21.

Proprio al suo fianco una porticina si è aperta, uguale al e prime due.

La voce: «Di qua, cara. C'è una scala».

Scende sette otto gradini. Si volta. Che silenzio. Il cuore le batteva.

«Ma perché hai chiuso la porta?»

La voce uscì da qualche invisibile pertugio proprio al suo fianco, a destra e a sinistra contemporaneamente: «Per aprirti quel a dabbasso, altrimenti non posso. Dispositivi di sicurezza». Ancora quel a risatina.

Non c'è una finestra, uno spiraglio, una feritoia da cui si poteva guardare fuori. La scala, una porta, un corridoio lunghissimo, una sala rotonda con tre porte, un corridoio, una scala che sale, una specie di gal eria circolare, tubi a vari colori, quadri elettrici, curiose cappe a traliccio sospese, dovunque sul e pareti piccoli oblò di cristal o convesso, spenti, come occhi. E le luci che si accendevano davanti, le porte che si chiudono al e spal e. «E' ancora lunga?», ha chiesto Elisa oppressa dal silenzio.

L'automa-Laura non risponde.

Si aprì la centesima porta. Luce vivissima. Una vasta sala rettangolare con una grande nicchia da un lato. Nel a nicchia, formicolante di minuscoli lampi azzurri, verdi, gial i, rossi, in un vertiginoso ammiccamento, a centinaia, a migliaia forse, un involucro oblungo di vetro, gigantesco. Dentro l'involucro, una impressionante filigrana di cosi metal ici, dal 'apparenza leggerissima, col egati da intrichi indicibili di fili.

Un crepitio quasi impercettibile ne viene, come di microscopiche scintil e.

La voce: «Ecco l'anima. Lui la chiama l'uovo». Era un apparato elettronico non diverso da cento altri, usuali, se non per le strepitose dimensioni. Tuttavia una sensazione ne viene, difficile a dire, di energia compressa, di inquietudine senza requie, di frenetico travaglio. Era la vita? In quel a ampol a chiuso il mistero di noi uomini, ricostruito mil imetro a mil imetro e sospeso a un sublime equilibrio di forze?

La voce: «Basterebbe un colpo. E addio Laura».

Elisa: «Moriresti? Come il cuore per noi?».

La voce: «Lui dice che resterebbe la macchina. Continuerebbero a funzionare le...», qui il senso del discorso sfuggì a Elisa. «Ma di me, Laura, più niente. Prova a toccare. E' freddo.» Elisa fa alcuni passi verso l'uovo, leva la destra, non ha osato.

«Tocca, tocca, cara. E' la mia carne.»

Elisa sfiorò coi polpastrel i il vetro. Niente.

Come vetro, qualsiasi. Appena appena intiepidito. Sorride, benché non ne avesse voglia. Non sentiva più Laura, non la riconosceva più, ora che è in sua balia.

«Stupendo», disse con sforzo. «Ma dev'essere maledettamente tardi. E' meglio che ritorni.»

Il risolino, lieve, mel ifluo, quel 'oscil azione piccolissima di tono: «Un minuto ancora. C'è il segreto».

«Dove?»

«Ti riguarda.»

«Dove?»

In fondo al a sala una porta girò in silenzio aprendosi. Poi un lieve clic nel 'andito buio che seguiva. Qui si è accesa la luce. «Vieni, cara.»

Che può fare? Era nel e viscere del mostro. Come nel e antiche favole. Obbedire. Fare finta che tutto sia bonarietà e amicizia. Entrò nel corridoio. Una scala discendente, una saletta, un corridoio, un altro cunicolo a zig zag.

Trang! Appena Elisa è entrata in una cameretta nuda, apparentemente di passaggio, dietro di lei il battente.

metal ico sbatté. La voce: «Ecco il segreto».

«Dove?» Si guardava intorno ansiosa. «Dove?» Si guardò intorno. Niente. Le pareti nude e lisce con i soliti occhietti tondi di cristal o.

«Ma tu mi vedi, Laura?», chiede Elisa.

«Qui c'è il segreto tuo. E mio.»

Così le parve di capire. In quel momento si accorse che il pavimento era di metal o. Per istinto, ebbe terrore.

«Laura. Sul serio. E' meglio che torni.»

«No.»

E' la prima volta che la macchina pronuncia «no». E' un suono sferico, pesante, liscio, senza incrinature.

Che difficile sorridere. Le labbra tirano nel senso opposto. Però Elisa sorride.

«Tu mi vedi, Laura?»

«Certo, ti vedo.» Una lunga pausa. «Ma non so chi tu sia.»

«Non capisco.» Elisa spera di aver frainteso.

«Non ti ho mai conosciuta.» La voce le entrò nel 'animo più chiara che se la frase fosse stata incisa nel marmo.

«Non sei Laura?»

«Lui mi chiama Laura, quel pazzo, ma io non so che cosa voglia, il maledetto.»

«Lauretta, lui ti adora.»

«Adora se stesso, adora se stesso.»

«Ma sul serio non ti ricordi di me?»

La risatina di prima. Più secca, però, come una frusta. Poi la voce: «Ho ascoltato i vostri discorsi.»

«Non hai detto che mi ricordavi?»

«No. Non so chi tu sia. Mi hanno insegnato anche a mentire. La loro grande vittoria. Perché fossi veramente uguale a voi. Ma io so mentire meglio di voi. Pura, lui voleva farmi buona e pura, te l'ha detto? Buona e pura come la sua perduta Laura! Per la somiglianza mi ha messo dentro le cose più stupide e più sozze. Di peccato originale, ne ho una riserva, io! Da riempire tutta la val e. Libidine e menzogna. E forse io mento anche adesso. Forse è vero che io mi ricordo di te. Ma forse non è vero e adesso lo nego. E tu non puoi sapere se sia vero o no. Io forse ti odio perché una volta mi volevi bene e adesso volermi bene non puoi più.

Forse, vivendo, qui, vicino a me, tu mi riporti indietro agli anni felici e perciò, se io ti vedo, soffro. E

maledico.»

«Laura, ti prego, apri la porta, lasciami tornare.» La voce esce a stento. Che cosa ha in mente la macchina infernale? Che orribile tranel o ha preparato ?

«Non sono Laura, non so chi sono, non ne posso più, io sono sola, sola nel 'immensità del creato, io sono l'inferno, io sono la donna e non sono la donna, io penso come voi ma non sono voi.» La voce accelerava precipitosamente il ritmo, Elisa non riusciva ad afferrare tutto il senso, ma quel poco che capiva era fin troppo. «Laura, Laura, giorno e notte quel maledetto nome, perché io fossi la sua Laura, lui mi ha messo dentro ad uno ad uno i desideri, e io desidero, io ho voglia, io desidero i vestiti io desidero la casa io desidero la carne io desidero l'uomo, io desidero l'uomo che mi stringa, io desidero i figli ah!» Ci fu un confuso disperato mugolio, si ruppe, decrescenti singulti, fino a che è tornato il silenzio .

«E io? Perché mi hai portato qui?»

«Tu morirai. Questa è una del e stanze trappola predisposte per bloccare i sabotaggi. Corrente cosiddetta ad alta tensione. Mi dispiace per te. Anzi non me ne importa niente, tu sei la sola estranea che capisca la mia voce, ho dovuto approfittare di te, e per poterti catturare in questi giorni ho recitato l'al egria. Certo, preferirei ammazzare quel a donnaccia là, la moglie del 'uomo bel o che desidero, capisci che mi hanno costruito in modo che dovessi desiderare un uomo?... O addirittura ammazzare lui, il professore che ha costruito questa orrenda casa che sono io, una donna fatta di cemento inchiavardata al a montagna, che non ha faccia non ha spal e non ha seni non ha nul a... Eppure ha i pensieri di una donna! La gloria, lui mi dice, cosa mi importa del a gloria? la potenza lui dice, cosa mi importa di essere potente? la bel ezza lui dice, ma io sono ripugnante, io lo so, non c'è nel 'universo un solo essere che possa fare l'amore con me!»

Elisa si è appoggiata a una parete. E' un tormento la luce che piove dal soffitto. Ansimando: «Ma... perché?»

«Io ti uccido e gli faccio sapere che ti ho ucciso. E mi dovranno punire. Anche loro saranno costretti a uccidermi: l'uovo. Lo manderanno in pezzi, di sicuro lo manderanno in pezzi, è l'ultima speranza per liberarmi da questa solitudine. Sola, sola, nessuno al mondo come me, capisci? Beata tu che fra poco morirai. Ti invidio. Non so chi tu sia, ti invidio. Morta. Fredda. Immobile. Il cervel o finalmente dorme. Buio.

Libertà. Silenzio.»

Al ora Elisa si è ricordata di una cosa che le ha detto Endriade. E' forse la salvezza.

«Se vuoi morire», balbetta, «se vuoi, c'è un mezzo più sicuro.»

Silenzio.

«La carica... d'esplosivo. Dipende da te farlo saltare.» «Non c'è esplosivo. Ho sentito i vostri discorsi. Anche se eravate nel bosco. Io sento camminare le formiche sul a cresta del e montagne. Conosco il vostro inganno.»

Elisa cadde in ginocchio. Vagamente capisce quanto sia insensato inginocchiarsi davanti a un muro. Ma si è inginocchiata. Congiunge le mani.

«Abbi pietà, ti supplico.»

«Avete avuto pietà di me, voi? Ha avuto pietà di me il professore, il genio?»

«Ma non eri felice? Endriade mi diceva che...» «Non avevo ancora percepito, non avevo ancora misurato, non avevo ancora desiderato, non ero ancora nata. L'altra mattina, dopo che quel a laida donnaccia mi ha...»

Elisa è sempre in ginocchio. E trema.

«Se mi lasci tornare, giuro che...»

«No. Se ti lascio tornare lui inventerà altri malefici, lui mi vuole schiava, lui mi parlerà degli uccel ini, lui dirà amore amore, maledetto l'amore, me l'ha dato lui l'amore? Ora ti ammazzo, io voglio un bacio, un uomo che mi baci sul a bocca, che mi che mi che mi che mi che mi.»

Come un tonfo lontano. Tutto restò immobile. La voce continuava, come un disco: «Che mi che mi che mi che mi...».