1. LA FIABA DEI GATTI

La fiaba che sto per raccontarvi piace molto a Elisa e Thais, due sorelle che ogni tanto si azzuffano. I motivi sono vari, spesso futili, a volte nemmeno si capisce da cosa sono scaturiti. Succede che le ragazze si accusano una con l’altra di essere dispettosa, antipatica, addirittura cattiva. In queste dispute è difficile mettere bocca perché ciascuna è sicura di avere ragione e che sia l’altra ad avere torto. La tensione sale con il tono di voce, gli animi si surriscaldano, le parole vibrano come frecce, i capelli svolazzano elettrici, le mani mulinano in aria. Le furie sono pronte a scatenarsi!

Sembra di vederle indossare la corazza e le armi: si raddrizzano, si fronteggiano, e affilano le lingue. Nessuna abbasserà la guardia per prima né abbandonerà il campo, né mai chiederà scusa. Casomai, sbatterà la porta, poi si riaffaccerà e la sbatterà di nuovo, con più vigore. È la legge della competizione! Che dispiacere vederle così arrabbiate e poi imbronciate, che fatica riuscire a calmare la suscettibilità, a non schierarsi da una parte o dall’altra. Io ci provo con quel che ho: il mio piccolo bagaglio di storie.

I loro letti sono uno di fronte all’altro, e anche prima di sdraiarsi le ragazze fanno un po’ di baruffa:

«Hai preso tu i miei calzini?».

«Non lo so dove sono i tuoi calzini, cercali».

«Maleducata».

«Villana».

«Villana è chi villa ha, chi villa non ha villana non sarà!»

Intervengo con decisione: «Via, su, basta ragazze, adesso ci mettiamo a letto».

«Voglio la luce accesa» intima Elisa, innervosita.

«Io non posso dormire con un faro sugli occhi!» protesta l’altra.

Propongo diplomaticamente: «Allora accendiamo una luce in corridoio, d’accordo?, e cominciamo il racconto».

Elisa si imbroncia, vorrebbe averla vinta, ma l’idea della fiaba la rabbonisce un poco. «Che storia è?» chiede.

Thais si è sdraiata, voltandosi verso di me, con le mani sotto il viso. Mi ricorda la mia promessa: «Una storia nuova avevi detto, zia».

«Infatti. La fiaba racconta di due sorelle, una bravissima, una pigra e dispettosa».

Incassano l’informazione senza commentare. Anzi, appaiono tutt’e due contente. Thais assume un sorriso un po’ enigmatico come la famosa “Gioconda” di Leonardo, Elisa sprofonda la testa nel cuscino, socchiudendo gli occhi con un’espressione molto soddisfatta. Chiede con un filo di voce, tipico di quando decide di assumere la parte della brava ragazza: «Come si intitola?».

LA FIABA DEI GATTI

C’era una volta due sorelle che vivevano con la loro mamma in una casetta semplice, con un piccolo orto sul retro. Una delle due sorelle era brava, gentile e molto volenterosa. Sapeva fare tutto: cucinava, metteva in ordine, puliva, cuciva e teneva l’orto dietro casa con molta cura. L’altra invece era un disastro: era pigra, disordinata, non aveva voglia di far niente e oltretutto si lamentava in continuazione, aveva sempre il broncio. Ma la madre non la rimproverava, anzi, casomai se la prendeva con la figlia più brava se qualcosa non le andava bene. Sì, non è molto giusto, ma a volte capita.

Un giorno, la ragazza in gamba uscì nell’orto per cogliere un po’ di verdure per il pranzo. Voleva cogliere un cavolfiore, ma quello sembrava incollato a terra. Tira, tira, tira, alla fine il cavolfiore si sradicò dal terreno, e scoprì un grosso buco profondo. La ragazza si sporse un po’ per vedere cosa c’era là sotto e si accorse che dal buco scendeva giù una fila di gradini ripidi, giù giù fino chissà dove. Incuriosita, la ragazza decise di andare a vedere dove portava quella scala.

Scendi scendi scendi, la ragazza arrivò fino a terra e qui iniziava un lunghissimo corridoio buio. Senza timore, s’incamminò per quel corridoio, molto curiosa. In fondo al tunnel c’era una luce che lo illuminava un po’, così cammina cammina la ragazza arrivò in un grande salone tutto illuminato. Qui, c’erano tanti gattini indaffaratissimi.

Uno aveva in mano una scopa e cercava di spazzare, ma non ci riusciva tanto bene.

Uno cercava di recuperare la sua pallina sotto un mobile, ma la zampetta non ci arrivava.

Uno aveva ago e filo e voleva cucire un bottone, ma non era capace. Uno doveva lavare i fazzoletti, ma non era tanto bravo.

Uno doveva fare il pane, ma si era tutto impastocchiato.

Appena la videro, tutti i gattini cominciarono a miagolare e a chiedere: «Mi aiuti? mi aiuti?».

La ragazza, che appunto era molto gentile, si mise subito all’opera.

Prese la scopa e spazzò ben bene, mentre il gattino teneva in mano la paletta e insieme buttarono via la polvere.

Poi con il manico della scopa, tirò fuori la pallina finita sotto il mobile e la porse al gattino che non riusciva a prenderla.

Insegnò a quello che doveva cucire il bottone a infilare ago e filo nella stoffa. Impastò le pagnotte e le infornò.

Poi prese i fazzoletti sporchi e li lavò.

Non appena tutti questi mestieri furono completati, si aprì una porta sulla parete del salone e comparve una grande gatta bianca.

«Gattini, gattini» chiamò, battendo le mani. «Venite a tavola, è pronto da mangiare».

I piccoli corsero verso di lei e la ragazza li seguì. Oltrepassata la soglia, c’era una grande tavola imbandita dove i gattini si sedettero allegri e iniziarono a mangiare.

«Avete finito di svolgere i vostri compiti?» chiese la mamma gatta.

«Sì, sì, mamma» dissero quasi in coro i piccoli. «Ma questa ragazza ha lavorato più di tutti».

«Mi ha aiutato a spazzare» disse il primo.

«A me a trovare la pallina» disse il secondo.

«A me a cucire il bottone» disse il terzo.

«A me a lavare i fazzoletti» disse il quarto.

«A me a infornare il pane» disse il quinto.

«Ah, bene bene!» commentò soddisfatta la mamma gatta. E si rivolse alla ragazza. «Sei stata molto carina con i miei piccoli, perciò ti voglio ringraziare in modo speciale». Così detto, batté le zampe. Comparve allora una gatta con una cassa e la porse all’ospite.

«Apri» la invitò la mamma gatta e la ragazza tolse il coperchio.

«Oooooh!» esclamò, meravigliata. Nella cassa c’era l’abito più bello che avesse mai visto, un abito dorato, scintillante, decorato di perle e brillanti.

«Indossalo» le ordinò la mamma gatta, in tono benevolo. La ragazza non se lo fece ripetere due volte: subito si tolse il suo vestito da casa e mise quello splendido abito che le tornava a pennello.

«Be’, manca qualcosa» osservò la mamma gatta e di nuovo batté le zampe. Entrò allora un’altra gatta con uno scrigno, offerto alla ragazza.

«Aprilo» disse mamma gatta e la ragazza sollevò il coperchio.

«Oooooh!» esclamò ancor più incantata. Nello scrigno c’era una collana con un pendente prezioso, un bracciale di brillanti, anelli che di nuovo mamma gatta la invitò a indossare. Quei gioielli sembravano fatti apposta per lei, per il suo polso e le sue dita!

«Grazie, che doni stupendi!» commentò la ragazza, emozionatissima.

«Non è finita» disse mamma gatta, sorridendo. Si vedeva che questa fanciulla le stava simpatica. «Sei proprio una bravissima ragazza, perciò voglio farti un ultimo regalo. Per tornare indietro, percorrerai tutto il corridoio e risalirai la scala. Quando sarai sul terzo scalino, ricorda di sollevare la testa verso l’alto. Riceverai così il mio ultimo dono».

La ragazza ringraziò e ringraziò, felicissima di quei regali meravigliosi. Vestita e ingioiellata come una regina, tornò sui suoi passi, attraversò il salone e percorse tutto il lungo corridoio fino alla scala. Iniziò a salire e come le aveva consigliato mamma gatta al terzo gradino sollevò la testa verso l’alto. Allora, le piovve sulla fronte una stella che le illuminò il viso e i capelli, e le accese gli occhi di bellezza e gioia.

Così aggiustata come una regina, con un abito scintillante, un pendente prezioso, e una stella sulla fronte, entrò in casa sua, illuminandola a giorno.

Sua madre e la sorella strabuzzarono gli occhi e spalancarono la bocca.

«Ma cosa è successo?» chiese sua madre, sfiorandole il vestito prezioso. «Chi ti ha dato questo abito?»

La ragazza raccontò com’era andata: il buco nella terra, il corridoio, i gattini, la mamma gatta e i suoi doni. Allora la madre si rivolse all’altra figlia e le intimò: «Vai subito anche tu!».

«No, non ho voglia!» protestò quella, immusonita.

«Vai, ti ho detto!» si arrabbiò la madre. «Non vedi tua sorella com’è diventata? Non vuoi avere un vestito come questo e la stella in fronte, anche tu?»

Insomma, la sorella, benché di malavoglia, uscì nell’orto e si affacciò sul foro nel terreno. «Uffa! Non mi va di scendere giù, è buio e umido…» Ma poi pensò che anche lei voleva quel gran vestito scintillante e così scese gli scalini, poi s’incamminò per il corridoio e arrivò nel salone, dove c’erano i gattini indaffarati.

Uno aveva in mano una scopa e cercava di spazzare, ma non ci riusciva tanto bene.

Uno cercava di recuperare la sua pallina sotto un mobile, ma la zampetta non ci arrivava.

Uno aveva ago e filo e voleva cucire un bottone, ma non era capace.

Uno doveva lavare i fazzoletti, ma non era tanto bravo.

Uno doveva fare il pane, ma si era tutto impastocchiato.

Appena la videro, tutti i gattini cominciarono a miagolare e a chiedere: «Mi aiuti? mi aiuti?».

La ragazza però, non aveva nessuna voglia di mettersi a lavorare, anzi, si mise a fare dispetti.

Al primo gattino rovesciò la cassetta con quel po’ di polvere che aveva raccolto, e lui attaccò a piangere.

Al secondo tirò la coda, e quello si mise a lamentarsi.

Al terzo prese il bottone e lo gettò via, facendogli pungere la zampina. Al quarto dette una spinta e gli fece cadere l’acqua del bucato.

Al quinto buttò la palla di pane nel forno e la fece bruciare.

Tutti i piccoli miagolarono disperati. A quel punto, si aprì la porta del salone e comparve mamma gatta, che batté le zampe:

«Gattini, gattini! Che succede? Su, venite a mangiare».

I piccoli corsero verso di lei, e si sedettero a tavola. La ragazza li seguì e prese posto con l’aria annoiata.

«Gattini, avete finito i vostri compiti?» chiese mamma gatta.

«No, perché questa cattiva ragazza ci ha dato fastidio!» strillarono loro. Poi uno alla volta raccontarono, piangendo: «A me ha tirato la coda!», «A me ha buttato la polvere dappertutto!», «A me ha punto la zampa!», «A me ha fatto versare l’acqua!», «E a me ha bruciato il pane!».

Mamma gatta ascoltò e si accigliò. «Male, male» commentò, poi chiese alla ragazza: «Perché hai dato noia ai miei piccoli? Cosa sei venuta a fare?».

«Sono venuta per avere le stesse cose che hai dato a mia sorella».

«Ah» fece mamma gatta. «Quand’è così…» Batté le zampe e subito entrò un gatto con una scatola.

«Apri» intimò mamma gatta in un tono poco gentile. La ragazza sollevò il coperchio e tirò fuori un vestito fatto di stracci, brutto e sporco.

«Indossalo» ordinò mamma gatta.

«No! Io non lo voglio questo brutto vestito» protestò la ragazza, allora mamma gatta sfoderò gli artigli e ripeté: «Indossalo ho detto».

Impaurita, la ragazza si infilò quell’abito disgustoso. Nel frattempo, mamma gatta batteva di nuovo le zampe e compariva un altro gatto con una scatola tra le zampe.

«Apri» la invitò in tono brusco mamma gatta.

La ragazza sollevò il coperchio e dentro trovò lombrichi che si avvoltolavano tra loro. «Ecco i tuoi gioielli» disse mamma gatta e ingiunse: «Indossali!».

«No! Non li voglio!» ribatté lei.

Mamma gatta sfoderò di nuovo gli artigli e ripeté: «Indossali!».

Di nuovo spaventata, la ragazza prese i lombrichi e se li girò intorno al collo e ai polsi. «Benissimo, ora puoi andare!» decretò mamma gatta, con l’aria infastidita.

«E la stella in fronte?» chiese la ragazza.

«Per quella, devi ricordarti di sollevare la testa quando salirai il terzo gradino della scala. E ora va’» le ordinò, sventolando la zampa in aria.

La ragazza vestita di stracci e con i lombrichi addosso, s’incamminò per il corridoio, arrabbiatissima. Continuava a borbottare: «L’avevo detto io che era meglio se non fossi venuta! Me lo aspettavo! A mia sorella tutto va sempre bene, io invece sono sfortunata…»

Arrivata alla scala, disse: «Però la stella me la sono meritata, anche solo a venire fin quaggiù!». Così, al terzo gradino, sollevò la fronte. Dall’alto cadde una salsiccia che si appiccicò alla testa e cominciò a colare il sugo giù per il viso.

«Aaaaah! Che schifo!» Urlò la ragazza salendo in fretta i gradini per correre a casa. Come spalancò la porta e apparve davanti alla madre e alla sorella, si mise a sbraitare: «Non era vero! La gatta era malvagia!». E poi, puntando l’indice contro la sorella: «Lei lo ha fatto apposta!».

«Ma cosa è successo?» gridò la madre.

Mentre entrambe strillavano come aquile, la sorella gentile, bellissima e luminosa, si affacciò alla finestra perché le era sembrato di sentire uno strano rumore. E infatti, proprio in quel momento stava passando un principe a cavallo che, appena la vide, bloccò il passo e scese, corse alla porta e entrò in casa.

«Ma sei proprio la principessa che cercavo!» disse, prendendo la ragazza gentile per la mano e accompagnandola fino al cavallo, dove la fece salire. E così, belli e luminosi come due stelle, se ne andarono per sposarsi nel loro regno lontano.

Invece la madre e la sorella si accapigliarono per un po’, senza neanche accorgersi che la ragazza se n’era andata. E alla sorella pigra non restò che mangiarsi la salsiccia per tutto il resto dei suoi giorni.

«Una salsiccia!» esclama Elisa, con gli occhi che le si chiudono, è pronta a volare nel mondo dei sogni da trionfatrice, con la stella sulla fronte.

Thais ha chiuso già gli occhi, forse già dorme. Lei detesta tutte le incombenze casalinghe e se dovesse dare una mano a una manica di gattini bisognosi di aiuto, forse taglierebbe la corda. Ma sa che c’è un luogo dove è bravissima, incoronata da successi ed è lo sport, per il quale è disposta a sacrifici altrimenti inconcepibili: allenamenti duri, di ore, competizioni che prevedono sveglia all’alba, colazione veloce, viaggio in auto verso la palestra, stress… Sua sorella una vita così l’ha rifiutata seccamente.

Allora: chi delle due merita la stella in fronte? Per me, tutt’e due le mie bambine. Sembrano due fate con i bei visi illuminati dalla luce diffusa dal corridoio, sono volate in quella notte incantata che le aspetta appena si addormentano. Così dico loro, così è anche per me. Senza sogni non ci possono essere racconti.