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Per una settimana circa, tutto sembrò procedere senza problemi ed Eliza dimenticò presto le lacrime della notte del durbar. Non era il momento di lasciarsi sopraffare da qualsiasi tipo di emozione, ma di lavorare.
Fino ad allora, il personale le aveva dato libero accesso alla maggior parte dei luoghi della reggia, incluse le cucine e i magazzini, e anche le donne della zenana erano state amichevoli con lei. Infatti, quando aveva scoperto che Anish aveva ancora delle concubine, Eliza aveva iniziato a gravitare intorno alle donne, molte delle quali erano anziane e vivevano lì dai tempi del padre di Anish. Alcune di loro le raccontarono la propria storia. Erano state prese da bambine per essere portate alla reggia e, da quel momento, molte di loro non avevano mai lasciato la dimora. Tuttavia, ridevano, cucivano e cantavano e, stando assieme a loro, Eliza sperimentò un tipo di cameratismo femminile che le era del tutto sconosciuto.
Non sembrava per niente simile a quello del periodo in cui aveva frequentato un collegio femminile, per gentile concessione di un uomo che sua madre definiva uno “zio”. L’uomo in questione si chiamava James Langton ed Eliza sapeva bene che non si trattava affatto di un parente, anche se a lei e a sua madre era stato offerto un piccolo alloggio nella sua proprietà e tutto ciò che Anna doveva fare in cambio era controllare il suo staff ogni volta che lui partiva.
Fino a quel momento, Eliza non era riuscita a comprendere la facilità con cui altre persone mettevano radici con tanta sicurezza nel loro mondo.
Ma adesso, anche se le donne della zenana sicuramente spettegolavano alle sue spalle quando lei non c’era, a Eliza non dispiaceva. Si divertiva con loro, cosa che non succedeva con le bambine alla scuola femminile, di cui non si era mai fidata. Solo in uno di quei giorni in cui Priya si univa a loro, Eliza aveva occasione di vedere il lato malvagio delle donne della zenana; da ciò comprese che non si fidavano della loro maharani.
Proprio mentre Eliza stava scattando una fotografia a una delle concubine più giovani, Indira entrò nella stanza portando con sé una borsa e parlò in inglese, in modo che nessuna delle altre donne potesse capire cosa stava dicendo.
«Vuoi vedere qualcosa di interessante?», le chiese con un gran sorriso in faccia, e, tutta soddisfatta, prese una sedia e ci si sedette.
«Dipende».
«È una specie di funerale».
Mentre le parole della ragazza si sedimentavano, Eliza si accigliò. Ne aveva avuto abbastanza, di funerali.
«Ti piacerà. Te lo prometto».
Eliza esitò. Non aveva più visto molto Indira dopo la sera del durbar, quando la ragazza le era sembrata tanto gelosa.
«Sta arrivando Kiri».
«Davvero? L’ancella?».
Indi annuì. «La incontreremo in città».
Eliza decise di accontentarla e iniziò a impacchettare le sue cose. «Ho finito qui, perciò perché no? Ma non posso stare fuori troppo a lungo, voglio sviluppare le lastre il prima possibile, non appena saremo di ritorno. Posso portare la mia Rolleiflex?»
«Solo se la porti in una borsa a spalla».
Poi saltò in piedi e le mostrò qualcosa. «Non staremo via a lungo, ma avrai bisogno di cambiarti. Ti ho portato abiti di foggia indiana».
«Da dove vengono?».
Indi inclinò la testa di lato e sorrise misteriosa.
«Io posso procurarmi qualsiasi cosa. E adesso cambiati».
«Davanti alle altre?».
Indi rise. «Certo. Siamo tutte donne qui, non hai niente che non abbiano già visto. Potrai riprenderti i tuoi vestiti più tardi».
Eliza non era timida ma, mentre si cambiava, le guance le avvamparono per l’imbarazzo, quindi tentava di coprirsi. Le donne risero e parlottarono tra loro, talmente in fretta che Eliza non riuscì a seguirle. Sembravano abbastanza benigne, anche se la curiosità di vedere una donna bianca mezza nuda che arrossiva come un lampone doveva essere un’esperienza nuova e affascinante per loro. Una volta che fu pronta, con indosso la gonna e la blusa tradizionali, Eliza si sentì diversa.
Appena lasciata la zenana, Indi la spinse improvvisamente in un recesso del corridoio. Eliza si accigliò, ma Indi si portò un dito alle labbra. Poco dopo le spiegò: «Chatur! Il dewan, l’ufficiale di corte».
Eliza ricordò gli occhi scuri e le sopracciglia folte di quell’uomo. «E allora?»
«Ha occhi dappertutto. È abituato a me, ma meno cose sa di te, meglio è. Ficcherà il naso in tutto ciò che farai se non starai attenta. Andiamo adesso, è andato via».
«Perché devo stare attenta?»
«Perché lui odia i cambiamenti e non ama gli inglesi. Dubito che approvi la tua presenza qui. È un uomo vecchio stile. Lui e Priya sono molto intimi. Meglio evitare entrambi».
Dopodiché Indira prese a chiacchierare del più e del meno. Qualunque cosa l’avesse sconvolta la sera della festa, sembrava essere passata. Forse lei e Jay erano riusciti a parlare? In ogni caso, Eliza si sentì sollevata per non aver causato problemi. Affascinata dagli scorci della vita regale, non si era preoccupata dei sentimenti malevoli che avrebbero potuto rovinare ogni cosa. Quanto a Clifford, l’aveva già relegato in un angolo dei suoi pensieri.
Quella era la prima vera visita di Eliza al cuore medievale della città e fu lì che incontrarono Kiri, che le avrebbe accompagnate. Eccitata alla vista dei colori sgargianti nel groviglio di strade tortuose, Eliza sentì battere forte il cuore. I bazar della città vecchia sembravano irradiarsi come nastri stretti dalla torre dell’orologio al centro e, mentre seguiva Indi e Kiri, Eliza vide di tutto, dai tintori ai fabbricanti di marionette; le venne in mente che, se si fosse persa lì, non sarebbe mai stata in grado di ritrovare la strada. Quella gente l’avrebbe aiutata? Con le loro piccole vite, le loro gioie, le loro paure, sembravano tanto vicini tra loro eppure estremamente lontani. Nei mercati delle spezie, gli aromi degli incensi si diffondevano nell’aria attorno a loro, così come il profumo tenero della carne di capra alla brace.
Poi, a mano a mano che procedevano attraverso i bazar che vendevano di tutto, dai dolci ai sari, udì il suono di un tamburo che sembrava crescere d’intensità.
«C’è una festa?», chiese, sapendo che gli indiani amavano festeggiare tutto, dalla celebrazione di una nascita di una divinità a un raccolto fruttuoso, fino ai festival musicali.
«Non proprio».
Eliza si fermò in mezzo alla strada. «Dunque?».
Indi si voltò verso di lei, che riprese a camminare. «I famigliari di Kiri sono burattinai. Oggi è un giorno speciale per loro. Sbrigati, o sarai investita da un risciò».
«Ma hai detto…».
«Che era un funerale. E lo è, in un certo senso».
«Sei davvero molto misteriosa».
Indi rise, prendendo sotto braccio Eliza e Kiri, che stava sorridendo.
«Vedrai. Credi nel karma o destino?»
«Destino? Non sono sicura di cosa voglia dire».
«Io ci credo. Noi qui crediamo che esista una cosa chiamata adit chukker, l’invisibile ruota del fato. E oggi non fa eccezione».
A quel punto Eliza sentì una voce chiamarla per nome, in inglese. Si voltò e vide Dottie, col volto arrossato, che correva verso di lei. «Sapevo che eri tu», disse la donna. «Cielo, sono fuori forma. Regola numero uno, mai correre con questo caldo! Ma cosa ci fai qui con indosso questi abiti?»
«Si tratta di una cosa strana, in realtà. Sto andando a una sorta di funerale».
«Santo cielo, è sicuro?», e si guardò attorno come alla ricerca di possibili aggressori nascosti nei vicoli.
«Sono certa di sì», disse Eliza. «Comunque, come stai tu, Dottie? Mi è dispiaciuto di non vederti al durbar».
«Avevo uno dei miei terribili mal di testa. Julian mi dà qualche medicinale, ma mi indebolisce parecchio». Dottie toccò il braccio di Eliza e fece una piccola pausa. «Ma, sul serio, andartene in giro così, tutta sola…».
«Sono con loro due». Indicò Indira e Kiri.
«Intendevo dire…».
«So cosa intendevi, ma sto bene così, davvero».
«Clifford approverebbe?»
«Probabilmente no. Ma, senti, perché non vieni con noi?».
Dottie sorrise. «Sai, mi piacerebbe, ma sono con Julian. Sta cercando una scacchiera».
«Peccato». Eliza fece un passo indietro e guardò Indi.
«Magari un’altra volta?».
Eliza annuì. «Mi dispiace, ma non posso trattenermi oltre».
«Certamente. Ci vediamo presto?».
Eliza colse una nota perplessa nel tono di voce della donna e si rese conto che anche Dottie doveva sentirsi un po’ sola. Avrebbe fatto uno sforzo e sarebbe passata presto da lei.
Dottie si allontanò ed Eliza raggiunse le ragazze che l’attendevano.
Quando infine arrivarono alla periferia della città, andarono sulla riva di un fiume, che non era particolarmente ampia e certamente non molto profonda; lì, in effetti, tutto sembrava meno polveroso che in città ed Eliza avvertì anche una certa freschezza nell’aria. E poi vide una piccola folla riunita a guardare uno spettacolo di marionette.
«Siamo qui per questo?»
«In un certo senso».
Lo spettacolo impressionante di quelle marionette alte quasi un metro su un palcoscenico in miniatura, con le teste scolpite nel legno duro e con indosso veri costumi elaborati, era una cosa che Eliza non aveva mai visto. Il burattinaio, seminascosto, emetteva suoni attraverso una canna di bambù per modificare il suo normale tono di voce e muoveva le braccia e le gambe delle marionette manipolando i fili a cui erano attaccate. Accanto a lui, una donna suonava il tamburo che Eliza aveva sentito da lontano.
«Si tratta di un dholak, il tamburo», spiegò Indira.
«Queste storie parlano del destino. E di amore, guerra e onore. Puoi chiedere a Jay. Lui sa tutto sull’onore».
Eliza si chiese se ci fosse un’insinuazione nelle parole di Indira, ma poi cercò di non pensarci. Probabilmente si stava immaginando tutto.
«Queste persone sono agricoltori della zona del Nagaur, meglio noti col nome di kathputliwalas. Di solito si esibiscono con le marionette la sera tardi, ma stavolta la situazione è differente».
Eliza ascoltava il burattinaio che urlava e fischiava; una seconda donna, invece, raccontava la storia, mentre la prima continuava a cantare e a suonare il tamburo.
«Siamo qui per un funerale», continuò Indi.
«Ma di chi?»
«Sta lì sdraiato».
Anche se non aveva alcuna voglia di vedere un cadavere, Eliza non poté fare a meno di voltarsi a guardare. Vide solo Kiri, accovacciata a terra accanto a un altro pupazzo di un metro circa, steso su un letto di seta.
«Quel burattino è vecchio e troppo usurato per essere ancora usato».
Eliza osservò la conclusione dello spettacolo. Il burattinaio si avvicinò a Kiri e le diede un bacio sul capo, poi prese il burattino e lo portò amorevolmente vicino all’acqua, dove iniziò a pregare. Eliza catturò la scena con la sua macchina fotografica, quando lui, continuando a pregare, adagiò la marionetta nell’acqua con l’aiuto di Kiri.
«Più a lungo galleggia, più felici saranno gli dèi», spiegò Indi.
«Perché Kiri lo sta aiutando?»
«Il burattinaio è suo padre».
«Ma lei vive con la sua famiglia?»
«Non può. Per lavorare alla reggia, deve vivere alla reggia».
Quando la cerimonia fu terminata, le tre ragazze attraversarono di nuovo il bazar, schivando le biciclette, le vacche addormentate e le merci sparse a terra; si fermarono solo per avvolgersi in sciarpe colorate e provare collane, mettendosi in posa e ridacchiando.
«Stai bene vestita come un’indiana, Eliza».
«Ma perché mai ho dovuto vestirmi così? Di sicuro avrei dovuto anche coprirmi il capo».
«Sì. Ma ho pensato che fosse più divertente, e che ti avrebbero notato di meno così».
Eliza le sorrise. Si era divertita, anche se era stata un po’ a disagio per via della sua carnagione pallida; si sentiva insolitamente leggera e spensierata, e ammirò la profonda conoscenza che Indi aveva della città. Inoltre, le sembrò di scoprire un lato sconosciuto di se stessa. Nessuno infastidì le ragazze, le strade pullulavano di donne, alcune ancora con la purdah, altre che invece avevano scelto di non indossarla.
Comprarono piccole palline di pasta di farina fritta, o golgappe, e frittelle di lenticchie che Indira chiamò daalbaatichurma, e poi andarono a sedersi in un parco a mangiare.
Quando raggiunsero le pendici della collina era ormai il tramonto e Eliza s’incantò di fronte a quella meraviglia. Tutta la fortezza era illuminata e sembrava fosse stata dipinta d’oro. Ogni finestra scintillante la ipnotizzava e, se Eliza non fosse rimasta presente a se stessa, quel mondo incantato l’avrebbe trascinata via e non sarebbe mai più tornata in quello reale. Era stata una giornata felice, una giornata gioiosa, di quelle in cui è possibile apprezzare quanto sia bello vivere, in cui non è necessario difendersi o proteggersi. Eliza sperava tanto che lei e Indi sarebbero diventate vere amiche, era passato molto tempo dall’ultima volta in cui aveva avuto un’amica così.