A dire il vero

Quando Roger Halsted apparve in cima alle scale, il giorno della riunione mensile dei Vedovi Neri, c'erano solo Avalon e Rubin. Lo accolsero con esultanza.

Emmanuel Rubin disse: «Oh, ti sei deciso finalmente a rivedere i vecchi amici, non è vero?» Si affrettò ad andargli incontro a mani tese, mentre la rada barba gli si distendeva in un ampio sorriso. «Dove sei stato quando abbiamo tenuto le ultime due riunioni?»

«Salve, Roger» disse Geoffrey Avalon, sorridendo dall'alto della sua imponente statura. «Accomodati, prego».

Halsted si sfilò il soprabito. «Fa un accidenti di freddo, fuori. Henry, mi porti…»

Ma Henry, il solo cameriere che i Vedovi Neri avessero mai avuto e voluto, aveva già pronto l'aperitivo. «Sono lieto di rivederla, signore».

Halsted prese il bicchiere con un cenno di ringraziamento. «Per due volte è saltato fuori un imprevisto… Sentite, sapete cosa ho deciso di fare?»

«Smetterla con la matematica e guadagnarti da vivere onestamente?» chiese Rubin.

Halsted sospirò. «Insegnare matematica alle medie inferiori è un modo onesto di guadagnarsi da vivere, come tanti altri. Ecco perché rende così poco».

«Quand'è così» disse Avalon, rigirando lentamente il bicchiere tra le mani, «come mai il giornalismo indipendente è un'attività così disonesta?»

«Il giornalismo indipendente non è disonesto» disse l'indipendente Rubin, abboccando subito all'esca, «finché non ti appoggi a un agente…»

«Che cosa hai deciso di fare, Roger?» lo interruppe mellifluo Avalon.

«Questo è il progetto che ho sognato…» disse Halsted. Aveva la fronte alta e il colorito chiaro, senza più traccia della capigliatura che v'era cresciuta, forse, dieci anni addietro, benché i capelli fossero ancora abbastanza folti alla sommità della testa e ai lati. «Voglio riscrivere l'Iliade e l'Odissea in limerick. Cinque versi per ciascuno dei quarantotto libri».

Avalon annuì. «Ne hai già scritta qualcuna?»

«Mi sono dedicato al primo libro dell'Iliade. Ecco qua:

Agamennone, dei greci condottiero,

Parlò ad Achille, severo.

Bisticciarono un bel po',

Achille si infuriò,

Decampando irato e fiero».

«Non c'è male» disse Avalon. «Benissimo, anzi. Compendia perfettamente il contenuto del libro. Naturalmente, il nome esatto dell'eroe dell'Iliade è Achilleus, con il suono del “ch” come in…»

«Achilleus mi rovinerebbe il metro» disse Halsted.

«E poi» aggiunse Rubin, «tutti prenderebbero per uno sbaglio quell'us in più. Nei limerick l'importante è il ritmo».

Arrivò Mario Gonzalo salendo di corsa le scale. Era l'anfitrione di turno e disse: «C'è qualcuno?»

«Nessuno, tranne noi poveri vecchi» fece Avalon, amabile.

«Il mio ospite sta arrivando. Un tipo veramente interessante. Piacerà ad Henry, non dice mai una bugia».

Henry sollevò le sopracciglia, mentre gli porgeva l'aperitivo.

«Non dirmi che porti George Washington!» disse Halsted.

«Roger! Che piacere rivederti… A proposito, Jim Drake oggi non sarà dei nostri. Ha rimandato l'invito dicendo che deve partecipare a non so più quale festa di famiglia. Il mio ospite si chiama Sand… John Sand. Lo conosco da anni, ci vediamo ogni tanto. Un tipo stravagante. Non manca una corsa, all'ippodromo, non mente mai. Non l'ho mai sentito dire una bugia. È la sola sua virtù, quasi». E ammiccò.

Avalon annuì, con sussiego. «Fortunato che può. Invecchiando, tuttavia…»

«E credo che sarà una riunione interessante» aggiunse in fretta Gonzalo, chiaramente per evitare le frigide confidenze di Avalon. «Gli ho parlato del club, gli ho detto che le ultime due volte abbiamo affrontato dei misteri…»

«Misteri?» disse Halsted, con improvviso interesse.

Gonzalo disse: «Sei un membro di buona reputazione di questo club, quindi possiamo dirtelo. Ma lascia che lo faccia Henry. Tutt'e due le volte ha avuto un ruolo di primo piano».

«Henry?» Halsted, leggermente sorpreso, gli gettò un'occhiata di sopra la spalla. «La stanno coinvolgendo nelle nostre sciocchezze?»

«Ho cercato di evitarlo, signor Halsted, glielo assicuro» disse Henry.

«Cercato di evitarlo!» disse Rubin con calore. «Ascolta, Henry è stato lo Sherlock Holmes della seduta, l'ultima volta. Lui…»

«Il fatto è» disse Avalon, «che forse hai parlato troppo, Mario. Cosa hai detto di noi al tuo amico?»

«Cosa vuol dire, parlato troppo? Non sono Manny. Ho detto a Sand, per prudenza, che non potevo entrare nei particolari perché siamo tutti come sacerdoti nel confessionale per quello che succede qui, e lui ha detto che gli sarebbe piaciuto esser socio perché ha certe difficoltà che lo stanno facendo ammattire. Gli ho detto che avrebbe potuto partecipare a questa seduta dato che l'anfitrione sono io e avrebbe potuto essere mio ospite… ma eccolo qua!»

Un uomo snello, con una pesante sciarpa al collo, stava salendo le scale. Apparve ancora più magro quando si tolse il soprabito. Sotto la sciarpa spiccava una cravatta rosso sangue che pareva dar colorito al viso, pallido e sottile. Dimostrava una trentina d'anni.

«John Sand» lo presentò Mario. Ma la cerimonia fu interrotta dal passo pesante di Thomas Trumbull e dal suo grido sonoro: «Henry, uno scotch e soda per un moribondo».

Rubin disse: «Tom, arriveresti prima se ti rilassassi e la smettessi di far di tutto per essere in ritardo».

«Più tardi arrivo» disse Trumbull, «meno sciocche osservazioni mi tocca sentire da te. Ci hai mai pensato?» Poi fu presentato anche lui e si misero tutti a sedere.

Dato che in quella occasione era stato sconsideratamente scelto un menù che cominciava con i carciofi, Rubin si era lanciato in una dissertazione sul modo di preparare l'unica salsa adatta. Quando poi Trumbull disse con disgusto che l'unico modo giusto di preparare i carciofi comporta l'uso di un grande secchio per l'immondizia, Rubin disse: «Certo, se manca la salsa appropriata…»

Sand mangiava a disagio e lasciò intatto un terzo di una eccellente bistecca. Halsted, che tendeva alla pinguedine, lo adocchiò bramoso. Era stato il primo a vuotare il piatto. Avanzavano solo un osso ben ripulito e un po' di grasso.

Sand si accorse di quelle occhiate: «Per la verità» disse, «sono troppo preoccupato per avere appetito. Gradirebbe questo avanzo?»

«Io? No, grazie» disse Halsted, accigliandosi.

Sand sorrise. «Posso esser sincero?»

«Ma certo. Se ha ascoltato la nostra conversazione, si sarà reso conto che la franchezza è la regola della serata».

«Bene, perché lo sarei in ogni caso. È il mio… fanatismo. Lei sta mentendo, signor Halsted. Lei desidera certamente il resto della mia bistecca e lo mangerebbe, anche, se fosse certo di non essere visto. Non c'è dubbio, su questo. Ma le convenzioni sociali comportano che lei mentisca. Non vuole apparire ingordo e non vuol mostrare di ignorare le basi dell'igiene mangiando qualcosa di contaminato dalla saliva di un estraneo».

Halsted corrugò la fronte. «E se la situazione fosse capovolta?»

«Se fossi io ad aver voglia di un'altra bistecca?»

«Appunto».

«Bene, forse non mangerei la sua per motivi igienici, ma ammetterei di desiderarla. Quasi tutte le menzogne derivano o da un desiderio di difendersi o dal rispetto delle convenzioni sociali. A me tuttavia sembra che una menzogna sia raramente una difesa efficace e non mi preoccupo affatto delle convenzioni sociali».

Rubin disse: «In effetti, una menzogna è una difesa efficace se è totale. Quasi sempre, il guaio delle bugie è che non vengono sostenute fino in fondo».

«Hai letto da poco Mein Kampf?»

Rubin alzò le sopracciglia. «Credi che Hitler sia stato il primo a usare la tecnica della grande menzogna? Puoi risalire a Napoleone III, a Giulio Cesare. Hai mai letto i Comentari?»

Henry stava servendo il babà al rum e versando con garbo il caffè quando Avalon disse: «Dedichiamoci al nostro ospite».

Gonzalo disse: «Come anfitrione e presidente di questa seduta, dichiaro di rinunciare alla torchiatura. Il nostro ospite ha un problema e gli ordino di darcene comunicazione». Stava tracciando una rapida caricatura di Sand sul retro del menù, con il viso triste e affilato trasformato in quello di un segugio.

Sand si schiarì la voce: «So che quanto viene detto qui è considerato confidenziale, ma…»

Trumbull seguì il suo sguardo e mormorò: «Non si preoccupi di Henry. Henry è il migliore di tutti noi. Se vuole dubitare della discrezione di qualcuno, dubiti di qualcun altro».

«Grazie, signore» mormorò Henry, disponendo i bicchieri di brandy sul buffè.

Sand disse: «Il guaio è, signori, che sono sospettato di un crimine».

«Che specie di crimine?» domandò subito Trumbull. Di solito, era compito suo torchiare gli ospiti e adesso aveva lo sguardo di uno che non intende rinunciare alla torchiatura.

«Furto» disse Sand. «Dalla cassaforte della mia ditta mancano una certa somma e un pacchetto di obbligazioni negoziabili. Sono tra i pochi che conoscono la combinazione e avevo la possibilità di accedere alla cassaforte inosservato. Ne avevo anche il motivo perché ero stato iellato alle corse e avevo un gran bisogno di contanti. Quindi la faccenda si è messa male per me».

«Ma non è stato lui» intervenne calorosamente Gonzalo. «Questo è il punto, non è stato lui».

Avalon, rigirando tra le dita il mezzo bicchiere che non intendeva finire, disse: «Credo che, per essere coerenti, dovremmo permettere al signor Sand di raccontare la sua storia».

«Sì» disse Trumbull, «come fai a sapere che non è stato lui, Mario?»

«Qui sta il punto, maledizione. Sand dice di non essere stato lui» disse Gonzalo, «e questo basta. Forse non per un tribunale, ma basta per me e per chiunque lo conosca. So che ha tollerato anche troppe cose sgradevoli…»

«E se lasciaste fare a me le domande?» disse Trumbull. «Ha preso lei il malloppo, signor Sand?»

Sand lasciò trascorrere una pausa. I suoi occhi blu passarono rapidamente da una faccia all'altra, poi disse: «Signori, vi sto dicendo la verità. Non ho preso il denaro o le obbligazioni. Questa è solo la mia parola non suffragata da prove, ma chiunque mi conosca vi dirà che si può avere fiducia in quanto dico».

Halsted si passò la mano sulla fronte, come per scacciare i dubbi. «Signor Sand» disse, «sembra che lei abbia una posizione di notevole fiducia. Ha accesso a una cassaforte che contiene dei valori. Eppure gioca alle corse».

«Lo fa un sacco di gente».

«E perde».

«Non certo di proposito».

«Ma non rischia di perdere il posto?»

«Ho il vantaggio, signore, di essere alle dipendenze di mio zio, che è al corrente della mia debolezza, ma che sa, anche, che non mento. Sapeva che avevo il modo e l'occasione e sapeva che avevo dei debiti. Sa inoltre che di recente ho pagato i debiti fatti per scommettere. L'ho detto, le prove non sono a mio favore. Mio zio mi ha chiesto esplicitamente quello che ho detto a voi: non ho preso il denaro o le obbligazioni. Dato che mi conosce bene, mi ha creduto».

«Come ha fatto a pagare i debiti?» disse Avalon.

«Un colpo di fortuna. Succede anche questo, a volte. È successo poco prima della scoperta del furto e ho pagato gli allibratori. Anche questo è vero e l'ho detto a mio zio».

«Ma allora non aveva un motivo» disse Gonzalo.

«Questo non si può dire. Il furto potrebbe essere stato commesso anche due settimane prima di essere scoperto. Nessuno ha guardato in quel particolare cassetto della cassaforte, in quel periodo… a parte il ladro, naturalmente. Si potrebbe anche dire che il mio cavallo ha vinto dopo il furto, rendendolo inutile… ma troppo tardi».

«Si potrebbe sostenere» disse Halsted, «che lei ha preso il denaro per scommettere forte sul cavallo che ha vinto».

«La scommessa non è stata poi così forte, e io avevo altre fonti di denaro. Ma lo si potrebbe sostenere, certo».

Trumbull intervenne. «Ma se lei ha ancora il suo posto, come immagino, e se suo zio non la persegue legalmente, come ritengo… Non si è rivolto affatto alla polizia?»

«No, può sopportare la perdita e prevede che la polizia cercherebbe soltanto di addossare il furto a me. Sa che gli ho detto la verità».

«Allora qual è il problema, in nome di Dio?»

«Il problema è che nessun altro può aver rubato. Mio zio non sa trovare un'altra spiegazione del furto. Né so trovarla io. E finché le cose staranno così, ci sarà sempre un po' di disagio, di sospetto. Mio zio mi terrà sempre d'occhio. Non si fiderà mai di me. Conserverò il posto ma non avrò mai una promozione e forse finirò col sentirmi tanto a disagio da esser costretto a dare le dimissioni. Se lo facessi, non potrei contare su referenze ineccepibili. E delle referenze tiepide date da uno zio, per di più, sarebbero fatali».

Rubin aggrottò la fronte. «E allora è venuto qui, signor Sand, perché Gonzalo ha detto che risolviamo dei misteri. Vuole che le diciamo chi ha effettivamente preso il malloppo».

Sand si strinse nelle spalle «Forse non esattamente. Non so nemmeno se posso darvi abbastanza particolari. Voi non siete dei detective e non potete fare inchieste. Se soltanto sapeste dirmi come può essere stato commesso il fatto… anche se si trattasse di una spiegazione stiracchiata, potrebbe essermi utile. Se potessi andare da mio zio e dirgli: “Zio, potrebbe essere andata così e così, non ti sembra?” Anche se non ne fosse sicuro, anche se non riavesse mai il suo, la cosa almeno allargherebbe la cerchia dei sospetti. Non avrebbe la continua ossessione che solo io sia il solo colpevole possibile».

«Bene» disse Avalon, «proviamo a ragionare con logica. Cosa ci può dire degli altri che lavorano con lei e con suo zio? Può darsi che uno di loro abbia avuto una pressante necessità di denaro?»

Sand scosse la testa. «Tanto da rischiare di essere scoperto? Non lo so. Può essere che uno di loro abbia dei debiti, o sia ricattato, o sia avido, o semplicemente abbia agito di impulso, cedendo alla tentazione. Se fossi un detective andrei in giro a far domande, a cercare delle prove scritte o che so. Ma…»

«Certo» disse Avalon, «nemmeno noi possiamo farlo… Dunque, lei aveva sia il mezzo che l'occasione. Ma li aveva anche qualcun altro?»

«Almeno tre persone potrebbero essersi avvicinate alla cassaforte ed essersene allontanate più facilmente di me. Nessuna di loro però aveva la combinazione e la cassaforte non è stata scassinata, questo è certo. Due persone hanno la combinazione oltre mio zio e me, ma una è stata in ospedale per tutto il periodo e l'altra è un dipendente così anziano e fidato della ditta che ogni sospetto sembra impensabile».

«Ah!» disse Mario Gonzalo, «è proprio lui il nostro uomo».

«Hai letto troppi libri di Agatha Christie» disse subito Rubin. «Nella realtà in quasi tutti i delitti conosciuti, il colpevole è proprio l'individuo più sospetto».

«Questo non è pertinente» disse Halsted, «e oltre a tutto è troppo sciocco. Qui siamo di fronte a un puro esercizio di logica. Lasciamo che il signor Sand ci dica tutto quello che sa su ogni elemento della ditta e insieme cerchiamo di stabilire se uno di questi può aver avuto motivo, mezzi ed occasione per commettere il furto».

«Oh, all'inferno» disse Trumbull, «chi vi dice che deve averlo fatto una di quelle persone? A quanto sento, una era in ospedale. Benissimo. Esiste il telefono. Telefona la combinazione a un complice».

«D'accordo, d'accordo» si affrettò a dire Halsted, «dobbiamo pensare a tutte le possibilità e qualcuna potrà essere più plausibile di altre. Quando le avremo vagliate, il signor Sand potrà scegliere la più plausibile e valersene, anche…»

«Posso parlare, signore?» Henry parlò così in fretta e con un tono di voce tanto più alto del suo abituale mormorio che tutti si voltarono a guardarlo.

Henry disse di nuovo a bassa voce: «Benché io non sia un Vedovo Nero…»

«No, no» disse Rubin. «Lei sa di essere un Vedovo Nero. Lei è il solo, in realtà, a non aver mai mancato a una riunione».

«Allora vorrei far notare, signori, che se il signor Sand presentasse le vostre conclusioni, quali che siano, a suo zio, porterebbe fuori di queste mura quanto discusso nella riunione».

Seguì uno spiacevole silenzio. Halsted disse: «Per salvare dal disastro la vita di un innocente, certo…»

Henry scosse leggermente la testa. «Ma avverrebbe a costo del sospetto su una o più persone, che potrebbero essere egualmente innocenti».

Avalon disse: «Mi sembra che Henry abbia ragione. A quanto pare siamo ancora al punto di partenza».

«A meno che» disse Henry, «non si arrivi a una precisa conclusione che soddisfi il club e non coinvolga il mondo esterno».

«A che cosa sta pensando, Henry?» chiese Trumbull

«Se posso spiegarmi… Mi interessava conoscere qualcuno che, come ha detto il signor Gonzalo prima di cena, non sappia mentire».

«Andiamo, Henry» disse Rubin «lei stesso è patologicamente onesto, e lo sa. Su questo non si discute».

«Può darsi» disse Henry, «ma bugie ne dico».

«Dubita di Sand? Crede che stia mentendo?» disse Rubin.

«Vi assicuro…» cominciò Sand, quasi con spasimo.

«No» disse Henry, «credo che ogni parola detta dal signor Sand sia vera. Non ha preso il denaro o le obbligazioni. Però è il solo contro cui possa a fil di logica appuntarsi il sospetto. La sua carriera ne può essere rovinata. D'altra parte, la sua carriera può non esser rovinata se si trova un'alternativa ragionevole, anche se ciò non porta effettivamente a una soluzione. E poiché lui stesso non conosce un'alternativa ragionevole, vuole che lo aiutiamo a trovarne una. Sono convinto, signori, che tutto ciò è vero».

Sand annuì. «Bene, grazie».

«Eppure» disse Henry, «cos'è la verità? Ad esempio, signor Trumbull, credo che la sua abitudine di arrivare perennemente in ritardo, al grido di “scotch e soda per un moribondo” sia scortese, inutile e, peggio ancora, ormai noiosa. Ho il sospetto che anche altri la pensino così».

Trumbull arrossì, ma Henry, imperturbabile, continuò: «Eppure se mi chiedesse, in circostanze normali, se la disapprovo, risponderei di no. A rigor di termini sarebbe una bugia, ma io la apprezzo per altri motivi, signor Trumbull, che compensano ad abundantiam questo suo vezzo. Quindi, dire la verità intesa in senso stretto implicherebbe avversione nei suoi riguardi e finirebbe con l'essere veramente una grande menzogna. Perciò io mento per esprimere una verità… la mia simpatia per lei».

Trumbull borbottò: «Non sono certo che mi piaccia il suo modo di avermi in simpatia, Henry».

Henry disse: «Oppure consideriamo il limerick del signor Halsted sul primo libro dell'Iliade. Il signor Avalon ha detto molto giustamente che il nome corretto dell'eroe è Achilleus, anzi Akhilleus con il “k,” ritengo, per indicare il suono giusto. Ma poi il signor Rubin ha fatto notare che la verità sembrerebbe un errore e sciuperebbe l'effetto dei versi. Ancora una volta, la verità pone un problema.

«Il signor Sand ha detto che tutte le menzogne derivano da un desiderio di difesa o dal rispetto delle convenzioni sociali. Ma non possiamo ignorare sempre l'istinto di difesa o le convenzioni sociali. Se non possiamo mentire, dobbiamo far sì che la verità menta per noi».

Gonzalo disse: «Questo non ha senso, Henry».

«Credo di sì, signor Gonzalo. Poche persone prestano attenzione al senso esatto delle parole, e molte verità letterali sono implicitamente una menzogna. Chi può saperlo meglio di uno che costantemente, scrupolosamente, dice la verità letterale?»

Le guance di Sand erano meno pallide, oppure la cravatta rossa rifletteva più intensamente la luce. Disse: «Che diavolo vorrebbe insinuare?»

«Gradirei farle una domanda, signor Sand. Se il club lo consente, naturalmente».

«Non mi importa se consentono o no» disse Sand, guardando Henry in cagnesco. «Se prende quel tono, potrei anche decidere di non rispondere».

«Può darsi che non sia necessario» disse Henry. «L'essenziale è che ogniqualvolta lei nega di aver commesso il reato si esprime con la identica forma. Non ho potuto fare a meno di notarlo da quando mi sono proposto di ascoltare attentamente le sue precise parole, appena l'ho sentita dire che non mente mai. Lei ha detto, ogni volta: “Non ho preso il denaro o le obbligazioni.”»

«Ed è assolutamente vero» disse Sand ad alta voce.

«Ne sono certo, altrimenti non l'avrebbe detto» disse Henry. «Ora, vorrei farle una domanda. Ha forse preso il denaro e le obbligazioni?»

Seguì un breve silenzio. Poi Sand si alzò e disse: «Andrò a prendere il soprabito, ora. Addio. Vi ricordo che nulla di quanto viene detto qui può essere riferito fuori».

Quando Sand se ne fu andato, Trumbull disse: «Bene, che io possa essere dannato!»

Al che Henry replicò: «No, signor Trumbull. Non disperi».


(Titolo originale: Truth to Tell)

 

Questo racconto è stato pubblicato per la prima volta nel numero di ottobre 1972 dell'Ellery Queen's Mystery Magazine con il titolo L'uomo che non diceva mai bugie. Ritengo che questo titolo, dato dalla rivista, sia pedestre e quindi l'ho sostituito con l'originale.

Ho scritto questo racconto il 14 febbraio 1972. Lo ricordo non perché abbia una memoria fenomenale ma perché l'ho scritto in ospedale il giorno prima della mia (finora) unica operazione. Larry Ashmead, titolare della mia casa editrice Doubleday, quel giorno venne a trovarmi; gli diedi il manoscritto e gli chiesi di mandarlo per mezzo di un fattorino agli uffici dell'EQMM

Gli dissi anche di spiegare che ero in ospedale, dato che di solito consegno personalmente i manoscritti, per poter amoreggiare con la deliziosa Eleanor (per tacere della vivace Constance Di Rienzo, segretaria della direzione editoriale)

Larry fece quanto gli avevo chiesto, naturalmente, e mi fu comunicato – mentre ero ancora in convalescenza all'ospedale – che il racconto era stato accettato. Mi sono chiesto qualche volta (quando non avevo niente di meglio da fare) se il racconto era stato accettato in segno di simpatia per la mia povera persona sofferente, ma penso di no. Fu inserito in una antologia dei migliori racconti gialli dell'anno, pubblicata da Dutton, quindi immagino sia buono.

Oh, dimenticavo, e questo spiega perché questo racconto è il più corto del libro. Ho dovuto finirlo prima che il chirurgo impugnasse il bisturi che teneva tra i denti, lo affilasse sulla coscia e si mettesse al lavoro.