La ricetta
Roger Halsted disse in un sussurro a Geoffrey Avalon: «È il mio idraulico ». Avalon registrò l'informazione, guardandolo, più incredulo che disapprovante. «Il tuo idraulico?»
«Almeno finché ha esercitato il mestiere. Adesso è in pensione, e si è trasferito in periferia. È in gamba, e, se vogliamo giudicarlo secondo l'usuale criterio del successo americano, ha sempre fatto molti più quattrini del sottoscritto.»
«Non mi sorprende affatto» ammise Avalon. «Un idraulico provetto...»
«Lui lo era. E io insegno algebra agli studenti delle medie. Non c'è paragone. Ma, vedi, Jeff, a queste cene dei Vedovi Neri gli ospiti sono sempre intellettuali di professione, e ho pensato che averne uno che lavori manualmente poteva essere una novità... rinfrescante.»
Avalon rispose, con scarsa convinzione: «Lungi da me indulgere allo snobismo di casta, Roger, ma è il tuo idraulico che potrebbe sentirsi a disagio».
«Non è detto... E può darci l'opportunità di erudirci in idraulica.»
In un altro settore della sala, Thomas Trumbull, con le mani a coppa sul suo bicchiere di scotch e soda, disse: «Ho appena letto La terza pallottola di John Dickson Carr, Jim».
James Drake sbirciò Trumbull e commentò: «È un po' una reliquia».
«La pubblicazione risale a circa mezzo secolo fa, secondo quanto indica il copyright dell'autore. L'ho letto la prima volta che saranno decenni, però non lo ricordavo abbastanza a fondo da sciupare il divertimento di una rilettura. È uno di quegli enigmi della stanza chiusa.»
«Lo so. Erano la specialità di Carr. Nessuno li ha mai scritti con la logica, e l'arte, di Carr.»
«Eppure...» e Trumbull scosse il capo. «C'è qualche cosa che non mi torna.»
Emmanuel Rubin, che al primo accenno a un "giallo" si era calamitato nelle immediate vicinanze della coppia di amici, disse la sua. «Te lo giustifico io il tuo dubbio, Tom. Carr è potente, ma ha i suoi difetti. Intanto, la sua prosa tende alla forzatura drammatica, in modo che il lettore è sempre spiacevolmente conscio che sta leggendo una vicenda romanzata fuori dalla realtà.
Inoltre, quando alla fine arriva alla soluzione, Carr ne ha inventata una che si dilunga almeno per venti pagine, e risulta tanto intricata che il lettore non può afferrarla a meno di rileggerla parecchie volte, il che non fa mai. Il che vuol dire che non è mai convincente.»
«Ecco il punto» disse Trumbull. «Il finale. Non convince. Un giallo di una stanza chiusa è di solito così torturato nella sua costruzione e nella sua soluzione che non ti riesce di accettarlo. Voglio dire, c'è mai stato, nella vita reale, un mistero di una stanza chiusa a chiave? Io ne dubito.»
Drake suggerì: «Dovremmo chiederlo a un esperto di misteri della vita reale. Manny?».
«Non rivolgerti a me. Io mi dedico esclusivamente al genere romanzato.
Non ho mai cercato di misurarmi con un enigma della stanza chiusa, perché, in tutta franchezza, credo che Carr abbia stracciato ogni possibile concorrenza, saturando il mercato. Mi è impossibile mettermi a escogitare nuove varianti sull'argomento.»
Mario Gonzalo si era unito al gruppetto da qualche secondo. Disse: «Mi fa venire in mente un gioco che si chiama "Qual è il più grande non di"».
«Che cavolo vuol dire?» domandò Rubin sospettosamente. «Posto che tu lo sappia.»
«Facile. È fare una domanda del tipo: qual è la più grande tragedia elisabettiana non di Shakespeare?»
«La risposta di prammatica» sentenzio Rubin «è La Duchessa di Amalfi, che tra l'altro non mi è mai piaciuta.»
«Bene. Qual è il miglior valzer non di Johann Strauss?»
«Il valzer della Vedova Allegra di Franz Lehár, direi» rispose Rubin.
«Non il Valzer dei pattinatori!» obbiettò Mario Gonzalo.
«Questione di gusti» fu la replica di Rubin.
«E la più bella operetta non musicata da Gilbert e Sullivan?»
«Perché non Il pipistrello!» propose Rubin.
«O tra il repertorio di Offenbach?» suggerì Drake.
«E adesso,» domandò Gonzalo «qual è il racconto più bello sull'enigma della stanza chiusa, che non sia stato scritto da John Dickson Carr?»
Vi fu un angoscioso silenzio, seguito dall'esplosione verbale e contemporanea di tre persone, e poi dalla babele di voci di altre. Nel bel mezzo di quel vociare, Henry, l'imperturbabile cameriere, annunciò che la cena era in tavola.
L'idraulico, ospite di Halsted, era Myron Dynast. Il peso degli anni non gli era stato clemente. Quasi calvo, Dynast aveva notevoli borse sotto gli occhi, un collo rugoso e una pancia accentuata. Gli occhi, però, erano vivi e acuti, la voce non suonava rauca, il suo vocabolario risultava ragionevolmente valido. Di conseguenza, Avalon sussurrò a Halsted: «Non ha l'aspetto d'un idraulico».
Halsted ribatté: «In realtà, Jeff, stai dicendo che non sembra collimare con lo stereotipo mentale che hai di un idraulico!».
Avalon si erse in tutta la sua statura, e abbassò le sue formidabili sopracciglia per dardeggiare su Halsted un'occhiata offesa. Poi, ripensandoci, ammise con arrendevolezza: «Forse hai ragione, Roger».
Dynast, però, si dimostrava poco loquace. O che fosse intimidito di trovarsi in compagnia di intellettuali, o che semplicemente fosse interessato agli argomenti della conversazione che animavano la cena, per lo più rimase in silenzio, girando gli occhi dall'uno all'altro degli oratori.
Finalmente, al momento del brandy, Halsted suscitò dal suo bicchiere il tradizionale tintinnio mediante cucchiaio. «Jeff, sarai tu a dedicarti al nostro ospite, quale rappresentante di tutti noi.»
«Ben felice» disse Avalon. Con una cerimoniosità alquanto eccessiva, si rivolse a Dynast: «È prassi, in questi nostri convivi, iniziare l'interrogatorio dell'ospite chiedendogli in qual modo ritenga giustificabile la propria esistenza. Come giustifica la sua esistenza, Mr. Dynast, o, in altre parole...».
«Non ho bisogno di altre parole, Mr. Avalon» lo interruppe Dynast. «Il solo fatto di essere un buon idraulico è tutta la giustificazione cui sia tenuto. Si è mai svegliato qualcuno nel cuor della notte per rendersi conto di avere bisogno immediato di un fisico nucleare? Pensi a tutte le emergenze a fronte delle quali lei sarebbe ben più felice se il suo vicino fosse un idraulico come me, piuttosto che un professore come... come...»
«Come ognuno di noi» concluse Avalon, e si schiarì la gola. «Lei ha perfettamente ragione, Mr. Dynast. Accetto la sua risposta. Mi dica, per quanto tempo ha fatto l'idraulico?»
Di colpo, Dynast si fece ansioso. «È di questo che dobbiamo parlare?
Vuol chiedermi tutto sull'idraulica?»
«Non è escluso, Mr. Dynast.»
Halsted interruppe con la sua voce piana. «Te l'ho detto, Mike, che le condizioni della cena sono che devi rispondere a qualsiasi domanda ti rivolgiamo.»
«D'accordo, Rog, ma ho qualche cosa di più interessante da dire... se me lo consentite.»
Avalon si concesse una pausa, una breve pausa pensierosa, quindi disse: «Non è nostra intenzione spremerla indebitamente, Mr. Dynast. Lei ci dica pure quello che vuole, ma, se tornassimo all'argomento idraulica, lei non dovrà rifiutarsi. Vale a dire...».
«Capisco, Mr. Avalon, e per me va bene. Voglio dire che, prima di metterci a tavola, vi ho sentiti parlare degli enigmi della stanza chiusa.
Ricordo che Mr. Trumbull ha espresso il dubbio che un enigma del genere possa verificarsi nella vita reale. Il fatto è che io ne ho uno.»
L'affermazione rese per un attimo muti e immobili i presenti. Anche Henry, che stava silenziosamente ed efficientemente sparecchiando la tavola, alzò gli occhi, sorpreso.
Fu Trumbull il primo a reagire e a chiedere, quasi sussurrando: «Intende dire che ne ha sentito parlare, o che ne ha sperimentato uno, direttamente?
Che, cioè, lei in persona ne è rimasto coinvolto?».
«Non io. Mia moglie. Lei stessa.»
Mario Gonzalo, all'altro capo della tavola, s'era proteso in punta di sedia, con un inquietante sogghigno. «Un momento, Mr. Dynast: secondo lei, c'era una stanza chiusa a chiave dal di dentro, con un cadavere non suicidatosi, e all'interno non c'era l'assassino, e la signora Dynast era lì e sa tutto del fatto?»
Dynast apparve inorridito. «Assassinio? Non sto parlando di assassinio!
Santo Dio, non c'entra alcun delitto. Niente del genere.»
Gonzalo si sgonfiò visibilmente. «Allora, di che ci vuol parlare?»
Dynast rispose: «C'era dunque questa stanza chiusa a chiave. E successe un qualche cosa che non poteva succedere, ecco tutto. Per esserci una stanza chiusa, non occorre che ci si svolga dentro un assassinio, dico bene?».
Avalon sollevò una mano e interloquì, con timbro baritonale: «Sono io che conduco l'interrogatorio, signori, quindi procediamo con ordine. L'argomento può essere senz'altro interessante e far accantonare, almeno temporaneamente, l'analisi conoscitiva della professione di idraulico, ma vediamo di trattarlo razionalmente».
Aggrottando le sopracciglia, attese che si ristabilisse il silenzio, poi aggiunse: «Mr. Dynast, esattamente cosa accadde nella stanza chiusa, che non sarebbe potuto accadere?».
«Fu rubato qualche cosa.»
«Di valore?»
«Per mia moglie, aveva moltissimo valore. Posso spiegarmi? Inutile parlarne senza far precedere qualche spiegazione.»
Avalon girò lo sguardo sui commensali. «Vi sono obbiezioni a che si dia la parola a Mr. Dynast?»
Gonzalo fu lesto a rispondere. «Io ho obbiezioni a che non gli si dia la parola.»
«Sì, Mario, ci avrei giurato. D'accordo, allora, Mr. Dynast, però resti inteso che la interromperemo con le nostre domande ogni qual volta ci sembrerà necessario.»
«Certo, a loro disposizione.» Dynast si rivolse a Henry, il quale aveva ripreso la sua solita posizione di fianco alla credenza. «Cameriere, potrei avere ancora un po' di caffè?»
Henry si premurò di riempirgli la tazzina, e Dynast cominciò: «Mia moglie, signori, è nata in una piccola città. Mi sposò che aveva trentatré anni e, purtroppo, è stato un matrimonio senza figli. Trascorremmo una ventina d'anni qui in città, ma lei rimase sempre la ragazza provinciale di un tempo.
Fedele alle origini, anche, se rendo l'idea».
«Si spieghi meglio» disse Avalon. «Cosa intende precisamente?»
«Intendo che era assidua alla vita parrocchiale, ai picnic della comunità, a tutte le manifestazioni sociali del vicinato. Non che una metropoli abbondi di tali attività, come loro sanno, ma una volta che smisi il mestiere e ci trasferimmo fuori città e comprammo una bella casetta con un po' di terreno, lei tornò in pieno al suo tran-tran prediletto. Come fosse tornata ragazza. Senza figli, senza problemi finanziari, mia moglie poteva dedicarsi del tutto alle occupazioni di cui sopra. E io ne sono ben soddisfatto... fin tanto che non mi ci tira dentro.»
«Desumo, quindi, che lei non è un patito della provincia» osservò Rubin.
«Ci può giurare. Sono figlio della metropoli, anima e corpo.»
«Non trova, allora, alquanto piatta la vita suburbana?»
«Oh, certamente, ma, anzitutto, non sono tanto lontano dalla città da non poterci venire, di quando in quando, a riempirmi i polmoni di smog.
Ginny, mia moglie, non mi mette i bastoni tra le ruote in proposito. E poi, non ho smesso del tutto il mestiere. Quando qualcuno ne ha bisogno, il mio lavoro di idraulico non lo rifiuto, il che riempie parte del mio tempo.
Vedete, ogni intervento di idraulica ha le sue esigenze, è una sfida ogni volta, specie se vuoi farlo bene. Ed esercitare il mestiere in periferia è abbastanza diverso che non in città da risultare interessante. Inoltre...»
Si interruppe e arrossì lievemente. «Inoltre, Ginny è sempre stata una buona moglie. Quando eravamo in città, e spesso le cose non andavano tanto bene, ha stretto i denti, senza lamentarsi troppo. Adesso è il suo momento ed è felice, o lo era, e io non volevo certo guastarle la festa.
«È sempre indaffarata. Non avendo figli, riesce a consolarsene con l'essere sempre disponibile a fare la baby-sitter. Casa nostra, per metà della giornata è piena di marmocchi che si agitano, giocano e fanno confusione.
Lei ci si sente come un pesce nell'acqua.»
«E anche lei, Mr. Dynast, ci sguazza dentro?» chiese Trumbull.
«No, io no, ma è il suo lavoro, il lavoro di Ginny. Non mi chiede di collaborare. Io dei bambini ignoro tutto.»
«Anche sua moglie? Se non ne ha di suoi...» rilevò Avalon.
«Oh, mio Dio. Di figli non ne ha avuti... biologicamente, ma era la maggiore di sei fratelli. Praticamente, finché non sposò me, passò tutta la vita a fare la vice madre. Io, be', io avevo un fratello maggiore, con cui non andavo molto d'accordo. I bambini per me sono un libro chiuso, ma non ne sento la mancanza. Una volta parlammo di adottarne uno, ma non ero molto propenso, e Ginny non mi forzò la mano.»
Gonzalo disse, con una nota di impazienza: «Ci stiamo arrivando alla faccenda della stanza chiusa?».
«C'è ancora un punto che devo chiarire. Ciò che rende popolare mia moglie in queste riunioni sociali della parrocchia è la sua eccellenza gastronomica. Che io non riesco a spiegare. Io sono uno che mangia quel che offre il convento, e non so cosa renda squisito il cibo, ma Ginny è speciale e io ho passato l'intera mia vita tentando di non ingrassare sui suoi manicaretti.» Abbassò gli occhi sul proprio addome, con un filo di rimpianto.
«Vedono, anche se lei fosse una cattiva moglie, io tuttora la terrei cara per il modo in cui cucina, ma Ginny è un'ottima moglie. Non dico che i suoi piatti siano fantasiosi. Non ti prepara i piatti che puoi mangiare nei ristoranti a cinque stelle. La sua cucina è semplice, ma ti si liquefa in bocca.
Dovrebbero provare la sua specialità: le focaccine al mirtillo. Niente di straordinario, uno direbbe, perché le puoi trovare normalmente, in negozio o fatte in casa, ma se assaggi quelle di Ginny allora capisci che non c'è paragone. In confronto alle sue, tutte le altre non sanno di niente.
«Ginny in cucina mette in opera un sacco di cosette esclusive, che le riescono meglio di mio chef rinomato. Non so come. Forse sono le spezie, gli aromi, come li dosa o li armonizza, o è il tempo di cottura, o chissà che...
Sui fornelli, è un genio, così come io sono un idraulico provetto. Quando porta le sue creazioni a questi picnic parrocchiali, già gli altri macinano acquolina, prima ancora di far andare le mascelle. E lei ci gode. È il suo passaporto alla fama e al successo. Ma ciò di cui è più orgogliosa e che ha nel cuore maggiormente sono queste sue focaccine al mirtillo.
«Nessuno riesce a farsene dare la ricetta. Perché lei l'ha in testa, non l'ha scritta o copiata da un libro di cucina. Così come per ogni suo piatto, rimane segreta nel suo cervello. Segreta! E, quando sta cucinando, non vuole nessuno in cucina, tranne me, perché sa che non capisco niente di quel che sta facendo.»
Disse Drake: «Ricordo che mia madre era un po' alla stessa maniera.
Quando sei un cuoco provetto, vuoi che nessuno possa farti concorrenza approfittando delle tue scoperte».
«È vero» confermò Dynast. «Il fatto è però che la gente ha sempre cercato di convincere mia moglie a fare delle sue ricette un libro di cucina.
Una delle nostre vicine ci presentò una sua amica che lavorava in una casa editrice. Questa signora parlò con Ginny e le disse che i libri di cucina rendono quattrini, e che un buon ricettario di cibi semplici e genuini poteva essere una miniera d'oro. Le disse anche che un giorno Ginny avrebbe purtroppo lasciato il regno dei vivi, e che non sarebbe stato giusto che i suoi segreti culinari scomparissero con lei. Si arruffianò Ginny mica male, ed era evidente che Ginny stava cominciando a pensare che l'idea non fosse poi tanto cattiva.
«A dire la verità, l'idea piaceva anche a me, l'idea che mia moglie diventasse famosa pubblicamente per la sua arte gastronomica. Ne sarei stato fiero. Feci quindi opera di persuasione, e lei opponeva una resistenza sempre più debole.
«Le remore c'erano sempre, comunque. Ne parlavamo, e mi diceva: "Io cucino così come mi viene. Aggiungo, mescolo, impasto, e le dita mi vanno avanti da sole, non è il cervello che lavora. Se dovessi sedermi a scrivere ricette, dovrei inventarle una per una".
«"E tu provaci" insistevo. "Anche se è difficile, provaci. Scrivere un libro, qualunque sia, è difficile. Perché un libro di cucina non dovrebbe essere difficile anche lui?"
«Così cominciò a dedicarvisi, a pezzi e bocconi, e tutte le ricette che metteva nero su bianco le riponeva in una cassettina a prova d'incendio, che chiudeva a chiave. E mi diceva: "La ricetta delle focaccine al mirtillo, quella proprio non posso includerla. È il mio segreto". E io: "Dai, Ginny, lascia perdere i segreti" ma la capivo benissimo.
«Quelle focaccine al mirtillo erano esattamente ciò che provocava risentimenti contro Ginny. Erano tanto squisite che i signori mariti ne andavano matti, al punto che le signore mogli si sentivano scornate e scocciate. Moltissime di queste massaie potevano rivaleggiare con Ginny in altre pietanze, in altri dolcetti, ma le focaccine di casa nostra erano inarrivabili. E c'erano un sacco di pressioni perché Ginny ne esponesse la ricetta nella bacheca del bollettino parrocchiale, e il suo rifiuto era considerato mancanza di solidarietà cristiana, eccetera eccetera. Però su quel punto, Ginny non cedeva.
«Ecco che adesso lor signori conoscono i precedenti. Un giorno ci fu un raduno della comunità in chiesa, e Ginny, guarda caso, non se la sentiva di parteciparvi. Disse che sarebbe rimasta a casa a darci sotto col suo libro, e che avrebbe fatto da baby-sitter ad alcuni dei marmocchi di coloro che fossero andati al raduno. Tanto per avere un pretesto per non partecipare.
Finì che si ritrovò in casa, per circa tre ore, cinque ragazzini. In quelle tre ore, la nostra casa rimase chiusa, finestre comprese, perché abbiamo l'aria condizionata. In casa non c'era nessuno, se non Ginny e i cinque marmocchi.»
«Lei dov'era, Mr. Dynast?» domandò Avalon.
«Ero in città. A essere sincero, io cerco sempre di svignarmela quando la banda infantile incombe troppo. Per Ginny va bene così. Contenta di non avermi tra i piedi.»
Gonzalo volle aver conferma: «Sarebbe questa la stanza chiusa di cui ci diceva, Mr. Dynast? Casa vostra sprangata, con dentro soltanto sua moglie e i cinque bambini?».
«Esattamente.»
«Direi» commentò Avalon «che la signora Dynast poteva lavorare ben poco alle sue ricette per il libro, con cinque bambini intorno.»
«La situazione non era poi tanto difficile» spiegò l'ospite. «Quattro dei ragazzini erano veterani, per così dire, già stati in casa nostra un sacco di volte. Sapevano chi è Ginny e Ginny sapeva come imbrigliarli. Il quartetto era tutto sui tre, quattro anni, e disponeva di dolcetti, latte e giocattoli vari per un comportamento più che accettabile. Il quinto del gruppo era nuovo, ma anche il più in gamba. Figlio di una cugina di una delle parrocchiane.
Tale cugina, col marito, intendendo unirsi alla parente per andare in chiesa, aveva affidato il marmocchio a Ginny, la quale era stata ben lieta di accoglie/e il nuovo venuto. Si chiamava Harold, ed era forse sui cinque anni.
Molto educato e di buon carattere, secondo Ginny. Infatti, dette una mano a badare agli altri quattro più piccoli, dimostrando di saperci fare, anche.
«Così, Ginny poté continuare con le sue ricette, e, per la prima volta, mise nero su bianco anche quella per le focaccine al mirtillo. A malincuore, però, disse poi, tanto che la scrisse a matita, senza calcare sulla carta, come se equivalesse a scriverla a metà. Anche così, le mancò il cuore, perché, già prima che i ragazzini se ne andassero, strappò il cartoncino scritto a matita...
«Ed ecco quello che successe e che era impossibile succedesse. Ginny aveva scritto la ricetta all'inizio della sua seduta di baby-sitter, e l'aveva lacerata a pezzetti verso la fine della seduta stessa. La ricetta era quindi esistita forse per due ore e mezzo in quella casa sprangata e occupata da Ginny, i cinque marmocchi, e nessun altro. E durante quelle due ore e mezzo, la ricetta fu rubata. Non è un enigma della stanza chiusa?»
Trumbull eccepì: «La ricetta venne rubata? Ma non ci ha detto che sua moglie l'aveva fatta a pezzetti?».
«Non ho detto che fu rubato il relativo cartoncino su cui era scritta. Fu rubata la ricetta vergata da mia moglie. La ricetta, l'indomani, apparve, parola per parola, sul bollettino parrocchiale affisso nella bacheca, tale e quale Ginny l'aveva scritta. Povera moglie mia. Ne restò distrutta. E da allora, è diventata un'altra donna. Al libro di cucina non lavora più, e non vuole avere più nulla a che fare con la chiesa.»
«È furente con tutta la parrocchia?» chiese Gonzalo. «Chi fu l'autore del furto?»
«Lei non lo sa, e non lo so io. Non sappiamo chi è stato il ladro né come è avvenuto il furto. Se lo sapessimo, mia moglie riuscirebbe a superare la crisi e l'avvilimento. Potrebbe avere una specifica persona con cui essere furente.
O incolpare se stessa di sbadataggine. Così com'è la situazione...» Dynast scosse la testa. «Ecco perché ero tanto interessato quando qui qualcuno ha detto che nella vita reale non ci sono enigmi tipo stanza chiusa. Quello che vi ho riferito, come lo chiamerebbero, lor signori?»
Seguì un silenzio, che Rubin infranse: «Lei fu via di casa per tutto il tempo? Non vide nulla? Nessuno?».
«Quasi tutto il tempo, Mr. Rubin. Rincasai proprio mentre tutto stava finendo. Gli altri erano arrivati per riprendersi i figli e ringraziare Ginny.
C'erano la cugina e relativo marito, i genitori di Harold. Una coppia di mezzi nani, sul metro e cinquanta l'uno e l'altra, ma cordiale e simpatica. Il figlio lo vidi appena. Mi fu presentato, e mi strinse la mano come un bravo, saggio ometto. Una perfetta atmosfera di civile socialità, ma, in quel momento, Ginny aveva già lacerato il cartoncino con la ricetta, il cui testo, chissà come, era già stato rubato.»
Halsted si addossò allo schienale della sedia, le mani congiunte sull'addome.
«Come puoi essere sicuro, Mike, che casa vostra fosse quel giorno equivalente a una stanza sprangata? Che non ci fosse una finestra aperta e nessun modo per entrarvi?»
Dynast scrollò la testa. «Questo non ha alcuna importanza. Tutte le porte, tutte le finestre erano chiuse, perché Ginny ci va con i piedi di piombo, e finché i ragazzini sono in sua custodia, non vuole che qualcuno di loro possa cadere da una finestra o uscire di casa. Ma, a parte questo, il fatto è che lei e la ricetta erano in quella particolare stanza, in cui nessuno poteva metter piede durante quelle due ore e mezzo in cui la ricetta fu in vita. È assolutamente impossibile che qualcuno vi sia entrato senza che Ginny se ne accorgesse.»
«Anche se era assorbita in pieno dalle sue ricette?» domandò Rubin.
«Non fino a quel punto. L'attenzione primaria era per i bambini. Ginny non si sarebbe distratta neanche un minuto.»
Gonzalo chiese: «E la signora non lasciò mai quella stanza? Mai? Non andò, magari, in bagno?».
«Senta» rispose Dynast. «Le abbiamo pensate tutte. Questa particolare domanda gliel'ho fatta. No, Ginny non ebbe bisogno di andare in bagno, però lasciò la stanza. Anzi, uscì di casa.»
«Ah!» esclamò Gonzalo. «E perché?»
«Si ricordò d'aver promesso di consegnare qualche cosa ai vicini che abitano di fronte a noi, sull'altro lato della via. Temendo di continuare a dimenticarselo, se non si decideva subito, Ginny si disse che erano solo una quindicina di metri e che ci avrebbe messo un minuto a fare un salto per quella consegna. Quindi corse fuori, suonò il campanello, il marito aprì, lei gli cacciò in mano l'oggetto che aveva promesso, la moglie dell'uomo era al raduno parrocchiale, scambiò due parole, e rincasò di volata. L'intera faccenda le prese due minuti al massimo.»
Gonzalo insisté: «Lei, Mr. Dynast, non era presente. A una donna può sembrare d'aver impiegato due minuti, ma in effetti potevano essere stati venti».
«No, no, non Ginny!» protestò l'ospite calorosamente. «Aveva la casa piena di marmocchi di cui era responsabile. Se ha detto due minuti, due minuti furono. Non v'era motivo di impiegarci più di due minuti!»
«Uscendo, chiuse a chiave la porta?»
«No, non le parve saggio. Non essendo dentro casa, temeva che, se le fosse successo qualcosa, o se qualcosa fosse successo ai bambini, la porta sprangata avrebbe ritardato i soccorsi, per così dire... Ma anche questo non conta. Ginny, per tutto il tempo della sua brevissima assenza, tenne d'occhio la nostra porta d'ingresso. Nessuno vi si avvicinò. Nessuno le transitò davanti. Quando rientrò ed ebbe richiuso la porta, mia moglie domandò a Harold se fosse successo qualcosa, e lui disse che nulla di nulla era successo in quei due minuti. E sicuramente, tutto risultava identico a prima, e i bambini sembravano ilari e contenti come prima.»
Difficile che Gonzalo si arrendesse. «Anche così, non si può parlare di una stanza chiusa se a un certo momento rimase aperta. » "
«Non fare il cavilloso, Mario» ammonì Avalon. «Se il racconto è preciso, la casa di Mr. Dynast è tuttora equivalente a una stanza chiusa.
Però, non fu rubato nulla di materialmente tangibile. Devo ammettere, comunque, che siamo davanti a un relata refero. Sarebbe augurabile poter interpellare la signora Dynast direttamente.»
«Be', non possiamo» ribatté Rubin.
Trumbull intervenne: «Calma, signori. Se stessimo parlando di un furto di qualcosa di materialmente tangibile, la casa potrebbe essere considerata come una stanza chiusa. Però non è stato sottratto alcunché di materiale. Il cartoncino su cui era scritta la ricetta fu distrutto dalla signora Dynast personalmente. Quindi, tutto ciò che fu rubato si riduce al testo vergato sul cartoncino, il che rende la situazione differente... Mr. Dynast, da quel che ci ha detto devo supporre che le amiche della signora Dynast, le frequentatrici della parrocchia, sapessero che ella stava scrivendo le ricette ».
«Oh, sì, era sulla bocca di tutti.»
«E sapevano che ci si stava dedicando in quel particolare momento, mentre il resto della congregazione era tutto in chiesa?»
«Sì. Credo che glielo avesse detto mia moglie quale pretesto per non andare in chiesa quel giorno.»
«E, nel preparare dette ricette, avrà etichettato e intitolato ognuna di esse, no?»
«Certamente. Quella delle focaccine al mirtillo, poi, l'avrebbe intitolata "Focaccine al Mirtillo della Nonna", così come le aveva menzionate a me e a ogni altro. Chiaro che era stata sua nonna a insegnarle la ricetta, che poi in seguito mia moglie aveva perfezionato.»
«E immagino che la stanza dove lei lavorava avesse finestre.»
«Sì, naturale.»
«In tal caso,» asserì Trumbull «non si può certo parlare di una stanza chiusa. Impossibile, forse, poter entrare fisicamente, da parte di un estraneo, nella stanza per violare il segreto d'una ricetta, ma senz'altro era possibile guardare attraverso i vetri della finestra, e leggere quel che v'era scritto sul cartoncino, no?»
«No, non credo, Mr. Trumbull» rispose Dynast. «La facciata della nostra casa è a livello della strada, ma il terreno scende se uno si allontana dal marciapiede, per dare spazio a una cantina e a un garage a livello del cortile sul retro e a un vialetto d'accesso al cortile stesso. Ma i locali dove Ginny stava scrivendo e dove i bambini erano confinati si trovano all'altezza del primo piano. Le relative finestre non offrono certo una buona visuale dall'esterno, a meno che l'indiscreto sia alto almeno tre metri, o a meno che si serva di una scala a pioli. E direi che, in entrambi i casi, Ginny se ne sarebbe accorta! »
Trumbull non si lasciò smontare. «Se la stanza dava sul cortile, un eventuale albero avrebbe offerto un buon osservatorio.»
«Avrebbe, ma non ci sono alberi nel raggio di sei metri dalle finestre.
Inoltre, come ho fatto presente, Ginny era ancora dubbiosa e poco entusiasta di mettere sulla carta la preziosa ricetta, e l'aveva scritta a matita con mano molto leggera. Non credo che alcuno, o alcuna, sarebbe riuscito a leggerne il testo, anche col naso incollato al vetro della finestra. Tanto più che, per maggior sicurezza, Ginny aveva infilato il cartoncino, una volta compilatolo, sotto un libro. E sotto il libro c'era ancora quando, mancandole l'animo, lei lo prese e lo fece a coriandoli.»
Subentrò Drake: «Era la sola volta che la ricetta veniva messa per iscritto?».
«L'unica volta.»
«E il testo affisso nella bacheca della chiesa era identico, parola per parola?
Non poteva trattarsi di una ricetta similare che qualcun'altra avesse creata indipendentemente? Dopo tutto, anche le massime scoperte scientifiche a volte sono raggiunte da due differenti luminari più o meno allo stesso tempo.
Sono cose che succedono.»
«Le stesse identiche parole» asserì decisamente Dynast. «Ginny lo giura, e le credo. A un certo punto, aveva scritto: "Agitate furiosamente finché non sentite che la mano sta per separarsi dal polso. Poi tirate dieci rapidi respiri, e...". La frase era ripetuta alla lettera. È il frasario che Ginny usa quando parla con me. Nessun altro si esprimerebbe in tal modo tutto particolare.»
Nuovo silenzio in tavola. Poi Avalon disse: «Temo, Mr. Dynast, di non avere idea di come la cosa sia successa. Non è che lei si è inventato tutto quanto per farci quattro risate?».
Dynast negò vigorosamente, altalenando la testa da destra a sinistra.
«Magari fosse! Ma per Ginny, Mr. Avalon, non è certo uno scherzo, e, se non scopriamo come è accaduto, non sarei sorpreso di dover finire per vendere la casa e trasferirci altrove. Ginny non sopporta l'idea di vivere vicino a gente tanto perfida.»
«Giurerebbe che sua moglie ha detto realmente tutta la verità?» azzardò Drake.
«Ci scommetterei l'anima!»
«Allora, con una stanza che conteneva una donna e cinque bambini in tenera età, si dovrebbe concludere che la donna stessa abbia rubato la propria ricetta. Pensa sia possibile che la signora Dynast abbia organizzato l'intera faccenda, autonomamente, quale pretesto per poter cambiare casa e trasferirsi altrove?»
Dynast replicò: «Se volesse traslocare, Ginny non avrebbe altro da fare che dirlo. Non avrebbe avuto bisogno di metter su tutta una commedia strampalata.
E, se conoscesse mia moglie, Mr. Drake, saprebbe quanto le sarebbe stato impossibile organizzare un simile trucco con le sue focaccine al mirtillo.
Lei non può immaginare quale significato abbiano per Ginny».
«Be',» constatò Rubin «è il più maledetto enigma di stanza chiusa che abbia mai sentito. Non esiste la soluzione.»
A questo punto Henry intervenne, quasi stupito della propria iniziativa: «Se mi è permesso, signori...».
Rubin gli puntò gli occhi addosso: «Coraggio, Henry, vuoi forse dirci che una soluzione c'è?».
«Non posso garantirlo, ma vorrei porre una domanda a Mr. Dynast.»
«Non ha nulla in contrario, Mr. Dynast?» domandò Avalon. «Henry è stimato socio del nostro club.»
«Non lo metto in dubbio» riconobbe l'ospite. «Senz'altro.»
«Grazie, signore. Il maggiore di quei bambini... Harold.»
«Ebbene?»
«Quanti anni ha detto che aveva?»
«Cinque, al massimo.»
«Come fa a saperlo, Mr. Dynast?»
«Me lo disse Ginny.»
«Le disse di averlo chiesto al ragazzo?»
«N-no... Ma lo vidi io stesso, quando rincasai. Ho già avuto modo di dirlo. Era un cosino. Non più di cinque anni.»
«Però, Mr. Dynast, lei ha anche detto d'aver visto i genitori di Harold, entrambi non più alti di un metro e cinquanta. Non direbbe certo che, essendo così bassi di statura, i due fossero degli adolescenti.»
«No. Erano bassi, adulti ma bassi.»
«Esattamente. E genitori di bassa statura possono benissimo avere figli tutt'altro che giganti. È possibile che Harold dimostri cinque anni, a giudicarlo dalla statura e dalla corporatura, ma ne abbia invece otto. E, per quanto ne possiamo sapere, può essere straordinariamente sveglio per avere otto anni.»
«Buon Dio!» esclamò Avalon. «Credi davvero possa essere così, Henry?»
«Consideri le conseguenze, Mr. Avalon, se è così. Una delle signore del vicinato vuole fanaticamente la ricetta. Ha una sorella, di bassa statura, sposata a un uomo egualmente minuscolo, e i due hanno un figlio minutino minutino. Un nanerottolo che, si da il caso, è un mezzo fanciullo prodigio. È un cosino di otto anni che può passare per un normale bimbetto di cinque.
Glielo piazzano in casa, Mr. Dynast, e lo istruiscono su cosa deve fare.
«Nessun sospetto da parte della signora Dynast se il piccolo la osserva, o guarda incuriosito quello che lei sta scrivendo. Dopo tutto in apparenza, è in tutto e per tutto in età prescolare, e quindi non sa leggere. Ma lui può constatare che la signora scrive una ricetta per le "Focaccine al Mirtillo della Nonna" e la mette sotto un libro. Poi, quando la padrona di casa esce per la sua commissione, anche se l'assenza non supera i due minuti, il ragazzino prende da sotto il libro la ricetta, la manda a memoria, la ripone dov'era.
Non è impresa eccessivamente lunga o difficile imparare a memoria un testo succinto, e ragazzi di cervello pronto ci riescono, come se il loro cervello funzioni da carta assorbente. Lo ricordo bene, da quando ero un fanciullo.»
E Gonzalo vociò, trionfante: «Ma certo! Ecco la spiegazione, non ve n'è altra possibile!».
Henry rispose: «È semplicemente una possibilità. Però, se Mr. Dynast riesce a scoprire il cognome di quella coppia, sarebbe facile accertare la vera età del nostro Harold, che scuola frequenta, quale classe, e se è un alunno brillante. Se la vicina della signora Dynast rifiuta di fornire spiegazioni circa la cugina e il nipote, allora l'esattezza della nostra teoria ne sarebbe vigorosamente corroborata».
«Chi avrebbe pensato una cosa simile?» si stupì Dynast.
Henry mormorò: «Ci deve essere una spiegazione razionale a ogni cosa, signore, e, come al solito, i Vedovi Neri avevano attentamente eliminato ogni possibile spiegazione, lasciando a me di basarmi su quanto era rimasto».
(Titolo originale: The Recipe - 1990)
Stavo leggendo "La terza pallottola" di John Dickson Carr, come Trumbull fa nel racconto, e mi venne in mente che non avevo mai scritto un episodio dei Vedovi Neri che riguardasse un enigma della stanza chiusa.
Inutile dire che mi venne subito una voglia matta di scriverlo, ma mi sembrava impossibile escogitare un nuovo machiavello che coinvolgesse una stanza chiusa. John Dickson Carr aveva praticamente monopolizzato e dominato lo specifico settore, e altri autori avevano colmato ogni eventuale minima lacuna rimasta disponibile.
Però, io odio rinunciare. Davvero non potevo inventare qualcosa di nuovo per svelare il mistero d'una stanza chiusa? Con mio stupore, trovai che potevo.
In pieno fermento creativo, mi misi alla scrivania, e confezionai "La ricetta" in una sola tornata, dal principio alla fine. Credo di non essermela mai goduta di più nello scrivere un racconto.
E ora che questa raccolta è completata, lasciate che vi dica ancora una volta che sono tuttora in buona salute, e che non ho intenzione di smettere. I Vedovi Neri, ve lo assicuro, andranno avanti fintanto che andrò avanti io.
FINE