L'alibi

Emmanuel Rubin era di umore insolitamente pacato durante il cocktail che precedeva la cena dei Vedovi Neri. E l'ometto risultava anche insolitamente pensieroso... Pur sempre, comunque, didattico per non smentirsi.

Stava dicendo a Geoffrey Avalon (sebbene con voce abbastanza squillante da echeggiare in ogni angolo della sala): «Ignoro quanti racconti o romanzi gialli, o di suspense, come ci si compiace di definirli oggi,

siano stati scritti, ma il loro numero non è lontano da cifre astronomiche, e di sicuro non li ho letti tutti.

«È anche indubitabile che la trama vecchio stile dell'enigma poliziesco è superata, fuori moda... anche se mi piace ogni tanto scriverne una; il moderno racconto psicologico, in cui il crimine sia semplicemente menzionato di passaggio, si dilunga per pagine e pagine angosciose nel descrivere l'anima torturata del criminale, e può quindi avere i suoi aspetti di enigma e di mistero.

«Il risultato è che mi sto arrovellando per escogitare un nuovo tipo di alibi che possa essere demolito in modo insolito, e mi chiedo: quali sono le probabilità che quello da me ideato non sia mai stato usato in precedenza?

E, per quanto ingegnoso riesca a configurarlo, come posso sapere se qualcuno, in qualche oscuro libro da me mai letto, non abbia già usato l'identico marchingegno? Invidio gli autori antesignani in tale settore. Qualsiasi alibi escogitassero, v'era la certezza che nessun altro li avesse configurati in precedenza!».

Avalon replicò: «Di quali probabilità ti preoccupi, Manny? Se tu non hai letto tutti i racconti di suspense che sono stati scritti, neanche può averli letti il tuo lettore. Tu inventa un alibi. Se è una ripetizione di qualche oscuro machiavello apparso in un libro pubblicato cinquantadue anni fa, chi se ne accorge?».

Rubin replicò, con amarezza: «Qualcuno, da qualche parte, avrà letto quel vecchio libro, e mi scriverà, molto probabilmente per cogliermi in castagna e accusarmi di plagio».

Mario Gonzalo, dall'angolo opposto della sala, lanciò la sua frecciata.

«Nel tuo caso, Manny, non ha importanza. Ci sono nei tuoi racconti così tante altre cose da criticare che probabilmente nessuno si prenderebbe la briga di sottolineare che le tue trovate sono stantie.»

«Parla colui» rimbeccò Rubin «il quale in tutta la sua vita pittorica non ha prodotto altro che caricature!»

Gonzalo stava ritraendo l'ospite della serata, affinché lo schizzo andasse ad aggiungersi a quelli che costellavano la parete della sala del Ristorante Milano, dove le cene avevano luogo.

Per l'occasione, il suo appariva un compito facile, in quanto l'ospite, portato da Avalon, il quale era l'anfitrione della serata, aveva una magnifica criniera di candidi capelli, folti e ondulati, scintillanti come argento filato alla luce delle lampade. I lineamenti regolari e lo spontaneo sorriso di una sana dentatura denotavano con certezza che egli era uno di quegli uomini che, con l'età, diventano più fascinosi e dignitosi. Si chiamava Leonard Koenig, e Avalon lo aveva presentato semplicemente come "mio amico".

Koenig commentò: «Lei mi sta facendo assomigliare a un divo del cinema super giubilato, Mr. Gonzalo».

«L'occhio d'un artista non si inganna, Mr. Koenig» ammonì Gonzalo.

«Per caso, lei è uno di essi?»

«No» rispose Koenig scandalizzato, e Rubin si mise a ridere. E disse: «Mario ha ragione, Mr. Koenig. Lei non può ingannare l'occhio di un artista!».

Al che la conversazione divenne generale, per interrompersi momentaneamente solo quando la morbida voce dell'inarrivabile cameriere, Henry, annunciò: «Se i signori vogliono prender posto a tavola, la cena è servita». E tutti sedettero a fare onore alla minestra in brodo di tartaruga, che Roger Halsted, il buongustaio del club, sorbì attentamente prima di esternare la propria approvazione con un ampio sorriso.

Quando fu il momento del brandy, Thomas Trumbull, i cui crespi capelli bianchi apparivano alquanto mortificati dalla più luminosa e più morbida criniera dell'ospite, si assunse il compito di inquisitore.

«Mr. Koenig, in qual modo giustifica lei il suo diritto a esistere?»

Koenig schiuse le labbra a un generoso sorriso: «Ricollegandomi ai problemi di Mr. Rubin per inventare alibi, ritengo di poter assai facilmente giustificare la mia esistenza sottolineando che, ai miei tempi, sono stato un demolitore di alibi».

«Jeff non ci ha precisato la sua professione» disse Trumbull. «Devo dedurre che lei appartiene alla polizia?»

«No. Non a una normale forza di polizia. Sono nel controspionaggio, o meglio, per maggior precisione, lo ero. Me ne andai in pensione prima dei limiti d'età, per dedicarmi all'avvocatura: ecco come ho conosciuto Jeff Avalon.»

Trumbull inarcò di scatto le sopracciglia. «Controspionaggio?»

Koenig sorrise di nuovo: «Leggo nella sua mente, Mr. Trumbull. So della sua posizione nel Governo, e lei si sta chiedendo come mai il mio nome le fosse sconosciuto. Ma, vede, ero un ingranaggio secondario, e, tranne in un solo caso, non ho fatto alcunché di speciale. Inoltre, come lei sa, non è prassi di certi uffici pubblicizzare i propri componenti. È un lavoro che facciamo meglio all'oscuro. E, come ho detto, mi sono prepensionato, e comunque sono già dimenticato del tutto».

Elettrizzato, Gonzalo intervenne: «Lei era un demolitore di alibi. Con quale sistema? Ricorda qualche caso in particolare?».

«Sarebbe una lunga storia,» rispose Koenig «di cui non dovrei fornire troppi dettagli.»

«Può fidarsi di noi» garantì Gonzalo. «Nulla di quanto viene detto nei raduni dei Vedovi Neri esce da queste quattro pareti. La discrezione assoluta riguarda anche il nostro cameriere, Henry, il quale è a tutti gli effetti socio del nostro club. Confermalo, Tom!»

«Be', è vero» disse Trumbull con qualche esitazione. «Siamo tutti quintessenziali quanto a riservatezza. Però non posso sollecitarla a parlare di faccende di cui parlare non si dovrebbe.»

Avalon abbozzò una smorfia giudiziosa. «Non direi che noi si possa seguire tale concetto, Tom. Le condizioni cui le nostre cene sono sottoposte precisano che l'ospite deve rispondere a tutte le domande e fare affidamento sulla nostra discrezione.»

Aggiunse Gonzalo: «Senta, Mr. Koenig, lei può omettere tutto quanto ritenga troppo delicato per formare oggetto di discussione. Ci descriva soltanto l'alibi, e non ci precisi in qual modo lo demolì: starà a noi smantellarlo in sua vece».

James Drake chiocciò: «Non fare promesse avventate, Mario!».

«Provare non costa niente, comunque» replicò Gonzalo.

Koenig domandò, con aria pensosa: «In altre parole, dovremmo farne un gioco di enigmistica?».

«Perché no, Mr. Koenig?» insisté Gonzalo. «E Tom Trumbull può squalificare se stesso se risulta che ricorda il caso di cui lei ci parlerà.»

«Dubito che lo ricordi. Tutta la faccenda si basava su elementi estemporanei di accertamento, e Mr. Trumbull non faceva parte dell'organizzazione da cui dipendevo io.» Koenig si concesse una pausa per riflettere. «Presumo sia possibile farne un gioco, ma è successo quasi trent'anni fa. Spero di ricordarne tutti i particolari.» Si schiarì la gola e iniziò.

«È interessante» disse Koenig «che Mr. Rubin abbia attivato l'argomento della psicologia del criminale, perché nella mia vecchia professione un sacco di cose dipendevano dalla psicologia della spia. C'era gente che tradiva il proprio Paese per denaro, o per disprezzo, o per eccessiva propensione all'altro sesso. È una categoria facile da trattare, sotto un certo profilo, in quanto tali esemplari non hanno alcuna forza morale davanti alla prospettiva di una lunga prigionia, e, se scoperti e presi, cedono facilmente.»

«Il movente è l'avidità,» commentò convinto Halsted «e non occorre essere una spia. Il politicante corrotto, l'uomo d'affari che evade le tasse, l'industriale che froda l'esercito praticando prezzi gonfiati e fornendo materiale e servizi difettosi, possono danneggiare la nazione non meno di quanto la danneggi una spia.»

«Sì,» disse Rubin «ma questi tizi sbandiereranno a destra e a sinistra il loro patriottismo. Possono derubare governo e prossimo ignari, e fin tanto che espongano la bandiera nel Memorial Day, e diano addosso a chiunque sia a sinistra di Gengis Khan, sono sempre cittadini modello.»

«Ecco perché» ricordò Avalon «Samuel Johnson sosteneva che il patriottismo è l'ultimo rifugio del farabutto.»

«Indubbiamente» concordò Koenig. «Ma stiamo deviando dal punto.

Stavo infatti per ricordare che esistono anche spie che fanno il loro mestiere per una ideologia fortemente sentita. Lo fanno o perché ammirano gli ideali di un altro Paese, o perché ritengono di servire la causa della pace mondiale, o perché sono convinti di comportarsi nobilmente per un qualche loro motivo. Non che questo ci autorizzi a sentirci indignati, poiché noi stessi abbiamo all'estero chi lavora per noi per similari ragioni ideologiche, e, anzi, possiamo contare su una loro schiera anche maggiore di quella che i nostri nemici infiltrano qui. In ogni caso, questi ideologi sono in realtà le spie più pericolose, dato che programmano più razionalmente e accuratamente, sono pronti ad assumersi rischi maggiori, e sono molto più risoluti se vengono smascherati e arrestati. Un uomo di tale sorta era Stephen. Attenzione: userò soltanto il suo nome di battesimo, e Stephen non è nemmeno il suo vero nome.»

«Stephen conduceva una vita tranquilla» proseguì Koenig. «Nulla di notevole che lo distinguesse da tanti altri esseri normali. 'Non faceva l'errore di tentare di coprire i suoi veri scopi mediante una non realistica professione di patriottismo. Ma aveva la disponibilità, grazie al suo impiego e alle circostanze, di conoscere molte cose che non volevamo il nemico conoscesse.

Comunque, ci sono moltissime persone che sono al corrente di faccende che è meglio restino segrete, e la loro stragrande maggioranza è del tutto affidabile. Non c'era ragione di supporre che Stephen fosse meno affidabile di esse.

«C'erano, però, alcuni dati che facevano particolarmente gola al nemico, dati ai quali Stephen aveva accesso. E che avrebbe potuto trasmettere con facilità ai suoi mandanti esteri. Ma, se lo avesse fatto, le circostanze erano tali che egli sarebbe stato matematicamente sospettato. Anzi, vi sarebbe stata, diciamo, la certezza morale della sua colpevolezza. Ciò nonostante, l'importanza dei dati era tale che Stephen doveva effettuarne la trasmissione al nemico.

«Notino, per inciso, che non dirò nulla sulla natura di tali dati, o del modo in cui egli vi aveva accesso, o di come avrebbe concretato la trasmissione.

Tutte cose irrilevanti per il gioco che stiamo facendo qui. E a questo punto, cercherò di immedesimarmi nella niente di Stephen...

«Egli sapeva di dover eseguire la sua missione, e sapeva che immediatamente sarebbe stato sospettato, in modo irrimediabile. Sapeva quindi di dovere, in qualche modo, proteggere se stesso. Non perché temesse la prigionia, in quanto era elemento di scambio. Né, immagino, aveva paura della morte, visto che le circostanze della sua vita erano tali da renderlo consapevole che la morte poteva coglierlo ogni giorno, e anche in modo poco piacevole.

Tuttavia, quale patriota, suppongo che tale si considerasse ai propri occhi, egli non voleva essere preso, sapendo che non sarebbe stata facile una sua sostituzione. Inoltre, se fosse riuscito a uscire indenne dai sospetti, il nostro ufficio sarebbe stato costretto a indagare in altre direzioni, il che avrebbe sprecato le nostre energie e messo sotto torchio una quantità di gente innocente: tutta una situazione a nostro svantaggio.

«Ma come poteva evitare di essere incastrato, dato che era, per necessità, l'ovvio colpevole? Chiaramente, si sarebbe dovuto trovare in due luoghi differenti, in città, ove eseguire il suo compito, e, allo stesso tempo, in un posto ben lontano dalla città, in modo che sembrasse impossibile ogni suo coinvolgimento nel furto delle informazioni. L'unico modo per riuscire in tale "sdoppiamento" era di essere due persone.

«E fu così che la cosa si svolse, come alla fine appurammo. Il Paese per cui Stephen lavorava mise a disposizione un sosia, o quasi-sosia, che chiameremo Stephen Due. Immagino che se Stephen e Stephen Due fossero stati messi fianco a fianco sarebbe stato agevole distinguerne le differenze puramente fisiche, ma se qualcuno avesse visto Stephen Due, e poi, qualche giorno dopo, il vero Stephen, l'impressione sarebbe stata d'aver avuto davanti la stessa persona.

«Sembra anche logico supporre che la somiglianza di Stephen Due con Stephen fosse stata potenziata: lo stesso taglio di capelli, la crescita degli stessi baffetti, una passabile imitazione della voce, ascoltata e riascoltata su dischi, la stessa firma desunta da documenti vari. Il sosia avrebbe inoltre dovuto imparare a servirsi di alcune delle fraseologie caratteristiche di Stephen. E, naturalmente, conoscere l'inglese e la mentalità americana altrettanto bene di Stephen..

«Tutto questo deve aver richiesto tempo e sforzi considerevoli, il che da la misura dell'importanza dei dati di cui il nemico voleva entrare in possesso.

«Tutte tessere di un mosaico da noi pazientemente ricostruito di quanto Stephen architettò e concretò, e che, con nostra soddisfazione, era sostanzialmente esatto. Avvicinandosi il momento prescelto, Stephen fece sapere in giro, con l'occasionale indifferenza necessaria, che sarebbe andato alle Bermude per una settimana di ferie, usufruendo di una crociera via mare.

Giunta l'ora, sparì e modificò leggermente il suo aspetto, in modo da non essere riconosciuto durante l'esecuzione del furto e della trasmissione dei dati, in silenzio e nell'anonimato quanto più possibile. Fu Stephen Due, naturalmente, a salire sulla nave diretta alle Bermude.

«Il vero Stephen, guarda caso, non era mai stato alle Bermude, il che gli parve una circostanza sfruttabile e utile. Non esserci mai stato avrebbe giustificato la sua non completa conoscenza di tutto quanto ci fosse da vedere nell'isola. Egli doveva, però, sapere cosa avesse fatto laggiù, ora per ora, diciamo, in previsione degli immancabili interrogatori cui sarebbe stato sottoposto al rientro in sede, o una volta scoperta la manomissione dei dati.

Stephen Due, quindi, doveva mandargli, usando un semplice codice e un indirizzo di comodo, un resoconto condensato ma particolareggiato di quello che avrebbe visto e fatto laggiù. In definitiva, Stephen Due doveva fare una serie di cose insignificanti e quotidiane, come qualsiasi turista in vacanza, che, memorizzate da Stephen, avrebbero permesso a quest'ultimo di farne uso quale prova della sua permanenza alle Bermude. Un casuale riferimento a un qualsiasi trascurabile episodio crocieristico avrebbe potuto costituire una prova convincente.

«Abbiamo anche l'assoluta certezza che Stephen ordinasse a Stephen Due di fare amicizia, sulla nave, con qualche donna ragionevolmente attraente, e adoperarsi perché tale nuovo rapporto risultasse ben instradato, in modo che la donna potesse sicuramente ricordare il compagno di viaggio,

ma non tanto sicuramente da poter scoprire, nel caso, qualche diversità tra i due Stephen.

«In particolare, Stephen Due doveva evitare eccessive intimità e l'inizio d'un eventuale romanzo d'amore.

«In particolare, immagino che Stephen non volesse trovarsi davanti a una situazione imbarazzante: una donna con la convinzione di essere stata sua amante, cosa che egli non avrebbe potuto negare senza correre un grave rischio, sarebbe di certo stata un elemento poco augurabile.

«La settimana trascorsa da Stephen Due alle Bermude deve essere stata per Stephen un periodo di estrema tensione. Aveva assolto il suo compito (la trasmissione dei dati riservati), ma nel caso che la nave fosse naufragata, o Stephen Due fosse precipitato in mare durante la crociera, o avesse avuto un incidente alle Bermude, e fosse ospedalizzato, storpiato, o addirittura deceduto? Oppure, se gli avessero preso le impronte digitali per un qualche motivo, o se si fosse rivelato un traditore (quindi, un disertore, dal nostro punto di vista)? Qualsiasi cosa del genere avrebbe sbriciolato l'alibi di Stephen, provocando il suo logico arresto.

«In realtà, non uno di tali timori fu giustificato. Stephen Due inviò fedelmente le sue lettere, numerandole in ordine progressivo affinché Stephen fosse certo che nessuna era andata smarrita, e potesse mandarle a memoria.

«Poi, Stephen Due tornò dalle Bermude, e con silenziosa destrezza si eclissò e rientrò nel suo Paese, mentre Stephen riassumeva la propria identità.

«Fu due settimane dopo la conclusione del viaggio alle Bermude, che avemmo motivo di sospettare che i dati su cui Stephen aveva lavorato erano stati manomessi.. Una rapida indagine comprovò il sospetto, e con matematica certezza il dito accusatore si puntò su Stephen.

«Una nostra squadra piombò su di lui.

«Ed egli si dimostrò, nella contingenza, assolutamente perfetto. La sua angoscia per la perdita delle informazioni sembrava del tutto genuina, ed egli non ebbe difficoltà ad ammettere amaramente di essere il logico sospettato, anzi l'unico sospettato possibile.

«"Ma," ci fece presente con appropriata pazienza "dal nove al sedici di questo mese ero a bordo della Island Duchess, ed ero alle Bermude tra l'undici e il quattordici. Se il furto ha avuto luogo durante tale periodo, è impossibile che sia stato io."

«Ci fornì, naturalmente, ogni particolare della sua assenza, corroborato da ampia dimostrazione dei biglietti di viaggio, dell'imbarco e dello sbarco, del conto del bar dell'albergo, dei tagliandi di altre spese in loco, e via dicendo. Tutto sembrava in ordine. Neanche pareva sospetto che egli potesse produrre, a richiesta, tale documentazione. Disse: "Farò figurare tutte queste spese, o parte di esse, come spese professionali di trasferta, e quindi dovrò esibire le pezze giustificative per la detrazione dalla denuncia dei redditi".

«Sembrava esserci tra i miei colleghi la propensione a credere alle sue argomentazioni, a chiedersi se, dopo tutto, i sospetti dovessero puntare su qualcun altro. Io tenni duro. A me Stephen appariva, quasi per istinto,

troppo arrendevole e serafico, e insistei nell'interrogarlo, mentre gli altri investigatori inquisivano la faccenda sotto diverse angolazioni. Fu quello, naturalmente, il mio grande exploit quale acchiappa spie.

Avessi avuto un altro paio di successi come quello, il dipartimento non sarebbe stato tanto pronto a mollarmi, quando inoltrai domanda per andare in pensione. Ma il caso Stephen fu l'unico che mi diede gloria. L'unico e irripetibile.

«In una seconda torchiatura, chiesi a Stephen: "Lei rimase sulla nave o sull'isola sempre, in ogni momento, dall'imbarco allo sbarco?".

«"Sì, naturalmente" mi rispose. "Ero alla mercé della nave."

«"Non del tutto, signore" ribattei.

«Lui si accigliò leggermente, cercando di penetrare la mia obbiezione, poi fece: "Intende dire che sarei potuto involarmi dalla nave, venire sin qui, e poi tornare a bordo, e, in tal modo, essermi trovato qui per il furto, e laggiù per fabbricarmi un alibi?".

«"Qualcosa del genere" ammisi cupamente.

«"Non sarei potuto montare su un aereo senza fornire la mia identità."

«"Esistono cose come passaporti falsi, ad esempio."

«"Me ne rendo conto, ma penso che lei possa controllare se un elicottero abbia mai abbordato la nave. E anche controllare qualsiasi passeggero su qualsiasi volo tra qui e le Bermude durante il periodo della mia permanenza sull'isola. E appurare se qualche passeggero lasciava qualche dubbio, nel caso fosse un individuo del tutto distinto da me."

«Non mi presi il disturbo di dire a Stephen che tali controlli erano in effetti in corso, e alla fine non avevano avuto esito.

«Altre sedute seguirono e furono registrate, ovviamente, con l'autorizzazione di Stephen. Gli avevamo letto i suoi diritti, ma egli aveva dichiarato di voler collaborare in pieno e di non volere avvocato di sorta. Era il perfetto prototipo del cittadino modello, innocente e fiducioso della propria innocenza, il che non faceva che aumentare i miei sospetti. Sembrava troppo candido per essere sincero, e anche troppo sicuro di sé. Fu più o meno allora che cominciai a chiedermi se non avesse un fratello gemello, in modo da poter sembrare essere nelle Bermude mentre si trovava in sede. Anche tale ipotesi venne controllata: altro buco nell'acqua. Stephen era indubitabilmente figlio unico, nessun parto gemellare da parte di sua madre, ma l'idea di un sosia mi rimaneva fissa.

«In un successivo interrogatorio, domandai: "Durante il soggiorno alle Bermude, lei alloggiò sulla nave? O in un albergo?".

«"Sulla nave."

«"Era mai stato alle Bermude, in precedenza? È per caso persona ben conosciuta laggiù?"

«"È stato in assoluto il mio primo viaggio alle Bermude."

«"C'è qualcuno che possa testimoniare la sua presenza sulla nave ogni giorno?"

«Stephen esitò: "In quella crociera ero solo. Non ci andai con amici o conoscenti. Dopo tutto, non avevo idea, la minima supposizione, e come avrei potuto, che avrei dovuto provare che ero a bordo".

«Abbozzai un mezzo sorriso. Era un candore un tantino troppo candido.

"Non vorrà mica dirmi," insistei "che era un recluso, relegato negli angoli, senza rivolger mai parola ad altri crocieristi!"

«"No," rispose, un po' imbarazzato. "In effetti, fui socievole, come succede su una nave, ma non posso garantire che alcuna delle persone con le quali fui a contatto casualmente si ricordi di me. Eccetto..."

«"Prosegua! Eccetto chi?"

«"C'era una signorina, con la quale entrai in amicizia all'inizio della crociera. Divenne mia compagna abituale, per così dire, sia durante i pasti a bordo, sia per gran parte del soggiorno sull'isola... Non mi fraintenda, Mr. Koenig. In quell'amicizia, non c'era alcunché di scorretto. Non sono sposato, ma le garantisco che fu un incontro del tutto normale, così come fu irreprensibile la nostra temporanea frequentazione. Penso che la signorina potrebbe ricordarsi di me. A bordo, danzammo insieme, e, sull'isola, visitammo l'acquario, fummo insieme sul battello col fondo di vetro, la accompagnai nelle escursioni, pranzammo insieme al Princess Hotel. Cose del genere. In spiaggia però ci andava da sola. Io cerco di evitare il sole."

«"Vi vedevate ogni giorno?"

«Rifletté un istante: "Sì, ogni giorno. Non da mattina a sera, naturalmente.

E non di notte. Lei non entrò mai in camera mia, né io nella sua".

«"I suoi princìpi morali non ci interessano, signore."

«"Certo che no, ma non voglio dire nulla che si rifletta negativamente sulla moralità della signorina!"

«"Molto cavalleresco da parte sua. Come si chiamava la signorina?"

«"Artemide."

«"Artemide?" ripetei io, alquanto incredulo.

«"Così mi disse di chiamarsi, e così sentii altri chiamarla. Era molto graziosa, sulla trentina, più o meno, direi, con capelli biondo-scuro e occhi azzurri. Un metro e sessantacinque, o poco più, di statura."

«"E il cognome?"

«Stephen esitò di nuovo. "Non lo ricordo. Forse neanche me lo disse.

Quando si è in crociera, su una nave, tutto è informale, se rendo l'idea. Lei mi chiamava Stephen. Credo che nemmeno io le precisai il mio cognome."

«"L'indirizzo di questa giovane donna?"

«"Lo ignoro. Parlava con accento di New York, ma altro non so. Può sempre controllare l'elenco dei passeggeri a bordo quella settimana. La signorina vi figurerà senz'altro, e direi che sono zero le probabilità che vi siano due Artemide. L'elenco fornirà sicuramente il suo cognome e indirizzo."

«Al che, spensi il registratore, e lo avvertii che, come stabilito, egli restava confinato nel suo alloggio per tutta la durata dell'inchiesta, ma che qualsiasi cosa a lui necessaria gli sarebbe stata recata a domicilio, così come saremmo venuti incontro a ogni sua ragionevole esigenza esterna.

«Ero deciso a dimostrare, se ci riuscivo, che, chiunque fosse stato alle Bermude, non era Stephen. Chiaramente, a tale scopo, dovevo rintracciare e convocare la giovane compagna di viaggio.

«Ci vollero tre giorni di ricerche, e ogni giorno una grana. Ovviamente, non potevo tenere Stephen sotto chiave a tempo indeterminato, e, una volta che lui avesse cominciato a protestare abbastanza vigorosamente, avremmo dovuto avere in mano qualcosa di definito oppure lasciarlo libero.

«Ma l'uomo non si lamentava. Continuava a essere un cittadino modello, e non appena ebbi a rimorchio la famosa Artemide, feci in modo che lei lo vedesse in un momento in cui egli ignorava d'essere visto. Artemide disse: "Di sicuro, sembra Stephen".

«"Allora, vi mettiamo a confronto. Lei si comporti con naturalezza, ma, per favore, tenga gli occhi bene aperti; e mi faccia sapere se, per una qualsiasi ragione, lei pensa che non è l'uomo conosciuto sulla nave."

«La portai nella stanza, Stephen guardò Artemide, sorrise, e salutò senza esitare: "Salve, Artemide".

«La donna rispose, un po' esitando: "Salve, Stephen".

«Non era un'attrice consumata. Perché lo guardò ansiosamente, e Stephen avrebbe dovuto essere molto meno intelligente di quanto era per non capire che, su istruzioni, ella stava cercando di accertare se lui fosse un impostore.

«Alla fine, Artemide dichiarò: "Senz'altro, assomiglia moltissimo a Stephen, ma Stephen aveva piccoli ciuffi di peli sulle falangi delle dita.

Secondo me, erano molto virili. Adesso, non li vedo".

«Stephen non parve preoccupato di essere designato in terza persona, né sembrò offeso che la donna rilevasse certe differenze. Si limitò a sorridere e mostrò le mani. "I ciuffetti di pelo sono qui. Eccoli."

«"Dovrebbero essere più scuri." Lei, comunque, non pareva del tutto convinta.

«E Stephen: "Ricordi quella volta, mentre ballavamo, in cui mi impaperai per due volte col piede sinistro, e la mia mano scivolò via dalla tua, e tu dicesti che era successo perché avevo le mani così morbide? Quindi, non dovevi essere tanto colpita dalla loro peluria, non ti pare?".

«Il viso di Artemide si illuminò. Si girò verso di me ed esclamò: "Sì, successe proprio così!".

«"E ti ricordi che mi scusai di essere una frana come ballerino, e tu sostenevi il contrario, ma io sapevo benissimo che lo dicevi per gentilezza perché non mi sentissi a disagio? Lo ricordi, Artemide?"

«La giovane confermò lietamente: "Sì, lo ricordo. Oh, Stephen, sono contenta che sei tu".

«"Grazie per avermi riconosciuto, Artemide" continuò Stephen. "Diversamente, sarei stato in un bel guaio."

«Intervenni, un tantino irritato. "Calma, Miss Cataldo. Non precipiti le conclusioni."

«Lui volle aggiungere: "Fai così di cognome, Artemide? Me lo hanno chiesto, ma lo ignoravo. Non me lo avevi mai detto".

«Gli imposi di tacere con un cenno. Rivolto alla donna, dissi: "Gli faccia qualche domanda, Miss Cataldo: piccoli episodi che egli dovrebbe aver presenti".

«Artemide arrossì: "Mi baciasti mai, Stephen?".

«Stephen assunse un'aria imbarazzata: "Una volta... una volta soltanto.

Sul taxi, Artemide. Ricordi?".

«Alla Cataldo non diedi modo di rispondere, anticipandola seccamente.

"I particolari, Stephen. E senza esitazioni!"

«Lui si strinse nelle spalle. "Eravamo in taxi diretti in un posto chiamato Spittal Pond, un rifugio degli uccelli, che Artemide voleva vedere. Artemide mi prese in giro, in quanto avevo detto come era bello essere con una bella ragazza che preferiva vedere gli uccelli anziché frequentare i night-club, e lei replicò che nel giro di una settimana l'avrei scordata del tutto, e nemmeno avrei ricordato il suo nome. Al che, dissi galantemente: "Cosa?

Scordare Artemide, la casta cacciatrice?". Mi chinai verso e oltre lei, e scrissi il nome sul finestrino di sinistra dell'auto. Era una giornata umida, e sul vetro c'era un leggero strato di condensa."

«"E dove interviene il bacio?" domandai.

«"Be', io ero seduto alla sua destra," spiegò Stephen "e allungai un braccio, il destro, oltre il suo petto per scrivere il nome sul vetro. Il braccio sinistro lo tenevo allungato sullo schienale del sedile." E mimo la posa, protendendo il braccio sinistro dietro un'immaginaria compagna, e poi allungando la mano destra davanti alla stessa, in modo che quasi circondava ad anello chi gli stesse seduto di fianco. "Avevo appena finito di tracciare il nome che il taxi sobbalzò, forse una buca. Preso alla sprovvista, per poco non urtai col gomito contro la testa del tassista, e mi aggrappai alla spalla di Artemide per sostenermi, per puro riflesso istintivo., ed ecco che la stavo abbracciando." Sempre miniando, concluse: "La posizione era così irresistibile che la baciai. Solo sulla guancia, purtroppo".

«Guardai la Cataldo: "Ebbene?".

«Con gli occhi scintillanti, mi rispose: "È quello che accadde esattamente, Mr. Koenig. Lui è Stephen, senz'altro. Non v'è ombra di dubbio". E aggiunse melodrammaticamente: "Identifico costui come l'uomo della nave e delle isole ".

«Stephen sorrise, con appena un tocco di trionfalismo, così mi sembrò, e io dissi: "Benissimo. Lei può andare, adesso, Miss Cataldo".

«E questo è quanto.»

Koenig tacque e rimirò i Vedovi Neri, inarcando le sopracciglia.

Gonzalo esplose: «Questo è quanto? Pensavo che lei avesse affermato di aver demolito l'alibi!».

«L'ho detto, infatti. Ma lei voleva che io mi limitassi a descrivervi l'alibi, lasciando a voi di smantellarlo.»

«E il suo racconto non ha tralasciato nulla?»

«Nulla di essenziale.»

Avalon si schiarì la gola. «Ritengo che finiste col trovare Stephen Due.

Il che infranse l'alibi.»

«Lo avrebbe infranto,» rispose allegramente Koenig «ma non riuscimmo mai a rintracciare Stephen Due, mi spiace dirlo.»

Intervenne Halsted: «È possibile che Miss... Vattelapesca fosse stata corrotta? Che stesse mentendo?».

«Se lo era e mentiva,» replicò Koenig «non trovammo prova alcuna a corroborare l'ipotesi. In ogni caso, l'alibi fu demolito indipendentemente da quello che la donna disse o non disse... Nessuno di lor signori è stato alle Bermude?»

Il silenzio generale fu rotto da Gonzalo. «Mi ci portarono quando avevo quattro anni. Non ricordo niente di quei posti.»

Trumbull avanzò un'ipotesi: «Lei sta accennando forse che Stephen sbagliò nel citare qualche luogo delle Bermude? Che non c'era alcun rifugio degli uccelli del genere da lui menzionato, o che non esisteva alcun Princess Hotel, o sviste del genere?».

«No, al riguardo fu preciso e infallibile. Nessun errore da parte sua che potessimo scoprire quanto alla geografia e alle località di richiamo.»

Di nuovo cadde il silenzio, e alla fine Drake disse: «Henry, c'è qualche cosa in tutta la faccenda che, secondo te, abbia senso?».

Henry, che era appena tornato dalla biblioteca adiacente alla sala, rispose pensosamente: «Non posso parlare per diretta esperienza, in quanto neppure io sono mai stato alle Bermude. Ma è possibile che quanto disse Mr. Stephen abbia dimostrato che neanche lui era mai stato laggiù».

Drake esclamò, sorpreso: «Perché, che aveva detto?».

Henry argomentò: «Mr. Koenig ha concluso il racconto con la descrizione del bacio sul taxi, quindi ho pensato che forse qualche cosa di quell'episodio demolì l'alibi. Bermuda è una colonia britannica, e quindi mi è venuto in mente che possa seguire la prassi inglese per quanto riguarda il traffico stradale. Ho appena controllato sulla Columbia Encyclopedia, che non dice nulla sul punto specifico, però è una buona probabilità.

«Se alle Bermude il senso di marcia delle auto è a sinistra, come in Inghilterra, le auto devono avere il volante e il posto il guida sul sedile anteriore destro, come in Inghilterra; mentre negli Stati Uniti, dove il traffico procede a mano destra, volante e pilota sono sul lato sinistro della macchina. Se Mr. Stephen sedeva alla destra della signorina, e si era allungato oltre di lei per scrivere il nome sul finestrino di sinistra, come aveva dichiarato, era molto improbabile che quasi urtasse col gomito il guidatore, quando l'auto ebbe lo scossone. Perché il guidatore sarebbe stato sul lato opposto.

«Immagino che Stephen Due avesse riferito a Mr. Stephen l'episodio del bacio, omettendo però di menzionare il fatto del volante e del conducente, dandolo per scontato. Mr. Stephen volle aggiungere l'urto mancato del gomito contro la testa del tassista per dare un tocco di verosimiglianza, e fu quello il suo grosso errore, perché, senza dubbio, Mr. Koenig se ne accorse immediatamente. »

Koenig si addossò allo schienale, e sorrise ammirato: «Ottima ricostruzione, Henry».

«Non proprio. Il merito è suo, Mr. Koenig» rispose Henry. «Sapevo che lei demolì l'alibi; sapevo che lo aveva fatto in base al ragionamento, e sapevo che il ragionamento doveva essere dedotto dai fatti che ci ha fornito. Lei, nel demolire l'alibi, non aveva il vantaggio di quelle specifiche premesse conoscitive.»

 

(Titolo originale: The Alibi - 1989)

 

Questo racconto dimostra chiaramente l'influenza dei miei soggiorni vacanzieri alle Bermude