Introduzione
Il 23 gennaio 2020 arrivò l’annuncio che nella città cinese di Wuhan, che nessuno aveva mai sentito nominare, era scoppiata una strana epidemia. Le autorità, per prevenire la diffusione del contagio al resto della Cina, avevano messo in isolamento ottanta milioni di persone nella provincia di Hubei. Il primo commento unanime fu: «Roba da matti, queste cose giusto in Cina possono farle. Qui da noi sarebbe impensabile».
Un mese e mezzo dopo, il 9 marzo, il Presidente Conte, con il decreto battezzato #IoRestoaCasa, estese a tutta Italia i provvedimenti restrittivi che aveva assunto per le regioni in cui si erano sviluppati i primi focolai epidemici, ovvero tutta la Lombardia e parte di Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Marche.
In Italia siamo sessanta milioni, quindi un po’ meno degli ottanta milioni di Hubei. Ma mentre in Cina i cittadini interessati dal lockdown, o isolamento, rappresentavano il 5% della popolazione totale, qui da noi i provvedimenti interessano il 100% degli abitanti.
Quello che ci pareva impensabile era diventato realtà nel giro di poche settimane.
Appena due giorni dopo, l’11 marzo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato lo stato di pandemia, l’epidemia planetaria.
L’ultima volta che si era verificata una situazione paragonabile a quella attuale era stato un secolo fa, nel 1918-’19, con l’influenza detta «Spagnola». Troppo distante nel tempo perché qualcuno tuttora in vita l’abbia sperimentata, di conseguenza la memoria collettiva era ormai appannata e se ne trova traccia solo nei libri di storia, nello stesso capitolo della Prima Guerra Mondiale, in cui viene relegata a un paragrafetto.
Le altre epidemie che si sono succedute da allora non hanno avuto di gran lunga l’impatto di quella attuale. Non perché non abbiano mietuto molte più vittime (l’influenza asiatica del 1957-’58 e quella di Hong Kong del 1968-’70 hanno causato la morte di un milione di persone ciascuna), ma perché si sono consumate in paesi lontani, con cui i contatti in passato erano molto laschi.
L’altra grande epidemia del secolo scorso è stata senza dubbio quella dell’AIDS, con un bilancio stimato di trenta milioni di morti. Ma, anche in questo caso, la diluizione nel tempo (dal 1981 a oggi) e la modalità di trasmissione, prevalentemente sessuale ed evitabile con l’uso di profilattici, hanno fatto sì che non venisse percepita come un pericolo incombente. Al contrario, l’epidemia di Covid-19, che chiamerò spesso per antonomasia «coronavirus», come si usa fare correntemente, è deflagrata travolgendo confini e frontiere. Propriamente i coronavirus sono una vasta famiglia di virus che causano malattie che si estendono dal comune raffreddore a forme molto severe, come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Covid-19 è uno di questi coronavirus, il cui acronimo sta per COrona VIrus Disease (malattia) e dove «19» indica l’anno in cui si è manifestato.
A differenza dell’AIDS, la modalità di trasmissione del Covid-19 è molto subdola e quindi si percepisce come un pericolo occulto, che può eludere le nostre capacità di difesa. Come ribadito dalle autorità sanitarie, il contagio avviene attraverso il contatto con una persona malata. Il veicolo di diffusione sono le goccioline nel respiro delle persone infette e più ancora quelle emesse con uno starnuto o un colpo di tosse. Queste goccioline, contenenti il virus, possono penetrare nel naso, nella bocca o negli occhi di chi sta di fronte o in prossimità del contagiato, oppure possono contaminare gli oggetti o le superfici. Se tocchiamo l’oggetto o la superficie contaminati e poi ci portiamo le mani, non ancora lavate, al naso, alla bocca o agli occhi, ecco che può avvenire il contagio indiretto.
A quel punto il virus è dentro l’organismo e inizia la battaglia con i nostri sistemi di difesa.
Quali siano i protagonisti di questa battaglia, quali le nostre armi di difesa, i precedenti storici, l’andamento e i possibili esiti, sono gli argomenti dei vari capitoli che seguono, svolti in modo colloquiale e narrativo, per servire anche chi non abbia mai amato troppo i manuali di scienza.
«Il concetto vi dissi, or ascoltate com’egli è svolto.» Tonio, Prologo di I Pagliacci, Ruggero Leoncavallo