maestà, il marchese mio padrone ha perso la carrozza, vi dispiace accompagnarlo nel suo palazzo? Io vado avanti, vi farò strada. Sarebbe un grande onore per il marchese potervi ospitare».

«Ma certo, caro marchese. Ne sarò assai lieto. E anche mia figlia, vero cara? Così avremo occasione di vedere un posto nuovo».

La principessa annuì e sorrise, molto contenta di viaggiare con quel bel ragazzo, verso il suo palazzo. Chissà com’era, la sua casa?

Insomma, mentre la carrozza si muoveva lentamente, il gatto correva avanti lungo la strada. Corri corri, a un certo punto vide un gruppo di contadini che tagliavano il grano e gridò: «Ehi voi! Vi avverto che tra non molto passerà la carrozza reale!».

«Un gatto che parla!» si sorpresero loro. E poi «Il re passa di qui!»

«Proprio così» ribadì il gatto. «Se vi chiederà di chi sono queste terre, voi direte che appartengono al marchese di Carabàs. Avete inteso?»

I contadini si guardarono e annuirono, intimoriti. Se quel gatto parlava doveva essere una creatura magica, ed era meglio assecondarlo.

Il gatto corse avanti e incontrò altri contadini che raccoglievano frutta e anche a loro disse: «Tra poco passera il re in carrozza!».

Anche questi contadini restarono sorpresi e spaventati dal gatto parlante e anche a loro il gatto disse: «Se il re chiederà di chi sono questi frutteti, voi direte che appartengono al marchese di Carabàs. Siamo d’accordo?».

«Sì, sì» annuirono i contadini.

Infine, il gatto arrivò in una grande, bellissima villa in campagna. Non c’erano guardie, perché apparteneva a un potentissimo mago, padrone delle terre che il gatto aveva fino ad allora attraversato. Senza nessuna paura, il gatto entrò in casa, e trovò il padrone seduto davanti a una gran tavola imbandita.

«E tu chi sei? Come osi entrare a disturbarmi?» sbottò l’uomo. «Sono il gatto con gli stivali, per servirla».

«E in cosa dovresti servirmi?» chiese l’altro, in tono minaccioso. «non ho bisogno di nessuno».

«Lo so, signoria» disse il gatto. «Mi hanno detto che siete un mago potente, che sa trasformarsi in ogni cosa».

«Bravo, proprio così».

«Ma io non ci credo molto» lo provocò il gatto.

«Ah no?» s’irritò il mago e sotto gli occhi del gatto si trasformò in un leone. «Grooooar!» ruggì. Il gatto saltò in cima a uno scaffale e da lassù gridò, senza mostrare nessuno spavento: «Complimenti! Però…»

«Però cosa?» ruggì il mago.

«Però anch’io posso diventare più grande e grosso, se inarco la schiena, se gonfio il collo… Ma un animale piccolo, quello è più difficile da imitare».

«Un animale piccolo?» tuonò il mago e il gatto propose: «Sì, un animaletto come, che ne so, un topo…».

E, zac!, il mago subito si tramutò in un topolino. Allora il gatto, con un balzo, lo catturò e lo fece sparire tra le fauci.

Nel frattempo, la carrozza reale stava attraversando i campi di grano. «Che terre magnifiche!» commentò il re, mentre i contadini si inchinavano e salutavano verso la carrozza. Allora il re si affacciò al finestrino e chiese: «Di chi sono questi campi?».

I contadini quasi in coro risposero: «Del marchese di Carabàs!».

Il re, impressionato, si voltò verso il ragazzo seduto accanto a lui e disse, compiaciuto: «Sono le vostre terre? Perché non l’avete detto subito?».

L’altro restò in silenzio e la principessa rispose per lui: «Papà, vedi? Il marchese è modesto».

La carrozza intanto aveva proseguito e ora si vedevano bellissimi frutteti. Il re di nuovo si affacciò al finestrino e domandò ai contadini: «A chi appartengono questi frutteti?».

E loro, in coro: «Al marchese di Carabàs!».

«Caspita!» esclamò il re, impressionato. E di nuovo si voltò verso il ragazzo: «Anche queste terre sono vostre, complimenti».

L’altro rimase zitto, limitandosi a chinare la testa in segno di ringraziamento, mentre la principessa lo trovava sempre più simpatico e gentile, così diverso dai soliti cavalieri sbruffoni e vanitosi.

Finalmente, la carrozza giunse davanti a una magnifica villa circondata da un bellissimo giardino. «E questa di chi è?» Chiese il re, ma proprio in quel momento, il gatto con gli stivali comparve sulla scala, agitando il suo cappello con la piuma.

«Benvenuti nel palazzo del Marchese di Carabàs!» salutò, allegro.

Il re e la principessa si voltarono sbigottiti verso il ragazzo che abbassò lo sguardo, confuso. Ma agli occhi del re e della principessa, sembrò un’espressione di grande modestia, ed entrambi ancor più ammirarono questo giovane signore dai modi così riservati. Il gatto li precedette nella sala dove c’era ancora la tavola riccamente imbandita e mentre pranzavano di gusto, la principessa bisbigliò all’orecchio del padre, che, impressionato dalla villa e soprattutto dal buon vino, proferì in modo un po’ solenne:

«Marchese, ho apprezzato i vostri doni, la vostra discrezione e adesso il vostro vino squisito!».

«Grazie, maestà».

«Papà, dài, digli tutto» lo esortò la principessa.

«Sì, ci arrivo…» replicò il re e si schiarì la voce prima di riprendere: «Ecco. Sarei molto contento se voleste sposare mia figlia, che si dice entusiasta di voi. E guardate che ha rifiutato molti pretendenti».

A questo punto, il ragazzo sfoderò il suo sorriso più luminoso e porse la mano alla principessa che vi pose sopra la sua. E così, il figlio del mugnaio diventato marchese sposò la principessa e divenne addirittura principe.

E il gatto?

Restò con lui e con la sua famiglia per sempre.

«Ma il principe, cioè l’amico del gatto che diventa principe, lo dice poi che non era vero che era un marchese?» chiede Leo, che vuole avere il quadro esatto della situazione.

Rispondo: «Qualcuno racconta di sì, che il ragazzo non se la sentì di tenere nascosta tutta la sua storia e alla fine confessò alla principessa e al re che era il figlio di un semplice mugnaio».

«E il re si arrabbiò?» chiede Bianca, preoccupata.

Allora dichiaro con una certa sicurezza: «No, ormai erano nati dei bambini e il re era molto contento di avere dei nipotini».

«Nipotini o nipotine?» s’informa Leo.

Due maschi e due femmine, elenco io. Alla fin fine, Charles Perrault (che ha raccontato per primo la fiaba tre secoli fa) non è stato molto preciso, e credo che sarebbe comprensivo: ho nipoti abbastanza pignoli.