Il quarto omonimo

«Omonimi!» disse Nicholas Brant. Era l'ospite di Thomas Trumbull al banchetto mensile dei Vedovi Neri. Piuttosto alto di statura, aveva sotto gli occhi due borse di sorprendente prominenza, nonostante il suo aspetto per il resto relativamente giovane. Il suo viso era affilato e accuratamente rasato. I capelli castani non esibivano, per ora, alcun segno di grigio.

«Omonimi» ripeté.

«Cosa?» domandò Mario Gonzalo, ottusamente.

«Le parole che lei definisce "di suono uguale". Il loro nome esatto è "omonimi".»

«Ah, davvero?» disse Gonzalo. «Mi può compitare questo vocabolo?»

Brant glielo compitò.

Emmanuel Rubin sbirciò Brant attraverso le spesse lenti dei suoi occhiali, che gli davano l'aria di un gufo. Intervenne. «Deve scusare Mario, Mr. Brant. Il nostro frasario gli è ostico.»

Gonzalo si spazzolò dalla manica della giacca qualche traccia di invisibile polvere, e replicò: «Manny è divorato dall'invidia perché ho inventato un gioco di parole. Lui conosce i vocaboli, ma difetta di qualsiasi scintilla di inventiva, il che lo uccide».

«Mr. Rubin non manca certo di inventiva» si affrettò a precisare Brant, in tono conciliante. «Ho letto alcuni dei suoi libri.» «Il che non mi fa cambiare parere» polemizzò Gonzalo. «Comunque sono disposto a chiamare il mio gioco "omonimi" anziché "di suono uguale". La faccenda consiste nel configurare incisi che possano essere descritti da due parole che siano di suono uguale... che siano omonimi. Vi faccio un esempio: se il cielo è del tutto sereno, è facile decidere di andare a fare un picnic all'aria aperta. Se invece piove a catinelle, è facile decidere di non andare a fare il picnic. Ma se la giornata è nuvolosa, e le previsioni del tempo sono orientate su possibile pioggia, senza tuttavia escludere ampie schiarite qua e là, decidere su un picnic non è più tanto ovvio. Come chiamereste una tale situazione?»

«Un'idiozia insipida» sentenziò acido Trumbull, passandosi una mano sui crespi bianchi capelli.

«Coraggio!» incitò Gonzalo. «Provateci. La risposta è due parole che abbiano la stessa pronuncia.»

Seguì un silenzio generale, e allora Gonzalo disse: «La risposta è 4

"Whether weather". È il tipo di weather che vi obbliga a chiedervi whether andare o no a fare il picnic. "Whether weather", avete afferrato il concetto?».

James Drake schiacciò nel portacenere il mozzicone della sigaretta, e rispose: «L'abbiamo afferrato. La domanda è adesso: come possiamo liberarci di tale stupidaggine?».

Roger Halsted intervenne con la sua voce armoniosa: «Non dargli retta, Mario. È un gioco da salotto abbastanza gradevole, ma non sembra offrire molte combinazioni sulle quali poter giostrare».

Geoffrey Avalon, torreggiando austero dall'alto del suo metro e ottantotto, interloquì: «Più di quante tu possa supporre. Mettiamo che tu possieda un montone castrato che sia vispo e pimpante nei giorni di sereno, e moscio e avvilito nei giorni di pioggia. Se il cielo fosse semplicemente nuvoloso, però, tu potresti chiederti whether il tuo montone sarebbe pimpante oppure avvilito. Ecco che avremmo "whether wether weather".

Esplose un coro di indignati «Cosa?»

Avalon insisté, con decisa foga: «La prima parola è w-h-e-t-h-e-r, che significa se. L'ultima parola è w-e-a-t-h-e-r, che si riferisce alle condizioni atmosferiche. Il vocabolo di mezzo è w-e-t-h-e-r, che significa montone castrato. Controllate, se non mi credete!».

«Inutile controllare» disse Rubin. «Geoffrey ha ragione.»

«Ripeto,» brontolò Trumbull «è un gioco stupido.»

«È un gioco fino a un certo punto» sottolineò Brant. «Gli avvocati sono fin troppo consapevoli delle ambiguità incorporate nel linguaggio, e gli omonimi possono causare guai.»

La voce gentile e sommessa di Henry, l'onnipresente cameriere, si fece sentire, grazie a una qualche alchimia specificamente sua, al di sopra del vocìo dei presenti.

«Signori, mi duole dover interrompere un'animata, interessantissima discussione, ma la cena è in tavola.»

«Ce n'è un'altra» disse Gonzalo, sezionando la sua trota affumicata.

«Un tizio ha scritto giù tutti i numeri da 1 a 9 e al di sopra di tutti, tranne uno, ha disegnato una bella faccia. Un bambino lo sta osservando estatico, ma insoddisfatto per l'incompletezza della sequenza. Che dice il bambino?»

Halsted, intento a cospargere golosamente la sua trota di salsa al rafano, rispose: «Il bambino dice: "Falla to two, too"».

Gonzalo protestò, accusatone: «Questa già la conoscevi, qualcuno te l'aveva già raccontata?».

«No,» rispose Halsted «ma è un esempio matematico del gioco. Perché insegnerei matematica agli studenti delle medie, se non riuscissi a risolvere problemi relativi al numero due?»

Gonzalo si incupì. «Stai cercando di essere spiritoso, Roger?»

«Chi? Io?»

«Quale anfitrione della serata,» ritenne opportuno intervenire Trumbull «vorrei consigliare di cambiare argomento.»

Nessuno diede segno d'averlo sentito. Disse Avalon: «Gli omonimi sono di solito il risultato di alterazioni nella storia del linguaggio. Per esempio night, con la quale intendo il contrario del giorno, è affine al tedesco Nacht, mentre knight, vale a dire, un cavaliere della Tavola Rotonda, ha lo stesso radicale del tedesco Knecht. In inglese, le vocali sono cambiate e la A: è invariabilmente muta in un kn iniziale, in modo che finisci per avere due parole pronunziate in modo identico».

«Il kn all'inizio di una parola non ha invariabilmente la k muta» obbiettò Robin. «Ci sono alcune parole, non ancora anglicizzate a sufficienza. Un mio amico ebreo ha sposato una signorina di estrazione non ebraica. Ansiosa di compiacere lo sposino, la giovane donna comprò qualche leccornia apparentemente israelitica, che depose in tavola, con giustificato orgoglio.

Elencando gli acquisti, ella concluse: "E ti ho anche comprato questa Knish e rimase del tutto interdetta quando lui scoppiò in una risata isterica.»

Drake disse: «Mica l'ho capita».

Rubin chiarì con una sfumatura di impazienza: «La parola è knish, con la k pronunciata in modo marcato. È una palla di farina impastata, il cui interno è farcito di puré di patate speziate, o di qualche altro ripieno, il tutto cotto al forno o in padella. Qualsiasi abitante di New York dovrebbe conoscerla».

Trumbull sospirò. «Se non puoi farli ragionare, rassegnati. Qualcuno riesce a darmi un gruppo di quattro omonimi, quattro parole, tutte pronunciate allo stesso modo, ma la cui compitazione e significato siano differenti, caso per caso? Vi concedo cinque minuti, durante i quali mi aspetto un rinvigorente silenzio.»

I cinque minuti trascorsero abbastanza confortanti, inframmezzati soltanto dallo scricchiolio di gusci d'aragosta, e quindi Trumbull disse: «Una delle parole ve la suggerisco io: right come opposto di sinistra. Quali sono le altre tre?».

Parlò Halsted, la bocca piena di chela d'aragosta: «Ci sono write, nel senso di mettere nero su bianco, e rite, a significare un determinato procedimento religioso, un rituale. Ma non credo ne esista una quarta».

«Sì, che c'è» disse Avalon. «È wright, w-r-i-g-h-t, che significa operaio, artigiano, fabbricante.»

«Ma è un vocabolo arcaico» protestò Gonzalo.

«Non del tutto» precisò Avalon. «Diciamo ancora un playwright, che sarebbe poi un commediografo, uno che fabbrica commedie o drammi teatrali.»

Fu il turno di Brant. «Il mio amico Tom ha menzionato il vocabolo right definendolo come l'opposto di sinistra. In egual modo abbiamo right quale contrario di sbagliato, e ancora right che significa perpendicolare.

Destra, sinistra; giusto, sbagliato; linea perpendicolare. Potremmo definirli come un quinto e sesto omonimo?»

«No,» ribatté Gonzalo «perché i vocaboli siano omonimi, occorre che le loro consonanti o vocali siano differenti, almeno per quanto attiene al mio gioco.»

«Non sempre, Mario» osservò Avalon. «Due vocaboli possono essere compitati in modo identico, ma avere significati differenti e differenti origini etimologiche. Per esempio: bear, cioè orso, e bear che vuol dire portare, trasportare; entrambi hanno l'identica compitazione e pronuncia, ma origini differenti. Quindi, li chiamerei omonimi, assieme a bare che significa svestito, naturalmente. Gli impieghi differenti di right, come negli esempi citati da Mr. Brant, provengono però tutti dallo stesso radicale con lo stesso significato, quindi non sarebbero classificabili come omonimi.»

Vi furono quindici addizionali minuti prima che Trumbull si sentisse autorizzato a invocare silenzio percuotendo a più riprese col cucchiaio il bicchiere d'acqua che aveva davanti.

«Mai sono stato tanto felice,» disse «in qualsiasi dei simposi dei Vedovi Neri, di porre fine a una discussione. Se avessi, in qualità di moderatore, pieni poteri, appiopperei una multa di cinque dollari a Mario per averne dato inizio.»

«Hai partecipato anche tu, Tom» lo rimbeccò Gonzalo.

«Solo per autodifesa... e chiudi il becco. Vorrei presentarvi il mio ospite, Nicholas Brant, e tu, Jeff, sembri idoneo e controllato, anche se sei il più omonimizzato di qualsiasi altro, a fare gli onori di casa e iniziare il terzo grado.»

Avalon inarcò le formidabili sopracciglia, e disse: «Ritengo assai improbabile che "omonimizzato" appartenga alla lingua inglese, Tom». Poi, rivolto all'ospite, aggiunse: «Mr. Brant, come giustifica la sua esistenza?».

Brant sorrise mestamente: «Come avvocato, non penso di esserne capace.

Lei conosce, forse, la vecchia storiella di quando Dio minacciò di citare Satana, e Satana rispose: "Come puoi farlo? Io dispongo di tutti gli avvocati del mondo". A mia difesa, comunque, non sono il tipo di avvocato che faccia uso di trucchi davanti a un giudice e alla giuria. Per lo più, vivo nel mio studio e tento di redarre documenti che significhino effettivamente quello che ci si attende debbano significare».

Avalon disse: «Anch'io sono avvocato abilitato, quindi le pongo la seguente domanda senza secondi fini di sorta. Non cerca mai di compilare tali documenti in modo che essi non significhino ciò che dovrebbero significare? Cerca di introdurvi trabocchetti o scappatoie?».

Brant rispose: «Naturalmente, mi sforzo di redarre un documento che lasci al mio cliente la maggior libertà d'azione e alla controparte la minor libertà d'azione possibile. La controparte, però, ha anch'essa un avvocato, il quale ce la mette tutta per l'opposto, e di solito il risultato è che il contratto risulta inattaccabile in entrambe le direzioni».

Avalon si concesse una pausa, quindi riprese: «Nella precedente discussione sugli omonimi, lei ha detto, se ricordo bene, che gli omonimi sono ambiguità che potrebbero causare problemi. Il che vuol dire che lei, professionalmente parlando, nella preparazione di contratti, si è trovato di fronte a un omonimo che abbia arrecato complicazioni impreviste?».

Brant sollevò entrambe le mani. «No, no, niente del genere. Quel che avevo in mente facendo quell'osservazione era del tutto irrilevante all'argomento ora in esame.»

Avalon fece scorrere un dito lungo il bordo del proprio bicchiere d'acqua. «Lei deve capire, Mr. Brant, che questo non è un interrogatorio in sede legale. Non vi è in esame alcun particolare argomento, e nulla è irrilevante.

Le confermo la mia domanda.»

Brant rimase silenzioso per un momento, quindi cominciò: «È un qualche cosa che ebbe luogo poco più di vent'anni fa, a cui, da allora, ho 8

pensato del tutto sporadicamente. Me lo ha fatto tornare alla mente il gioco degli omonimi di Mr. Gonzalo, ma... è un'inezia, niente, direi. Non coinvolge alcun problema legale o alcuna complicazione di sorta. È soltanto un... rompicapo. Una faccenda irrisolvibile, della quale non vale la pena di discutere».

«Confidenziale?» ipotizzò Gonzalo. «Perché, in tal caso...»

«Nulla di confidenziale» assicurò Brant. «Né di segreto o di specifico...

e quindi nulla di interessante.»

Interloquì di nuovo Gonzalo: «Tutto ciò che è irrisolvibile è interessante.

Sei d'accordo, Henry?».

Henry, che stava versando il brandy, annuì: «Senz'altro, Mr. Gonzalo, quando vi sia almeno spazio per ragionevoli congetture».

«Bene, dunque, se...» sollecitò subito Gonzalo.

«Mario,» disse Avalon «lasciami proseguire, per favore... Mr. Brant, mi chiedo se lei potrebbe fornirci i particolari di questo suo irrisolvibile enigma.

Gliene saremmo veramente grati.»

«Ne rimarrete oltremodo delusi.»

«Un rischio che ci assumiamo.»

«Bene, allora, se volete concedermi un attimo per richiamare alla mente le circostanze...»

E Brant, sostenendosi il volto con una mano, si concentrò nei ricordi, mentre i sei Vedovi Neri lo osservavano con anticipato interesse, ed Henry prendeva la solita posizione di fianco alla credenza.

Brant cominciò: «Vi dirò anzitutto di Alfred Hunzinger. Era figlio di poveri immigranti e non aveva seguito studi di alcun genere apprezzabile.

Sono anzi sicuro che non frequentò mai le scuole superiori. Già a quattordici anni, lavorava. Parlo dei decenni precedenti la Grande Guerra, quando la cultura non era affatto considerata un diritto di un individuo, o nemmeno particolarmente desiderabile per chi fosse classificabile come manovalanza.

«Hunzinger, però, non era il solito, classico operaio. Era incredibilmente geniale e intelligente. Intelligenza e cultura scolastica, come sapete, non vanno necessariamente a braccetto».

Rubin approvò con piena convinzione: «No, infatti. Ho conosciuto non pochi imbecilli accreditati di possenti carriere culturali».

«Hunzinger era l'opposto» proseguì Brant. «Un genio in affari, del tutto privo di studi regolari. Aveva il pollice verde, ma era il verde delle banconote. Tutto ciò che toccava, prosperava, e prima di morire aveva messo in piedi un'azienda formidabile.

«Né questo gli era stato sufficiente. Aveva sempre acutamente risentito della propria mancanza culturale e si era imbarcato in un programma di studi autonomi. Un programma non continuativo, in quanto erano gli affari la sua prima preoccupazione, e v'erano periodi in cui il suo tempo era assai limitato. Ed era un programma a singhiozzo e inorganico, in quanto egli leggeva e studiava di tutto un po', senza una guida. Conversare con lui voleva dire sottoporsi a una curiosa mescolanza di pedanteria sottile e di commovente ingenuità sprovveduta.»

«Devo presumere che lei lo conoscesse abbastanza a fondo» disse Avalon.

«Non proprio. Non intimamente. Ebbi occasione di lavorare per lui.

Principalmente, nella stesura del suo testamento. Che, se fatto bene, e quando vi sia da tener conto di complesse situazioni finanziarie e commerciali, richiede parecchio tempo e determina un documento di notevole impegno. Che dev'essere periodicamente aggiornato o modificato, con un occhio particolare, tra l'altro, alle tasse di successione in continua evoluzione.

Credetemi, era un testamento che conglobava un'intera carriera, ed ero costretto a passare molte ore a conferire con Hunzinger e anche a dedicarmi a una nutrita corrispondenza. Era però un rapporto assai limitato e specializzato, che mi consentiva di conoscere abbastanza a fondo la natura e la consistenza delle sue finanze, ma lui, come persona, soltanto superficialmente.»

«Aveva figli?» chiese Halsted.

«Sì, ne aveva» rispose Brant. «Si era sposato a quarantadue anni, se ricordo bene. Sua moglie era parecchio più giovane. Il matrimonio, pur non idillicamente felice, andò avanti benissimo. Senza divorzio o prospettiva che potesse accadere una separazione, e la signora Hunzinger è morta appena cinque anni fa. Ebbero quattro figli, tre maschi e una femmina. La ragazza ha fatto un ottimo matrimonio; è tuttora viva, sposata, madre felice, e non ha, non ha mai avuto, problemi finanziari. Nel testamento paterno figurava appena. Le fu intestato un certo numero di investimenti, mentre il padre era ancora in vita, e nulla più.

«Il complesso aziendale fu lasciato su base paritetica: un terzo a ciascuno dei tre figli maschi, Francesco, Marco e Luca.»

«In quest'ordine di età?» volle sapere Drake.

«Sì. Il maggiore è, per usare la sua firma legalizzata, B. Franklin Hunzinger.

Quello di mezzo è Mark David Hunzinger. Il figlio minore è Luke Lynn Hunzinger. Naturalmente, feci presente al vecchio Hunzinger che lasciare l'azienda in parti eguali ai tre figli equivaleva a cercar guai. Il reddito poteva essere diviso in tre parti identiche, ma i poteri direttivi e decisionali dovevano essere concentrati nelle mani di uno soltanto.

«Hunzinger, però, si dimostrò ostinatamente contrario ai miei suggerimenti.

Disse che aveva allevato i figli secondo gli ideali dell'antica repubblica romana; che essi erano tutti leali e devoti verso di lui, il pater familias, con mia sorpresa, usò effettivamente tale termine latino, e che uguale fiducia esisteva in ognuno di essi nei confronti degli altri due.

Quindi, non ci sarebbero stati problemi di sorta, disse.

«Mi presi la libertà di sottolineare come i tre ragazzi potevano senz'altro essere figli ideali fintanto che il padre era vivo e dirigeva gli affari con la sua carismatica personalità. Dopo che egli fosse morto, però, potevano emergere rivalità nascoste. Mai, insisté lui, era un'eventualità da escludere in modo assoluto. Lo giudicai un illuso, e mi stupiva che un uomo tanto sensibile al minimo accenno di cavilli in materia di affari, tanto realistico nelle faccende di questo mondo, potesse essere così incosciente e romanticamente cieco per quanto riguardava la sua famiglia.»

Drake domandò: «La figlia, come si chiama?».

«Claudia Jane. Adesso come adesso, non ricordo il suo cognome da sposata. Perché lo vuol sapere?»

«Pura curiosità. Potrebbe avere anche lei ambizioni, qualche pretesa, non trova?»

«Non credo proprio. Per lo meno, non nei confronti dell'azienda. Ha sempre chiaramente dimostrato di non aspettarsi né volere alcuna quota relativa. Suo marito era ricco, soldi di famiglia, posizione sociale, plutocrazia ancestrale, insomma. L'ultima cosa che desiderava era di essere identificata in quello che era, per così dire, un gigantesco magazzino di ferramenta.»

«Già, posso capirlo» convenne Drake.

«Devo ammettere che in quella famiglia sembrava regnare la massima armonia» continuò Brant. «Incontravo i figli di quando in quando, singolarmente e insieme, ed essi risultavano bravi giovanotti, a posto, assai affiatati e affettuosi a vicenda, e ovviamente devotissimi al loro padre. Tra una cosa e l'altra, raggiunsi un livello tale di rapporti da far loro ritenere appropriato invitarmi alla celebrazione familiare per l'ottantesimo compleanno del capo famiglia. Fu in quella occasione che il vecchio Hunzinger ebbe l'attacco cardiaco che lo portò all'altro mondo. Una circostanza non del tutto imprevista. Soffriva di cuore da anni, ma fu davvero una grossa sfortuna che l'evento coincidesse col suo genetliaco.

«I festeggiamenti, logicamente, andarono a monte. Egli fu deposto, con ogni delicatezza, sul divano più vicino, e vennero chiamati i medici. In una sorta di silenziosa confusione. Una confusione per me sufficiente a farmi restare. Forse può sembrare morboso, ma ritenevo di avere un lavoro da fare. Hunzinger non aveva designato alcuno dei tre figli a divenire il capo dell'azienda. Era troppo tardi per ottenere qualcosa di scritto, ma se gli fosse riuscito di dire qualcosa, le conseguenze potevano avere un certo effetto vincolante.

«Ritengo che i figli non sapessero quel che avevo in mente. Erano lì, naturalmente. La loro mamma, quasi inebetita per lo shock, era stata portata via. Nessuno sembrava accorgersi che ero presente. Mi chinai all'orecchio del moribondo e domandai: "Quale dei suoi figli deve essere a capo dell'azienda, Mr. Hunzinger?".

«Troppo tardi. I suoi occhi erano chiusi, il suo respiro rantolante. Mi chiesi se mi avesse sentito. Stava sopravvenendo un medico, e sapevo che mi avrebbe bloccato, così mi affrettai a ripetere la domanda. Questa volta, le palpebre del morente si mossero, e le sue labbra palpitarono, quasi volesse parlare. Ne uscì, però, soltanto un suono. Che mi parve fosse il monosillabo "to". Non udii altro. Egli tirò avanti un'altra ora, senza mai dire una parola, e morì senza riprendere conoscenza, lì sul divano dove lo avevano adagiato... E questo è quanto.»

Domandò Gonzalo: «Che ne fu dell'azienda?».

«Non successe nulla» rispose Brant, con voce da cui traspariva il residuo di un'enorme meraviglia. «Il vecchio aveva avuto ragione. I tre figli vanno avanti splendidamente. Una specie di triumvirato. Quando si deve prendere una decisione, si riuniscono e ne raggiungono una subito. È davvero una cosa stupefacente, e se qualcosa del genere dovesse diventare contagiosa, gli avvocati finirebbero per morire di fame.»

«Quindi, non ha la minima importanza quello che il vecchio disse in punto di morte?» dedusse Gonzalo.

«Non ha la minima importanza, infatti, ma per un certo tempo continuò a tormentare la mia curiosità. Che aveva cercato di dirmi? Immagino vediate la difficoltà.»

«Naturale» disse Drake, accarezzandosi col dito i baffetti grigi. «Non si può far molto con il monosillabo "to."»

«Peggio ancora» rilevò Brant. «Quale omonimo? Era t-o, oppure t-o-o, o addirittura t-w-o? Di "to" ce ne sono tre nella lingua inglese. Tre, tre monosillabi con lo stesso suono che significano, rispettivamente: a, anche e due. Tra l'altro, come lo scriveresti quel monosillabo alitato da Hunzinger, in extremis? Me lo sono chiesto spesso. La stessa pronuncia, d'accordo, ma come trascriverla, visto che ognuno dei tre ha una sua compitazione specifica e diversa?»

Avalon ritenne di poter puntualizzare: «Io direi: "Ci sono tre parole che si pronunciano allo stesso modo, più o meno". La doppia o è il modo meno ambiguo per definire la pronuncia che tutte e tre hanno in comune, in quanto ha un suono più prolungato, se vogliamo, delle altre due».

«Be', in ogni caso, pur ammettendo che si trattasse di t-o-o, che altro ne ottengo?»

Trumbull disse la sua: «Potrebbe... essere stata una parola, anziché un monosillabo, Nick? Supponiamo che Hunzinger volesse pronunciare un vocabolo più lungo, tipo, che so, "costituzione" dove la sillaba "tu" si pronuncia come t-o-o. Cinque sillabe in totale, ma lui riuscì solo ad alitare la terza».

«Può darsi» ammise Brant. «Però non posso dire né sì né no. Tuttavia, in quel momento, ebbi l'impressione che si trattasse di un monosillabo, uno dei tre t-o-o, in qualsiasi modo lo vogliate compitare. Immagino che stessi disperatamente cercando di leggergli le labbra, 'e che egli potesse aver detto "La preminenza gerarchica al tale fra i tre" e che tutto quanto riuscissi a capire fosse appunto e soltanto al, cioè "t-o". Il che mi lascia con un pugno di mosche. Naturalmente, come ho detto, non ha la minima importanza.

I figli gestiscono la ditta in modo ottimo. Tuttavia...»

Qui Brant scrollò la testa. «Sono avvocato, e mi brucia essere arrivato tanto vicino alla soluzione giusta, senza successo. Anche se aveva sempre rifiutato di scegliere l'eletto. Anche se avesse detto: "A nessuno dei tre", avrebbe almeno espresso il suo ultimo desiderio, sempre meglio che cadere in una situazione per difetto. Quindi, per un po' continuai ad arrovellarmi, e adesso lor signori hanno riportato a galla la faccenda, e andrò avanti ad arrovellarmi per un altro po'... E senza approdare a nulla, perché non vi è nulla cui approdare.»

Calò sulla mensa un pesante silenzio, che alla fine fu rotto da Gonzalo, il quale disse: «Per lo meno, è un'interessante versione del gioco degli omonimi. Quale dei tre poteva essere?».

«Che differenza fa?» rilevò Trumbull. «Nessuno dei tre ci aiuterebbe a farci capire ciò che il vecchio signore stava tentando di esprimere.»

«Come ho già detto» confermò Brant tetramente «è un problema irrisolvibile.

Non ci sono proprio dati sufficienti.»

«Non dobbiamo risolverlo,» interloquì Halsted «dal momento che non vi è crisi da sanare, né criminale cui addossare il fio. Tutto quello che dobbiamo fare è individuare una ragionevole possibilità che dia pace alla sua mente, Mr. Brant. Supponiamo, per esempio, che Hunzinger senior stesse dicendo t-w-o.»

«D'accordo, ipotizziamolo» assentì Avalon.

«Può quindi darsi che egli stesse pronunciando qualcosa del tipo: "Si dia il comando al figlio numero due".»

Brant negò con un cenno della testa. «L'impressione che ebbi fu di sentire il t-o posto a metà di una frase. Le sue labbra si mossero prima e dopo quel monosillabo.»

«Non direi» osservò Rubin «che ci si possa basare su tale sensazione.

Da escludere che le labbra di un moribondo possano essere sotto controllo.

Ciò che sembrava un loro movimento per articolare parole poteva essere solo un tremito riflesso.»

«Il che non fa che peggiorare l'incertezza» concluse Brant.

«Un momento, però» insisté Halsted. «La mia ipotesi funziona anche con il monosillabo a metà frase. La quale potrebbe essere stata: "Al numero due dei miei figli", oppure: "È al figlio numero due che compete".»

Trumbull brontolò: «Charlie Chan potrebbe dire una frase simile, ma poteva farlo il vecchio Hunzinger? Altamente improbabile... Al, hai mai sentito quell'uomo riferirsi ai figli con un numero?».

«No» rispose Brant. «Non credo lo abbia mai fatto.»

«E allora,» sbottò Trumbull «perché mai avrebbe dovuto cominciare a farlo proprio in punto di morte?»

«Consideriamo un particolare» saltò su Rubin. «Il secondo figlio si chiama Marco, che è anche il nome del secondo evangelista. Il figlio minore è chiamato Luca, come il terzo evangelista. Scommetto che, se ci fosse stato un quarto figlio maschio, il suo nome sarebbe stato Giovanni.»

«Che scopo può avere una scommessa del genere?» obbiettò Gonzalo.

«Non possiamo nemmeno stabilire chi la vincerebbe.»

«Allora, perché il primo figlio non fu battezzato Matteo?» chiese Avalon.

E Rubin: «Forse il vecchio Hunzinger non pensò agli Evangelisti se non dopo la nascita del figlio maggiore. Oppure, più semplicemente, non gli piaceva il nome di Matteo. Comunque, mi colpisce che, se il monosillabo fosse stato t-w-o, avrebbe un doppio significato. Si riferirebbe al secondo figlio e al secondo evangelista, in entrambi i casi sempre con attinenza a Marco».

Trumbull disse: «Potrebbero esserci un milione di ragioni perché il numero due indicasse Marco. Ma, prese tutte in blocco, è assai improbabile che inducessero il vecchio a riferirsi al "numero due tra i miei figli".

Non più di quanto se la ragione fosse stata una soltanto. Perché non avrebbe detto, puro e semplice, il none di "Marco" se era lui che intendeva?».

Disse Brant: «Be', potrebbe aver detto "a Marco", se per questo, e io sentii soltanto quel "to" come preposizione, la seconda della tiritera... "di, a, da, in, con..." e via dicendo».

«Mr. Brant,» intervenne Avalon «mi chiedo se lei abbia mai notato che il vecchio Hunzinger considerasse uno dei figli più affidabile degli altri due, se giudicasse l'acume negli affari di uno di essi particolarmente brillante, o se amasse uno degli eredi più di quanto avesse cari gli altri.»

Brant chinò la testa, sforzandosi di ricordare. Poi ebbe un gesto di diniego. «Non posso dire di averlo notato. Non ho il ricordo di niente del genere. Naturalmente, come ho già detto, i miei rapporti con la famiglia non erano improntati a una calda amicizia personale. Si articolavano esclusivamente nel settore degli affari. Hunzinger senior mai mi mise al corrente di faccende familiari, a parte quelle che avessero attinenza col testamento.»

Gonzalo disse: «Continuiamo a parlare dei figli maschi. E se, invece, il vecchio stesse facendo un pensierino alla figlia? Supponiamo che lasciasse l'azienda ai tre maschi, un terzo a ciascuno, ma che volesse la figlia come arbitra unica nelle decisioni fondamentali. Potrebbe aver ritenuto che la ragazza possedesse il miglior senso degli affari e fosse in grado di dirigere l'azienda, anche se lei non voleva esservi scopertamente coinvolta».

«Da dove ti viene un'idea del genere, Mario?» domandò Avalon.

«Mettiamo che la parola fosse t-o-o. Il vecchio potrebbe aver detto: "Mia figlia, too, deve partecipare". O qualcosa di equivalente.»

«Non credo» obbiettò Brant. «Mr. Hunzinger non menzionò mai la figlia in relazione all'azienda. Ricordiamoci, inoltre, che stiamo parlando di pregiudizi ante-prima guerra mondiale, quando le donne nemmeno potevano votare. Egli non era affatto femminista. La moglie era rigidamente una casalinga, così come a lui piaceva. Hunzinger ebbe cura che la figlia sposasse un uomo ricco, e, secondo la mentalità paterna, questo era il massimo che la sua responsabilità di capo famiglia gli imponeva. Per lo meno, a tale conclusione devo arrivare se penso alle nostre molteplici discussioni sul testamento.»

Di nuovo, scese il silenzio attorno alla tavola, e alla fine Avalon disse, con un teatrale sospiro: «Non ha rilevanza qualsiasi ipotesi noi si possa formulare. Per quanto acuta e ingegnosa possa apparire, non c'è modo di comprovarne la veridicità. Temo che, nel caso specifico, si debba decidere che il nostro ospite ha ragione, e che il problema, per sua stessa natura, è irrisolvibile».

Una resa che a Gonzalo non piacque: «Non prima che chiediamo il parere di Henry».

«Henry?» esclamò Brant, sorpreso. La sua voce si ridusse a un sussurro.

«Intende dire il cameriere?»

E Trumbull: «Non c'è bisogno di sussurrare, Nick. Henry è socio del club».

«Quindi, glielo chiedo» proseguì Gonzalo. «Henry, hai qualche idea sulla faccenda?»

Dal suo posto di fianco alla credenza, Henry ebbe un leggerissimo sorriso.

«Devo ammettere, Mr. Gonzalo, che in effetti andavo chiedendomi quale potesse essere il nome di battesimo del figlio maggiore.»

«Frank. Non lo ricordi?»

«Mi scusi, Mr. Gonzalo, ma credo di ricordare che il nome sia B. Franklin Hunzinger. Mi chiedevo a cosa corrispondesse l'iniziale B.»

Gli occhi di tutti si volsero su Brant, il quale si strinse nelle spalle e disse: «Il figlio è menzionato come B. Franklin anche nel testamento paterno. Questa è anche la forma legale della sua firma. Ho sempre presunto, però, che la B stesse per Benjamin».

«Supposizione più che naturale» ammise Henry. «Qualsiasi americano chiamato B. Franklin, a quanto pare, non può che essere Benjamin. Ma lei ha mai sentito qualsiasi membro della famiglia, chiunque altro, caso mai, chiamarlo Benjamin o Ben?»

Lentamente, Brant scosse la testa. «Non ricordo alcun episodio del genere, ma è roba di oltre vent'anni fa, e non facevo certo parte di quel circolo familiare.»

«O dopo la morte di Mr. Hunzinger senior?»

«Oh, be', raramente ho avuto, da allora, contatti con tutti loro, neanche in relazione a questioni legali.»

Trumbull volle sapere: «Che hai in mente, Henry? Dove vuoi arrivare?».

«Vede, mi è venuto in mente che vi sono, per così dire, quattro omonimi con il suono t-o-o.»

«Quattro?» esclamò Avalon, assai stupito. «Vuoi dire che uno degli omonimi ha due significati di derivazione diversa, come nel caso di b-e-ar?»

«No, Mr. Avalon. Mi riferisco a quattro omonimi con quattro differenti compitazioni.»

Dopo una breve riflessione, Avalon sentenziò: «Impossibile, Henry.

Manny, riesci a pensare a un quarto omonimo, in aggiunta a t-o, t-o-o e tw-o?».

«No,» disse recisamente Rubin «non esiste un quarto omonimo.»

Henry precisò: «Ho detto "per così dire". Tutto dipende dal primo nome di battesimo di B. Franklin».

Intervenne Drake: «Henry, stai facendo il misterioso, e sei riuscito a metterci in confusione. Adesso, spiega».

«Sì, Mr. Drake. Mr. Brant ci ha detto che il vecchio Hunzinger era un autodidatta. Ci ha anche detto come fosse in particolar modo interessato alla storia dell'antica Roma. Aveva allevato i figli secondo quella che egli riteneva fosse la tradizione romana. Usava termini quali pater familias e via dicendo. La figlia l'aveva chiamata Claudia, un figlio è Marco, dal romano Marcus, un figlio è Luca, dal latino Lucius.

«È possibile, in effetti, che i nomi originali fossero proprio Marcus e Lucius, e che i due ragazzi trovassero Marco e Luca più accetti ai loro coetanei. Ora, se anche il figlio maggiore avesse ricevuto un nome latino che non avesse alcuna comune forma anglicizzata? Potrebbe non averlo utilizzato affatto, contentandosi del Franklin, che diventa il normalissimo e accettabile Frank.

«Un diffuso nome dell'antica Roma con l'iniziale B è Brutus, e non ha alcuna forma anglicizzata che appaia accettabile.»

«Aha...» fece Rubin.

«Sì, Mr. Rubin» proseguì Henry. «Se il vecchio Mr. Hunzinger aveva qualche nozione, più o meno organica, della lingua latina, senza dubbio non avrebbe ignorato le ultime parole di Giulio Cesare, una delle frasi più famose del latino. Frase che contiene il monosillabo "tu", seconda persona singolare del pronome personale, che ha suono identico a t-o, t-o-o e a t-wo, e che è ben conosciuto tra gli inglesi di buona cultura, se non altro grazie alla suddetta frase, tanto da poter assumere il rango di quarto omonimo.

«Alla domanda circa quale dei figli dovesse essere a capo dell'azienda, il morente pensò al maggiore, ricordò il nome datogli da bambino, e può aver detto all'incirca: "Tutti i miei figli parteciperanno, e tu, Brutus, sarai il capo". La frase "e tu, Brutus" diventa la mormorata esclamazione di Cesare "et tu, Brute" e soltanto il monosillabo tu fu abbastanza nitido per essere percepito.»

«Buon Dio!» biascicò Brant. «Chi mai poteva pensare una cosa del genere?»

«Che però» disse Avalon «è quanto mai geniale. Spero che tu abbia ragione, Henry. Mi ripugnerebbe vedere che il tuo ragionamento fosse fasullo. Ritengo che potremmo interpellare il maggiore degli Hunzinger e cercare di indurlo a fornirci il suo primo nome di battesimo.»

Tutto eccitato, Gonzalo suggerì: «Un momento, Jeff! Non potrebbe apparire nel Who's Who in America? Di solito, vi figurano i più importanti uomini d'affari».

Avalon obbiettò: «Potrebbe esservi soltanto la versione legale del suo nome, B. Franklin Hunzinger. Certo, a volte è anche citato tra parentesi il nome dopo la lettera iniziale puntata, per indicarne l'esistenza, ma non l'uso».

«Andiamo a vedere» disse Gonzalo. Prese il primo volume del repertorio, e per qualche momento vi fu il fruscio delle pagine. Fruscio che cessò per permettere a Gonzalo di gridare, colmo di giubilo: «Brutus Franklin Hunzinger, con r-u-t-u-s tra parentesi!».

Brant si nascose la testa fra le mani. «Per vent'anni, avanti e indietro, mi sono tormentato, e se avessi consultato il Who's Who... Ma perché sarebbe dovuto venirmi in mente di darci un'occhiata?» Scosse la testa. «Devo dirlo ai tre figli. Dovranno saperlo.»

Henry ammonì: «Non penso sarebbe cosa saggia, Mr. Brant. Essi vanno avanti benissimo anche con questa "ignoranza", ma se scoprissero che il loro genitore aveva scelto uno di loro quale capo dell'azienda, scelta della quale neanche possiamo essere certi, così come stanno le cose, potrebbero venire a galla amarezze, invidie e insofferenze. Che scopo c'è a voler aggiustare ciò che non è rotto?».

 

(Titolo originale: The Fourth Homonym - 1985)

 

Un buon numero di enigmi dei miei Vedovi Neri si basa sulle stravaganze della lingua inglese. Una tentazione alla quale non so resistere, a causa dell'enorme interesse e della sconfinata ammirazione che il lessico mi ispira.

Devo ammettere, però, di essere penosamente conscio che, ogni qual volta queste mie escursioni lessicali sfruttano l'inglese, io erigo ostacoli sul cammino dei traduttori, e vedo scemare le possibilità di conseguire edizioni straniere. E la circostanza di essere ampiamente letto mi interessa non poco. Devo riconoscere, comunque, che quando un inciso linguistico mi si presenta quale foriero di arzigogoli mentali, come nel racconto che avete appena letto, non posso fare a meno di servirmene.