20.
«Donna dal 'aspetto amabile e simpatico, vestita di pul over noisette e gonna grigia, che scendi lungo la strada, senti.» Da una voce lieve e sommessa che significava insieme tutte queste cose, e molte altre forse che lei però non riusciva ad avvertire, Elisa Ismani si sentì chiamare mentre rincasava verso le sei e mezzo di sera, da una breve passeggiata solitaria.
Quattro giorni erano passati dal a notte di burrasca. Stranamente, il mattino successivo, tutto era ritornato come prima: quasi che la bufera e le scene di dolore fossero state una crudele fantasia. Prima del 'alba il vento del nord aveva spinto via le nubi e un sole di una bianchezza accecante si alzò a far risplendere le rupi, i boschi, i prati e la cittadel a misteriosa, meravigliosamente nitidi e puliti.
E la val e felice di nuovo emanava dal suo cavo ventre la dolce risonanza di vita, attraversata qua e là da guizzi lievi pieni di al egria; che erano saluti agli uomini, e al e nuvole, risate senza motivo, graziosi scherzi con i soliti corvi che venivano a posarsi sul e terrazze e sul e antenne.
Una crisi di nervi dunque era stata? un turbamento isterico tipicamente femminile? Laura, a suo tempo, ne aveva, ogni tanto, di questi terremoti che si concludevano in un sonno lunghissimo e pesante; e, al mattino successivo, del e orribili scenate non rimaneva neppure il ricordo.
Però stavolta c'era un elemento in più che preoccupava Endriade. Se veramente la nuova Laura, per una sorta di postumo telepatico travaso, aveva ricevuto in sé, sia pure in parte, le memorie del a prima Laura, se sul patrimonio di cognizioni, sensazioni e sentimenti che la scienza le aveva procurato, era avvenuto l'innesto, indiscriminato, dei ricordi del a prima vita, qualche guaio era inevitabile. Manunta, da quel buon uomo che era, si mostrava completamente tranquil o: erano state smanie di una creatura sensibile, forse non ancora abituata a quel a vita indubbiamente singolare e spaventata per di più dal temporale notturno.
Non era quindi da farci caso. Ma Endriade si chiedeva - e questa paura l'aveva confidata a Elisa Ismani -: se Laura si rende conto del cambiamento rispetto al a vita precedente, se riesce a ricordare gli episodi di quegli anni, i giochi, le amicizie, le gite, le feste, le vacanze, i viaggi, i flirt, gli amori, i sensi, come potrà adattarsi al 'immobilità assoluta, al 'impossibilità di mangiare un pol o, di bere un whisky, di dormire in un morbido letto, di correre, di girare il mondo, di bal are, di baciare e farsi baciare? Tutto era ammissibile finché il Numero Uno era, di Laura, un simulacro ampiamente rettificato ad uso o consumo di lui Endriade, pur dotato del suo genuino carattere, così gaio, fanciul esco e spensierato. Ma ora, se veramente tutti i lontani ricordi, dopo la morte fluttuanti nel 'etere, si erano condensati nel a macchina per un oscuro richiamo, come Laura avrebbe potuto resistere? Quel suo subitaneo rinsavimento il mattino dopo la bufera, quel totale ritorno al 'umore di prima, senza il minimo riecheggiamento di quanto era successo, pareva anzi un sintomo inquietante. Forse la gaiezza era tutta una finzione, schermo lucente per nascondere chissà che propositi tenebrosi. Ma Endriade non osava chiedere, indagare, stuzzicare la creatura: chissà che cosa poteva succedere.
Ed ecco per la prima volta Elisa Ismani si accorge che la voce si rivolge a lei.
«Vieni, avvicinati, chi sei?», le sembra che il Numero Uno le dica. Elisa è una donna coraggiosa ma la situazione è imbarazzante. E poi le vengono in mente le paure di Endriade, il dubbio che tutta quel a soave placidità nasconda qualche insidia. Resta un attimo indecisa. Se ci fosse Manunta. Ma intorno non c'è anima viva. «Tu capisci quel o che diciamo?», chiese ad alta voce. Per parlare fa uno sforzo. «Anche questa mi doveva capitare», pensa, «di parlare a una macchina come se fosse un essere umano.» La voce fa un querulo tremulo, come un accenno di risata piena di indulgenza.
«Se con tutta la mia materia cerebrale non fossi neanche capace di capirvi!», questo il senso del brevissimo sussurro. Una pausa. Poi un'emissione molto calma: «Io ti conosco».
«Mi hai già visto, sì. Sono quassù da una decina di giorni.»
«Da molto tempo prima ti conosco. Una volta noi eravamo amiche.»
«Ti ricordi?»
«Qualche cosa ricordo.» Seguì un breve discorso che Elisa non riuscì a intendere.
Al ora Endriade aveva ragione. Al ora i ricordi di chi muore non svanivano nel nul a, essi vagavano nel mondo al 'insaputa dei viventi, aspettando. Elisa è cattolica credente, le storie del e metempsicosi la turbavano come una cosa infetta e proibita. Ma come negare l'evidenza? Vol e mettere il Numero Uno al a prova. «Come mi chiamo?»
Rispose un suono curioso, simile al richiamo di un uccel o. «Io non posso articolare le sil abe come voi», spiegò a suo modo la macchina-Laura. «Sarebbe una fatica inutile.» «E il tuo nome come lo pronunci?»
Si udì un dolce sospiro.
«Prova ancora. Non capisco.»
L'automa-Laura ripeté. Poi rise. Un'oscil azione di infinitesimi di tono. Non aveva niente del e risate umane.
Però più graziosa, più intensa, ed espressiva. Anche Elisa si mise a ridere. «Mi fa un effetto così strano.
Ritrovarti qui, dopo tanti anni, trasformata così. Ti riconosco e non ti riconosco.» «Perché non mi hai vista ancora.»
«No, Endriade mi ha condotto dentro a vedere.»
«Lo so. Ma di là non puoi avere visto niente. Devi vedermi dentro. Vieni. Ti apro. Ti farò entrare nel mio corpo. Fino in fondo. Vedrai l'uovo», fece una risatina bizzarra. «Lui dice che c'è dentro la mia anima.»
«Lui chi?»
«Lui, il professore. Il nome è così difficile a pronunciare.»
«Endriade?»
«Sì. Ma è inutile, sai, che tu alzi la voce. Ho tante orecchie io, e così fini, il passo del e formiche io sento, tiritic tiritic fanno con le sei zampine. Allora vieni?»
«E' tardi, preferirei domani.»
«Domani! voi uomini dite sempre domani. Anche lui, quando gli chiedo qualche cosa: domani domani. In neppure mezz'ora ti farò vedere tante cose interessanti. Ma la questione è un'altra: tu hai paura.» «Paura?
Siamo del e vecchie amiche, no? Paura di che?» «A tutti io faccio paura. Anche a lui. Mi tormenta col suo amore, ma ha paura. Sono così grande e complicata. L'amore! Sei capace di spiegarmi, tu, che cosa sia l'amore? L'amore per me, dico.» «Ma come faccio a entrare? Non ho le chiavi, io.» «Non occorrono chiavi. Io posso aprire tutte le porte e saracinesche, esterne e interne.» Una pausa. «E chiuderle.»
Elisa era tentata ma in realtà l'idea di entrare sola nel labirinto la impauriva.
Si guardò al e spal e. Il sole distava ormai pochi centimetri dal ciglio del e montagne, che da quel a parte avevano profili lunghi e placidi, tutti coperti di boschi. Fra poco scenderà la notte. «E tardi, viene il buio.»
«Sempre, dentro di me c'è buio», una gentile risatina. «Se non si accendono le luci.»
Elisa è giunta a pochi metri dal muro di cinta. Come occhi di fuoco la fissano gli oblò, in cui si riflette il rosso del tramonto. Un cigolio. Sui cardini di ferro la porticina di ferro si apriva lentamente. Un andito buio. Poi si è accesa la luce, il uminando un corridoio nudo.
«Vieni. Ti farò vedere un grande segreto», le sembrò che le dicesse.
«Anche tu un segreto? Tutti qui hanno un segreto?»
«Tutti.»
«Ho freddo. Lascia almeno che vada a prendere un soprabito.»
«Dentro di me non fa mai freddo. Un bel issimo segreto.»
«Un segreto da vedere?»
«Che ti riguarda.»
Aveva già varcato la soglia. Fa qualche passo.
«Perché hai chiuso la porta?»
Un sussurro incomprensibile. L'altra porta, in fondo al corridoio, già si apriva pigramente. E si spalanca la vista del a al ucinata cittadel a. Elisa è riuscita al 'aperto, sul 'aereo bal atoio. Precipitando già il sole, l'ombra viola signoreggiava ormai tutto l'anfiteatro occidentale e il fondo del val one. Ma i raggi paonazzi del crepuscolo battono orizzontalmente sul e opposte bastionate, sul e mastabe, sul e fortezze e i picchi; e li esaltava. Irrigiditi nel a loro ermetica positura, essi risplendevano spettrali contro il cielo già profondo, e sembrarono alzarsi lentamente in un moto di trionfo. Elisa sta, abbacinata dal o spettacolo.
Quel a voce, soave, che le chiedeva: «Dimmi: sono bel a?».