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La macchina con l’autista che Jay le aveva messo a disposizione per il ritorno da Udaipore era sempre pronta all’occorrenza ma, quando Dev se ne andò, lei rimase sul terrazzo e decise che si sarebbe fermata un giorno ancora. La confessione di Dev le aveva chiarito molte cose e, mentre ammirava il paesaggio inondato di sole e tremolante nel calore, provò molta compassione per Dev e per quello che doveva aver patito da bambino. Tuttavia, era lieta che lui avesse deciso di parlare con lei; era come se il cerchio attorno alla vicenda della morte di suo padre si fosse finalmente chiuso. La mattinata aveva preso una piega strana e irreale, e, nonostante la pioggia, l’aria era opprimente.

Eliza rientrò, passò attraverso un corridoio con grate di marmo lattiginoso, lasciò cadere la sua borsa e tornò nella grande sala con le finestre alte, dove la luce sembrava cadere dall’alto, dandole l’impressione che il soffitto fosse un pezzo di cielo. Erano accadute molte cose da quando Jay le aveva mostrato quel posto per la prima volta, e doveva ammettere che andarsene non era facile. Le pareti sembravano d’oro; era facile immaginare i bei tempi andati in cui quel palazzo era considerato una piacevole via di fuga per la famiglia reale. Ma Eliza sapeva che Jay non aveva i soldi per restaurarlo e che aveva investito tutto nella costruzione dell’impianto idrico. Stava per recuperare la borsa che conteneva la nuova Leica donatale da Clifford, quando si accorse che sulla porta c’era proprio Jay.

«Non credevo che saresti arrivato tanto presto», gli disse. «Pensavo che saresti rimasto alla reggia di Juraipore più a lungo».

«Be’, come vedi sono qui», le rispose. «Sono contento di averti trovata. Ho fatto trasferire tutte le tue attrezzature e i tuoi beni dalla reggia a qui. Arriveranno oggi pomeriggio».

Eliza non disse niente, ma guardò il vuoto sopra la testa di Jay. Perché parlava come se tra loro fosse tutto normale? L’atmosfera era immobile, l’aria sembrava aver lasciato la stanza per cedere il posto al calore.

«Eliza?»

«Grazie», mormorò, rigida. «Quindi l’incendio era una montatura?».

Jay annuì e fece un passo verso di lei, ma Eliza non si mosse, anche se avrebbe voluto ritrarsi. «Com’è andato il viaggio?», gli chiese.

Jay inarcò le sopracciglia. «Dobbiamo davvero essere così inglesi? Non abbiamo cose più importanti di cui parlare?»

«Dimmelo tu».

«Ah».

Si guardarono, finché lei non ruppe il silenzio. «Allora diventerai maharajah?».

Jay annuì.

«Lo immaginavo. Molto bene. Stavo giusto per prendere la mia valigia. Se tu potessi provvedere a farmi spedire le mie cose, te ne sarei molto grata». Non era stata capace di trattenere il risentimento; gli voltò le spalle e cominciò ad allontanarsi, ma Jay le corse subito dietro.

«Eliza». Cercò di prenderla per mano, ma lei si girò di scatto e lo allontanò.

«Io mi fidavo di te, Jay. Non mi sono mai fidata di nessun altro, solo di te».

«Puoi ancora fidarti di me».

Eliza si sforzò di ignorare l’espressione affamata nei suoi occhi mentre riprendeva a parlare. «Sapevi che sarei dovuto succedere al trono se fosse accaduto qualcosa ad Anish».

«Sì, lo sapevo. Sono stata sciocca a pensare che fosse cambiato qualcosa. Ora, se non ti spiace, vorrei andarmene».

«Eliza. Qui è diverso, lo sai. Vengono prima i doveri, poi i desideri personali».

«Va bene, non preoccuparti. Il mio desiderio personale sta per renderti la vita più facile».

«Ascoltami», disse. «C’è di più».

«E cosa potrebbe esserci di più, Jay? È tutto perfettamente chiaro».

Jay scuoteva la testa, sconvolto. «Resta qui. Vivi qui. Non voglio che tu vada via. Verrò più spesso che potrò».

Eliza si irrigidì e la mascella le si serrò. «Non sarò la tua concubina».

«Non ti sto chiedendo di esserlo».

«E allora cosa mi stai chiedendo, esattamente? Sai benissimo che devi sposare una donna di qui, non un’europea, se vuoi avere eredi legittimi». Sapeva di suonare amara, ma non le interessava.

Non ci fu risposta.

«Pensi che vivrò qui per il resto della mia vita», continuò, «in attesa delle tue visite, che saranno sempre più rare?».

Jay le rispose, premuroso: «Penso che qui avrai un bel posto in cui vivere, un progetto idrico da mandare avanti, se vorrai, e anche una carriera come fotografa».

Fu il turno di Eliza di scuotere la testa. «Perché non mi hai mai detto del padre di Dev?»

«Credevo che ti avrebbe sconvolto troppo».

«Più che altro, credevi che mi avrebbe fatto detestare Dev».

«Sì, anche forse. Eliza, e se lasciassi tutto questo a te? Pensa, potrebbe essere tutto tuo». E fece un ampio gesto col braccio.

«Pensi davvero di potermi comprare?»

«Per l’amor del cielo, Eliza. Non intendevo questo, ma solo che non voglio perderti».

Eliza sospirò. «Jay, mi hai già persa. Ci siamo persi». Poi tacque, e scese il silenzio. Avrebbe voluto dare in escandescenze e sparire, ma non poteva. «Non ti dimenticherò mai, Jay, ti amerò per sempre, ma tutto questo non sarebbe mai dovuto accadere. E, per essere onesti, credo che lo avessimo sempre saputo entrambi». Gli tese una mano. Lui la prese e la attirò a sé, poi la strinse tra le braccia per l’ultima volta. Quando si separarono, Eliza aveva gli occhi offuscati dalle lacrime e anche Jay aveva gli occhi lucidi. Anche se la tentazione di restare era grande, si costrinse a rimanere salda sulle sue posizioni, perché non ne sarebbe venuto niente di buono. Forse all’inizio avrebbe anche potuto funzionare, ma una relazione del genere non sarebbe mai durata nel tempo. Doveva andarsene; più riusciva a controllare le proprie emozioni, più forte sarebbe diventata.

«Sei una persona splendida, Eliza. Per favore, non dimenticarlo mai».

Eliza lo guardò dritto negli occhi turbati. «Farò sapere a Laxmi dove far mandare la mia attrezzatura».

«Dove andrai?»

«Prima devo vedere Clifford, poi andrò a Jaipore e, be’, vorrei organizzare un’esposizione fotografica, se riesco a recuperare le mie foto. Sarà prima di quanto avessi pianificato, comunque, poi forse tornerò in Inghilterra. Non lo so ancora».

«Hai ancora il portafoglio che ti ho lasciato a Udaipore?».

Eliza annuì. «Non volevo prenderlo, ma ora potrei averne bisogno per pagare le cornici e l’allestimento della mostra».

«Se c’è qualcosa, qualsiasi cosa, che ti occorre, devi solo dirmelo». Jay tacque e lei gli sorrise tra le lacrime, poi girò sui tacchi e si allontanò. Si sentiva triste come non mai, ma sarebbe stato inutile rinviare quel momento.