XXIII
Pepè Alletto si era spiegato l'impegno posto da Ciro nel condurre a buon fine l'impresa, come effetto dell'eccessiva indole di lui. Quando però lo vide tutto inteso a sgomberar la casa della mobilia vecchia per comperarne altra nuova, cominciò a entrar davvero in sospetto non gli avesse dato di volta il cervello.
"Possibile che faccia tutto questo per me?" Intanto non ardiva domandargli nulla. Dopo la vittoria, Ciro, anziché mostrarsi lieto, diventava di giorno in giorno più cupo.
— Pepè, — gli disse una mattina, tirandolo per la giacca, in disparte, con gli occhi foschi. — Devi dirmi la verità: prometti prima però, che me la dirai. Se menti, guaj a te: non ti dico altro.
Pepè, contento in fondo che si venisse a una spiegazione, benché il modo un po' lo apprensionisse, promise.
— Non so più da quanti giorni — riprese Ciro, — ho perduto la pace. Ricordo che tu una volta mi dicesti che Mauro Salvo, quel buffone, corteggiava Stellina. È vero?
— È vero; ma, non corrisposto! — rispose Pepè, cercando con un sorrisetto d'appianar la ruga minacciosa su la fronte di Ciro.
— Giuralo! — esclamò questi.
— Che vuoi che giuri? — disse Pepè. — Lo so io, e basta.
— Sai che Stellina non rispose mai, mai, minimamente, alla corte del Salvo?
— Ma sì! ma sì!
— Giuralo!
— Ebbene, lo giuro!
Ciro si mise a passeggiare per lo studio, col mento sul petto e le mani in tasca; insoddisfatto, fosco.
— Che vai pensando?… — riprese Pepè. — Ti angustii proprio senza ragione… d'una cosa che, se vuoi, torno a giurarlo, non ha ombra di fondamento… E mi pare che io possa saperlo.
— Tu non sai nulla! — gli gridò Ciro, fermandosi a fulminarlo con gli occhi.
Pepè si strinse nelle spalle.
— Come vuoi tu… Io ero là…
— Ah, eri là, — irruppe Ciro, col volto contratto dalla rabbia. — Eri là, lo sai dire… e con te tant'altri buffoni! Quella era dunque la casa di tutti… E Stellina là, in mezzo a voi, mentre il vecchio dormiva…
— Eravamo là tutti, è vero, — ammise Pepè, — ma non si faceva nulla di male… Tu sei geloso, e non puoi intenderlo… Si scherzava innocentemente, e…
— L'innocenza, imbecille, partorisce i figliuoli! — lo interruppe Ciro, furibondo. — Qualcosa, certo, dev'esserci sotto; come ti spieghi altrimenti che io ho dovuto combattere fin oggi per farla addivenire al matrimonio? Come te lo spieghi?…
— Me lo spiego, — disse Pepè, cercando le parole, — me lo spiego… considerando che la poverina… ha tanto patito… Ma io, per dirti la verità, non me lo sarei aspettato… Ah, non voleva più saperne?
— Voleva farsi monaca, — rispose, cupo, Ciro.
— Ma ora, l'hai persuasa?
— S'è persuasa, con l'ajuto di mia sorella. Ma anche tu, di', anche tu, con codesta faccia da scimunito, — riprese Ciro, fermandosi in mezzo allo scrittojo e appuntando come un'arma l'indice d'una mano contro Pepè, — anche tu, di' la verità, hai tentato di farle la corte…
Pepè lo guardò, allocchito.
— Come… io? Non capisco…
— Oh, con me, sai, non serve far lo scemo! — gli disse Ciro, sprezzante. — Anche tu, anche tu, come tutti gli altri imbecilli… Basta. Adesso, bisogna allestir subito la casa. La mobilia di sù bisogna trasportarla tutta in campagna, prima che arrivi la nuova da Palermo. Poi verrai con me al Municipio. Mi farai da testimonio.
— Io… a te?… Ma come?… — poté a mala pena balbettare Pepè. — Io, il testimonio a te?
— Ti dispiace?
— Ma come… dunque… Chi… chi sposa?
Sentì mancarsi la terra sotto i piedi; si portò le mani su le tempie, quasi temendo non gli scoppiassero, e chiuse gli occhi per trattener due lagrime che gli colarono però giù per le guance smorte.
— Nulla… nulla… — riprese poi, quasi tra sé, con voce rotta e le labbra tremanti. — Hai ragione… Che stupido!… Che imbecille!… E come ho potuto crederlo? Come ho potuto supporre che tu…
— Sei impazzito? Che ti scappa di bocca? — gli gridò Ciro. — Parla! Che t'eri messo in testa?
— Lasciami stare, Ciro! — disse Pepè, esasperato, senza porre più freno alle lagrime.
— Ah, tu credevi, — inveì Ciro allora, — credevi forse di doverla sposar tu? Eravate d'accordo? Parla, perdio! o ti strozzo…
— Ti ripeto, lasciami stare! — gli gridò Pepè, col coraggio della disperazione, svincolandosi. — Non ti basta che ti dica che sono stato un pazzo, o un imbecille? Sì, sì, ho potuto credere stupidamente che quanto hai fatto, lo facessi per me… Ora basta, basta… Sposala! Che vuoi da me? Non t'ha detto di sì?
— Ma io voglio sapere… — tonò il Coppa, slanciandosi addosso al cognato.
Pepè si schermì; poi gli si parò davanti, con audacia insolita.
— E non lo sapevi forse? O perché mancò poco, che non mi facessi ammazzare per lei? Non lo sapevi che io l'amo da tanti anni?
— E lei? — fremette Ciro, con occhi feroci.
— Non t'ha detto di sì? — ripeté l'Alletto. — Che vai dunque cercando?
— Ma tra te e lei, — replicò Ciro, — dimmi la verità, o non rispondo più di me! tra te e lei… parla!
— Che vuoi che ti dica? — gemette Pepè tra le braccia del Coppa. — Lasciami stare… mi fai male…
— Dimmi la verità… tra te e lei, che c'è stato? Voglio saperlo…
— C'era una promessa… — rispose Pepè. — Aspettavo che Dio si raccogliesse quel vecchiaccio…
— E poi?
— Poi sei venuto tu… Ella ti ha detto di sì… Ora tutto è finito… Io non so nulla, non posso farci nulla… dunque lasciami andare… Tutto è finito…
Prese dall'attaccapanni il cappello, lo pulì più volte con la manica, e se ne andò, come intronato.
Ciro rimase con le pugna serrate su le guance, gli occhi da belva, a passeggiare in sù e in giù per lo studio.