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Udaipore

Il calore non dava requie, ma durante il loro viaggio fino a Udaipore divenne chiaro che le piogge erano imminenti e che le tempeste si stavano radunando, accumulando energia. Il cielo era scuro e, per la prima volta da quando era arrivata in India, nel mese di novembre, Eliza vide le nuvole, scure e selvagge, come percorse da scosse che le scuotevano. Era eccitante, nuovo, diverso. Avrebbe voluto avere con sé la sua fotocamera per catturare le strane luci tra le nubi nere che scivolavano sopra gli Aravalli lontani. Al primo tuono esploso con violenza, Eliza sentì il sangue elettrizzarsi, mentre cavalcava la moto con Jay, diretta proprio verso le piogge.

«E se inizia prima che arriviamo lì?», gridò a Jay.

«Ci bagneremo!».

Eliza scoppiò a ridere, inebriata dalla gioia di averlo vicino ancora una volta, e respirò il suo profumo di sandalo e lime. Erano accadute tante cose prima delle piogge, ma ora davanti a loro un nuovo capitolo stava per aprirsi, proprio come il cielo, che minacciava di squarciarsi da un momento all’altro.

Si avvicinarono a Udaipore, ed Eliza si sentì sempre più emozionata. Aveva desiderato a lungo di vedere la romantica città dei laghi, circondata dagli Aravalli che si estendevano in tutte le direzioni; ora il momento era giunto. Refoli di vento caldo increspavano l’erba e lei si teneva stretta a Jay, anche se avrebbe voluto battere le mani e saltare come una bambina. Alla fine raggiunsero una fortezza che si ergeva sopra una collina, come era tipico di quegli edifici. Jay scese dalla moto e aiutò Eliza a fare lo stesso. Quando si raddrizzò, ammirò le arcate, le torri e le cupole della fortezza.

«Questo è l’unico luogo da cui si può davvero ammirare un monsone», disse Jay.

Eliza guardò in basso e non poté contenere lo stupore quando vide un palazzo che sembrava galleggiare sulla superficie specchiata del lago; rimase assolutamente incantata dalla posizione romantica del luogo.

«Davvero sei stato all’interno del palazzo sul lago?», gli chiese, come se stentasse a credere che qualcuno ci fosse stato davvero e che quel palazzo fosse reale e solido.

Lui inarcò le sopracciglia come a dire, che sì, ovviamente ci era stato.

Dopo aver dato uno sguardo al panorama mozzafiato della città e dei suoi dintorni, i loro bagagli furono portati all’interno e Jay la accompagnò fino a un padiglione coperto da enormi archi e colonne, dietro al quale si trovava il palazzo della fortezza.

«Guarderemo le piogge da qui», le spiegò, mentre la prima goccia cominciava a cadere.

«Iniziano?», domandò Eliza, che allungò una mano per controllare che piovesse.

«Può darsi».

Le nubi ondulate avevano ormai assunto un meraviglioso color porpora, e poi, tutto a un tratto, i lampi fecero brillare il cielo. Eliza sussultò e tenne stretta la mano di Jay.

«Non è meraviglioso?», le chiese.

«Non riesco a credere che esista un luogo come questo».

Jay rise e le strinse la mano. Lei gli si appoggiò contro e a contatto con la schiena sentì il battito del suo cuore.

«Tutta questa zona è circondata da foreste, laghi, e come ben vedi, da colline. Quando smetterà di piovere, ti mostrerò i vicoli della città vecchia».

«Il palazzo sul lago sembra quasi uscito da un libro di favole».

«Si tratta del Palazzo d’Estate».

«Potremo nuotare? Dopo le piogge?»

«Se non hai paura dei coccodrilli».

All’inizio caddero solo poche gocce di pioggia, poi sentirono un’esplosione di tuoni così forte che il mondo sembrò tremare. E solo allora le cateratte del cielo si aprirono. La pioggia cadde fitta, un lenzuolo d’acqua scese sulla città, frangendo il lago e impregnando la terra secca, da cui si alzava un profumo dolce. Si accorse che Jay stava parlando, ma non riuscì a comprendere le sue parole, sovrastate dai tuoni.

Rimasero in piedi ad ammirare la vista per un’altra oretta, la pioggia cadeva come se la tempesta dovesse riversare tutta l’acqua del mondo e il cielo lampeggiava di continuo. Ben presto l’aria divenne bianca e la cortina d’acqua così fitta da celare la vista della città, del lago e del palazzo. Soltanto quando i tuoni cessarono, Jay la fece girare. Al crepuscolo e con la pioggia, Eliza riusciva a malapena a distinguere il suo viso, non fosse stato per i suoi occhi che brillavano.

«Sei pronta?», le chiese. «Questo è ancora niente».

«Sì, andiamo».

La riportò dentro al palazzo. Eliza gli chiese dove fosse il proprietario e se sapesse che loro erano lì.

«È un mio vecchio amico e non devi preoccuparti, è tutto organizzato».

«Sapevi che sarei venuta con te?»

«Ci speravo».

Raggiunsero la loro stanza, dove c’era un enorme letto a quattro piazze, con le tende aperte.

«Vuoi che le chiuda?», le chiese.

Lei scosse la testa e si avvicinò alle grandi finestre. «Teniamo aperte anche queste tende».

«Sì, e anche le finestre, in modo che possiamo sentire…».

Eliza rise. «Sei così romantico, Jayant Singh Rathore».

«È per caso un male?».

Eliza corse da lui e gli gettò le braccia al collo. Lui la spinse via dalla finestra e la portò a letto. La fece sdraiare sui cuscini e le sfilò la gonna e le calze, mentre le sue dita le sfioravano le gambe. «Seta?», le chiese.

«Il mio unico paio. Me le ha regalate Dottie». Eliza non riuscì a trattenere una risata, come se la gioia fosse stata repressa troppo a lungo e adesso dovesse necessariamente scoppiare, sopraffarla, scuoterla. Anche Jay rise; tuttavia, poco dopo, Eliza si ritrovò a piangere e ridere insieme, perciò Jay le asciugò le lacrime. Quando si tranquillizzò, la denudò completamente e la guardò.

«Sei così pallida», le disse, «come una porcellana».

Del tutto stordita dalla notte, Eliza si sentì libera dalle sue incertezze; non sapeva definire precisamente le proprie sensazioni, ma sapeva che quello era un momento meraviglioso, come nessun altro.

«Adesso tocca a me spogliarti», gli disse.

«Voglio prima toccarti».

Eliza chiuse gli occhi e le dita di Jay si mossero piano sulla sua pelle, la sfiorarono dalla punta dei piedi fino alle palpebre; quel che provava era talmente inebriante che si abbandonò completamente a lui. In Jay c’era qualcosa di eterno, ancestrale, come la terra da cui proveniva, e quando Eliza giaceva con lui si sentiva risucchiata nel suo mondo, come se anche in lei ci fosse un briciolo di eternità, sospesa nel tempo.

Lo spogliò e fecero l’amore. Lentamente, a lungo, tanto che Eliza non seppe dire per quanto furono un tutt’uno. Fuori un tuono esplose, mentre il suo cuore batteva forte. Poi giacquero vicini, madidi di sudore. Eliza si chiese se dovesse dire qualcosa, ma il suo amore per lui era talmente intenso che non osò profferire parola per paura di rovinare quel momento di vertigine.

Si amarono più volte, quella notte. La tempesta infuriava rabbiosa, il vento soffiava la pioggia fin dentro gli infissi delle finestre, e il loro desiderio divenne urgenza. Con il sapore di Jay sulla lingua, Eliza decise che quelli erano i momenti più emozionanti di tutta la sua vita. I loro gemiti non potevano essere uditi all’esterno, a causa dei monsoni, ma non le sarebbe importato nemmeno se avessero avuto tutte le orecchie del mondo addosso. Pensò alla gente nella città sottostante, sorridente per il sollievo e per la felicità connessi all’arrivo delle piogge, e si chiese quanti bambini sarebbero stati generati quella notte.

Il giorno seguente, approfittando di una pausa del temporale, Jay la portò alla città vecchia. Eliza si stupì nel vedere quanto fosse salito il livello dell’acqua del lago Pichola, circondato da templi e palazzi, da banchine per i bagni sacri, i ghat, e dalle morbide colline ocra e porpora dei boschi sui monti Aravalli.

Ma il cambiamento non riguardava solamente il lago: piccoli fiumi d’acqua si riversavano nel lago dalle gole e dai canali; tutto era intriso d’acqua e brillava alla luce del mattino. Jay le spiegò che la città veniva spesso chiamata la Venezia d’Oriente e che i suoi tranquilli specchi d’acqua erano circondati da rigogliosi giardini.

«La città è magnifica durante la stagione dei monsoni, perché tutti e cinque i laghi di Udaipore si riempiono e il loro livello sale. Come puoi vedere, persino i palazzi splendono».

«Dev’essere questo il luogo più romantico di tutta l’India».

Jay rise e la prese per mano. «Allora siamo nel posto giusto».

«Possiamo camminare così in pubblico?»

«Cosa t’importa della gente?»

«Intendo che qui è diverso. Non si dovrebbe, vero?»

«Credo che non importi a nessuno. Quando cade la pioggia, la gente viene colta da una sorta di euforia. Ti entra nel sangue e le normali costrizioni vanno a farsi benedire».

«Mi fa piacere che faccia più fresco».

Jay fece un movimento ampio con il braccio destro. «Guardala. La città è stata fondata dal re Rajput, maharana Udai Singh ii nel 1559».

«Meraviglioso, ma la pioggia è finita?», gli chiese. «È tutto qui?».

Lui la guardò sorpreso. «Spero bene di no. Ce ne occorre molta di più, questa è appena sufficiente a rinverdire le colline. A casa abbiamo un nuovo lago da riempire».

«Cielo, l’avevo quasi dimenticato».

Jay non si sbagliò: le piogge monsoniche caddero ancora; la seconda sera Eliza si rese conto che Jay aveva il cuore più leggero. Come aveva potuto non capire quanto dovessero essere importanti le piogge per lui? Abituata com’era al clima piovoso dell’Inghilterra, aveva facilmente dimenticato che in India la pioggia poteva fare la differenza tra la vita e la morte.

Trascorsero insieme un’altra notte meravigliosa e parlarono molto, al buio, come fanno gli amanti nelle fasi iniziali delle loro relazioni. Era tutto diverso rispetto ai giorni trascorsi al palazzo di Jay, perché stavolta si erano aperti onestamente l’uno all’altra. Jay le raccontò la propria infanzia in Inghilterra, di quando piangeva sul cuscino di notte, di come odiasse il cibo insipido e lo snobismo degli inglesi. Le raccontò di quanto avevano sofferto quando Laxmi aveva perso la bambina, la loro sorella.

«Credo che sia per questo che ci siamo legati tanto a Indi. Soltanto lei avrebbe potuto prendere il posto di mia sorella. Per Laxmi è stata dura. Un figlio è una parte di te e cosa fai quando la perdi?»

«Non so se mia madre si sia mai sentita così», disse Eliza. Gli spiegò che non aveva mai creduto che sua madre la amasse. Gli raccontò che non le era mai piaciuta l’intimità con Oliver e che aveva paura di andare a letto, la notte. Quando Oliver si addormentava, lei andava in salotto, dove rimaneva seduta la maggior parte della notte, e poi dormiva di giorno, quando lui andava via. Pianse, e gli disse che non avrebbe mai potuto immaginare che potesse essere tanto diverso, e poi, col suono regolare e costante della pioggia che cadeva, si addormentò.

La mattina seguente furono svegliati da qualcuno che bussava forte alla porta della loro camera.

Jay scese dal letto, afferrò una vestaglia e, quando aprì la porta, Eliza si tirò il lenzuolo fin sopra la testa. Non era mai stata tanto felice, ma un conto era che i servi fossero a conoscenza della loro relazione, un altro che la vedessero nuda nel letto di Jay. Sentì la porta richiudersi e Jay tornare sui suoi passi. Rimase sorpresa, perché non tornò subito a letto, quindi emerse dalle lenzuola e lo vide alla finestra, in silenzio.

«Che succede?», gli chiese, con un nodo allo stomaco e la voce tremante per l’ansia.

Lui si voltò e le porse un biglietto.

«Ecco qui», disse con voce spenta. «Leggilo».

Eliza scivolò fuori dal letto e lo raggiunse, lesse il biglietto e non riuscì a capire fino in fondo cosa significasse per lui.

«Mi dispiace tanto», gli disse.

«Devo andare», e la guardò con un’espressione così triste che Eliza si sentì percorrere da un brivido.

«Adesso? Devi andare adesso?».

Jay annuì, cupo.

«Ma tornerai?»

«Sediamoci».

«No, dimmelo».

«Come hai appena letto, Anish è morto e io non posso fare altro che tornare alla reggia. Lo capisci?»

«Naturalmente», rispose, consapevole di sembrare una bambina imbronciata.

«Dovrò succedere al trono il prima possibile».

«Ma tornerai?».

Lui scosse la testa. «Non sono sicuro di poterlo fare. Perlomeno non subito».

«Che ne sarà di me?»

«Penseremo a qualcosa». Posò un portafoglio sul comodino. «In caso avessi bisogno di soldi».

«Come? Cosa faremo?», domandò, ignorando il denaro.

«Eliza, non lo so ancora. So soltanto che c’è un cavallo che mi aspetta e che devo andare».

«Non puoi cavalcare con questo tempo».

«È pur sempre più sicuro che spostarsi con la motocicletta».

«Più sicuro?».

Eliza si sedette sulla sedia accanto alla finestra, non riusciva a credere che tutto ciò stesse accadendo veramente.

«Hai perso tuo fratello, tua madre e Priya saranno sconvolte. Capisco che abbiano bisogno di te».

«Non si tratta solo di questo», le spiegò. «Se non rientro, gli inglesi si prenderanno il nostro regno. Sono anni che cercano di sbarazzarsi di Anish, e questa potrebbe essere per loro un’occasione d’oro». Mentre Jay si rivestiva, Eliza lo guardava confusa, consapevole del fatto che lui aveva ragione e che non c’era nulla che lei potesse fare.

«E noi?»

«Fammi prima andare a valutare la situazione. Ti manderò una macchina che ti condurrà al mio palazzo appena il tempo lo permetterà. È meglio che tu stia lì finché le cose non si saranno sistemate».

«Poi mi raggiungerai?»

«Per un po’, ma dovrò vivere al palazzo di Juraipore, almeno all’inizio».

«E verrò anch’io con te?».

Lui chiuse gli occhi per un momento e non rispose.

«Jay?».

Le si avvicinò e la abbracciò stretta, ma Eliza lo spinse via. «Vuoi dire che non potremo mai vivere insieme? Sposerai qualche principessa o una cosa del genere?».

Di nuovo, Jay non rispose.

Eliza lo fissò sconcertata da tutto ciò che comportava la morte di Anish, desiderando qualche parola di conforto. Nonostante gli dispiacesse per la sua perdita, Eliza fu scossa da un forte impeto di rabbia.

Dato che Jay ancora non diceva una parola, si voltò e corse lontano da quella stanza, da quella fortezza, ma soprattutto da lui. Accecata dalla pioggia, risalì la cima della collina con le lacrime che le bruciavano le guance, indifferente al fatto che riuscisse a malapena a vedere dove metteva i piedi. Persa nel buio della tempesta che infuriava, Eliza se la prese più che altro con se stessa.

Che sciocca che era stata, si era fatta sedurre da un luogo romantico.

Quando tornò indietro, completamente fradicia e afflitta, lui era già partito. Era proprio ciò che Eliza voleva: non avrebbe sopportato di doverlo guardare ancora.

Tuttavia, ora che se n’era andato, il suo cuore era spaccato a metà. Si sentiva sporca e lacera, incapace di calmarsi e di alleviare il dolore. Il più bel momento della sua vita si era trasformato nel più orribile. Amare Jay era stato un atto naturale, ma aveva comportato delle conseguenze. La sua infanzia solitaria aveva già segnato tutta la sua vita, ma Jay era stato capace di creare una connessione con lei. Come avrebbe potuto accettare che fosse tutto finito? Sola nella stanza che avevano condiviso, si sentì triste e senza speranza. Cosa doveva fare con l’amore che le aveva riempito la vita? Dove sarebbe andata? Pensò alle parole che una volta Jay le aveva detto: “Devi essere devastata dall’amore per conoscerlo veramente”, ma non le furono di conforto. Si torse le mani, rigirandosele per l’angoscia. Non mangiò nulla per il resto della giornata e, quando la luce svanì, guardò il cielo passare dal viola al nero.

Forse un giorno avrebbe ripensato a quelle notte a Udaipore senza soffrire.

Forse avrebbe finalmente dimenticato i battiti del suo cuore trepidante mentre giacevano vicini, pelle contro pelle. Jay si era impadronito del suo corpo, ma ancor di più le era entrato nell’anima, e nulla sarebbe stato più come prima. Quando la polvere arida del deserto scomparve e la terra fu ammorbidita dalla pioggia, Eliza soffrì per aver condiviso i monsoni con lui, e per averlo perduto per sempre.