102 GIORNI PRIMA DI NATALE
Pomeriggio
Ho impiegato una settimana a trovare il coraggio di entrare qui dentro, nello studio di David. Dove forse scoprirò qualcosa in più su Jamie. Mio marito è andato e venuto da Londra, i giorni sono andati e venuti, ormai decisamente più corti, io ho fatto su e giù con la scuola e parlato con il giardiniere e letto i miei libri sull’intarsio, la falegnameria e la muratura, e ho esitato almeno dodici volte di fronte a questa porta massiccia.
La casa è deserta. Jamie è ancora a scuola; Cassie è andata a fare la spesa; Juliet trascorre la giornata a casa di amici, a St Ives. Io ho almeno un’ora tutta per me, perciò devo farlo adesso. So benissimo di agire alle spalle di David, ma il dolore in questa casa è troppo intenso per poter formulare direttamente le domande che vorrei. Sarebbe troppo penoso per tutti. Perciò devo essere più sottile, più discreta. Un sole settembrino, luminoso ma già obliquo, disegna un fazzoletto ambrato sul parquet lucido. Le assi scricchiolano a ogni mio passo, finché non mi decido ad aprire la porta.
Sono stata in questa grande stanza aromatizzata al cedro solo tre o quattro volte prima d’ora, e sempre in presenza di David. Adesso mi guardo attorno, con una leggera ma indubbia soggezione. Alle pareti rivestite di legno sono appesi quadri antichi, maldestri ritratti dei Kerthen, opera di artisti del posto. Ritratti di uomini ricchi che potevano ingaggiare solo pittori molto provinciali.
So che il più grande e scuro di questi dipinti ritrae Jago Kerthen, l’uomo che fece scavare il pozzo di Jerusalem intorno al 1720. Dice David che era famoso per la sua severità, se non brutalità, perché condannava a morte gli uomini in quei pozzi micidiali, costringendoli a lavorare giorno e notte, con una misera candela di sego incollata ai cappelli. I suoi occhi blu brillano di cupidigia dentro la cornice dorata del ritratto: per quanto grossolano, l’artista è riuscito a catturare il suo sguardo. Eppure è stata la smisurata avidità di quest’uomo a far lievitare le fortune dei Kerthen all’inizio del diciottesimo secolo.
David ha sistemato il quadro in maniera che guardi fuori dalla finestra a ghigliottina, verso il fondo della vallata e le sagome scure appena visibili della miniera di Morvellan. E di lì in avanti, verso il mare immenso e luccicante. L’avido e violento Jago Kerthen ha lo sguardo fisso sulla stessa miniera che ha fatto scavare nel granito.
Sono certa che non l’ha appeso lì per caso.
In tutta la stanza si sente la mano di David. Un paio di bei quadri astratti, forse persino un Mondrian. Sul pavimento, alcuni di quei tappeti azeri che a David piacciono tanto, a quanto pare incomparabilmente superiori a quelli turchi o persiani. Mentre li guardo, mi pare quasi di sentirlo commentare in tono vago, come suo solito: “Oh, sì, i tappeti... li ho comprati a Baku”.
In posizione dominante è sistemato un grande scrittoio, molto imponente e sicuramente antico. Mi avvicino, ingoiando il mio senso di disonestà, quasi fossi un’intrusa che ficca il naso dove non dovrebbe.
Un portatile Apple nuovo di zecca è posato, ben chiuso, accanto a una serie di cimeli posseduti da tutti i Kerthen che hanno partecipato alle vicende militari inglesi: medaglie con fasce sbiadite provenienti dalle guerre di Crimea e d’Indipendenza, e lì accanto un vecchio revolver arrugginito con del fango ancora incrostato, forse dalla prima guerra mondiale. Poi una lunga spada scintillante con l’impugnatura dorata. Guardando più da vicino, leggo un’incisione: HARRY ST JOHN TRESILLIAN KERTHEN, PAARDEBURG, 1900.
Sul lato opposto di questo grande scrittoio ci sono tre foto. Una di me e David e una di Nina e David, entrambe il giorno dei rispettivi matrimoni. Cerco di non fare confronti: la bellezza ondeggiante del suo abito paragonata al mio umile vestitino estivo, la grandeur delle nozze glamour di Nina di fronte alla mia modesta festicciola londinese. Resisto all’impulso di girare a faccia ingiù la foto di Nina.
La terza foto, in una cornice d’argento, è di Jamie, a quattro o cinque anni, che ride inconsapevole nella cucina in pieno sole, qui a Carnhallow. È un’immagine dolce, molto toccante: Jamie sta guardando la sua adorata madre, quasi fuori dall’inquadratura, che evidentemente gli dice qualcosa di buffo. Sembra perfettamente felice, in un modo che non conosco. Non ho mai visto questo bambino sorridente, felice e sereno prima della morte della madre.
Il senso di perdita è ancora palpitante nello studio, come una ferita aperta nel cuore di Carnhallow. E io ho la strana sensazione di rigirare il coltello nella piaga. Di rinnovare il dolore.
Eppure lo sto facendo per la migliore delle ragioni: aiutare Jamie. Perciò non mi voglio fermare. Vado a dare un’occhiata agli scaffali. Uno intero è dedicato a Jamie, lo conosco già: c’è un po’ di tutto, dalle pagelle ai gagliardetti. Quella volta David aveva tirato fuori le cartelle cliniche del figlio.
Passo la mano sullo scaffale. Una foto di scuola. Dei quaderni. Certificati delle vaccinazioni. Gruppo sanguigno, A. Medaglia d’oro in inglese, secondo anno. Mi soffermo su una cartellina senza titolo, poi la prendo e la apro.
Dentro non c’è molto. Dei fogli scritti con una grafia infantile. Eppure, quando comincio a leggere, sono sopraffatta da un’emozione inaspettata e capisco all’improvviso che sto tenendo in mano le lettere di Jamie alla sua defunta madre.
Cara mamma,
sto scrivendo questo perché lo pisicologo dell’ospedale dice che mi fa bene scriverti adesso che sei morta. Mi manchi mamma. Eri buffa cuando ti mettevi la sabbia sul naso in Francia cuando andavamo in vacanza. Ti penso ogni giorno da quando sei caduta
Da quando sei
Un mucchio di cose sono sucesse certe molto tristi e papà è stato lontano tanto come e dice che manchi anche a lui. Adesso ho un nuovo astuccio mamma.
Dopo che sei caduta nell’acqua la nonna ha detto che eri in una vacanza molto lunga e io ho chiesto un posto come la Francia e lei ha detto sì. Ma papà ha detto che non torni e la nonna ha detto una bugia e tu eri morta e non stai per tornare.
Ho aperto il libro pop up
Dopo che sei
Oggi abbiamo imparato che il dinosauro ubdcefalus aveva un osso sulla coda per colpire i nemici.
Oggi abbiamo fatto grammatica queste sono le mie Frasi
mi senti cantare?
Mi hai mai visto tirare un calcio?
Sto saltando.
Sto cominciando a saltare
Sto sollevando.
Sto spostando un tavolo.
Sto piangendo.
Sto volando nell’aria.
Il signore all’ospedale dice che devo parlarti nelle mie lettere mamma ma a volte divento molto triste e mi tornano in mente le vacanze. Te le ricordi mamma?
Il mio giorno preferito con te e papà è stato cuando siamo andati in Francia. Io e papà siamo saliti su un faro poi siamo andati nei negozi con te e abbiamo comprato dei mashmalow e una cioccolata calda buonisima. Cuando siamo tornati a casa li abbiamo arrostiti sul fuoco, poi pensavo che dovevamo cenare e invece siamo andati su una barca per andare in un’altra casa. Io ero così sorpreso. Eravamo tutti così felicissimi.
Dopo che sei morta
Mamma ha piovuto un sacco dopo Natale ora tu non ci sei più. Ho preso degli stivali di gomma. Poi ho schizzato nelle pozzanghere con papà poi abbiamo fatto la lasania e abbiamo guardato ancora quel film che ti piaceva. Papà ha pianto un po’ è l’unica volta che ho visto papà piangere lui non piange e mi ha detto che era perché io ero solo come lui. e mi ha detto scusa e mamma mi voleva bene e non devo mai avere dubbi su questo e
Perché hai detto così a Natale
Perché hai
Comunque adesso devo andare la nonna dice che c’è la pasta al formaggio per cena. Spero che hai un cane in cielo perché magari anche tu ti senti sola
Ti voglio bene mamma. Voglio che torni ma tu non puoi tornare perché sei morta dice papà. Mi manchi ogni giorno sei nella terra così in basso che nessuno può raggiungerti nemmeno con un bulldozer
Jamie
La lettera mi trema fra le mani. Sul foglio ci sono delle macchie scure. Magari sono lacrime secche.
Ci sono altre due lettere. Più corte. La scrittura in queste è migliore, forse Jamie era un po’ più grande quando le ha scritte.
Devo avvicinarmi per leggere le parole, e a quel punto mi accorgo che nella stanza è calato il buio.
Un’occhiata alla finestra e mi accorgo che tutto d’un tratto il cielo si è riempito di nuvole nere, alla maniera della Cornovaglia, senza preavviso, trasformando il giorno in notte. Subito la pioggia comincia a picchiettare sui vetri. Allora accendo la lampada di ottone sullo scrittoio di David e continuo a leggere.
Cara mamma,
papà ha detto che devo smettere di scriverti perché mi manda in crisi. L’ha detto se per caso ti arrabbi e io ho paura che torni come fantasma che sarebbe molto spaventoso.
Fantasma
Non voglio smettere di scriverti perché riesco a imaginarti nella mia testa quando ti scrivo. Tu mi baciavi sempre sul naso per rimettere tutto a posto Francia
Mamma ricordo che era Natale e tutti bevevano un sacco e parlavano sempre più forte. Mi dispiace e papà ha detto che è stata colpa tua e io sono scappato non posso scriverlo mi dispiace che sei morta mi dispiace se
Sabat
Ecco le frasi che abbiamo fatto ieri
Il libro mi piace da matti
Oggi non vado a nuotare è troppo noioso
Spero di rivedere ancora la mia mamma
Voglio portare un robot giocattolo a scuola
Secondo me non hai un cane
Papà si fa la barba
Mamma sta salutando
Mamma certe noti ti sogno che galleggi nell’acqua. Qualcuno a scuola ha detto che i corpi tornano su tu ritornerai? Dicono che se sei annegata nel mare allora il tuo corpo viene buttato sugli scogli come una stella marina perché non sei stata buttata su Morvellan come una stella marina?
Sanguinare
le punte delle dita TAGLIATE
SANGUE NEL
Le bibite gassate ti fanno male e ricordo che a Natale ti ho dato una bibita gassata e ho pensato che era colpa mia se eri morta e hanno sepolto il tuo cappotto ma ormai non lo penso più.
Ascolto il mare sembra un uomo grosso che respira, un grosso uomo spaventoso e la mamma nel buio e nell’oscurità. Faccio sogni spaventosi su di te senza dita mi dispiace. stai sorridendo
Jamie xxxXXXxxx
Un’altra lettera e basta. Questa sembra più recente, la scrittura è notevolmente migliorata. Leggo il mio nome nel primo paragrafo, quindi l’avrà scritta dopo che sono entrata nella sua vita.
Mi avvicino ancora di più alla lampada sullo scrittoio e comincio a leggere.
Cara mamma
La nuova moglie di papà è qui adesso e si chiama Rachel Daly ma adesso è una Kerthen come te me e papà. Sei arrabbiata con lei per aver presso preso il tuo posto? Non devi lei è carina mi insegna a fare le foto ma non è la mia mamma TU sei la mia mamma.
Alle volte non mi piace guardare la miniera dove sei caduta mamma lo so che sei viva e stai bene adesso ma le miniere mi spaventano. Sembrano dei mostri. Rachel è triste a volte ride un sacco ma poi sembra infelice.
Ricordo quando tu eri triste un sacco prima dell’incidente della caduta. Quando papà e anche tu avete detto quello che avete deto che non devo dire a nessuno.
Oggi a scuola Miss Anderson ci ha mostrato delle immagini del paradiso ma mi sa che io non credo più nel paradiso perché ero convinto che vivevi in paradiso con il nonno. Ma adesso tu non sei in paradiso sei dentro casa di notte perciò come funziona? Hai nuotato nella miniera e sei uscita fuori?
Ieri abbiamo nuotato. So nuotare a stile libero, a dorso, ma la farfalla non mi riesce. È troppo faticoso. Tu nuotavi tantissimo in Francia quando non la smettevi più e papà rideva e diceva che nuotavi verso l’Inghilterra perché volevi andar via da noi.
Vorrei che tu
Ti volevo bene come a papà, mi dispiace
Ho letto una storia sui pinguini. Ci sono dei pinguini nell’Antartico che passano tutto l’inverno ad allevare i piccoli. Fa freddo così freddo che gli occhi ti si ghiacciano e quindi bisogna portare gli ochialini protettivi. I pinguini che allevano i piccoli sono i papà. Il vento soffia fortissimo e i papà pinguini tengono al caldo i pinguini piccoli sotto le loro piume soffici. Poi dopo un sacco di tempo vedono le mamme pinguine. loro pensavano che le mamme pinguine erano morte ma poi vedono le mamme pinguine tornare in mezzo al vento e alla neve e sono felici. Le mamme pinguine tornano sempre dai loro piccoli.
Questo fine settimana andiamo in un castello a fare un picnic con papà e Rachel. Ma se piove restiamo a casa ma io credo che ci sarà il sole. Oggi fa caldissimo e sono andato a nuotare con papà e Rachel a zawn hana e mamma tu eri lì dentro la mia testa e poi ti ho vista ha casa.
Mi manchi un sacco come a una scarpa il tacco è così che dice papà ma adesso devo andare a dormire. Ciao ciao
Jamie xxx
Facendo molta attenzione, infilo di nuovo le lettere nella cartellina e la rimetto sullo scaffale.
Tra poco Cassie tornerà a casa con Jamie, e anche Juliet. Non voglio che mi sorprendano qui dentro, anche se in fondo è casa mia. Non devono avere il sospetto che io vada in giro a ficcanasare.
Mi guardo attorno e rimetto a posto qualsiasi cosa possa avere spostato. Poi mi fermo davanti alla finestra e seguo lo sguardo di Jago Kerthen sulla vallata buia, dietro i vetri rigati di pioggia, verso le miniere e le scogliere e il mare.
Cosa mi dicono quelle lettere? Mi dicono che Jamie è profondamente confuso, a livelli che neppure sospettavo. Mi dicono che probabilmente io non sono di nessun aiuto, anche se forse gli piaccio, o almeno mi sopporta. Mi dicono che il suo dolore è assoluto e incessante, che sta soffrendo profondamente. Mi dicono che è mio dovere aiutare questo povero bambino in tutti i modi.
Mi dicono anche un’ultima cosa.
Devono aver discusso la sera che Nina è morta. Tanto che Jamie se ne ricorda ancora.
Eppure nell’inchiesta non se ne fa il minimo cenno.
Dovrei parlarne con David? Ma così si scoprirebbe che ho frugato nel suo studio, tra le sue carte private.
All’improvviso un urlo lacerante spezza il flusso dei miei pensieri.
Sera
Spengo la lampada dello scrittoio e corro alla porta, un’ansia insopportabile mi opprime il petto.
«Aiuto!» urla Juliet, «qualcuno mi aiuti!»
Il corridoio fuori dallo studio è deserto, fino alla Sala Nuova. Poi vedo una sagoma che emerge dal fondo, è Jamie. Con la divisa scolastica. Sono tornati tutti a Carnhallow e io non ho sentito niente? Ero troppo assorta nelle lettere.
«Rachel! Viene dalla Sala Vecchia!» urla Jamie, guardando verso di me. «È la nonna, l’ho sentita, l’ho sentita urlare!» È bianco come un lenzuolo, e gli trema il labbro di sotto. «Nella Sala Vecchia! Ti prego, vieni!»
Lo seguo, correndo così veloce che le assi del pavimento scricchiolano quasi per il dolore. Giro la pesante maniglia in ghisa della Sala Vecchia. Gli alti finestroni a sesto acuto si aprono su un cielo coperto di nuvole nere, come se fosse già calata la notte. La luce viene tutta dall’interno. Un tremolante bagliore aranciato che fa ballare le ombre sulle pareti.
Perché il pavimento è invaso da fiamme basse e minacciose, volute e spirali, anelli e lingue di fuoco. Un labirinto di fessure è comparso sul pavimento, e le miniere che bruciano sotto di noi sono ora visibili, dita di fuoco protese verso l’alto, artigli allungati fin dentro casa. Juliet agita la sua giacca sulle fiamme orribili in preda al panico, quasi in lacrime.
«Oddio, ma cos’è? Cos’è?» La sua voce è arrochita dal terrore. «Sono passata di qui solo per evitare la pioggia. Io odio questa stanza! Non ci vengo mai per tutto quanto, per loro, e poi...» indica, «poi ho trovato questo, ho trovato tutto questo, questa gente, chi è stato, perché lei ha fatto una cosa simile?»
Disperata, anch’io mi metto a spegnere le fiamme. Ma è durissima. Le lingue di fuoco sono basse ma forti e persistenti, forse per questo anche più sinistre. Come una modesta dimostrazione di un potere molto più grande, messa in scena per spaventare e minacciare: Guardate cosa posso fare. C’è puzza di benzina nell’aria, e di fumo, e forse anche di qualcos’altro. Profumo?
«Jamie, aiutami, aiuta tua nonna!»
Lui non muove un dito. Ha aggirato il labirinto di piccole fiamme e guarda rapito dal lato opposto della sala le luci tremolanti sul pavimento. Questo chiarore denso di fumo rende le nostre ombre ancora più ondeggianti, ora immobili, ora barcollanti.
Juliet agita la giacca disperata, mentre le fiamme si spengono quasi di loro volontà. Forse hanno terminato il loro lavoro. Poi mi sussurra: «È stata lei. È stata Nina».
Jamie sta fermo dov’è. Sorridente e sorpreso. L’aveva predetto. L’altra volta nel Salotto Giallo aveva detto: «La Sala Vecchia sarà piena di luci».
No, è un’assurdità. Dev’essere uno scherzo. Gli vado accanto e cerco di confortarlo posandogli un braccio sulle spalle. Da questa prospettiva osservo il disegno lasciato dalle fiamme sul pavimento. E capisco d’un tratto perché è sorpreso, o spaventato, o sotto shock. Le tracce di fuoco non sono disposte a caso, ma compongono una parola di brace ardente.
MAMMA.