Il dito puntato
Quel banchetto dei Vedovi Neri era stato piuttosto tranquillo fino al momento in cui Rubin e Trumbull si confrontarono apertamente.
Mario Gonzalo era arrivato per primo, depresso e con l'aria di avere qualche guaio.
Quando Gonzalo arrivò, Henry stava ancora apparecchiando la tavola. Interruppe il suo lavoro e chiese: «Come sta, signore?» con interessamento discreto.
Gonzalo si strinse nelle spalle. «Bene, credo. Mi spiace di aver mancato l'ultima riunione, ma mi ero deciso ad andare alla polizia e per qualche tempo non ho avuto voglia di far nulla. Non so se potranno fare qualcosa, ma spetta a loro ormai. Vorrei quasi che lei non mi avesse detto nulla».
«Forse non avrei dovuto farlo».
Gonzalo si strinse di nuovo nelle spalle e disse: «Senta, Henry, sono andato dagli amici che erano presenti e ho raccontato la storia ad ognuno».
«Era necessario, signore?»
«Ho dovuto farlo, altrimenti mi sarei sentito a disagio. D'altra parte, non volevo che pensassero che lei avesse fallito».
«Non era importante, signore».
Uno alla volta arrivarono anche gli altri, salutarono Gonzalo con un cordiale benvenuto che ignorava ostentatamente l'assassinio della sorella e ciascuno si ritirò in silenzio, tutti un poco imbarazzati.
Avalon, l'anfitrione di turno, sembrava aggiungesse alla sua naturale solennità la dignità di quel compito. Sorseggiò il primo aperitivo e presentò l'ospite, un giovane dal viso simpatico, capelli neri che accennavano a diradarsi e baffi sorprendentemente folti, che sembravano attendere solo il necessario mutare della moda per essere impomatati alle estremità.
«Ecco Simon Levy» disse Avalon, «scrittore nel campo scientifico, un'ottima persona».
Emmanuel Rubin disse immediatamente: «È lei che ha scritto il libro sul laser, La luce al passo?»
«Sì» disse Levy con la vivace delizia dell'autore per un riconoscimento inaspettato. «Lo ha letto?»
Rubin, che nonostante fosse alto un metro e cinquantacinque aveva, come al solito, l'animo e il tono di uno alto un metro e ottanta, guardò l'ospite con solennità attraverso le lenti spesse e disse: «Sì, e l'ho trovato veramente buono».
Il sorriso di Levy si affievolì, come se considerasse niente affatto buono il giudizio “veramente buono.”
Avalon disse: «Roger Halsted oggi non sarà con noi. È fuori città non so per quale motivo. Manda le sue scuse e mi ha detto di salutare Mario se si faceva vivo».
Trumbull, una smorfia di sogghigno, disse: «Abbiamo evitato un limerick».
«Ho mancato quello del mese scorso» disse Gonzalo. «com'era? Buono?»
«Non lo avresti capito, Mario» disse serio Avalon.
«Tanto era buono, eh?»
Poi le voci divennero quasi un bisbiglio finché venne tirato fuori l'Atto di Unione. In seguito, né Rubin né Trumbull riuscirono a ricordare come avvenne.
Trumbull, con tono notevolmente più alto del normale, disse: «L'Atto di Unione, che ha formato il Regno Unito di Inghilterra, Galles e Scozia, è divenuto legge con il Trattato di Utrecht nel 1713».
«No, non è vero» disse Rubin, la cui ispida barba color paglia fremeva per l'indignazione. «L'Atto è divenuto legge nel 1707».
«E tu vorresti dire a me, tu somaro che sei, che il Trattato di Utrecht è stato firmato nel 1707?»
«No» urlò Rubin, con una voce che sembrava un ruggito. «Il Trattato di Utrecht è stato firmato nel 1713. Questo lo hai azzeccato, solo Dio sa come».
«Se il Trattato è stato firmato nel 1713, ha ratificato anche l'Atto di Unione».
«No, non è vero, perché il Trattato non aveva nulla a che fare con l'Atto di Unione, che è del 1707».
«Diavolo, scommetto cinque dollari che non sai distinguere l'Atto di Unione da un atto di commedia».
«Ecco i miei cinque dollari. I tuoi dove sono? O non puoi giocarti un quarto della paga di quel tuo misero impiego?»
Si erano alzati entrambi e si chinavano uno verso l'altro al di sopra di James Drake, che con filosofia aggiunse dell'altra panna acida con erba cipollina a quanto gli restava di una patata al forno, e la finì.
Drake disse: «È inutile che continuiate a gridare, miei cari amici somari. Documentatevi».
«Henry!» ruggì Trumbull.
Dopo un brevissimo intervallo, Henry comparve con la terza edizione dell'Enciclopedia dell'Università di Columbia.
«È privilegio dell'anfitrione» disse Avalon. «Controllerò io, come scrutatore imparziale».
Voltò le pagine del grosso volume, mormorando: «Unione, unione, unione, ah, Atto di». Poi, quasi immediatamente, disse: «1707. Vince Manny. Paga, Tom».
«Cosa?» gridò Trumbull risentito. «Fammi vedere».
Rubin prese con calma i due biglietti da cinque dollari dalla tavola e disse meditabondo: «Un buon testo di consultazione, l'Enciclopedia di Columbia. Il migliore del mondo tra i testi di consultazione in un solo volume, più utile dell'Enciclopedia Britannica, anche se spreca una voce per Isaac Asimov».
«Per chi?» chiese Gonzalo.
«Asimov. Un mio amico. Scrittore di fantascienza e presuntuoso in modo patologico. Si porta una copia dell'Enciclopedia alle feste e dice: “A proposito di cemento armato, l'Enciclopedia di Columbia tratta in modo eccellente l'argomento solo 249 pagine dopo la voce su di me. Guardate.” E poi fa vedere l'articolo che parla di lui».
Gonzalo si mise a ridere. «Sembra tale e quale a te, Manny».
«Diglielo e ti ucciderà… se non lo faccio prima io».
Simon Levy si volse verso Avalon e disse: «Avete sempre discussioni come queste, Jeff?»
«Molte discussioni» disse Avalon, «ma di solito non arriviamo alle scommesse e a consultare testi. Ma quando capita. Henry è pronto. Non solo abbiamo l'Enciclopedia di Columbia, ma anche copie della Bibbia, sia quella di Re Giacomo I che la Nuova Bibbia Inglese, il Webster maggiore… seconda edizione, naturalmente; il Dizionario Biografico Webster, il Dizionario geografico Webster, il Libro dei primati di Guinnes, il Dizionario fraseologico e delle leggende di Brewer e Le Opere complete di Shakespeare. È la biblioteca dei Vedovi Neri e Henry ne è il custode. Di solito la biblioteca permette dl definire ogni discussione».
«Mi dispiace di avere fatto la domanda» disse Levy.
«Perché?»
«Lei ha nominato Shakespeare e la mia reazione, proprio ora, è un senso di nausea».
«Per reazione a Shakespeare?» Avalon fissò il suo ospite con profonda disapprovazione.
«Ci può scommettere. Ho vissuto con lui per due mesi leggendolo e rileggendolo dall'inizio alla fine tanto che sarebbe bastato un altro “Oh Madonna mia,” oppure “fastidioso porcospino” per farmi vomitare».
«Ma davvero? Bene, aspetta… Henry, il dessert è pronto?»
«Immediatamente, signore. Coupe au marrons».
«Ottimo!… Simon, aspetta che il dessert sia finito e poi continueremo».
Dieci minuti dopo Avalon batté con il cucchiaino sul bicchiere, per esortare l'assemblea al silenzio. «Il privilegio dell'anfitrione» disse. «È venuto il momento della solita inquisizione, ma il nostro stimato ospite si è lasciato sfuggire che per gli ultimi due mesi non ha fatto altro che studiare Shakespeare con la massima concentrazione e credo che dovremmo investigare su questo. Tom, vuoi fare tu gli onori?»
Trumbull, indignato, disse: «Shakespeare? Chi diavolo ha voglia di parlare di Shakespeare?» Il suo umore non era certo migliorato con la perdita dei cinque dollari, né con l'espressione estatica del viso di Rubin.
«È il privilegio dell'anfitrione» disse Avalon con fermezza.
«Uh. D'accordo. Signor Levy, che nesso vi è tra lei, scrittore di scienza, e Shakespeare?»
«Nessun nesso, come scrittore di scienza». Parlava con uno spiccato accento di Brooklyn. «È solo che sto dietro a tremila dollari».
«E li troverà in Shakespeare?»
«In qualche punto dell'opera di Shakespeare. Non posso dire di avere avuto fortuna, comunque».
«Lei parla per enigmi, Levy. Cosa significa tremila dollari nelle opere di Shakespeare, che non trova?»
«Oh, be', è una storia complicata».
«Bene, la racconti. Siamo qui per questo. È nostra regola di vecchia data che nulla di quanto viene detto o fatto in questa sala può esser ripetuto fuori, in nessuna circostanza. Quindi parli liberamente. Se ci annoieremo la faremo tacere, non si preoccupi».
Levy allargò le braccia. «D'accordo, ma lasciate che finisca il tè».
«Faccia pure, Henry porterà un'altra teiera, dato che lei non è abbastanza civilizzato da bere caffè… Henry!»
«Sì, signore» mormorò Henry.
«Levy, non cominci finché Henry non torna» disse Trumbull. «Non vogliamo che perda una sola parola».
«Il cameriere?»
«È uno di noi. Il migliore di tutti».
Henry arrivò con una nuova teiera e Levy disse: «Si tratta di una specie di lascito. Non del genere in cui si tratta della casa avita, di milioni in gioielli o cose simili. Si tratta solo di tremila dollari di cui non ho veramente bisogno, ma che mi farebbero piacere».
«Un lascito da parte di chi?» chiese Drake.
«Da parte del nonno di mia moglie. È morto due mesi fa all'età di settantasette anni. Ha vissuto con noi per cinque anni. Un po' un fastidio, ma era un vecchio simpatico ed essendo della famiglia di mia moglie, ne ha avuto cura soprattutto lei. Ci era grato perché lo tenevamo con noi. Non aveva altri discendenti, quindi o noi o un ospizio per vecchi».
«Torniamo al lascito» disse Trumbull mostrando qualche segno di impazienza.
«Il nonno non era ricco, ma aveva qualche migliaio di dollari. Quando venne a stare da noi ci disse di aver comperato dei titoli negoziabili per tremila dollari e che alla sua morte sarebbero stati nostri».
«Perché alla sua morte?» chiese Rubin.
«Immagino che il vecchio temesse che ci stancassimo di lui; ci offrì i tremila dollari come ricompensa della nostra buona condotta. Se alla sua morte fosse stato ancora da noi, ci avrebbe dato i tremila dollari, se invece lo avessimo sbattuto fuori non ci avrebbe dato niente. Penso che la sua idea fosse questa».
Levy continuò. «Li nascondeva in posti diversi. I vecchi a volte sono strani. Di tanto in tanto, quando temeva che potessimo trovarli, cambiava nascondiglio. Naturalmente, di solito li trovavamo molto prima, ma non glielo lasciavamo capire e non li avremmo mai toccati. Tranne una volta! Li aveva messi nella cesta per la biancheria, dovemmo darglieli e gli chiedemmo di metterli in qualche altro posto, altrimenti prima o poi sarebbero finiti nella lavatrice.
«Fu circa a quel tempo che ebbe un leggero colpo, non come conseguenza, ne sono certo, ma dopo divenne un po' più difficile da trattare. Era tetro e non parlava molto. Aveva delle difficoltà nell'uso della gamba destra e questo gli dava la sensazione di essere prossimo a morire. Da allora deve aver nascosto i titoli in modo più efficace perché non li trovammo più. Tuttavia non davamo molta importanza alla cosa. Ritenevamo che ce l'avrebbe detto al momento opportuno.
«Poi, due mesi or sono, la piccola Julia, mia figlia minore, venne da noi correndo e disse che il nonno era sdraiato sul divano e aveva un aspetto buffo. Ci precipitammo nel soggiorno e ci accorgemmo che aveva avuto un altro colpo. Chiamammo il medico, ma ormai era chiaro che la parte destra era del tutto paralizzata. Non poteva parlare. Muoveva le labbra ed emetteva dei suoni, ma non riusciva a pronunciare le parole.
«Continuava a muovere il braccio sinistro e cercava di parlare e io gli dicevo: “Nonno, stai cercando di dirmi qualcosa?” Riusciva soltanto a muovere lievemente la testa a mo' di cenno affermativo. “Di cosa vuoi parlarmi?” gli chiesi ma sapevo che non poteva rispondere, così dissi: “Dei titoli?” Ancora un cenno. “Ce li vuoi dare?” Altro cenno e cominciò a muovere la mano come per indicare qualcosa.
«Gli dissi: “Dove sono?” La mano tremò e continuò ad indicare. Non potei trattenermi dal dire: “Cosa vuoi indicare, nonno?” ma lui non poteva dirmelo. Continuava ad indicare; con il dito in modo ansioso, tremante, con un'espressione angosciata perché non riusciva a parlare. Ero molto addolorato per lui. Ci voleva dare i titoli, voleva ricompensarci, ma stava morendo senza essere capace di farlo.
«Mia moglie, Caroline, piangeva e diceva: “Lascialo stare, Simon,” ma non potevo lasciarlo stare, non potevo lasciarlo morire disperato. Dissi: “Dobbiamo spostare il divano verso il punto che sta indicando.” Caroline non voleva ma il vecchio fece cenno di sì con la testa.
«Caroline si mise da una parte del divano, io dall'altra e lo spostammo poco per volta, cercando di non dargli delle scosse. Non era un peso indifferente. Continuava a indicare, a indicare con il dito. Aveva voltato la testa nella direzione in cui stavamo muovendolo, emettendo dei mugolii per indicare se lo spostavamo nella direzione giusta o sbagliata. Io dicevo: “Più a destra, nonno?” “Più a sinistra?” e talvolta lui annuiva con la testa.
«Poi arrivammo di fronte agli scaffali di libri e voltò lentamente la testa. Volevo aiutarlo a voltarla ma temevo di fargli del male. Riuscì a girarla e fissò a lungo i libri. Poi mosse il dito lungo i libri allineati e ne indicò uno in particolare. Era Le Opere Complete di Shakespeare, edizione Kittredge.
«Dissi: “Shakespeare, nonno?” Non rispose, non fece cenni con la testa, il viso si rilassò e lui non cercò più di parlare. Immagino che non mi avesse sentito. Ebbe come un mezzo sorriso all'angolo sinistro della bocca e morì. Venne il medico, il corpo fu portato via e prendemmo accordi per il funerale. Tornammo a Shakespeare solo dopo il funerale. Ritenevamo che avrebbe potuto aspettare e non ci sembrava giusto gettarci sul volume prima di aver pensato al vecchio.
«Avevo supposto che nel volume di Shakespeare ci sarebbe stato qualcosa che ci avrebbe indicato dove fossero i titoli e fu allora che arrivò il primo colpo. Sfogliammo le pagine una per una, non c'era nulla. Non il più piccolo pezzetto di carta, non una parola».
Gonzalo disse: «E la rilegatura? Sapete, tra quella cosa che tiene unite le pagine e il dorso?»
«Niente nemmeno lì».
«Forse l'aveva preso qualcuno».
«E come? Gli unici a sapere eravamo io e Caroline. Non poteva trattarsi di furto. Poi pensammo che la chiave si trovasse nel libro, nel testo, nelle tragedie stesse, capite. L'idea fu di Caroline. Negli ultimi due mesi ho letto ogni parola delle opere di Shakespeare, ogni parola dei sonetti e delle poesie… due volte. Non sono arrivato a nulla».
«Al diavolo Shakespeare» disse Trumbull con voce lamentosa. «Dimentichi l'indicazione. Deve averli pur messi in qualche angolo della casa».
«Come fa a dirlo?» gli chiese Levy. «Può averli messi in una cassetta di sicurezza di una banca, per quanto ne sappiamo. Poteva uscire anche dopo il primo colpo. Può aver pensato che la casa non era un luogo sicuro, quando li trovammo nella cesta della biancheria».
«D'accordo, ma avrebbe anche potuto averli nascosti in casa. Perché non cercare?»
«Lo abbiamo fatto o, per meglio dire, lo ha fatto Caroline. Abbiamo diviso il lavoro così: lei faceva le ricerche in tutta la casa – una casa grande, con una pianta complicata; anche per questo abbiamo potuto ospitare il nonno – e io facevo le ricerche nel volume di Shakespeare. Non approdammo a nulla».
Avalon rilassò la fronte corrugata e disse: «Ascoltate, dobbiamo essere logici. Simon, presumo che suo nonno fosse nato in Europa».
«Sì, venne in America all'età di dieci anni, all'inizio della prima guerra mondiale. Arrivò appena in tempo».
«Immagino che non abbia avuto una particolare istruzione».
«Nessuna, infatti» disse Levy. «Andò a lavorare nel laboratorio di un sarto, poi ebbe una bottega sua e ha fatto il sarto finché non si è ritirato dagli affari. Nessuna istruzione, tranne la normale istruzione religiosa degli ebrei nella Russia degli zar».
«Allora, perché suppone che potesse indicarvi una chiave nei testi di Shakespeare? Non poteva affatto conoscerli».
Levy aggrottò la fronte e si appoggiò allo schienale della sedia. Non aveva toccato il bicchierino di brandy che Henry gli aveva messo davanti poco prima. Lo prese, ne fece girare delicatamente lo stelo tra le dita e lo posò di nuovo.
«Ti sbagli, Jeff» disse Levy, un po' assente. «Non era istruito ma era intelligente e aveva letto molto. Conosceva la Bibbia a memoria e a dieci anni aveva già letto Guerra e Pace. Leggeva anche Shakespeare. Una volta andammo a una rappresentazione dell'Amleto, all'aperto, e la apprezzò molto più di me».
Rubin intervenne all'improvviso, con vigore. «Non intendo rivedere mai più l'Amleto finché non presenteranno un Amleto che sia come Amleto deve essere: grasso!»
«Grasso!» disse Trumbull indignato.
«Sì, grasso. Nell'ultima scena, la regina dice di Amleto: “È grasso e a corto di fiato.” Se lo dice Shakespeare…»
«Lo dice sua madre, non Shakespeare. È l'eccessiva preoccupazione materna, tipica di una donna poco intelligente…»
Avalon picchiò sulla tavola. «Non è il momento, signori!» e si rivolse a Levy: «In quale lingua leggeva la Bibbia, tuo nonno?»
«In ebraico, naturalmente». disse Levy freddo.
«E Guerra e Pace?»
«In russo. Ma Shakespeare lo leggeva in inglese, se non ti dispiace».
«Che non è la sua madre lingua. Immagino che la parlasse con un accento straniero».
Levy non era più freddo, era gelido. «A cosa vuoi arrivare, Jeff?»
Avalon si schiarì la voce. «Non sono anti-semita, voglio solo far notare il fatto ovvio che il nonno di tua moglie non aveva molta dimestichezza con la lingua inglese, che vi era un limite alla sottigliezza con cui poteva usare Shakespeare come riferimento. Non è probabile che usasse la frase “e lì siede il buffone,” dal Riccardo II, perché, pur avendo letto molto, difficilmente poteva sapere cosa significa “antick”».
«Cosa vuol dire?» chiese Gonzalo.
«Lascia andare» disse Avalon impaziente. «Se tuo nonno ha usato Shakespeare, deve trattarsi di un riferimento del tutto ovvio».
«Qual'era l'opera che tuo nonno preferiva?» chiese Trumbull.
«L'Amleto gli piaceva, naturalmente. Non gli piacevano le commedie» disse Levy, «perché riteneva poco decoroso quell'umorismo e gli argomenti storici non lo interessavano. Ma aspetta, anche l'Otello gli piaceva».
«Benissimo» disse Avalon. «Dovremmo concentrarci sull'Amleto e sull'Otello».
«Ho letto anche quelli» disse Levy. «Non crederai che li abbia trascurati, vero?»
«E dovrebbe trattarsi di un brano molto noto» continuò Avalon senza prestargli attenzione. «Nessuno penserebbe che indicare Shakespeare sia un indizio utile se collegato a qualcosa di incomprensibile».
«La sola ragione per cui si è limitato a indicare con il dito è che non poteva parlare. Potrebbe trattarsi di qualcosa di molto oscuro, che avrebbe spiegato se avesse potuto parlare».
«Se avesse potuto parlare» disse Drake giustamente, «non avrebbe dovuto spiegare nulla. Vi avrebbe detto, semplicemente, dove erano i titoli».
«Precisamente» disse Avalon. «Giusta osservazione, Jim. Simon, hai detto che quando il vecchio ha indicato Shakespeare il suo viso si è rilassato e ha smesso di cercare di parlare. Sapeva di avervi detto tutto quanto era necessario che voi sapeste».
«Veramente, non lo ha fatto» disse Levy tetro.
«Ragioniamoci su, allora» disse Avalon.
«Dobbiamo proprio farlo?» disse Drake. «Perché non lo chiediamo subito a Henry?… Henry, qual'è il verso di Shakespeare che fa al caso nostro?»
Henry, che stava ritirando silenziosamente i piatti del dessert, disse: «Non ho una conoscenza approfondita dei lavori di Shakespeare, signore, ma devo ammettere che non mi sovviene un verso adatto».
Drake sembrò deluso ma Avalon disse: «Andiamo, Jim. Henry si è comportato molto bene le altre volte ma non dobbiamo ritenerci impotenti senza di lui. Posso vantarmi di conoscere Shakespeare abbastanza bene».
«Nemmeno io sono un novellino» disse Rubin.
«Quindi risolviamo la cosa noi due. Cominciamo col prendere in considerazione l'Amleto. Dato che è l'Amleto, deve trattarsi di uno dei soliloqui, perché sono le parti più conosciute della tragedia».
«Infatti» disse Rubin, «la battuta “Essere o non essere, questo è il problema” è la battuta più conosciuta di Shakespeare. Lo compendia come il “Quartetto” del Rigoletto rappresenta simbolicamente l'opera».
«Sono d'accordo» disse Avalon, «e quel soliloquio sulla morte, e il vecchio stava morendo. “Morire: dormire; Nulla più; e con il sonno hanno termine lo strazio del cuore e i mille mali della carne…”»
«Sì, ma cosa ne caviamo?» disse Levy con impazienza. «A cosa ci porta?»
Avalon, che recitava sempre Shakespeare con quella che pretendeva essere la pronuncia scespiriana (e che suonava piuttosto come una cadenza dialettale irlandese), disse: «Be', non lo so, veramente».
All'improvviso Gonzalo disse: «È nell'Amleto che Shakespeare dice: “La commedia è il mezzo”?»
«Sì» disse Avalon. «“La commedia è il mezzo per afferrare la coscienza del re.”»
«Bene» disse Gonzalo, «se il vecchio indicava un libro di commedie, forse la via da seguire è questa. Forse avete un ritratto di un re, una scultura, o un astuccio di carte da gioco».
Levy si strinse nelle spalle. «Non mi viene in mente nulla».
«Cosa ne dite dell'Otello?» chiese Rubin. «State a sentire. La parte più nota del lavoro è il discorso di Jago sulla reputazione: “Il buon nome degli uomini e delle donne, mio caro signore…”»
«E allora?» disse Avalon.
«La battuta più famosa, una battuta che il vecchio conosceva certamente perché la conoscono tutti, anche Mario, è: “Chi ruba la mia borsa ruba una cosa senza valore, qualcosa che non è nulla, ma era mia…” e via di seguito».
«E allora?» disse di nuovo Avalon.
«Mi sembra si riferisca al lascito. “Era mio,” ecco il punto, e pare voglia significare che il lascito è svanito. “Chi ruba la mia borsa ruba una cosa senza valore”».
«Cosa intende dire con “svanito”?» disse Levy.
«Dopo aver trovato i titoli nel cesto della biancheria ne avete perduto ogni traccia, ha detto. Forse il vecchio li ha messi al sicuro in un altro posto e non ricordava più dove. O forse li ha smarriti o li ha dati via o li ha perduti per averli affidati a qualcuno. Di qualunque cosa si trattasse, non ha potuto spiegarvelo perché non poteva più parlare. E allora, per morire in pace, ha indicato le opere di Shakespeare. Avreste ricordato la battuta più nota del lavoro da lui preferito, e questa vi dice che la sua borsa è solo cosa senza valore… perciò non avete trovato nulla».
«Non lo credo» disse Levy. «Gli ho chiesto se voleva che trovassimo i titoli, e lui ha fatto cenno di sì».
«Non poteva fare altro che annuire e voleva che li trovaste, ma era impossibile… È d'accordo con me, Henry?»
Henry aveva finito il suo lavoro e stava ad ascoltare, tranquillo. Disse: «Temo di no, signor Rubin».
«Nemmeno io» disse Levy.
Ma Gonzalo stava facendo schioccare le dita. «Un momento, un momento. Shakespeare non dice qualcosa a proposito di titoli?»
«Non è cosa dei suoi tempi» disse Drake sorridendo.
«Ne sono certo» disse Gonzalo. «Dice qualcosa a proposito di titoli nominativi».
Avalon disse: «Ah! Ti riferisci alla frase: “È specificato così nel patto?” Il patto è un contratto legale e la domanda era se qualcosa fosse specificamente richiesta dal contratto».
Drake disse: «Aspetta un momento. Quel patto non riguarda la somma di tremila ducati?»
«Proprio così, santo cielo!» disse Avalon.
Il sorriso di Gonzalo andò da un orecchio all'altro. «Credo che ci siamo: patti che riguardano tremila unità monetarie. Il lavoro da prendere in considerazione è quello».
Henry intervenne a bassa voce. «Ne dubito molto, signori. Il lavoro da cui è tratta la frase è Il Mercante di Venezia e la persona che chiede se il patto specificava qualcosa è l'ebreo Shylock intento a una crudele vendetta. Il vecchio non avrebbe certo apprezzato quel lavoro».
«Precisamente» disse Levy. «Shylock per lui equivaleva a una parolaccia… e per me quasi altrettanto».
Rubin disse: «Cosa ne dite del brano “Un ebreo non ha forse occhi? Non ha forse mani un ebreo, organi, dimensioni, sensi affetti, passioni”…?»
«A mio nonno non sarebbe piaciuto» disse Levy. «Afferma cose ovvie e proclama un'eguaglianza che il nonno, nel suo cuore, non avrebbe voluto ammettere, perché sono sicuro che si sentisse superiore in quanto uno degli unici eletti da Dio».
Gonzalo sembrò deluso. «Sembra che non approdiamo a nulla».
Levy disse: «Temo proprio di no. Ho esaminato tutto il libro, ho letto attentamente tutte le frasi, tutti i passaggi che avete citato. Non ho trovato alcun particolare significato».
Avalon disse: «Questo è chiaro, ma forse ti è sfuggito qualcosa di sottile…»
«Andiamo, Jeff, proprio tu hai detto che non può esser nulla di particolarmente sottile. Mio nonno ha pensato a qualcosa di adatto alla mentalità mia e di mia moglie. Qualcosa cui potessimo arrivare e presto; e non ci siamo riusciti».
«Forse ha ragione» intervenne Drake. «Forse si tratta di un indovinello, di un sottinteso».
«Appunto quello che ho detto».
«Allora perché non tenta all'indietro? Non ricorda qualcosa una battuta, una frase?… Usava spesso qualche espressione preferita?»
«Sì, quando qualcuno non gli andava a genio diceva “diciotto anni neri per lui”».
«Che razza di espressione è?» chiese Trumbull
«È abbastanza comune nella lingua yiddish» disse Levy. «Un'altra era “lo aiuterò come le coppette possono giovare a un morto”».
«Cosa vorrebbe dire?» chiese Gonzalo.
«Si riferisce a un modo di richiamare il sangue in un punto voluto, con le coppette. Si mette un pezzetto di carta acceso in una piccola coppa e poi si applica l'apertura contro la pelle. La carta si spegne ma lascia un certo vuoto nella coppetta e la circolazione del sangue viene succhiata verso l'epidermide. Naturalmente, le coppette non possono migliorare la circolazione di un cadavere».
«Bene» disse Drake, «nulla a proposito di diciotto anni neri o di coppette applicate a un morto, che le ricordi qualcosa in Shakespeare?»
Dopo un penoso silenzio Avalon disse: «Non riesco a pensare a nulla».
«E se anche fosse» disse Levy, «cosa ne caveremmo? Cosa vorrebbe dire? Sentite, ci ho sbattuto la testa contro per due mesi, non pretenderete di risolvere il mistero in due ore».
Drake si rivolse di nuovo a Henry e disse: «Perché se ne sta lì e basta, Henry? Non potrebbe aiutarci?»
«Mi spiace, dottor Drake, ma credo che tutta la faccenda di Shakespeare sia una pista falsa».
«No» disse Levy, «non può dire questo. Il vecchio ha indicato Le Opere Complete, senza ombra di dubbio. Il dito era a due centimetri dal volume, non può trattarsi di nessun altro libro».
Drake intervenne all'improvviso. «Senta, Levy, si sta burlando di noi, per caso? Non ci sta raccontando un sacco di frottole per prenderci in giro?»
«Cosa?» disse Levy sbalordito.
«Niente, niente» continuò Avalon in fretta. «Stava solo pensando a qualcosa che è avvenuto in un'altra occasione. Taci, Jim».
«Ascoltatemi» disse Levy, «vi ho detto esattamente quanto è successo. Indicava il volume di Shakespeare, senza alcun dubbio».
Vi fu un breve silenzio poi Henry sospirò e disse: «Nei racconti del mistero…»
Rubin proruppe in un: «Udite! Udite!»
«Nei racconti del mistero» riprese Henry, «accade spesso che chi sta per morire accenni a qualcosa, dia un indizio, ma non sono mai stato capace di prendere la cosa sul serio. Dall'uomo in punto di morte, ansioso di dare l'estrema informazione, viene sempre fatto suggerire l'indizio più complicato. La sua mente che sta per spegnersi, con solo un paio di minuti avanti a sé, elabora uno schema che metterebbe a dura prova una mente sana per due ore di pensiero intenso. Nel nostro caso abbiamo un vecchio, che sta per morire per una paralisi, che dovrebbe aver inventato rapidissimamente un indizio che un gruppo di persone intelligenti non ha saputo decifrare. Posso concludere soltanto che l'indizio non esiste».
«Allora perché avrebbe indicato Shakespeare, Henry?» chiese Levy. «Era soltanto il gesto confuso di un moribondo?»
«Se il suo racconto è esatto» disse Henry, «credo che il nonno stesse veramente cercando di fare qualcosa. Ma non stava cercando di inventare un indizio, non poteva. Stava facendo l'unica cosa che la sua mente agli estremi potesse fare. Stava indicando i titoli».
«Mi scusi» disse Levy stizzito, «io ero presente, stava indicando Shakespeare».
Henry scosse la testa e disse: «Signor Levy, vorrebbe indicare verso la Quinta Strada?»
Levy stette a pensare per qualche attimo, per orientarsi, ovviamente, poi indicò con il dito.
«Sta indicando la Quinta Strada?» chiese Henry.
«L'ingresso di questo locale è nella Quinta Strada, quindi la sto indicando».
«A me sembra, signore» disse Henry, «che stia indicando il quadro dell'Arco di Tito appeso alla parete occidentale di questa stanza».
«D'accordo, ma più oltre c'è la Quinta Strada».
«Precisamente, signore. Quindi io so che sta indicando la Quinta Strada solo perché lei me lo dice. Potrebbe indicare il quadro o un punto nell'aria al di qua del quadro, o il fiume Hudson, o Chicago, o il pianeta Giove. Se lei indica soltanto, senza dare un indizio, verbale o altro, su ciò che indica, non fa altro che indicare una direzione, niente di più».
Levy si strofinò il mento. «Intende dire che mio nonno ha semplicemente indicato una direzione?»
«Deve essere così. Non ha detto che indicava Shakespeare, si è limitato ad indicare».
«Benissimo, allora. Cosa stava indicando? Il… il…» Chiuse gli occhi e si accarezzò leggermente i baffi, concentrandosi nell'orientamento della camera in casa sua. «Il ponte Da Verrazzano?»
«Forse no, signore» disse Henry. «Stava indicando in direzione di Le Opere Complete di Shakespeare. Il dito era a due centimetri dal volume, ha detto, quindi è poco probabile che stesse indicando qualcosa al di qua dello stesso. Cosa c'è dietro il libro, signor Levy?»
«Lo scaffale, il legno dello scaffale. E, tolto il libro, dietro non c'è niente. Non c'era nulla contro il legno, se è a questo che pensa. Se ci fosse stato qualcosa lo avremmo visto subito».
«E dietro lo scaffale, signore?»
«La parete».
«E tra lo scaffale e la parete, signore?»
A questo punto Levy ammutolì. Stette a pensare per un po' e nessuno interruppe i suoi pensieri. Poi disse: «Dov'è il telefono, Henry?»
«Glielo porto, signore».
Mise un apparecchio davanti a Levy e inserì la spina. Levy compose un numero.
«Pronto, Julia? Cosa fai ancora in piedi a quest'ora?… Lascia andare la TV e va' a letto. Ma prima chiama la mamma, cara… Pronto, Caroline, sono Simon… Sì, mi sto divertendo ma ascolta, Caroline, ascolta. Hai presente lo scaffale con il libro di Shakespeare?… Sì, quello Shakespeare. Certo. Spostalo dal muro… Lo scaffale… Come no, puoi togliere i libri no? Toglili tutti, se necessario e mettili sul pavimento… No no, sposta solo il lato dello scaffale verso la porta, di qualche centimetro, quanto basta per poter guardare dietro… Guarda nel punto che corrisponde a Shakespeare e dimmi se vedi qualcosa… Aspetto al telefono, sì».
Tutti rimasero immobili, come congelati. Levy era decisamente pallido. Passò qualche minuto e poi: «Caroline?… Benissimo, stai calma. Hai preso…? D'accordo, d'accordo, vengo subito».
Riattaccò e disse: «Questa è straordinaria. Il vecchio li ha fissati dietro lo scaffale con del nastro adesivo. Deve aver spostato il mobile in nostra assenza. Mi meraviglio che non gli sia venuto un colpo».
«Un altro successo, Henry» disse Gonzalo.
Levy disse: «La sua commissione come mio agente è di trecento dollari, Henry».
Henry rispose: «Il club mi paga bene ed i banchetti sono un piacere, per me, signore. Non è necessario altro.»
Levy arrossì leggermente e cambiò argomento. «Ma come ha fatto a scoprire il trucco? Invece tutti noi…»
«Non è stato difficile» disse Henry. «Si è dato il caso che tutti loro seguissero delle piste false, io ho solo suggerito cosa era stato trascurato».
(Titolo originale: The pointing Finger)
Questo racconto è apparso, per la prima volta, nel numero di luglio 1973 dell'Ellery Queen's Mystery Magazine, con lo stesso titolo.
Nella rivista il racconto inizia in modo leggermente diverso, perché avevo deciso che uno dei racconti della serie dovesse fare riferimento a fatti di racconti precedenti. Avevo pensato, cioè, che molti lettori della rivista non seguono tutti i numeri e quindi possono non aver letto quello con la storia precedente. O, se lo hanno fatto, e sarebbe stato sei mesi prima, non l'avrebbero ricordato.
Il che è esatto, ma nel libro sono tornato all'inizio originale. Infatti, ritengo che se avessi scritto la serie, fino dall'inizio, nella stesura per il libro, avrei collegato maggiormente tra loro i racconti. Ad esempio, non avrei omesso la caratteristica della versione in limerick di Halsted dell'Iliade e dell'Odissea. Mi pareva che trovare saltuariamente un limerick, o mancarne qualcuno e leggere gli altri avrebbe sciupato l'effetto voluto.
Ma lasciamo andare.