17. I DONI DEL VENTO TRAMONTANO

Ti piace il vento? Chiedeva sempre una zia milanese. Forse perché a Milano non tirava granché vento, lei diceva di adorarlo, mentre io, che ricordo le famose libecciate sul litorale toscano, con un vento che letteralmente ti porta via, perché ti spintona, ti schiaffeggia e ti inzuppa, gonfio com’è di umido, io rispondevo “no”, una negazione netta considerata piuttosto maleducata e anche antipatica. Ma quando ero ragazza, la mia generazione sfrontata metteva al primo posto la sincerità piuttosto che la buona educazione e la cortesia che prevedono di addolcire un po’ le reazioni.

I miei nipoti, a differenza di me da bambina e ragazza, sono molto educati. Se chiedo loro: «Vi piace il vento?».

Bianca risponde. «Non molto zia».

Leo invece, da bravo razionale, opera distinzioni: «Dipende da dove siamo, zia».

«Cioè?»

Con pazienza (d’altra parte ci vuol pazienza con gente di una certa età come me) Leo mi indottrina: «Se io sono nel cortile della scuola il vento mi infastidisce e basta, e le maestre dicono: che vento, tutti in classe!».

Scoppio a ridere, lo incito: «Invece quando va bene il vento?».

Mi lancia uno sguardo di ovvietà, mentre chiarisce: «In barca a vela, no? Se siamo in barca a vela, il vento ci vuole, eccome!».

«Giusto. Ma forse anche lì dipende, non ti sembra?»

Bianca non può restare indietro, così si intromette: «Dipende se è fortissimo o se invece soffia piano piano…».

«Se è brezza oppure se è tempesta» precisa lui, con termini specifici.

«Com’è il vento di tramontana?» domando e Leo si mostra preparato anche sulla rosa dei venti: «La tramontana è molto forte, soffia da nord».

«È anche freddo, un ventaccio insomma» aggiungo io, e lui annuisce. A questo punto, annuncio: «Eppure io so una storia in cui il vento di tramontana regala un oggetto magico».

«E cos’è?» chiede subito Bianca.

«Una scatola… Volete sapere cosa c’era dentro?»

«Sì, volentieri».

L’ho detto che sono molto educati.

I DONI DEL VENTO TRAMONTANO

C’era una volta un contadino, che si chiamava Geppo. Il suo podere era in cima a una collina spazzata sempre dal vento di tramontana. Non c’era verso di far crescere nulla, lassù: piante, alberi da frutta, persino l’orto era distrutto da quel ventaccio. In questo modo, la famiglia pativa la fame.

Così, un giorno Geppo decise di andare a cercare il vento per raccomandarsi di soffiare un po’ meno a casa sua.

Cammina cammina su per le colline e poi verso le montagne, Geppo arrivò infine in un grande palazzo in cima a un monte, dove viveva appunto il Vento Tramontano. Picchiò alla porta e si affacciò la moglie del vento: «Chi è?» chiese.

«Sono Geppo, cerco tuo marito il vento».

«E andato a fare il solito giro di vento, ma torna presto. Accomodati», lo invitò la moglie. Infatti, dopo un’oretta il Tramontano rincasò.

«Chi sei?» chiese a Geppo seduto nell’ingresso. «Buongiorno Vento, sono Geppo».

«E cosa vuoi da me?»

«Nel mio podere non cresce niente, per colpa tua che mi porti via ogni cosa».

«E allora?» lo rincalzò Vento, che non si sentiva per niente in colpa, d’altra parte faceva il suo lavoro.

«Non puoi rimediare? Noi moriamo di fame…»

Il Tramontano ci pensò un po’, perché gli dispiaceva per Geppo e la sua famiglia, e decise di fargli un regalo. «Prendi questa scatola» disse, porgendogliela. «Quando avrai fame, aprila e chiedi tutto quel che vuoi da mangiare».

Geppo allungò le mani, illuminandosi di gioia, ma Vento la tirò indietro per aggiungere: «Bada bene di non darla a nessuno, perché non avrai più niente».

«Prometto che non la darò a nessuno!» esclamò Geppo, colmo di gratitudine.

«Non c’è bisogno che prometti a me, è affar tuo» ribadì il Tramontano affidandogli la scatola.

Mentre tornava a casa, Geppo sentì un gran languirono allo stomaco. Si sedette, aprì la scatola e ordinò un bel panino al formaggio. Dalla scatola spuntò fuori il panino croccante e un formaggio freschissimo. Geppo strabuzzò gli occhi e divorò il panino, poi riprese di corsa la strada per casa perché non vedeva l’ora di mostrare quel prodigio alla sua famiglia.

Arrivò al podere trafelato e la moglie e i figli gli andarono incontro: «Come stai? Com’è andata?».

«Presto, tutti in casa!» ordinò lui. E come furono dentro, Geppo aprì la scatola e ordinò un pranzo con antipasto, primo e secondo per tutti. Dalla scatola uscirono crostini, olive, formaggi, e poi pastasciutta al pomodoro, pollo arrosto con patate, e alla fine persino una bella torta di mele! Tutti rimasero meravigliati e molto felici di quel bellissimo dono del Vento Tramontano, e Geppo si raccomandò con moglie e figli di non raccontare a nessuno di quella scatola magica. Però dopo qualche giorno in cui tutti quanti apparivano belli pasciuti, benché nel podere non ci fosse nulla da mangiare, il padrone di tutti i terreni intorno, un conte, mandò a chiamare la moglie di Geppo e cominciò a chiedergli:

«Mi dicono che Geppo ha ereditato da uno zio lontano».

«Ma no, signor Conte, sono solo pettegolezzi» si schermì la donna. Il conte insistette, curioso: «E allora come fai, che il podere non rende niente?».

«Ringraziando il Cielo, da mangiare non ci manca».

«Perché, hai un prestito in qualche bottega?»

«Noi non abbiamo debiti!» s’inorgoglì la donna. «Invece, qualcuno molto generoso ci ha fatto un regalo».

«Ah, buon per voi. Ma attenti ai regali, di solito si pagano». La ammonì il conte astuto. «Questo non si paga per niente». ribatté lei, sempre più orgogliosa.

«Dici? Io so che gratis non c’è niente…»

«Per lei, di sicuro» sbottò la donna. «Ma noi siamo poveretti e il Vento Tramontano ha avuto compassione di noi, e ci ha regalato una scatola che fa apparire il mangiare… Oddio, non dovevo dirlo!» si pentì subito, ma ormai la frittata era fatta. Il conte quindi fece chiamare Geppo e gli chiese cos’era questa faccenda della scatola che faceva apparire il cibo. Come poteva negare, il buon Geppo? Perciò mostrò al conte la scatola e la sua magia, e il conte gli ordinò di consegnargliela. L’avrebbe pagata molto bene.

«Ma io resto senza mangiare» protestò Geppo.

«Di questo non devi preoccuparti» gli promise il conte. «Ti farò avere tutto il grano che vuoi, tutta la frutta e la verdura che vuoi, tutto di tutto».

Geppo accettò, pur a malincuore. E naturalmente il conte non mantenne la promessa. Gli mandò qualche sacco di grano e poi lo lasciò perdere, e al podere ricominciò la stessa miseria di prima.

Geppo non aveva il coraggio di ripresentarsi al Vento Tramontano che l’aveva avvisato di non dare la scatola a nessuno. Ma alla fine, spinto dalla necessità, si fece coraggio e tornò al palazzo in cima al monte. Picchiò alla porta e si affacciò il Vento in persona.

«Cosa vuoi, Geppo?»

«Signor Vento, la scatola che mi ha regalato l’ha presa il padrone e non me la vuole restituire. Sono tornato a soffrire la fame».

«Ti avevo raccomandato di tenerla per te». Lo rimproverò Tramontano e lo cacciò: «Vattene!».

«Ti prego, soltanto tu puoi aiutarmi!» lo implorò Geppo.

Il Vento allora gli porse una scatola, stavolta era tutta d’oro. «Questa devi aprirla soltanto quando hai una fame da morire, altrimenti non succede niente».

«Grazie, buon Vento!» esclamò Geppo, tutto contento e corse via per le valli, non vedendo l’ora di essere a casa. Ma a un certo punto non ci vedeva più dalla fame e aprì la scatola dicendo: «Dammene!».

Dalla scatola uscì un omaccione con un bastone e cominciò a menare gran bastonate al povero Geppo che riuscì a prendere il coperchio e richiudere appena in tempo per non restarci secco. Tutto pesto e dolorante arrivò a casa e appena moglie e figli gli furono intorno, con un fil di voce ordinò di entrare e sedersi a tavola.

«Questa scatola è più preziosa dell’altra» notò sua moglie.

«Eh, sì. Vedrai che roba». Disse Geppo e aprì il coperchio.

Stavolta uscirono due omaccioni armati di bastoni e cominciarono a menare legnate. Tutti urlavano disperati finché Geppo chiuse il coperchio.

Non appena si furono rianimati, il contadino disse alla moglie: «Vai dal signor conte e raccontale che abbiamo una scatola che fa meraviglie».

La donna si precipitò a casa del padrone, e gli raccontò che stavolta Geppo aveva portato una scatola d’oro.

«Proprio d’oro?» s’interessò il conte. «Sì, e sapesse quante ce ne dà!»

Il conte intese di monete, oltre che di cibo, e fece chiamare subito Geppo. Il quale arrivò con la scatola d’oro che fece subito lampeggiare di desiderio gli occhi del padrone.

«Geppo, dammi questa scatola, che te ne fai tu, un contadino, di una scatola d’oro?»

«Signor Conte, lei ha già l’altra».

«Facciamo così, io ti do l’altra e tu mi dai in cambio questa».

«Eh, non so signore, se mi conviene».

«Ma certo che ti conviene. Una scatola d’oro potrebbero rubartela».

Insomma, dopo un po’ di tira e molla, Geppo si decise: «E va bene, lei mi dà l’altra scatola e io le cedo questa. Però si ricordi che va aperta soltanto quando si ha una gran fame».

«Benissimo! Proprio domani arriva qui in visita il re e tutti i suoi dignitari. Li lascerò digiuni fino a mezzogiorno e poi aprirò la scatola per un magnifico pranzo».

«Ah, sarà indimenticabile, vedrete» commentò Geppo, e filò via con la sua scatola.

Il giorno dopo, arrivò il re a cavallo con cavalieri e dignitari. Erano partiti di buon’ora e non ci vedevano dalla fame, ma nel castello nessuno cucinava, e non si vedevano fuochi accesi né cuochi al lavoro. Il re cominciò a innervosirsi, e chiese al conte: «Allora? Mi prendete in giro? Non volete darci da mangiare?».

«Prego, Sire, accomodatevi, e voi signori, prego» li invitò a tavola il conte. In mezzo c’era soltanto la scatola d’oro e tutti la fissavano interdetti. Il conte sollevò il coperchio con un gran sorriso e dalla scatola uscirono sei omaccioni che brandivano bastoni e si misero a menare tutti i presenti. I cavalieri saltarono in piedi, ma non riuscirono neppure a tirar fuori le spade: giù bastonate a tutti, al re, al conte, ai marchesi, ai duchi. La scatola cascò per terra e il conte non riuscì a richiuderla, finché Geppo, nascosto lì vicino, non corse ad acciuffare il coperchio e lo buttò sulla scatola d’oro.

“L’avevo detto che sarebbe stato un pranzo indimenticabile” ridacchiò tra sé, portandosi via la scatola. Se le tenne tutte e due e da quel giorno non ebbe più bisogno di nulla e visse da gran signore.

«Io non la vorrei una scatola con dentro i cattivi che bastonano tutti» commenta Bianca. Leo invece assume un’espressione maliziosa e prorompe: «Io invece sì. Così ai prepotenti farei aprire il coperchio…». Si interrompe e ridacchia.

«Stai pensando a qualche prepotente in particolare?» domando, incuriosita.

Risponde con prontezza, alzando la voce: «Certo, c’è un bambino a scuola che è proprio dispettoso e agitato, sai, zia!».

«E tu Bianca, conosci prepotenti?» chiedo alla sorella che è rimasta in silenzio. Lei sorride e dichiara: «Sono io prepotente».

«Cooosa?» sbalordisco. «Sei una bulla?»

«Sì, zia, lo dicono le maestre che è un po’ prepotente con gli altri» denuncia Leo. Bianca si limita a sorridere ancora, non so se soddisfatta o imbarazzata o consapevole che una scatola magica che mena bastonate non esista se non nelle fiabe.