XXVI

No no, don Diego così, sotto la minaccia di restar solo la notte, non poteva più oltre durarla. Già per procacciarsi il sonno e risparmiare a l'Alletto il fastidio dei pizzicotti, beveva un pochettino oltre la misura che s'era imposta da tanti anni, e questo rimedio dannoso non gli garbava: quel bicchierotto di giunta gli sapeva amaro e lo ingollava per forza.

— diceva a cena. —

Faceva effetto a principio; ma poi, nel cuor della notte, destandosi, le ambasce ricominciavano. E allora, pian piano, pazienza: ancora un pizzicotto a don Pepè.

— gli gridava Pepè.

Pepè, per tutta risposta, gli voltava le spalle.

Dormiva o fingeva di dormire, quell'ingrato. Don Diego dava di nuovo in ismanie, si stizziva, sbuffava: — — e, per distrarsi, si poneva allora a meditare l'impresa d'un sesto matrimonio.

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E don Diego non s'ingannava. Difatti, la sera stessa che il Ravì ebbe notizia dell'incombenza data dal suo quondam genero per una sesta moglie, se lo vide arrivare in casa tutto acceso di stizza:

— sghignò don Diego. —

— riprese don Marcantonio, ingozzando bile. —

— lo rassicurò don Diego. —

— proruppe don Marcantonio. —

Il Ravì ignorava che fra le quattro o cinque proposte c'era anche quella della Mèndola, l'accanita vicina, per sua figlia. Ma quello sfogo contro il paese gli fece in parte sbollir la stizza, e poté mettersi a giocare coi due compagni.

— disse don Diego, tra una partita e l'altra. —

— approvò il Ravì più convinto che mai. —

— sghignò di nuovo don Diego, facendo con tutte e due le mani le corna.

— esclamò don Marcantonio. —

Don Diego ne convenne, e aggiunse:

Pepè non prendeva parte alla conversazione. Sorrise mestamente a don Diego e propose di lasciar le carte per quella sera.