Yankee Doodle andò in città

Tra i Vedovi Neri era cosa nota che Geoffrey Avalon, durante la seconda guerra mondiale, era stato un ufficiale col grado di maggiore. Per quanto ne sapessero, comunque, non aveva mai prestato servizio attivo e non parlava mai delle sue esperienze di guerra. Il portamento rigido, però, sembrava fatto apposta per l'uniforme, tanto che nessuno si sorprendeva quando scopriva che egli era stato il maggiore Avalon.

Quando entrò nella sala del banchetto con un ufficiale dell'esercito come ospite, la cosa sembrò quindi del tutto naturale. E quando disse: «Ecco il mio vecchio amico colonnello Samuel Davenheim» tutti lo accolsero con cordialità senza batter ciglio. Un compagno d'arme di Avalon era come un loro compagno d'arme.

Perfino Mario Gonzalo, che aveva fatto il servizio militare verso la fine degli anni Cinquanta e che, notoriamente, esprimeva giudizi poco teneri per gli ufficiali, fu abbastanza cordiale. Si appoggiò a una credenza e cominciò a disegnare schizzi. Avalon guardò di sfuggita da sopra la spalla di Gonzalo, come per accertarsi che l'artista dei Vedovi Neri non stesse facendo la caricatura del colonnello con, in testa, una corona di orecchie d'asino.

Sarebbe stato molto fuori luogo, perché Davenheim mostrava segni di una chiara intelligenza. Il viso, rotondo e leggermente paffuto, era messo in rilievo da un taglio di capelli fuori moda, corti in alto e del tutto inesistenti in basso. La bocca si atteggiava a un sorriso amichevole, la voce era chiara. Le parole incisive.

Disse: «Ho avuto una descrizione di tutti voi, perché Jeff, come tutti probabilmente sapete, è una persona metodica. Credo dl potervi identificare tutti. Ad esempio, lei è Emmanuel Rubin, la riconosco perché è basso di statura, porta gli occhiali con lenti spesse, ha una barba poco folta…»

«Rada e stentata» disse Rubin, senza ombra di offesa, «è la definizione preferita di Jeff, perché la sua è folta, ma non ho mai riscontrato che la densità dei peli sul viso implichi…»

«Ed è loquace» disse Davenheim con fermezza, imponendosi con la calma autorità di un colonnello. «Ed è uno scrittore… Lei è Mario Gonzalo, l'artista, e la descrizione del fisico non mi serve perché sta disegnando… Roger Halsted, matematico parzialmente calvo. L'unico membro che non abbia capelli folti, quindi è facile… James Drake o, piuttosto, il dottor James Drake…»

«Siamo tutti dottori per il fatto di essere dei Vedovi Neri» disse Drake, seminascosto da una voluta di fumo.

«Esatto, e Jeff me lo ha spiegato con cura. Lei è il dottor Drake perché si sente l'odore di tabacco a tre metri di distanza».

«Bene, Jeff se ne intende» disse filosoficamente Drake.

«E Thomas Trumbull» disse Davenheim, «perché è accigliato e per eliminazione… Ho riconosciuto tutti?»

«Solo i soci» disse Halsted. «Ha dimenticato Henry, il più importante di tutti».

Davenheim si guardò attorno, perplesso. «Henry?»

«Il cameriere» disse Avalon, arrossendo e fissando il suo aperitivo. «Mi dispiace, Henry, ma non ho saputo cosa dire di lei al colonnello Davenheim. Dire che lei è il cameriere sarebbe stato insufficiente e assurdo e dire di più sarebbe stato contrario alla riservatezza di un Vedovo Nero».

«Capisco» disse cortesemente Henry, «ma credo sia meglio offrire qualcosa al colonnello. Cosa preferisce, signore?»

Per un attimo parve che il colonnello non capisse. «Ah, l'aperitivo? No, grazie, non bevo».

«Un analcolico, allora?»

«D'accordo, ottimo». Era chiaro che Davenheim si era aggrappato a qualunque cosa.

Trumbull sorrise: «È difficile la vita per un astemio».

«È inevitabile che venga offerto qualcosa di liquido» disse Davenheim un po' contrariato. «Non sono mai riuscito ad abituarmi».

Gonzalo disse: «Faccia mettere una ciliegia nell'analcolico, anzi, metta dell'acqua in un bicchiere da cocktail e aggiunga un'oliva. Poi beva e ogni tanto aggiunga altra acqua. Tutti ammireranno come regge l'alcool. Benché, francamente, non abbia mai visto un ufficiale che potesse…»

«Credo che la cena stia per cominciare» disse Avalon dando un'occhiata all'orologio.

Henry disse: «Vogliono prender posto, signori?» e mise un cestino con il pane proprio davanti a Gonzalo, come per suggerire che usasse la bocca per mangiare.

Gonzalo prese un panino, lo spezzò, ne imburrò una metà, gli diede un morso e disse con voce smorzata: «… evitare di essere ubriaco fradicio con un solo martini» ma nessuno lo sentì.

Rubin, seduto tra Avalon e Davenheim, disse: «Che tipo di soldato era Jeff, colonnello?»

«Molto in gamba» disse con serietà Davenheim, «ma non ha avuto molte occasioni per brillare. Eravamo entrambi nella parte legale della faccenda, il che significa lavoro a tavolino. La differenza è che lui ha avuto il buon senso di uscirne, a guerra finita. Io no».

«Vuol dire che si occupa ancora di leggi militari?»

«Esatto».

«Be', io attendo con impazienza il giorno in cui la legge militare sarà sorpassata come le leggi feudali».

«Anch'io» disse con calma Davenheim, «ma non è ancora così».

«No» disse Rubin, «e se lei…»

Trumbull lo interruppe. «Maledizione, Manny, non puoi aspettare per l'interrogatorio?»

«Sì» disse Avalon, tossendo in modo semi-stentoreo, «faremmo meglio a lasciare che Sam mangi prima di confondergli le idee».

«Se la legge militare» disse Rubin, «applicasse gli stessi principi…»

«Più tardi!» ruggì Trumbull.

Rubin lanciò uno sguardo indignato attraverso le grosse lenti, ma desistette.

Halsted, chiaramente per cambiare argomento, disse: «Non sono soddisfatto del mio limerick sul quinto libro dell'Iliade».

«E dell'Odissea» disse Halsted. «Il guaio è che il quinto libro tratta principalmente delle gesta dell'eroe greco Diomede e mi sento obbligato a far entrare il suo nome nella rima. Ci ho lavorato su, a intervalli, per dei mesi».

«È per questo, allora, che ci hai risparmiato i limerick nelle ultime due riunioni?» chiese Trumbull.

«Ne avevo uno ed ero pronto a leggerlo, ma non mi soddisfa».

«Ti sei unito alla maggioranza, allora» disse Trumbull.

«Eccolo là, comunque» disse Halsted ignorandolo.

«Coraggioso, deciso ed audace,

Va in battaglia il valente Diomede,

Né di fronte agli dei non recede.

Ai suoi colpi Ares pugnace

Come morto a terra giace».

Avalon scosse la testa. «Ares rimase soltanto ferito, gli restò abbastanza forza per salire ruggendo sull'Olimpo».

«Devo ammettere che non sono soddisfatto» disse Halsted.

«Tutti d'accordo!» disse Trumbull.

«Cotoletta alla parmigiana!» disse Rubin con entusiasmo. Henry, con la consueta destrezza, stava già servendo tutti.

Il colonnello Davenheim, dopo essersi dedicato alla cotoletta, disse: «Vi trattate bene, qui, Jeff».

«Oh, facciamo quello che possiamo» disse Avalon. «Il ristorante non scherza con il conto, ma è solo una volta al mese».

Davenheim lavorò di forchetta con entusiasmo e disse: «Dottor Halsted, lei è un matematico…»

«Insegno matematica a giovani recalcitranti, il che non è la stessa cosa».

«Perché, allora, compone limericks su un poema epico?»

«Appunto perché è tutt'altro che matematica, colonnello. È un errore pensare che tutti gli interessi di un individuo debbano essere attinenti alla sua professione».

«Non intendevo offenderla» disse il colonnello.

Avalon fissò il piatto su cui non era rimasta una briciola e allontanò pensieroso il bicchiere ancora mezzo pieno. Poi disse: «In realtà, Sam sa cosa sia un hobby intellettuale, è molto bravo in fonetica».

«Oh, be'» disse Davenheim con modestia esagerata, «sono solo un dilettante».

Rubin disse: «Cioè lei sa raccontare storielle in dialetto?»

«In qualsiasi dialetto, entro un certo limite» disse Davenheim. «Ma non so raccontare barzellette neanche nella nostra lingua».

«Bene» disse Rubin, «preferisco una storiella fiacca in un dialetto autentico a una buona in un dialetto cattivo».

Gonzalo disse: «Allora come spieghi che ridi soltanto alle tue storielle che hanno entrambi questi difetti?»

Davenheim rispose in fretta per evitare la replica di Rubin.

«Mi hai fatto sviare dall'argomento» e si spostò da un lato mentre Henry gli serviva il dessert al rum. «Voglio dire, dottor Halsted… d'accordo, Roger… che forse ti dedichi al classico per distrarre la mente da qualche astruso problema di matematica. Così, mentre la tua mente lavora alle rime, il tuo subconscio…»

«La cosa strana» disse Rubin prendendo al volo la possibilità di intromettersi, «è che la cosa funziona. Non sono mai stato così impantanato nel creare una trama, da non riuscire a tirarmene fuori andando al cinema. Non a vedere un buon film che mi assorba veramente, ma un film da poco, che lasci libero il mio subconscio. I film di spionaggio sono i più indicati».

Gonzalo disse: «Non riesco a seguire la trama di quei film anche se ce la metto tutta».

«Eppure li fanno per i dodicenni» disse Rubin, riuscendo finalmente a restituire il colpo.

Henry versò il caffè, e Davenheim disse: «Sono d'accordo con Manny. A mio parere occuparsi di fonetica per un giorno è talvolta il mezzo migliore per aiutare a risolvere un problema di lavoro. E c'è un altro aspetto. È chiaro che tenendo la mente occupata lasciamo il subconscio libero di lavorare a suo piacimento in profondità. Ma solo in profondità? Non affiorerà qualcosa? Non si svelerà, se non alla persona – la persona che pensa – ad altri?»

«Cosa vuol dire esattamente, colonnello?» chiese Trumbull.

«Sentite» disse Davenheim, «se dobbiamo darci del tu, diamoci del tu tutti quanti. Chiamatemi Sam. Voglio dir questo. Supponiamo che Manny stia lavorando a una trama in cui figuri un veleno non identificabile…»

«Mai!» disse con vigore. «Esclusi anche le tarantole, l'induismo mistico e il soprannaturale. È tutto romanticismo del diciannovesimo secolo. Dubito che perfino Il mistero della camera chiusa non sia…»

«È solo un esempio» disse Davenheim, che aveva avuto qualche difficoltà a fermare quel profluvio di parole. «Tu fai un'altra cosa per lasciar lavorare il subcosciente e sei pronto a giurare che hai completamente dimenticato il tuo mistero, che non ci pensi, che lo hai cancellato. E poi, per chiamare un tassì ti metti a gridare: “Tossico! Tossico!” invece di “Tassì! Tassì!”»

Trumbull, serio in volto, disse: «È piuttosto stiracchiato e non l'accetto ma comincio a pensare, Jeff, che hai portato qui Sam perché ha un problema».

Avalon si schiarì la voce. «Non precisamente. L'ho invitato per diversi motivi. Il principale è che ho pensato che vi sarebbe piaciuto. Ma ieri sera era a casa mia e… posso dirlo, Sam?»

Davenheim si strinse nelle spalle. «Questo posto è muto come una tomba, mi dite».

«Assolutamente» disse Avalon. «Sam conosce mia moglie quasi da quando la conosco io, ma l'ha chiamata due volte Farber invece di Florence».

Davenheim sorrise debolmente. «Il mio subcosciente che si è fatto strada. Avrei giurato di aver cancellato la cosa dalla mia mente».

«Non te ne sei reso conto» disse Avalon, e si rivolse agli altri. «Io non lo avevo notato, lo ha notato Florence. La seconda volta gli ha detto: “Come mi hai chiamato?” e lui ha detto: “Cosa?” E lei: “Continui a chiamarmi Farber.” E lui è rimasto di sasso».

«Comunque» disse Davenheim, «non è il mio subconscio che mi preoccupa, è il suo».

«Il subconscio di Farber?» chiese Drake, spegnendo la sigaretta con le dita ingiallite.

«Dell'altro» disse Davenheim.

Trumbull disse: «È quasi il momento del brandy, Jeff. Vuoi interrogare tu il nostro stimato ospite o preferisci che lo faccia un altro?»

«Non so se abbia bisogno di essere interrogato» disse Avalon. «Forse ci dirà cosa occupa il suo subconscio se distraiamo la sua mente».

«Non so se debbo farlo» disse Davenheim con viso arcigno. «È un argomento piuttosto delicato».

«Hai la mia parola» disse Trumbull, «che tutto quanto viene detto qui è considerato della massima riservatezza. Sono sicuro che Jeff te lo ha già detto. E questo comprende il nostro stimatissimo Henry. E, naturalmente, non è necessario che ci riveli tutti i dettagli».

«Comunque, non serve mascherare la cosa con nomi falsi vero?»

«No, se Farber è il vero nome» disse Gonzalo sogghignando.

«Bene, al diavolo» sospirò Davenheim. «Effettivamente come storia non è un gran che e può anche non esserci nulla, proprio nulla; posso essermi completamente sbagliato. Ma se non è così la cosa potrebbe essere imbarazzante per l'esercito e dispendiosa per i contribuenti. Spero quasi di essere in errore, ma mi sono impegnato talmente che, se ho sbagliato, la mia carriera potrebbe essere compromessa per sempre. D'altra parte non mi manca molto per andare in pensione».

Per qualche istante sembrò perduto nei suoi pensieri, poi disse con foga: «No, devo aver ragione. Per quanto imbarazzante possa risultare, la cosa deve finire».

«Si tratta di tradimento?» chiese Drake.

«No, non nel senso stretto della parola. Vorrei quasi lo fosse. Nel tradimento può esserci anche un'enorme dignità. Talvolta un traditore è soltanto il rovescio della medaglia del patriottismo. Il traditore è un traditore per qualcuno e un martire per un qualcun altro. Non sto parlando di un individuo prezzolato, da strapazzo. Mi riferisco a chi ritiene di servire una causa più alta della sua stessa nazione e non accetterebbe un soldo per i rischi che corre. Questo lo comprendiamo benissimo, quando abbiamo a che fare con traditori nemici. Con gli uomini, ad esempio, che Hitler considerava…»

«Dunque non si tratta di tradimento?» disse Trumbull con una certa impazienza.

«No. Solo corruzione! Corruzione marcia, fetida. Una banda di uomini… soldati, mi dispiace dirlo, ufficiali, presumibilmente alti ufficiali… intenti a spillare denaro allo Zio Sam».

«E perché questo non viene considerato tradimento?» ritorse Rubin. «Ci indebolisce e danneggia l'esercito. Dei militari che tengono in così bassa considerazione il loro paese da derubarlo non lo considerano certo tanto da morire per esso».

«Quanto a questo» disse Avalon, «tali individui mettono le loro emozioni e le loro azioni in compartimenti separati. È possibilissimo derubare lo Zio Sam oggi, morire per lui domani ed essere perfettamente sinceri entrambe le volte. Molte persone che ingannano il fisco, pagando solo la meta della giusta tassa sul reddito, si considerano leali e patriottici cittadini americani».

Rubin disse: «Lasciamo stare le tasse sui redditi. Se consideri dove vanno a finire la maggior parte delle spese del bilancio federale, avresti molto successo sostenendo che chi va in prigione piuttosto che pagare le tasse è un vero patriota».

Davenheim disse: «Un conto è non pagare le tasse per principio, dichiararlo e andare in prigione per questo. Altro conto è scaricare il proprio giusto fardello solo per fare portare agli altri il loro e il tuo. Entrambe le azioni sono egualmente illegali, ma per la prima ho un po' di rispetto. Nel caso di cui sto parlando l'unico movente è la pura avidità. È possibile che si tratti di milioni di dollari dei contribuenti».

«Possibile mai? Ed è tutto qui?» chiese Trumbull increspando la fronte.

«Tutto, finora. Non ho prove ed è una pista difficile da seguire, senza un fiuto eccezionale. Se uso la mano pesante e non posso provare continuamente i miei sospetti, mi faranno a pezzi. Potrebbero forse essere implicati dei grandi nomi…

«E Farber che parte ha nella faccenda?» chiese Gonzalo.

«Finora abbiamo due uomini, un sergente e un soldato semplice. Il sergente è Farber, Robert J. Farber. L'altro si chiama Orin Klotz. In realtà, non risulta nulla a loro carico».

«Assolutamente nulla?» chiese Avalon.

«Non esattamente. Le azioni di Farber e di Klotz hanno causato l'evaporazione di migliaia di dollari di equipaggiamento militare, ma non possiamo dimostrare che le loro azioni siano illegali. Erano giustificati in ogni circostanza».

«Perché sono implicati anche dei pezzi grossi, intendi questo?» disse Gonzalo sorridendo. «Degli ufficiali? Che hanno cervello?»

«Per quanto strano possa sembrare» disse secco Davenheim, «potrebbe esser così. Ma non ho prove».

«Non potresti interrogare quei due uomini?» disse Gonzalo

«L'ho fatto» disse Davenheim. «E con Farber non ho ottenuto nulla. È il tipo di persona più pericoloso, lo strumento innocente. Credo sia troppo stupido per capire il significato di quanto ha fatto e, se lo avesse capito, non lo avrebbe fatto».

«Mettilo di fronte alla verità» disse Avalon.

«E qual è la verità?» chiese Davenheim. «Non sono ancora pronto a mettere sul tavolo le mie supposizioni. Se dicessi quello che so adesso, il risultato sarebbe che quei due al massimo sarebbero espulsi con disonore, mentre il resto della banda se ne starebbe quieta, riprenderebbe fiato e poi ricomincerebbe. No, preferisco non fare alcuna mossa finché non avrò un indizio che mi dia una certa sicurezza per correre il rischio che dovrò correre».

«Vuoi dire un indizio che porti a qualcuno più in alto?» chiese Rubin.

«Esattamente».

«E l'altro individuo?» chiese Gonzalo.

Davenheim annuì. «È lui la persona chiave. Lui sa. Dei due, lui è il cervello. Ma non posso smontare la sua storia. Ho provato e riprovato, ha le spalle al sicuro».

Halsted disse: «Se è soltanto una supposizione che oltre quei due ci siano degli altri, perché la prendi così sul serio? Non c'è la possibilità che tu sia in errore?»

«Può sembrare così, agli altri» disse Davenheim «E non è possibile spiegare perché so di non sbagliarmi, se non chiedendo che si creda alla mia esperienza. Dopo tutto, Roger, un matematico di una certa esperienza può esser sicuro che una particolare congettura sia esatta e allo stesso tempo può non essere in grado di darne la dimostrazione matematica. Non è così?»

«Non sono certo che l'analogia calzi» disse Halsted.

«A me sembra di sì. Ho parlato a uomini senza alcun dubbio colpevoli e a uomini sicuramente innocenti: il loro atteggiamento di fronte alle accuse è differente e io sento questa differenza. Il guaio è che la mia sensazione non può essere ammessa come prova. Farber posso considerarlo prosciolto, ma Klotz è appena un'ombra troppo circospetto, appena un'ombra troppo disinvolto. È come se giocasse con me, prendendoci gusto, anche questo è qualcosa che non mi sfugge».

«Se insisti nel dire che senti queste cose» disse Halsted insoddisfatto, «è inutile discutere, non ti pare? Metti la questione oltre i limiti del razionale».

«La cosa è semplicemente in questi termini: non mi sbaglio» disse Davenheim incurante, talmente preso dai suoi pensieri da non lasciarsi sviare dalle parole di Halsted. «Klotz sorride appena, quando lo torchio duramente. Come se io fossi il toro e lui il torero e, quando comincio ad avvicinarmi con mosse rapide, se ne sta lì rigido e agita quasi con negligenza la cappa, sfidandomi a incornarlo. E quando tento di farlo, lui ha cambiato posizione e io mi trovo con la cappa sulla testa».

«Temo che ti tenga in pugno, Sam» disse Avalon, scuotendo la testa. «Se hai la sensazione che ti prenda in giro, sei arrivato al punto in cui non puoi più fidarti dei tuoi giudizi. Fatti sostituire da qualcun altro».

Davenheim scosse la testa. «No, se le cose stanno come io penso, e so che è così; voglio essere io a smascherarli».

«Ascoltami» disse Trumbull, «ho qualche esperienza in materia. Credi di potere risolvere il caso con Klotz? È soltanto un soldato semplice e ho il sospetto che, anche se esiste una specie di cospirazione, sappia pochissimo di tutta la faccenda».

«D'accordo, lo ammetto» disse Davenheim. «Non ho la pretesa che Klotz possa offrirmi la luna su un piatto d'argento. Eppure deve conoscere un altro elemento, qualcuno più in alto. Deve conoscere qualcosa e qualcuno più vicini di lui al centro. Sto cercando appunto questo qualcosa e questo qualcuno. Non chiedo altro. E quello che mi fa impazzire è che lui lo rivela eppure non riesco a comprendere».

«Cosa vuoi dire! lo rivela?» chiese Trumbull.

«È qui che entra in gioco il subconscio. Quando siamo di fronte e si occupa completamente di me, completamente impegnato a fermarmi, a eludere le mie domande, a intralciarmi in tutti i modi. E gioca bene la sua partita, maledizione. Darmi l'informazione che voglio sarebbe l'ultima cosa che farebbe, ma l'informazione è lo stesso dentro di lui, e quando è tutto intento a pensare a qualcos'altro questa informazione sprizza fuori. Ogni volta che lo accerchio, lo faccio indietreggiare e manovro per metterlo con le spalle al muro, cozzando con le mie corna contro la maledetta cappa a pochi centimetri dal suo inguine, lui canta».

«Lui cosa?» esplose Gonzalo, e tutti i Vedovi Neri mostrarono una certa agitazione. Solo Henry, che versava dell'altro caffè nelle tazzine, rimase imperturbato.

«Canta» disse Davenheim. «Per dir meglio, canticchia. Sempre lo stesso motivo».

«Che motivo è? Un motivo che conosci?»

«Certo che lo conosco, lo conoscono tutti. È “Yankee Doodle”».

Avalon disse con voce profonda, come il suo solito: «Lo conosceva perfino il Presidente Grant, che non aveva orecchio per la musica. Diceva che conosceva solo due motivi, uno era “Yankee Doodle” e l'altro no».

«E “Yankee Doodle” sarebbe il bandolo di tutta la faccenda?» chiese Drake, con un certo sguardo nei suoi occhi affaticati da chimico, che si notava quando cominciava ad avere dei dubbi sulla razionalità di qualcuno.

«Sì, in un certo modo. Cerca di mascherare la verità il più abilmente possibile, ma questa emerge appena appena dal suo subconscio, come la cima di un iceberg. E “Yankee Doodle” è questa cima. Ma non riesco a capire. È troppo piccola perché possa aggrapparmici saldamente. Ma è lì! Ne sono sicuro».

«Vuoi dire che “Yankee Doodle” contiene la soluzione del problema?» disse Rubin.

«Sì» disse Davenheim con enfasi. «Ne sono più che sicuro. Quel tipo non si rende conto di canticchiare. Una volta gli ho detto: “Che cos'è?” e lui mi ha guardato senza capire. “Cosa stai canticchiando?” gli ho chiesto, e lui mi ha fissato in un modo che, potrei giurarlo, indicava sincero stupore».

«Come quando tu hai chiamato “Farber” Florence» disse Avalon.

Halsted scosse la testa. «Non so se si possa dare tanta importanza a una cosa del genere. Tutti alle volte abbiamo un motivo che ci ronza in testa e non riusciamo a liberarcene. Talvolta lo canticchiamo mentalmente».

Davenheim disse: «A volte, e un motivo a caso, forse. Ma Klotz canticchia solo “Yankee Doodle” e soltanto ed esclusivamente quando lo sto mettendo alle strette. Quando la situazione si fa tesa, mentre sto cercando di cavargli la verità a proposito della corruzione che sicuramente esiste, ecco che vien fuori il motivo. Deve significare qualcosa».

«Yankee Doodle» disse Rubin pensieroso, come a se stesso. Guardò per un attimo Henry, in piedi vicino alla credenza corrugando le sopracciglia. Henry colse lo sguardo ma non corrispose.

Vi fu un breve silenzio in cui i Vedovi Neri ponderarono, ma chi più chi meno, sembravano tutti a disagio. Finalmente Trumbull disse: «Può darsi che tu ti sbagli completamente, Sam. Forse devi ricorrere alla psichiatria. Forse questo Klotz canticchia “Yankee Doodle” in tutti i momenti di tensione. Forse non significa altro che suo padre lo cantava quando lui aveva sei anni; o lo cantava sua madre per farlo addormentare».

Davenheim sollevò il labbro superiore in una smorfia di derisione. «Credi che non ci abbia pensato? Ho interrogato una mezza dozzina di suoi amici più intimi. Nessuno lo ha mai sentito canticchiare niente!»

«Può darsi che mentano» disse Gonzalo. «Se potessi, non direi mai niente a un ufficiale».

«Potrebbero anche non averlo notato» disse Avalon. «Pochi, sono buoni osservatori».

«Può darsi che abbiano mentito, può darsi che non lo sappiano» disse Davenheim, «ma la loro testimonianza, così come mi fa pensare che “Yankee Doodle” sia collegato in modo specifico con la mia investigazione, basta».

«Forse ha solo un riferimento alla vita militare. È una marcia del periodo della Rivoluzione». disse Drake.

«E allora perché succede solo con me e con nessun altro in tutto l'esercito?»

Rubin disse: «Benissimo, supponiamo che “Yankee Doodle” abbia un nesso significativo. Cosa abbiamo da perdere? Sentiamo come fa… Per amor di Dio, Jeff, non cantarlo!»

Avalon, che aveva aperto la bocca con la chiara intenzione di mettersi a cantare, la richiuse di scatto. La sua abilità nel tenere una nota faceva il paio con quella di un'ostrica e, nei momenti di maggior lucidità, lo sapeva. Con un'ombra di alterigia disse: «Lo reciterò!»

«Bene» disse Rubin, «ma niente canto».

Avalon si mise in una posa austera e cominciò a declamare con sonoro tono baritonale:

«Yankee Doodle andò in città

a cavallo di un pony.

Mise una piuma sul cappello

E la chiamò “macaroni.”

Coraggio, Yankee Doodle,

Che elegantone, Yankee Doodle.

Attento alla musica e al passo

E in gamba con le ragazze!»

«Non è altro che una poesiola senza senso» disse Gonzalo.

«Senza senso un accidente!» disse indignato Rubin, con un tremito della barba rada. «Ha senso e come! È una satira su un ragazzo di campagna, scritta da un dritto di città. Si chiama “doodle” qualsiasi strumento campagnolo primitivo… una cornamusa, per esempio… quindi Yankee Doodle è uno venuto dai boschi del New England, non più raffinato di una cornamusa. Viene in città sul suo pony con l'intenzione di far bella figura, e allora indossa quelli che crede abiti da città. Mette una piuma sul cappello e crede di essere un vero elegantone. E verso la fine del diciottesimo secolo “macaroni” significava appunto elegantone, vestito all'ultima moda.

«Gli ultimi quattro versi sono per il coro e descrivono il ragazzo di campagna che va a un ballo in città. Gli viene detto in tono ironico di farsi animo e di essere galante con le donne. La parola “macaroni,” entrata nell'uso verso la metà del milleottocento, ha lo stesso significato di “elegantone”».

Gonzalo disse: «D'accordo, Manny, hai vinto. Non è una sciocchezza. ma in che modo può essere utile a Sam?»

«Non credo che possa essere utile» disse Rubin. «Mi dispiace, Sam, ma mi sembra che questo Klotz sia un ragazzo di campagna che ridicolizza il drittone cittadino, e non può fare a meno di pensare alla canzoncina derisoria e a come abbia capovolto la situazione, con te».

Davenheim disse: «Mi sembra di capire, Manny, che tu pensi che Klotz sia un ragazzo di campagna a causa del suo cognome. Ragionando allo stesso modo tu dovresti essere un rubino perché ti chiami Rubin. In realtà, Klotz è nato e cresciuto a Filadelfia e dubito abbia mai visto una fattoria. Niente ragazzo di campagna, quindi».

«D'accordo» disse Rubin «ho visto la cosa dal lato sbagliato. È lui il drittone di città e guarda te dall'alto in basso, Sam».

«Perché sarei io il ragazzo di campagna? Sono nato a Soneham, Massachusetts, e ho frequentato l'università di Harvard dove mi sono laureato in legge. E lui lo sa. Ha fatto parecchie allusioni in proposito, quando si diverte a fare il torero».

Drake disse: «Essere nato e cresciuto nel Massachusetts non fa di te uno “Yankee”?»

«Non uno “Yankee Doodle”» disse ostinato Davenheim.

«Lui potrebbe crederlo» disse Drake.

Davenheim ci pensò su un momento, poi disse: «Sì, credo che possa pensarlo. Ma allora non lo canterebbe così apertamente, così derisoriamente. Il fatto è questo, credo che canticchi inconsciamente. Quando canticchia si riferisce a qualcosa che cerca di nascondere, non a qualcosa che vuole esprimere».

Halsted disse: «Forse va con il pensiero a un futuro in cui sarà diventato ricco per le sue malefatte e potrà far il suo ingresso trionfale in città; in altre parole, pensa a quando potrà “mettere una piuma sul cappello”».

Drake disse: «O forse Klotz pensa che il modo in cui riesce a trattarti rappresenti la sua piuma sul cappello».

Gonzalo disse «Si tratterà forse di una parola con un particolare significato. Supponiamo che “macaroni” significhi che è legato alla Mafia. O supponiamo che “in gamba con le ragazze” significhi che nel giro ci sia qualche ausiliaria dell'esercito. Ci sono ancora le ausiliarie, nell'esercito, vero?»

Fu a questo punto che Henry disse: «Mi chiedevo, signor Avalon, se come anfitrione volesse permettermi di fare qualche domanda».

Avalon disse: «Ma certo, Henry, sa che può farlo quando vuole».

«Grazie, signore. Anche il colonnello me lo permette?»

Davenheim sembrò sorpreso ma disse: «Bene, Henry, dato che è qui lo faccia pure».

Henry disse: «Il signor Avalon ha recitato otto versi di “Yankee Doodle”… quattro versi solistici seguiti da quattro versi del coro. Ma l'assolo e coro hanno motivo musicale diverso. Il soldato semplice Klotz ha canticchiato tutti e otto i versi?»

Davenheim ci pensò un attimo. «No, no di certo. Ha canticchiato… ah…» Chiuse gli occhi per concentrarsi, facendo «Dam-dam dam-dam dam-dam-dam, dum-dam dam-dam dam-da-a-am-dam. Solo questo. I primi due versi».

«Dell'assolo?»

«Esatto. “Yankee Doodle andò in città, a cavallo di un pony”».

«Sempre questi due versi?»

«Sì, sempre, mi sembra».

Drake spazzò via qualche briciola dalla tavola. «Colonnello, dici che canticchiava così quando l'interrogatorio era particolarmente stringente. Hai mai notato di che cosa stavate discutendo in quelle occasioni?»

«Sì, certo, ma preferirei non entrare in dettagli».

«Capisco, ma forse puoi dirmi questo. In quei momenti la discussione verteva su di lui o anche sul sergente Farber?»

«In generale» disse lentamente Davenheim, «il canticchiare corrisponde alle sue più enfatiche proteste di innocenza. ma sempre per tutti e due. Devo riconoscerlo. Non ha cercato una sola volta di cavarsela a spese dell'altro. Continua a ripetere che né Farber né lui hanno fatto questo o quest'altro, né sono responsabili di questo o quest'altro».

Henry disse: «Colonnello Davenheim, tento un colpo azzardato. Se la risposta sarà no, non avrò nient'altro da dire. Se invece la risposta sarà sì, forse possiamo arrivare a qual cosa».

«Qual'è la domanda, Henry?» disse Davenheim.

«Colonnello, si dà forse il caso che nella stessa base in cui prestano servizio il sergente Farber e il soldato semplice Klotz vi sia un capitano Gooden o Gooding o qualcuno con un nome simile?»

Davenheim, fino a quel momento, aveva guardato Henry con evidente divertimento. Ma l'aria divertita sparì in un lampo. Strinse la bocca e impallidì visibilmente. Poi spinse indietro la sedia facendola stridere e si alzò.

«Sì» disse con forza, «il capitano Charles Goodwin. Ma come diavolo fa a saperlo?»

«In questo caso, può darsi che sia quello il suo uomo. Lascerei perdere Klotz e Farber, signore, se fossi in lei, e mi concentrerei sul capitano. Potrebbe essere il passo verso l'alto che cercava. E il capitano potrebbe rivelarsi un osso meno duro del soldato semplice Klotz».

Pareva che Davenheim non riuscisse a dire altro e Trumbull intervenne. «Mi piacerebbe che ci spiegasse, Henry».

«Si tratta di “Yankee Doodle,” come riteneva il colonnello. Il fatto è che Klotz lo canticchiava a bocca chiusa. Dobbiamo pensare alle parole che aveva in mente mentre canticchiava».

Gonzalo disse: «Il colonnello ha detto che canticchiava versi che dicono “Yankee Doodle andò in città, a cavallo di un pony”».

Henry scosse la testa. «La poesia originale “Yankee Doodle” ha circa una dozzina di versi, che non comprendono quelli con la parola “macaroni,” che sono stati aggiunti dopo, pur essendo ora tra i più popolari. La poesia originale descrive la visita di un ragazzo di campagna al campo dell'esercito continentale di Washington, dove viene preso in giro per la sua ingenuità. Quindi credo che l'interpretazione del signor Rubin sull'intimo significato del canticchiare sia esatta».

Rubin disse: «Henry ha ragione. Adesso ricordo: la parola Washington è nel testo originale, ma come capitano Washington. Il ragazzo di campagna non si rendeva nemmeno conto che si trattava di un grado militare».

«Sì» disse Henry. «Non conosco tutte le strofe e immagino che pochi le conoscano, e nemmeno il soldato semplice Klotz. Ma chiunque conosca la poesia conosce almeno la prima strofa o, comunque, i primi due versi e Klotz canticchiava appunto quelli del primo verso ad esempio… ed è il ragazzo di campagna che parla… dice “Mio padre ed io andammo al campo.” Capite?»

«No» disse Davenheim scuotendo la testa, «non capisco».

«Lei ha fatto notare che quando faceva domande stringenti a Klotz, dicendo, ad esempio, “Farber e lei hanno fatto così e così,” e lui rispondeva “Farber ed io non abbiamo fatto così e così,” Klotz cominciava a canticchiare. Lei, colonnello, ha detto che questo avveniva di solito nel momento in cui negava qualcosa e che Klotz negava sempre sia per Farber che per se stesso. Quindi quando diceva “Farber ed io,” queste parole provocavano il verso “Farber ed io andammo al campo”». Henry lo cantò con una sommessa voce tenorile.

«Farber e Klotz erano in un campo dell'esercito, d'accordo» disse Avalon, «ma, diavolo, la cosa mi sembra un po' tirata».

«Se fosse tutto qui, sì, signore» disse Henry. «Perciò ho chiesto se nel campo esiste un capitano Gooden. L'impulso a canticchiare il motivo sarebbe irresistibile, se il capitano è un terzo membro del complotto. Il primo verso, il solo che conosco…»

Ma Rubin lo interruppe e, alzandosi in piedi, ruggì:

«Mio padre ed io andammo al campo,

Assieme al capitano Gooden,

E vedemmo uomini e ragazzi

ammassati come un budino mal fatto».

«Giusto» disse Henry calmissimo, «Farber ed io andammo al campo, assieme al capitano Goodwin».

«Per Giove». disse Davenheim, «deve essere così. Altrimenti è la più straordinaria delle coincidenze… e non può essere. Henry, ha messo il dito nel punto giusto».

«Lo spero, signore. Ancora un po' di caffè, colonnello?» disse Henry.


(Titolo originale: Yankee Doodle Went to Town)

 

Questo racconto mi ha dato l'occasione di fare una grande scoperta. Ecco come è stato.

Il mio lavoro lo faccio a macchina. Anche le prime minute sono dattiloscritte. Ero convinto che fosse meglio far così. Se detto, non vedo bene cosa sto facendo e se cerco di scrivere a mano le dita si irrigidiscono e a metà della seconda pagina non funzionano più.

Il 9 novembre 1972 mi trovavo a Rochester, in una camera d'albergo e il giorno seguente dovevo fare un discorso. Quella sera non avevo nulla da fare e, andando in macchina verso Rochester, avevo pensato il racconto che avete appena finito di leggere (a meno che non sfogliate il libro e leggiate solo i post scriptum). Ero disperato. Non volevo fare altro che scrivere e non avevo portato la macchina da scrivere.

Mi decisi a cominciare il racconto scrivendo a mano, sulla carta intestata dell'albergo e di continuare a scrivere fino a che le mie dita avessero resistito. Sarebbe bastato poco tempo. E scrissi, scrissi… e scrissi. Sapete che finii il racconto senza alzare la penna dal foglio e le dita non mi fecero affatto male?

Ora non ho più bisogno di portare con me la macchina da scrivere. Da quella volta in poi ho scritto a mano parecchie cose, anche su una nave.

Volete sapere una cosa? Ho scoperto una cosa strana, scrivendo il racconto. Scrivere a mano con penna e inchiostro è molto silenzioso. Il rumore che faccio scrivendo non è quello che scrivo, è la macchina da scrivere. Ho pensato che vi avrebbe fatto piacere saperlo.