XIX
Studiava ancora, quando, insolitamente, si vide davanti Ciro in persona: Ciro in casa sua!
Donna Bettina era rimasta come fulminata, nel vederselo davanti, e non gli aveva saputo dir nulla. Ciro s'era introdotto senza neppur salutarla.
— Tu qua! — esclamò Pepè, stupito, vedendolo. — Chi t'ha aperto la porta?
— Tua madre, ed è restata là, come se avesse visto un brigante, — gli rispose Ciro, cupo.
— No… ma siccome… — cercò di scusar la madre Pepè.
Ciro lo interruppe.
— Lei è una vecchia, e perciò la compatisco; tu sei uno sciocco, e perciò ti meravigli della mia venuta. Basta. Non sei ancora vestito? Che aspetti? Vèstiti, e andiamo.
— Dalla signora Alcozèr? Non ti par presto?
— No. Andiamo per affari, non per visita. Vèstiti sotto gli occhi miei; se no, sei capace di metterci due ore.
— Cinque minuti, — disse Pepè. — Andiamo di là. Entrarono nella camera da letto, e Ciro, alla vista dei due lettini gemelli, sogghignò, tentennando il capo.
— Eh, lo so… — sospirò Pepè. — Ma se la mamma… Hai detto, per affari? Non ho capito…
— Affari, affari! — replicò brusco Ciro. — Ci ho pensato tutta stanotte e quest'oggi…
— Alla signora Alcozèr? — domandò Pepè, timido, di tra lo sparato della camicia, nell'infilarsela.
— A lei precisamente, no. Ho pensato al suo caso. È un'infamia che bisogna riparare a ogni costo.
— Certissimo. Ma… e come? scusa…
— Vèstiti! Non perder tempo.
— Sì sì… ma non hai sentito il padre, jersera?
— Me n'infischio, del padre, — rispose il Coppa. — Lo schiaccio come un rospo. Con la legge.
— Sarà, — concesse Pepè. — Ma… scusa, permetti? Vorresti forse che il matrimonio si annullasse?
— Quest'è affar mio! E, a ogni modo, dipenderà da lei, dalla signora.
— Va bene, — consentì di nuovo Pepè. — Ma… e dopo?
— È affar mio, ti ripeto! Vèstiti!
Pepè fu abbagliato a un tratto da un'idea luminosa, e guardò, gongolante, il cognato; poi riprese a vestirsi in fretta, disordinatamente, come non gli era mai avvenuto. "Perché no?" pensava. "È capace anche di questo; è capace di tutto, pur di prendersi una soddisfazione, pur di schiacciare, come lui dice, il Ravì e Mauro Salvo. Ha preso a difendermi? mi difenderà fino all'ultimo. Non è uomo da far le cose a mezzo; anzi, non gli basta vincere, vuole stravincere. Oh Dio, Stellina così sarebbe mia! E poi… poi per me ci penserà lui…"
Come in risposta al tacito pensiero di Pepè, Ciro disse:
— Il padre non la vorrà più in casa? Poco male! Per il momento, c'è quella testa fasciata di mia sorella Rosaria, che è superiora a Sant'Anna, e potrà prendersela con sé nel Collegio, fino a cose fatte. Poi si provvederà. Se vuole, c'è casa mia.
— A casa tua? — domandò Pepè, tutto ridente.
— Caro mio, se ti dispiace, non so che farti.
— Ma no! Ma no! — s'affrettò a negar Pepè. — Per me, figùrati!
— Dici allora per tua madre?
— Ma neppure! Vedrai che la mamma, poverina, s'acquieterà alla necessità delle cose.
— Tanto meglio! — esclamò il Coppa. — Comprendi anche tu che io ho bisogno assoluto di una donna in casa? Non ti facevo capace di tanto. Ti ripeto, ci ho pensato tutta questa notte… Mi è assolutamente necessaria una donna in casa, che badi, se non altro, ai ragazzi. Io non posso condannarmi a rimanere il loro ajo per tutta la vita; già la mia salute ne soffre; ho poi da attendere alla professione. Così piglio, se lei vorrà, due piccioni a una fava; farò una buona azione e provvederò un poco anche a me.
— Ma sì, ma sì — approvò Pepè, raggiante di gioja. — Vedrai, Ciro mio, che donna! che bontà!
— Tu approvi dunque?
— E come no? scusa! Ma un'altra preghiera, Ciro mio, — s'arrischiò ad aggiungere. — Vorrei che tu, dopo, pensassi un poco anche a me: un posticino… per non restare su le tue spalle del tutto. Vedi, io sarei allora addirittura felice!
— Ci penserò, ci penserò, non dubitare, — rispose Ciro, astratto. — Ora, andiamo.
Trovarono, questa volta, in casa Alcozèr Mauro Salvo e Fifo Garofalo, loro due soli, in rappresentanza di tutti gli altri, venuti apposta prima dell'ora solita, con la scusa di fare una visita al convalescente. Così Stellina, all'arrivo del Coppa e di Pepè, poté sbarazzarsi di loro, conducendoli in camera di don Diego.
— Eccoci soli! — disse poi, ritornando, con un sorriso. — Si accomodi, avvocato, e voi pure, don Pepè…
Pareva che Ciro avesse perduto la lingua: guardava Stellina che gli si presentava così diversa dal giorno avanti; e, come se le proprie mani in quel momento gli cagionassero un grande impaccio, non trovava dove cacciarsele prima: dalle tasche dei calzoni se le passò in quelle del panciotto, poi in quelle della giacca; quindi, inchinatosi, balbettando un grazie, e sedutosi, se le posò su i ginocchi e cominciò a parlare con gli occhi bassi:
— Senta, signora: non ho il bene di conoscere qual concetto ella abbia di me, del mio carattere. La fama che mi son fatta, creda, non corrisponde per nulla alla mia vera natura: sembro a tutti un prepotente, perché non ammetto prepotenze nè dai miei simili, nè dai pregiudizii del paese, né dalle abitudini che ciascun uomo tende a contrarre; nessuna prepotenza, neanche da Dio; sembro, per conseguenza, anche strano, solo perché voglio esser libero, in mezzo a tanta gente che è schiava o di se stessa o degli altri, come per esempio, mio cognato Pepè.
— Io? — esclamò questi, quasi destandosi di soprassalto, mentre seguiva intentamente la elaborata spiegazione, di cui non iscorgeva nè l'opportunità nè lo scopo, pur ammirando il modo di parlare del cognato.
— Schiavo di te stesso e degli altri, — raffermò Ciro con pacata, tranquilla fermezza, mentre Stellina rideva. — Si può esser poveri e liberi nello stesso tempo. Non la pensa così, o sembra, il padre della signora. Ma ognuno intende a suo modo la vita. Io, per me, non sono prepotente, ripeto: faccio anzi sempre ciò che devo, e so sempre quello che faccio. Questo per dirle che, impressionato fortemente dalla scena di jeri e dalle sue parole, ho riflettuto a lungo, signora, e considerato da ogni parte il suo caso.
— Io la ringrazio, — disse Stellina, chinando il capo.
— Mi ringrazierà dopo — riprese Ciro. — Intanto le raffermo ciò che ebbi l'onore di dirle jeri: che ella può, quando voglia, sciogliersi dal matrimonio, a cui fu costretta con sevizie. Possiamo produrre le prove: abbiamo, se non ho frainteso, molti testimonii; ma, quand'anche non ne avessimo alcuno, basterà, io credo, mostrare ai giudici il suo signor marito, scusi sa! testimonianza lampantissima della violenza usatale. Quel che jeri lei stessa ne ha detto e quel che me n'ha detto Pepè, mi abilita a parlare così. Insomma, io le do per fatto, senza alcun dubbio, lo scioglimento, e mi metto di nuovo, dopo matura riflessione, in tutto e per tutto, ai suoi ordini. Non la scoraggino le minacce del padre: ho, lei lo sa, una sorella monaca, la superiora del Collegio di Sant'Anna: bene, ella potrebbe andare da questa mia sorella e star temporaneamente nel Collegio; quindi, a fatti compiuti, decidere sul da fare.
Pepè approvava col capo, guardando Stellina che ascoltava con gli occhi fissi sul pavimento, pensierosa.
— Naturalmente, — concluse Ciro, — io non posso attendermi da lei una pronta risposta: non sarebbe prudente da parte sua. Ci pensi sù, e poi, da qui a un mese o che so io, quando insomma avrà ben considerato il pro e il contro, mi dica o sì o no. Io, se lei permette, avrò l'onore di frequentar la sua casa in compagnia del nostro Pepè; o se no, un bigliettino, due parole: "Signor Coppa, sì", e io mi metterò subito all'opera. Siamo intesi?