Capitolo uno

Chi è il nostro nemico. Il virus visto da un fisico

Come sia fatto un virus si sa molto bene. Cosa sia un virus, invece, è ancora oggetto di dibattito. Il virus è o non è un essere vivente? Riecheggia la domanda di Amleto ed è altrettanto enigmatica. Inizialmente i virus erano considerati delle semplici sostanze tossiche in forma liquida, infatti «virus» in latino è un sinonimo di «venenum», che indica le secrezioni dei serpenti o i succhi velenosi di alcune piante. Col procedere degli studi, i biologi capirono che non si trattava di sostanze liquide e pensarono che fossero microrganismi patogeni, affini ai batteri, ma più piccoli ed elementari di questi. La nuova scuola di pensiero che si impose successivamente propendeva a ritenerli invece delle semplici macchine chimiche, dei dispositivi biologici automatici che si attivano quando le condizioni ambientali sono idonee.

Al giorno d’oggi, i virus sono considerati una classe a sé stante, collocata nella zona crepuscolare tra gli esseri viventi e la materia inanimata.

Un virus è costituito da guscio (capside), eventualmente ricoperto da un involucro esterno, che racchiude il suo corredo genetico (DNA o RNA), cioè il manuale di istruzioni in cui è scritto come costruire delle sue copie conformi. Il virus, con opportuni sensori chimici presenti sul guscio esterno, è capace di individuare la sua vittima, una certa cellula. Sotto questo aspetto, il virus sembra più un piccolo laboratorio di chimica, che un essere vivente...

La cellula aggredita può essere quella di un organismo unicellulare, come i batteri, nel qual caso il virus si definisce batteriofago o, con ardita aferesi, «fago», cioè divoratore (di batteri), oppure una cellula di un organismo superiore pluricellulare, ad esempio quelle del sistema respiratorio, predilette dal coronavirus. Il trattamento riservato da un virus alla cellula bersaglio varia nelle modalità, ma ha sempre il medesimo scopo: introdurre il proprio corredo genetico all’interno della cellula, in modo da raggiungerne il DNA e prenderne il controllo, così da obbligare la cellula a generare copie del virus attraverso il proprio «apparato riproduttore». La cellula diventa quindi un utero in affitto a sua insaputa. Per usare una metafora, possiamo dire che il virus è un po’ come il cuculo, che depone il suo uovo nel nido di un altro uccello, il quale accudirà suo malgrado il pulcino del cuculo, a scapito dei propri. Il virus si comporta insomma come un parassita, ma non ha altra scelta, perché non possiede un sistema di duplicazione proprio. Anzi, a differenza dei batteri, non possiede neanche degli organelli per svolgere le altre funzioni metaboliche necessarie alla vita, come cibarsi, respirare, produrre energia per muoversi, crescere e reagire agli stimoli dell’ambiente. Quindi deve necessariamente avvalersi di un essere vivente per assolvere la funzione minima, quella di riprodursi e, per questo motivo, si definisce «parassita obbligato».

Quando penetra nella cellula, a sorpresa, il virus, si converte da sistema chimico inerte in un essere animato, come accade nel mito greco alle pietre lanciate dietro la schiena da Deucalione e Pirra che, quando toccano terra, si trasformano in uomini e donne. Infatti il virus, penetrato nella parete cellulare, diventa attivissimo: si spoglia del guscio, espone i suoi geni e costringe l’apparato di replicazione della cellula a lavorare per lui. La cellula non può sottrarsi e comincia a produrre, un pezzo alla volta, copie del virus. I pezzi vengono quindi assemblati ed ecco nuovi virus pronti a invadere altre cellule per ripetere il ciclo di infezione e riproduzione forzata. Per fare tutto questo, non avendo materiale o fonte di energia propria, il virus sfrutta ancora la cellula: si impossessa del suo materiale grezzo, dell’energia necessaria per la sintesi del nuovo corredo genetico e delle componenti del guscio, e di tutto ciò che serve per moltiplicarsi e spandersi verso altre cellule.

Tornando alla domanda iniziale – cioè se il virus sia o meno un essere vivente –, la descrizione fatta finora anziché chiarire confonde ancora di più le idee. Forse guardarsi intorno può aiutare a trovare una risposta. Una pianta è sicuramente un essere vivente, perché svolge tutte le funzioni essenziali che contraddistinguono la vita. Ma un seme? Non può essere considerato un essere vivente. Tuttavia è il germe della vita e l’accostamento del seme al virus non è inopportuno.

Forse la vita stessa non è una caratteristica individuale, ma un effetto collettivo, che in gergo si chiama «emergente». Prendiamo l’onda del mare. È un perfetto esempio di «fenomeno emergente». Non si può definire cosa sia un’onda riferendosi a una singola molecola d’acqua, e neanche a una singola goccia. Muovere una goccia d’acqua in alto e in basso non produce un’onda. Quando invece si mettono insieme tante gocce, fino a formare un volume di liquido esteso, ecco che sulla superficie di quel liquido si può formare un’onda. Così è anche per la coscienza: una singola cellula nervosa non possiede coscienza, e neanche un intero fascio di nervi. Per ottenere quella che noi chiamiamo «coscienza» è necessaria la complessità dell’intero sistema cerebrale. E, tuttavia, anche avere un cervello integro può non bastare: un cervello infatti può essere biologicamente vivo, nel senso che le sue cellule sono vive, ma essere spento, avere un encefalogramma piatto.

Analogamente un virus non può essere considerato «vivo», perché non raggiunge un livello di complessità sufficiente a conferirgli i crismi della vita. Il virus è formato da materia organica simile a quella degli organismi viventi, ma per vivere ha bisogno di una cellula. È come se i suoi organi non gli appartenessero. Anche noi esseri umani, come tutti gli animali superiori, ci troviamo parzialmente in questa condizione: siamo riempiti e permeati di batteri senza i quali non potremmo sopravvivere. Solo per fare un esempio, la flora batterica intestinale è indispensabile all’assimilazione dei nutrienti. Uno dei primi effetti dell’esposizione a dosi massicce di raggi X è l’insorgenza di disfunzioni dovute all’improvvisa scomparsa della flora batterica, molto vulnerabile alle radiazioni. Il virus porta alle estreme conseguenze questa condizione di dipendenza: tutti i suoi organi vitali, o quasi tutti, sono esterni al suo corpo e, per avere almeno una parvenza di vita, il virus deve raggiungerli all’interno di una cellula ospite, a cui li sottrae nel modo che abbiamo visto.

Il virus non è quindi propriamente vivo, ma tende verso la vita; è un’entità non autosufficiente che si è fermata allo stadio iniziale dell’evoluzione, benché sia nato all’alba dei tempi.

Date queste premesse, come è si è formato il primo virus? Nessuno lo sa con certezza, ma una delle tesi più accreditate e affascinanti è che il virus sarebbe un frammento del corredo genetico di una cellula. Un frammento che si sarebbe rivestito di un mantello protettivo e sarebbe scappato. Dopo aver passato il Rubicone, è stato costretto a tornare periodicamente indietro, per recuperare ciò che aveva lasciato dietro di sé. Il virus sarebbe cioè simile a quel cane fuggito e rinselvatichito, come il dingo australiano, che torna a casa per predare gli animali allevati dall’uomo.