NATALE

Mattina

I piedi nudi infilati negli stivali, il cappotto sulla vestaglia, corro giù dalle scale, lungo il corridoio, fino alla cucina. Mentre mi precipito alla porta, controllo la credenza accanto al freezer: lo sportello è chiuso. Jamie non ha la chiave del pozzo. Sempre meglio di niente.

La porta è spalancata. Corro fuori nel freddo. Il sole splende forte in un cielo blu luccicante e il suo calore gelido mi morde le guance. Cammino ansimando sulla neve scricchiolante del giardino, e poi in mezzo agli alberi.

«Jamie!»

Sento il fruscio dei rami sotto la neve. È quasi un tintinnio. Un mondo cristallino e gioioso, mentre il sole nascente fa brillare i ghiaccioli.

«Jamie, fermati!»

Le tamerici e i sorbi, le querce e i noccioli, il ghiaccio e la neve. Il bosco cede allo spazio aperto, e adesso riesco a vedere i camini delle miniere sopra le chiome e l’oceano grigio-blu in tumulto poco sotto.

Mio figlio non c’è. Dev’essere andato in cima alle scogliere. Sono uscita dai boschi e corro verso il precipizio.

«Jamie, torna qui!»

Silenzio assoluto, tranne lo sciabordio delle onde e lo sfrigolio della schiuma. L’aria gelida è un dolore fisico nella gola e nei polmoni. Dovrei farlo, nel mio stato? Certo che devo farlo: è stato un errore urlare a quel modo al telefono, tutta trionfante. E poi lui è mio figlio.

Finalmente in lontananza vedo Jamie davanti alla porta del pozzo. Sta colpendo il lucchetto con un sasso, il mio bambino disperato che cerca la sua mamma morta. L’immagine è devastante. Perché la sua mamma è qui. Io sono viva, e sto cercando di salvarlo, anche nella pazzia più sfrenata.

Ha in mano un sasso abbastanza grosso da riuscire facilmente a rompere il lucchetto, basterebbe avere la forza necessaria.

Ma Jamie è forte per la sua età, sa già andare in giro per conto suo, tra gli scogli e le spiagge. Il mio bambino di fuoco.

I gabbiani dalla testa nera volano in cerchio del tutto ignari sopra di noi, il mare luccicante guarda più in là, verso le brughiere innevate e i megaliti. Il nostro dramma è sminuito dall’immensità del paesaggio.

Adesso sono abbastanza vicina da poterlo sentire. Ancora poche centinaia di metri sulle scogliere. Lo sento sbattere il sasso sul lucchetto.

«Smettila, ti prego... Jamie!»

Lui si gira e mi guarda come se fossi una perfetta estranea. Indossa il pigiama, con un cappotto buttato sulle spalle. Ma è a piedi nudi. È corso fin quaggiù a piedi nudi, sulla ghiaia, sulla neve e sul ghiaccio, attraverso i boschi pieni di rovi. Poi torna alla sua odiosa e ostinata attività.

Bang bang bang.

E dopo poco la catena cade a terra e, con un grazioso inchino, la porta si apre.

Si è socchiusa la porta del pozzo di Morvellan, dove galleggia indisturbato il corpo di Nina Kerthen. Immagino il sole invernale che filtra fra le finestre senza vetri. Magari colpendola in viso. Un’aureola di acqua nera e capelli d’argento. Un sorriso eterno nel gelo eterno. Lui la vedrà e ci cascherà dentro e lo perderò ancora.

Adesso Jamie entra nel pozzo e io mi affanno sul sentiero.

Lo sento urlare. L’ha vista.

La porta si spalanca al vento, i fiocchi di neve mi si sciolgono in bocca.

Mentre corro, inciampo e cado, la caviglia slogata cede e riesco a malapena a camminare. Ma per Jamie, per Jamie riesco a camminare, riesco a correre, riesco a fare qualsiasi cosa.

Trascinandomi a fatica, vedo Jamie uscire dall’edificio del pozzo. I gabbiani e le urie volano in cerchio sopra le nostre teste, osservandoci.

«Jamie, non è lei.»

Lui mi guarda fisso.

«Jamie, lei non è tua madre.»

Il mare si placa, la luce del sole brilla, la neve luccica come un diamante feroce, pensato per tagliare.

«Jamie, io sono tua madre. Sono io.»

Le lacrime gli rigano le guance. Non si fermeranno, non adesso.

«Sono io la tua mamma, tesoro. Sono tua madre. Jamie, amore mio, sono sempre stata io. Ricordi quando mi hai abbracciato, alla miniera di Levant? È allora che l’hai sentito, vero?» Non riesco a smettere di piangere. «Sono io. Sono qui. Sono sempre stata qui, è solo che non lo sapevamo. Il tuo incantesimo con le lettere di fuoco ha funzionato. La mamma è tornata. Sono qui.»

Jamie mi guarda fisso. Non avrei voluto dirglielo così, è successo e basta. Aggrotta la fronte e sgrana gli occhi, come se stesse iniziando a riconoscermi, ma poi sento un uomo urlare: «Jamie!».

Jamie guarda alle mie spalle, oltre il ciglio erboso della scogliera, nella minuscola spiaggia di Zawn Hanna. La caletta dei sussurri.

“Non ti muovere”, penso. “Ti prego, non ti muovere. Non avere paura.”

Il terreno attorno al pozzo è pericoloso anche sotto il sole estivo, figuriamoci adesso quanto sarà scivoloso, una lastra di ghiaccio sul granito lucido.

Ma devo assolutamente vedere cosa ha catturato la sua attenzione. Mi arrampico su un masso e guardo giù nella caletta.

C’è suo padre. Sulla sabbia, nell’aria limpida e pulita di questa gelida e scintillante mattina di Natale.

«Papà!» urla Jamie, «Papà!»

Il padre sta correndo verso la base della scogliera.

Jamie si mette a scendere lungo la scogliera. I gabbiani gli volano attorno, a caccia di pesce nel mare ghiacciato.

«Fermati, ti prego!» gli urlo.

Adesso gli urliamo entrambi. «Fermati, Jamie, fermati!»

Ma lui ha visto la sua mamma morta. E poi si è sentito dire che la sua mamma è viva. È spaventato e confuso come lo sarebbe qualunque bambino.

E in quel momento cade.

Un attimo prima stava scendendo con agilità lungo la scogliera, e un terribile attimo dopo è caduto. Finisce in acqua, un volo di sei o sette metri.

Il tonfo non è molto forte. In fondo è solo un bambino piccolo, nonostante l’enormità delle emozioni che lo circondano. Il mare lo inghiotte con assoluta indifferenza.

«Jamie!»

Ma ormai è sparito, non riesco più a vederlo. O forse quello è lui, è tornato a galla, sputa, si dimena. Sa nuotare, certo, ma nessun bambino riuscirebbe mai a resistere alla morsa del gelo e alla violenza del mare, neanche per un minuto. Le onde fremono e sgroppano, incerte se affogare mio figlio o scagliarlo contro le rocce nere. Oppure rubarci il suo corpo.

Le mie voci fanno silenzio. L’unica voce che sento adesso è salvalo, salvalo, salvalo. Ma porto un bimbo in grembo. Il mio secondo figlio.

«Jamie!» urlo correndo verso il bordo della scogliera.

Ma suo padre è ancora più veloce. L’istinto genitoriale. Io ritorno sui miei passi, la caviglia che urla dal dolore. Non m’importa. Non m’importa se muoio, purché possa salvare mio figlio. Prendo l’unico sentiero che c’è. È ricoperto di neve, ma non mi sembra pericoloso. Segue un vecchio corso d’acqua che un tempo finiva a Zawn Hanna. Inciampando tra le rocce, corro fino alla spiaggia, getto via il cappotto e mi tuffo in mare.

“Io sono tua madre. È così che fanno le madri.”

Il terrore si impossessa di me appena mi immergo nelle onde gelide, un’acqua così fredda da arrestare un cuore, ma non il mio cuore, non questo amore. In mezzo agli schizzi salati riesco a vederti, che ti agiti, che affoghi. Anche tuo padre si è tuffato, e nuota disperato verso di te.

Io vado sott’acqua, qui fa troppo freddo. Ma non posso ancora morire. Devo salvarti. Eppure non ci riesco. Affogheremo tutti in questo mare natalizio, sotto un cielo così blu. Finisco a testa in giù, di traverso. Sto affogando, bevo, mi agito.

«Mamma!» urli tu, tornando a galla. Capisco di esserti vicina, ti posso raggiungere, ti riesco a toccare. Afferro una mano bagnata e un lembo di pigiama fradicio. Ti spingo verso di me. Tu ti dimeni, in preda al panico, e mi mandi di nuovo sott’acqua. Io lotto per tornare su, lotto per respirare l’aria gelida, per salvarci entrambi, tenendoti sollevato.

Ti ho portato via dalle rocce. Adesso c’è tuo padre, e lui ti tiene stretto: è più forte di me, ti mette sulle spalle e nuota fino a riva, portandoti in salvo. Vi seguo con lo sguardo, sbattuta dalle onde, tenendomi a galla in verticale, sputando brina ghiacciata. Qui c’è una roccia scivolosa, granito sporgente ai piedi della scogliera; mi appoggio un po’, ma mi sento le braccia sempre più deboli, il freddo mi sta divorando. L’appetito del mare non è ancora saziato e finirà per prendermi.

Vado sott’acqua, inghiottita dalla corrente gelida, il naso che mi brucia per il sale. Quasi mezzo litro dopo torno a galla, con i conati. Guardo verso il largo, sono girata nella direzione opposta. Ma se non altro sono ancora qui, sono ancora viva. Forse ce la posso fare, passando di roccia in roccia, ai piedi della scogliera, finché non raggiungo la spiaggia. O forse no. Torno sott’acqua.

All’improvviso mi sento una mano addosso, sulle spalle tremanti e indolenzite. È David, tuo padre. È bianco come uno straccio per via del freddo intenso, ma i suoi movimenti sono forti e decisi. Mi prende per un braccio, mi salva la vita. Nuotando lontano dalle onde che si infrangono, lontano dalle rocce, puntiamo verso il largo.

Ha gli occhi rossi per il sale, le guance bianche per il freddo. Bevo ancora e vado a fondo, ma la sua mano mi afferra di nuovo. Vado troppo a fondo, inalando acqua salata. Faccio un ultimo sforzo, respirando acqua, protesa verso la mano di David, protesa verso la luce del sole, ma poi un’immensa e possente onda mi trascina di nuovo giù, mi sconquassa, mi ribalta, e mi sento spezzata in due. Non ce la posso fare. È tutto finito. Sono morta. Vengo risucchiata nel vortice, prima nel blu e poi nel nero più buio. Rassegnata al mio destino, sprofondata nell’oscurità. Anche i miei pensieri vanno a picco mentre il freddo prende il sopravvento. In fondo cosa importa, Jamie? Si tratta solo di me. Sto lottando per nuotare eppure ho già rinunciato. Lascio che il mare dissolva i miei stupidi ricordi, quella non-carriera, gli anni di tristezza e di vergogna. Forse, se fossi sopravvissuta, ti avrei solo mandato in confusione. Non ho mai contato niente. E tu non avresti capito. Ma sì, lasciamo che il mare mi porti via.

Eppure il mondo è così bello bello bello... E mentre muoio, in queste tenebre ghiacciate, mi metto a piangere. La tristezza è sublime. Ah, non è facile rassegnarsi. Vorrei solo averti potuto dire quanto ti voglio bene. Io sono tua madre, e non ti ho mai conosciuto. Oddio, Jamie, il mio bambino, il mio amore...