Capitolo sette

Si poteva prevedere?

Vi scrivo da un computer, naturalmente. Voi state leggendo questo libro in formato elettronico dal vostro computer o altro dispositivo elettronico. Personal computer vuol dire Bill Gates. Un genio visionario, indubbiamente. La caratteristica dei talenti visionari spesso è di riuscire a prevedere scenari e anticipare situazioni che si verificheranno anche al di fuori del loro specifico ambito di competenza.

Certo, nel lontano 1975, in un’epoca in cui il computer era una macchina misteriosa solo per pochi, Bill Gates già vedeva «un computer su ogni scrivania e in ogni casa». Se uno come lui avesse vaticinato l’avvento dei tablet o degli smartphone, prima che venissero prodotti e commercializzati, lo avremmo giudicato provvisto di grande lungimiranza, ma non di virtù divinatorie.

Ma Gates nel 2015 fa qualcosa di completamente diverso. Il fondatore di Microsoft, il più grande produttore di software al mondo, si presenta a Vancouver sul palco dei TED talks per tenere una conferenza su un tema del tutto inaspettato. I TED (Technology, Entertainment and Design) talks sono conferenze spettacolarizzate il cui motto è «Idee degne di essere diffuse». Il conferenziere, avvalendosi di mezzi audiovisivi di fronte a una platea, espone la propria visione di un argomento tecnico o scientifico. Ma il titolo dell’intervento di Gates è: La prossima epidemia? Non siamo pronti.

Gates esordisce dicendo che ci siamo attrezzati per un eventuale conflitto nucleare, perché lo riteniamo il disastro più probabile che si potrebbe verificare in futuro, però aggiunge: «Oggi il più grande rischio di catastrofe globale non somiglia a questo». E mostra il fungo di un’esplosione nucleare. «È più simile a questo.» E mostra... il coronavirus! Se volete verificare con i vostri occhi, guardate il video reperibile in rete (o cliccate qui sopra, sul titolo del TED): lo troverete al quarantesimo secondo del discorso.

Di seguito Gates riferisce quanto proclamato dagli infettivologi, cioè che se non si era ancora verificata una grande epidemia lo si doveva a una concomitanza di circostanze molto favorevoli. Dopo la terribile influenza Spagnola del 1919 abbiamo goduto di una calma illusoria per un secolo intero. Illusoria in quanto nulla ci garantiva che un nuovo virus non sarebbe arrivato a scuotere le nostre deboli certezze.

Eppure un assaggio si era avuto recentemente in Africa, nel 2014, con l’epidemia di febbre emorragica denominata Ebola. La mortalità dell’Ebola era superiore al 50% dei casi, per cui c’erano tutti i presupposti per un’ecatombe. I tre fattori che evitarono il disastro furono la difficoltà di contagio, perché il virus dell’Ebola non si trasmette per via aerea, ma solo per contatto diretto con fluidi corporei del malato; la comparsa dei focolai epidemici in piccoli centri, paesi e villaggi, e non nelle grandi città; la difficoltà di spostamento della popolazione dell’Africa centro-orientale, dove si era diffusa la malattia.

Ma giocare d’azzardo alla roulette della Storia raramente è un buon investimento. Con la prossima epidemia, continua Bill Gates, potremmo non essere altrettanto fortunati, potremmo avere a che fare con un virus che, anche quando si è già contagiosi, non dà sintomi, al punto magari da permetterci di «salire su un aereo o andare al mercato». Vi suona familiare?

Nel De brevitate vitae Seneca riflette sul fatto che le persone agiscono con leggerezza, sprecano le opportunità e poi, quando vedono che la situazione precipita, abbracciano gli altari o le ginocchia dei medici implorando aiuto.

Per l’epidemia attuale il governo ha stanziato decine di miliardi di euro, di cui gran parte immediatamente disponibili. In questi casi l’urgenza è quella di allestire nuovi posti di terapia intensiva per i malati gravi che, con i polmoni impregnati d’acqua, non riescono più a respirare da soli e richiedono apparecchi respiratori ausiliari. E allora, corri a trovare locali idonei a essere adibiti a ospedali da campo, disegna gli spazi interni, solleva setti di separazione, arreda con letti, macchinari per diagnosi e terapia, soprattutto dispositivi per la ventilazione e la respirazione assistita. Ma una richiesta così imponente di respiratori, ancora una volta, non l’aveva prevista nessuno e le aziende produttrici hanno presto esaurito le scorte e, nel pieno dell’emergenza, sono state incapaci di soddisfare la domanda crescente, pur lavorando a pieno regime. Allora si può tentare di rivolgersi al mercato estero, ma gli altri paesi, vedendo che si avvicina la tempesta, certo non si mettono a esportare gli ombrelli. E questo non è neanche il peggio. Un respiratore, magari usato, magari dismesso e rigenerato, lo puoi pure trovare. Se paghi bene, lo puoi pure trovare.

Ciò che non puoi comprare a prezzo di denaro sono i rianimatori, gli pneumologi, gli anestesisti. Quelli te li dovevi coltivare a partire da dieci anni prima. Invece l’emorragia di laureati, soprattutto i più meritevoli, che hanno trovato tanta accoglienza all’estero quanta indifferenza avevano raccolto in patria, ci ha condotto in un vicolo cieco da cui non si esce a suon di quattrini. I quattrini andavano impiegati saggiamente prima, non frettolosamente adesso.

Dobbiamo perciò essere grati agli specialisti cinesi che sono volati in nostro soccorso, proclamandosi frutti dello stesso albero, fiori dello stesso giardino, per esprimere con una delle tipiche allegorie poetiche tanto care agli orientali la vicinanza e l’affetto alle genti italiche. O a quelli di Cuba e dell’Albania, paesi che, pur dibattendosi tra tante difficoltà, non hanno mancato di prestare il loro aiuto. Purtroppo però gli specialisti sono pochi... Neanche se fossero gli Avengers potrebbero risolvere il problema!

Nel suo discorso Bill Gates dice che il solo modo efficace per affrontare (e vincere) le epidemie è comportarsi come faremmo se fossimo in guerra (e forse lo siamo davvero, anche se il nemico è minuscolo). Ci vorrebbero piani internazionali di azione basati su protocolli comuni ben definiti, strumentazione e mezzi accantonati allo scopo, un sistema logistico e di comunicazione dedicati e, soprattutto, una task force di pronto intervento. Invece l’agenzia delle Nazioni Unite che presiede alla salute pubblica, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è incaricata soltanto di studiare le epidemie e seguirne il corso, non di intervenire per reprimerle. Sarebbe come se, in caso di attacco nemico, lo Stato Maggiore dell’esercito si limitasse ad annotare come procede l’invasione e a informarne la cittadinanza...

D’accordo, è una questione di soldi e quelli scarseggiano sempre, ma quanto costerà adesso all’Italia e al mondo intero questa pandemia? Parlo di costi economici e finanziari, ma anche di costi umani. Si prevede che la pandemia preluda a una delle più grandi crisi economiche mondiali, peggiore di quella dei mutui subprime del 2008, peggiore di quelle causate dall’esplosione delle altre grandi bolle speculative. Alcuni economisti evocano lo spettro della recessione seguita al crollo della Borsa di Wall Street del ’29.

La domanda è: impareremo la lezione? Riprenderemo, dopo la crisi imminente, una saggia politica di investimenti in ricerca e infrastrutture? O sarà un fuoco di paglia e ci scorderemo di questi insegnamenti, così come cercheremo di scordare il trauma per riprendere la vita normale?

In Olanda c’è un piccolo eroe nazionale la cui impresa ha più i contorni della leggenda, che della realtà. Si dice infatti che Hans di Haarlem, camminando accanto alla diga della sua città, vedesse una piccola falla, un forellino da cui fuoriusciva uno zampillo. Immaginando quello che sarebbe potuto accadere, mise il ditino per tappare il buco e iniziò a strillare perché qualcuno arrivasse in soccorso e provvedesse. Il suo atto salvò la città. Infatti finché il foro è di dimensioni ridotte il getto può essere arrestato ma, se si allarga oltre un certo limite, non c’è più alcun mezzo per contrastare la pressione dell’acqua e la diga crolla.

Lo stesso vale per un’epidemia. Sul nascere bastano forze limitate per soffocarla ed estinguerla. Ma se comincia a dilagare, poveri noi.

Ora non possiamo far altro che imitare il marinaio che si accorge di imbarcare acqua. Prende il secchio e inizia a ributtarla fuori, senza un attimo di sosta, finché non passa la tempesta.

Noi stiamo imbarcando germi e non acqua, quindi il nostro strumento non è il secchio, bensì l’isolamento. Ma come il marinaio, superata la tempesta e arrivato in porto, fa montare una pompa idrovora per non doversi più trovare in condizioni critiche, anche noi aspettiamo pazientemente che passi la nostra tempesta restando a casa e poi... attrezziamoci, per fare quello che invoca Bill Gates!