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L’umore di Eliza era cambiato radicalmente da quando aveva parlato con Laxmi. Era stata una folle a indulgere in quei romanticismi senza speranza. Da quel momento in poi i suoi rapporti con Jay sarebbero stati strettamente formali, perciò, quando lo incontrò, mentre lasciava la sua ala del palazzo, lo salutò a malapena e si affrettò a salire le scale. Non si fermò neppure a controllare quale reazione avesse avuto; arrivata nella sua stanza, chiuse a chiave la porta, con il cuore che le pulsava tra le costole. Non riusciva a respirare, aveva il fiato corto, anche se non aveva corso, e ripensando a quello che era successo, decise che sotto la dignità di Laxmi c’era una volontà d’acciaio.

E se Laxmi avesse avuto ragione? Forse la cosa migliore da fare era portare a termine il lavoro il più velocemente possibile, stare solo sei mesi a Juraipore e uscire finalmente da quel palazzo dimenticato da Dio una volta per tutte. Dottie sarebbe stata d’accordo con lei, ne era sicura. Avrebbe dovuto scattare qualche altra foto ai componenti della famiglia reale e alla città antica e, ovviamente, usare la sua Sanderson.

Clifford aveva organizzato un picnic sulle rive del lago appena fuori città, dove lei gli avrebbe detto di voler accelerare le cose. E per quanto riguardava il piano idrico di Jay? Avrebbe dovuto continuare senza il suo aiuto.

«Le cose belle hanno vita breve», sussurrò, pensando a quando lei e sua madre avevano lasciato l’India per andare a vivere da James Langton nel Gloucestershire. Aveva creduto che lui l’avrebbe accolta, che gli sarebbe piaciuto avere una bambina attorno, ma fu spedita lontano, in una scuola femminile, ed Eliza aveva sempre pensato che lui volesse togliersela di torno.

Il picnic di Clifford le fece tornare in mente un altro ricordo.

Era accaduto poco prima che lei partisse per la scuola. L’unica volta che James Langton aveva accompagnato Eliza e Anna a fare una piccola gita, avevano percorso i campi assolati con lui che teneva in mano un cestino da picnic. Era l’inizio della primavera, Eliza era così felice che anche James si fosse unito a loro, ma l’uomo non aveva gradito il tortino di pollo che sua madre aveva preparato e, quando accidentalmente si era seduto sopra gli escrementi di una mucca, Eliza era scoppiata a ridere. Langton l’aveva afferrata per il gomito e fatta alzare dalla coperta su cui stava seduta, poi l’aveva schiaffeggiata duramente. Doveva avere già tredici anni e aveva trovato quell’episodio davvero umiliante. Era scappata di corsa a casa, piangendo per tutta la strada, e Anna era tornata più di un’ora dopo, con i capelli scompigliati e i bottoni del vestito allacciati male. Proprio quando avrebbe avuto bisogno dell’amore e della consolazione di sua madre, Anna aveva preso le difese di Langton; Eliza l’aveva vissuto come un amaro tradimento.

Eliza non era in vena di picnic, ma aveva indossato un abito verde pallido con una gonna a ruota e un cappello di paglia a falde larghe. Molti conoscenti di Clifford si sarebbero uniti a loro, perciò Eliza si preparò mentalmente a un pomeriggio di convenevoli.

Con sua grande sorpresa, non fu così.

Il luogo prescelto per il picnic non avrebbe potuto essere più spettacolare. La servitù si occupò di scaricare le poltrone, un tavolo, i ventagli e gli enormi ombrelloni parasole dalle carrozze e dai carri tirati dai cavalli. Il tutto fu sistemato sulle rive di un lago scintillante alla luce del pomeriggio. Gru, pellicani e cicogne si erano raccolti sugli argini; sull’acqua nuotavano le anatre e gli alberi che fiancheggiavano il lago pullulavano di uccelli canterini. Le colline si alzavano tutt’attorno, azzurrine in lontananza. Sembrava proprio che Clifford non avesse badato a spese e che avesse pensato a tutto. Julian Hopkins e Dottie, erano sempre amichevoli, anche se Eliza si sentì un po’ in colpa quando andò ad abbracciare l’amica. Avrebbe voluto andare a far visita a Dottie molto più spesso, invece negli ultimi tempi non l’aveva fatto.

«Non fa troppo caldo per te?», le chiese Clifford indicandole una sedia all’ombra. «Saremmo potuti scendere al lago, ma quassù l’aria è più fresca. Spero che ti piaccia, Eliza».

«È davvero incantevole», rispose lei, e ammirò gli uccelli che si radunavano sull’acqua. «Mi piacerebbe scattare un paio di foto dopo pranzo, più tardi nel pomeriggio, quando il sole sarà meno forte. Mi piace fotografare con una luce più tenue».

Gli altri parlavano tra loro amabilmente, mentre sul tavolo venivano adagiate una tovaglia inamidata di lino e poi delle posate d’argento. C’erano anche due tende chiuse, con le pareti di seta e il telo superiore di mussola, aperte verso il lago.

«Sono kanat», le spiegò Clifford, notando che le stava osservando. «Perfette per riposare dopo un lungo pranzo».

Eliza si alzò in piedi e andò a guardare all’interno di una tenda. Era piena di cuscini di raso e tre musicisti si erano già preparati lì accanto. L’aria sapeva di pulito ed era sorprendentemente fresca; Eliza si sarebbe dovuta rilassare, eppure riusciva a pensare solamente a Jay. Quello che era successo la notte dell’Holi l’aveva lasciata profondamente scossa e tesa. Non era venuta fin lì per cercare l’amore, e di certo quello non era ancora amore. Ma cos’era stato? Lussuria? C’era qualcosa di più profondo che li univa? Se ne stava immobile a pensare davanti al lago, lo guardava ma non lo vedeva. Una volta le aveva detto che erano uniti dal cuore spezzato, anche se in quel discorso aveva incluso anche Indi.

«Dunque», stava dicendo Clifford, «cosa ne pensi?»

«Come, scusa?»

«Non mi stavi ascoltando?»

«Scusami, ero soprappensiero», e indicò vagamente il paesaggio. «È davvero un luogo affascinante».

«Dicevo che dovremmo visitare la reggia sul lago a Udaipore. È il posto più romantico del mondo, specie nella stagione delle piogge».

«Un posto dove innamorarsi, eh, Clifford?», scherzò uno degli uomini, e diede una pacca all’altro. Gli altri due uomini che facevano parte della piccola compagnia erano militari che stazionavano a sud, ma la moglie di uno di loro, che li accompagnava, aveva conosciuto Clifford da ragazza; era per quel motivo che erano andati a fargli visita di passaggio sulla via del Punjab, dove la sorella della donna stava per sposarsi.

«Dovrebbe essere piacevole per lei essere di nuovo nel suo mondo, signorina Fraser», stava dicendo il più giovane dei due uomini.

Infastidita da quella domanda, Eliza a malapena annuì.

La donna, che si chiamava Gloria Whitstable, iniziò a parlare. «Non so proprio come faccia. Io non sarei mai riuscita a dormire in uno di quei palazzi spaventosi. Sono certa che verrei assassinata nel letto».

«Veramente», replicò Eliza con crescente irritazione, «a me piace molto. E non ho ancora portato a termine il mio anno lì».

«Sono certa che sia un luogo affascinante», s’intromise Dottie, ed Eliza le sorrise grata.

«Ho delle novità per te», disse improvvisamente Clifford.

«Oh?»

«Mi è stato chiesto di capire se hai voglia di andare a Shimla per un breve progetto. È una buona offerta e potresti evitarti il caldo di qui. A essere onesti, Shimla sarebbe un buon posto per vivere. Non dovresti più stare con gli indiani e si tratterebbe di realizzare un reportage sugli inglesi. Sai, le feste d’estate, gli attori dilettanti, il club, quelle cose lì».

Anche se aveva pensato di chiedere a Clifford di poter terminare prima il progetto, ora quel pensiero era del tutto scomparso dalla mente di Eliza.

«Oh, ci mancherai», stava dicendo Dottie. «Ma di sicuro Shimla è meravigliosa. Sono anche un po’ invidiosa».

Eliza si sentì ancora più in colpa pensando alla solitudine di Dottie. Non disse una parola e Clifford sembrò accigliarsi. «Se almeno mi ringraziassi, Eliza, non guasterebbe. Non saresti più tanto sola e verrei a trovarti, qualora avessi del tempo libero».

Eliza ancora non sapeva che dire. Certo sarebbe sfuggita alla sua attuale situazione, ma non avrebbe più rivisto Jay, e la profondità di quel sentimento la spaventò. Era facile pensare di andarsene in via teorica; era molto più difficile dover affrontare una proposta concreta.

«Eliza?»

«Scusami, ci stavo solo pensando su».

«Non credevo che avessi bisogno di pensarci su. È un’occasione unica».

«Ma non ho terminato il mio anno qui».

Lui scrollò le spalle.

«Hai mai avuto intenzione di farmi rimanere un anno, Clifford?»

«Certamente. È solo che poi è arrivata questa proposta».

«Ti offenderesti molto se io ci dormissi su? Sai, la mia fotocamera non è ancora tornata da Delhi e non vorrei assolutamente perdermi qualcosa di davvero cruciale per l’archivio».

«Sono certo che non ti perderai nulla, ma sappi che è richiesta una risposta entro la fine della settimana, o chiederanno ad altri. Potrai sempre tornare qui a settembre».

«Avrai la tua risposta. Mi dispiace, sono complicata».

«Non sei complicata. Ti capisco».

Ma era chiaro, dall’aspetto grave e offeso del suo volto, che non la capiva affatto. Eliza tenne per sé le proprie riflessioni, senza avere la minima intenzione di illuminarlo in proposito, e continuò a seguire il filo dei propri pensieri, ignorando il suo sguardo. Fu servito un pranzo sontuoso, ma lei non aveva fame. Giocherellava col cibo sperando che Clifford non si aspettasse di sdraiarsi in una delle tende assieme a lei.

«A proposito», disse Clifford con un piccolo colpo di tosse, «c’è qualche problema con i fondi del progetto idrico».

«Pensavo avessi detto che avevi già trovato i soldi».

Lui scosse la testa. «Speravo di trovarli, Eliza, ma non ho mai promesso niente».

«Ma Jay deve portare a termine il primo stadio del progetto entro luglio, quando arriveranno le piogge, o avrà lavorato invano. Le piogge dilaveranno gli argini se i lavori non saranno completati».

«Mi dispiace. Ho fatto del mio meglio».

«Quindi mi stai dicendo che il denaro non c’è».

Lui si strinse nelle spalle.

«Clifford, è terribile. Avrebbe significato molto per gli abitanti di quel villaggio».

«Per gli abitanti del villaggio o per te, Eliza?». La guardava intensamente e lei trovò quasi impossibile dissimulare i suoi reali sentimenti.

Clifford si chinò su di lei e le sussurrò piano: «Ti sei messa nei guai, Eliza? Nutri dei sentimenti per lui? Non sarebbe legale».

Lei rispose al suo tono perentorio. «Certo che no», ribatté ritraendosi, e finse uno sguardo sdegnato.

«Bene. Lui non ti farà alcun favore, lo sai, e la mia offerta è ancora valida».

«Intendi Shimla o…».

«Entrambe, mia cara. Entrambe. Non mi arrendo facilmente», aggiunse con insistenza. «Ma se tu mi renderai felice, io farò lo stesso con te, se capisci cosa intendo. Non si sa mai», e si fermò come se stesse pensando, «i fondi per l’irrigazione potrebbero comunque arrivare, dopotutto».