VIGILIA DI NATALE

Notte

«Jamie!»

Non so più come calmarlo. Il suo corpicino è paralizzato dal terrore. Io stessa faccio fatica a trattenere le lacrime. La cucina è così normale, con il suo bollitore rosso lucido, il frigorifero in acciaio e il piano di lavoro in granito. Eppure ogni cosa si arricchisce di nuove, straordinarie possibilità. Ogni riflesso nel metallo e nel vetro potrebbe essere lei, che si muove, che entra, che apre una porta. Che sorride.

Riesco a sentirti.

Rachel?

Mi sforzo di essere razionale.

Ho un assoluto bisogno di essere il più normale possibile. Perciò devo celebrare il Natale. Devo attenermi scrupolosamente agli usi e costumi della vigilia, perché di sicuro riusciranno a calmare il mio figliastro. E anche me.

«Jamie...» Gli prendo la manina sudaticcia e lo faccio sedere al tavolo della cucina. Poi gli porto un bicchiere di latte. Lui butta giù un bel sorso mentre io continuo a parlargli. «Jamie, non c’è nessuno in casa.»

Stai mentendo.

Jamie ha due leggeri baffi di latte sulle labbra rosse.

«Ma quel profumo! È la mamma, non lo senti? Voglio che la mamma resti morta adesso. Adesso basta, non credi?»

«Io non sento nessun profumo.»

E infatti non lo sento. No, stavolta no. Ma forse riesco a percepire un’altra presenza. Una donna cattiva, capace di cose cattive.

«Voglio che la mamma resti nella miniera. Oppure nella tomba a Zennor, dove vuole... Mi manca, ma adesso deve smetterla di parlarmi.»

«Jamie, lei non ti sta parlando. Non può.»

Ma come faccio a esserne sicura? Quel viso nel buio, l’ho visto, che veniva dalla Sala Vecchia. E da allora non ho più messo piede nella Sala Vecchia. Un’intera ala di questa casa mi terrorizza: sono tornata bambina, ho paura di cosa ci può essere dietro la porta. Mi fa paura la voce di mio padre ubriaco, in fondo alle scale, che sale un gradino dopo l’altro per venire da me.

«Lei mi parla, Rachel, lo fa sul serio!»

«Ma come?»

«Non vuole che te lo dica.» Jamie continua a sbattere gli occhi, in preda a una confusione profonda e dolorosa. «L’ho anche vista, sì, sul serio, ma non era lei, eppure lo era. Era come un sogno, era la mia mamma ma non lo era. L’ho vista nella miniera, quella con le piattaforme.» Si alza in piedi all’improvviso e corre verso la porta, mettendosi a gridare nel corridoio: «Non ti vogliamo più qui, mamma! Stai lontana!».

La casa risponde con un silenzio sprezzante.

Jamie aspetta sulla porta che la madre morta risponda. Io aspetto le mie voci. La pazzia che lui mi ha spinto dentro, con le sue dita e il suo alito al whisky.

Forse David ha ragione e non sono in condizioni di badare a un bambino, forse mi sto solo illudendo. Forse dovrei rinunciare, chiamare la polizia, lasciare Carnhallow, permettere a David di riprendere il controllo. Ma in fondo, lui non è migliore di me. È coinvolto nella morte di Nina. E forse non è neppure il vero padre di Jamie.

La confusione si fa inestricabile. E di nuovo tutti i tunnel finiscono nella più completa oscurità. Mi sforzo di aggrapparmi alle tradizioni del Natale.

«Jamie, su, prepariamo qualcosa per Babbo Natale!»

Non c’è da stupirsi se lui mi guarda come fossi un pazza. Riesce a vedere la pazzia che mi invade.

«Su, Jamie, una carota per Rudolf e un bicchierino di sherry per Babbo. Mettiamoli accanto al camino, così li trovano quando portano i regali!»

Mia madre faceva sempre così a Natale, è forse l’unico ricordo bello che ho. Io, mia madre e mia sorella preparavamo la carota e la mamma la mordeva come fosse una renna e noi ridevamo perché sapevamo che era tutto finto, ma in qualche modo volevamo anche crederci. Perché la realtà era così dannatamente più brutta.

L’incantesimo funziona. Il fondo al frigo scovo una carota mezzo ammuffita. Sul retro della credenza la bottiglia di sherry. L’espressione di Jamie si addolcisce in una specie di speranza sconsolata. La bianca magia del Natale sta facendo effetto.

Poi ci armiamo di coraggio e percorriamo il corridoio fino al Salotto Giallo, dove l’albero luccica e la fatina ci sorride, pronta ad agitare la bacchetta. La TV è ancora accesa e trasmette una liturgia da chissà dove, nella profonda e nevosa Inghilterra, una chiesa gremita di fedeli in abito scuro e cappotto che cantano inni di Natale. Le speranze e le paure di tutti gli anni siano soddisfatte questa notte in Te.

Intuisco che dev’essere tardi, è passato un mucchio di tempo. Sarà la messa di mezzanotte? Guardo fuori, le tende sono scostate. Le nuvole si aprono e lasciano intravedere una luna giallognola, eppure la neve soffice non si arrende, disegnando motivi ossessivi dietro i vetri a piombo. La mia casa sembra un biglietto di auguri natalizio. Un volto maligno si affaccia alla finestra.

Stronza.

No, non voglio ascoltare. Stavolta non lascerò che le voci mi facciano impazzire. Se ci casco, non torno più indietro.

«Andiamo, Jamie, è tardissimo.»

Lui annuisce, ubbidiente, fiducioso. Il resto della casa si estende attorno a noi, immensa e oscura, del tutto sproporzionata. Noi due soli in una delle cento stanze vuote.

«Sistemiamo queste cose per Babbo Natale e poi andiamo a dormire, vuoi? È tardi, e domani è Natale, e dopo puoi vedere il papà e tutto tornerà a posto, vedrai.»

«Sì, Rachel.»

Metto il bicchierino di sherry sulla mensola del camino, mentre il piattino con la carota lo lasciamo sul pavimento, proprio di fronte al fuoco.

E all’improvviso cala il buio. La televisione gracchia e ammutolisce, le luci si spengono tutte insieme. Una musica ininterrotta a volume bassissimo si dissolve all’improvviso, lasciando un silenzio martellante.

È un semplice black-out, tutto qui. Ma siamo immersi nel buio. La casa è invasa dalla notte. L’unica luce proviene dalla luna che scintilla sulla neve dietro i vetri e dalla paura negli occhi sgranati di Jamie.

«È stata lei!» Mi afferra, mi tiene stretta. «È stata lei! Ti prego, non lasciarglielo fare, ti prego, non te ne andare, non morire, mamma, non lasciarmi qui solo con lei!»

Seguendo il suono della sua voce, gli abbraccio le esili spalle tremanti.

«Shhh, Jamie... è solo un black-out, la neve deve aver danneggiato i fili della corrente.»

«Ho paura, Rachel, paura, paura, paura!»

Il cuore mi batte all’impazzata. Così forte da far male.

«Non avere paura, tranquillo, andrà tutto bene. Adesso andiamo a letto e scommetto che quando ci alziamo sarà tornata la corrente, okay?»

Il linguaggio del suo corpo urla “Non ti credo!”. E del resto non posso dargli tutti i torti. Adesso dietro di lui è pieno di facce curiose, pigiate contro la finestra, un mucchio di spirali e mulinelli di neve, colpiti in pieno dalla luce della luna.

Jamie, sono tornata, ciao, tesoro.

Era una voce reale?

Aiuto, sto crollando. La voce suonava maledettamente reale, come se provenisse da dietro l’albero di Natale, un triangolo nero nell’angolo nero, o forse dalla parte opposta, accanto al televisore, un’altra sagoma scura nell’oscurità. Devo nascondere il mio terrore e la mia confusione. Jamie non deve in nessun modo capire che sto crollando anch’io, in maniera ben più rovinosa di lui.

Non so più dove ho lasciato le torce. Disperata, senza fiato, cerco il mio cellulare. Un altro accesso di panico mi afferra quando capisco di averlo lasciato in cucina. Dovremo tornare laggiù al buio, oltre il lungo corridoio che porta alla Sala Vecchia.

«Prendiamo il telefonino e andiamo a letto», dico a Jamie, tenendogli la mano nelle tenebre opprimenti.

Lui mi viene vicino, affonda il viso nel mio grembo. Come a Levant, quando aveva predetto la mia morte. Era stato allora che tutto aveva avuto inizio, la mia pazzia. Ed era stato lì che avevo avuto la mia prima allucinazione. La ragazzina con gli stivali troppo stretti. Come la bimba del supermercato. Una ragazzina deforme, più o meno della stessa età di mia figlia, se fosse vissuta.

Ma adesso è troppo tardi. L’ho capito troppo tardi.

Sì, adesso è troppo tardi.

Jamie farfuglia. «Ho paura, Rachel, paura del buio. Non voglio andare dalla mamma.»

«Shhh...» Sto cercando disperatamente una soluzione, un modo per farci superare le prossime ventiquattr’ore, per farle superare a entrambi e uscirne sani e salvi. Forse dovrei chiamare la polizia e condannarmi, ma la mia mente si oppone ferocemente alla semplice idea. Non permetterò a mio padre di vincere. Io posso farcela. Devo solo superare indenne il Natale.

«Va tutto bene, Jamie, lo sai cosa facciamo? Dormiamo tutt’e due insieme nella mia stanza. La stanza mia e del tuo papà. Per stanotte.»

Lui solleva lo sguardo e una vaga speranza gli brilla negli occhi. «Davvero, posso?»

«Sì, dai, adesso ti preparo il lettino.»

«E possiamo tenere le candele accese? Il giorno della vigilia tenevamo sempre le candele accese, perché piacevano alla mamma, ecco perché le piaceva Christingle...»

«Sì, certo che possiamo, certo.»

La nausea mi sale in gola e si ritira. Io mi guardo attorno nella stanza buia, guardo le finestre, dove tante rose nere stanno sbocciando. Potrei giurare di sentirne il profumo, non molto diverso dallo Chanel.

«Andiamo.»

La mia mano trema più della sua. Uno accanto all’altra ci facciamo strada nell’oscurità, legati come minatori in un tunnel pericoloso, il cieco che guida il condannato. La buia e inafferrabile sagoma della porta ci aspetta. Tutto questo nero ha reso la casa più silenziosa che mai. Tutti i rumori sono rimasti chiusi fuori, il vento gelido tra i sorbi e il mare lontano con la sua rabbia infinita.

«Da questa parte.»

Il corridoio è persino più buio del Salotto. Riesco appena a intuire le sagome bianche delle stampe antiche, le vecchie miniere appese al muro. Le foto d’epoca delle bal maidens, che osservano accigliate il futuro. I loro volti sporchi e avviliti che accusano i Kerthen. “Siete stati voi, siete stati voi. È colpa vostra se siamo morte.”

Avanti, avanti, dobbiamo arrivare in cucina, e troveremo la torcia.

Jamie, sono tornata a casa.

Il mio figliastro non l’ha sentito, l’ho sentito solo io.

Jamie mi stringe più forte la mano. «Ho sentito qualcosa.»

«Cosa?»

Il viso di Jamie è un ovale sfumato nell’ombra, gli occhi sgranati per il terrore. Sento il bisogno urgente di toccargli la faccia, di sapere che almeno qualcosa, qualcuno, è concreto e reale. «L’ho sentita, proprio adesso. La mamma...»

«Siamo quasi in cucina.» Lo trascino così forte che rischio di farlo inciampare. Sono terrorizzata. Non riesco a guardare verso il corridoio.

Jamie mi dà uno strattone. «Ma io l’ho sentita! E so anche dov’è! È nella Sala Vecchia, e mi ha chiamato!»

«Jamie, non c’è niente là dentro!»

Adesso è lui a tirarmi il braccio, mi supplica di dargli retta. È un’ombra informe nel buio alla luce della luna. «Dobbiamo andarci!»

Sono in balia del panico, ma non ho scelta. «Okay, Jamie, shhh... Domani guardiamo...»

«No! No, no, è la vigilia di Natale! Lei dev’essere tornata ed è nella Sala Vecchia, lei è lei è lei è...»

«Aspetta un attimo», lo imploro disperata. «Prima facciamo un po’ di luce. È troppo buio, non si vede niente e rischiamo di cadere.»

Devo farlo in fretta, sempre che riesca a farlo. Cadendo quasi a terra, inciampando nelle sedie, ci precipitiamo lungo il corridoio di ombre e buio e arriviamo in cucina. La luna colpisce con i suoi raggi antichi il vuoto luccicante. Ma sì, eccolo lì, sul bancone di granito, il mio cellulare. Appena accendo la torcia, il cono di luce crea ombre più profonde nell’oscurità che si addensa.

«Okay, tutto a posto, adesso andiamo di sopra e...»

«No. Hai detto che potevamo accendere le candele! Hai detto che potevamo andare nella Sala Vecchia, l’hai detto!»

Corre lontano da me e si ferma in un angolo, appoggiato al muro della cucina, un braccio sugli occhi. Per cercare di non piangere. Il ragazzino coraggioso.

Ogni angolo della mia mente si commuove per le lacrime imperative e non trascurabili di un bambino che ha perso la sua mamma. La paura fa male, ma il senso di colpa non è da meno.

Accettando il ruolo che mi è stato assegnato, mi chino su un cassetto della cucina e rovisto all’interno.

«Eccole qui!»

Due candele e un accendino. Lui si gira a metà, mentre io trovo due piattini e accendo le candele. Se non altro, risparmierò la batteria del cellulare.

«Su, attacchiamole ai piattini, guarda.» Passo l’accendino sugli stoppini, faccio colare la cera e sistemo le candele.

Jamie si sposta, mi guarda fisso e mi viene più vicino, i lineamenti che ballano alla luce tremolante della fiamma.

«Così è più bello, vero, Rachel? È quello che vuole la mamma. Lei adora le candele. Voglio fargliele vedere», mi dice mentre fissa le fiamme gialle oscillare alla brezza silenziosa che non so spiegarmi. A meno che da qualche parte non si sia aperta una porta.

«Ecco, una candela a te e una a me. Attento a non farla cadere.»

«Okay.»

L’anticamera buia trema di stupore vedendoci uscire dalla cucina, il figliastro e la sua matrigna, ognuno con un piattino in mano e una fragile candela.

Adesso procediamo lungo il corridoio e giriamo a destra. Lo stiamo facendo sul serio, stiamo percorrendo il corridoio, oltrepassando il confine dove il restauro è finito, dove Nina è morta, dove qualcuno è morto. La porta della Sala Vecchia incombe di fronte a noi, sconcertata dalla nostra stessa idiozia.

Non posso farlo, non posso aprire quella porta. Sono troppo stupida e troppo terrorizzata, lì dietro c’è mio padre.

Jamie spinge la porta.

Si apre di fronte a noi un diverso genere di oscurità, che si ritrae, con un sussurro sconsolato, nell’attimo in cui entriamo con le nostre candele.

Siamo dentro la Sala Vecchia. Dove lei ci aspetta, guardandoci con gli occhi sbarrati come la donna che galleggia con l’abito da sera dentro la miniera, il sorriso scheletrico sulla bocca. Chissà se riesce a vederci, nel suo seguito infinito di sogni, mentre i suoi ricci ondeggiano nell’acqua gelida.

Qui dentro l’oscurità è intensa almeno quanto il freddo. Nelle finestre alte e strette, il cerchio perfetto della luna invernale sembra una maschera bianca giapponese. Jamie è immobile e ha lo sguardo fisso, il viso illuminato dalla fiamma tremolante. Guarda rapito qualcosa nell’angolo. Io non ho il coraggio di fare altrettanto, non riesco ad affrontare un simile spettacolo. Forse gli si sta avvicinando, eccola, sempre più vicina, viene a riprendersi suo figlio.

Ciao, Rachel.

Una mano mi afferra, sbucata dalle tenebre alle mie spalle. Mi afferra per i capelli, me li tira, mi costringe ad abbassarmi.

Io annaspo e cado in avanti. Me lo immaginavo? Ma certo. Gli orrori della mia infanzia tornano a prendere il sopravvento. Mi ritrovo in ginocchio, spinta da dietro, dalle mie stesse allucinazioni. Ho fatto cadere la candela, la sua fiamma si spegne sul pavimento di pietra. Jamie mi osserva, sconcertato dalla vista della sua matrigna in ginocchio, in preda al panico.

«Rachel, va tutto bene? L’hai vista? L’hai vista, vero?»

«No, no, stavo solo... Non è stato niente... Non è niente.»

Raccolgo la candela, con mani tremanti e terrorizzate, e la riaccendo per scacciare il buio spaventoso. La Sala Vecchia ci sta lasciando liberi. Lei non è qui. Qui dentro non c’è nessuno. Non c’è nessuno per chilometri, le brughiere spoglie sono coperte di neve, le scogliere deserte e ghiacciate.

Sono al piano di sopra.

Jamie mi stringe la mano e dice: «Andiamo di sopra».