Fuori vista

Il banchetto mensile dei Vedovi Neri era giunto al punto in cui ben poco restava, ormai, del fritto misto, salvo qualche salsiccia e un pezzo di fegato, chiaramente intatto, sul piatto di Emmanuel Rubin… e fu allora che le voci raggiunsero toni da combattimento omerico.

Rubin, reso senza dubbio furioso dalla sola presenza del fegato, stava dicendo, in modo ancor più monotono del solito: «La poesia è suono. La poesia non si guarda. Non mi importa se la cultura attira l'attenzione sulla rima, sull'allitterazione, la ripetizione, l'equilibrio, o sulla cadenza: tutto si riduce a suono».

Roger Halsted non alzava mai la voce, ma si poteva dedurre l'intensità della sua emozione dal colore della fronte. In quel momento era viola scuro, fin oltre la linea dove una volta cominciavano i capelli. Disse: «A cosa serve generalizzare, Manny? Nessuna generalizzazione sta in piedi di solito se non si parte da un sistema perfetto di assiomi. La letteratura…»

«Se stai per parlarmi di poesia figurativa» disse Rubin con calore, «puoi risparmiare il fiato. È una sciocchezza vittoriana».

«Cos'è la poesia figurativa?» chiese pigramente Mario Gonzalo. «Ti sembra somigliante, Jeff?» Aggiunse un tocco ai capelli arruffati nella scrupolosa caricatura dell'ospite, Waldemar Long che, dal principio della cena, aveva mangiato in assoluto silenzio, ma senza perdere una sola parola di quanto veniva detto.

«No» disse prudentemente Geoffrey Avalon, «ma Manny sarebbe capace di inventare qualunque cosa pur di spuntarla in una discussione. La poesia figurativa è un genere di poesia in cui le parole o i singoli versi sono disposti tipograficamente in modo da produrre un'immagine visiva che rafforzi il significato. “La Coda del Topo” in Alice nel paese delle meraviglie è l'esempio più conosciuto».

Halsted, la cui voce pacata era impari alla battaglia verbale in corso, batté ripetutamente con il cucchiaino sul bicchiere finché il frastuono si calmò.

«Siamo ragionevoli» disse. «L'argomento in discussione non è la poesia in generale, ma il limerick come forma di poesia. Io affermo… lo ripeto, Manny… che il valore di un limerick non è dato dall'argomento che tratta. È un errore pensare che un limerick, per esser buono, debba essere sporco. È più facile…»

James Drake spense la sigaretta, arricciò i baffetti brizzolati e disse con voce rauca: «Perché definite sporco uno sporco limerick? La Corte Suprema vi condannerebbe».

Halsted rispose: «Perché è una parola di due sillabe di cui tutti capite il significato. Come volete che dica? Miscellanea generalmente irriverente, blasfema escretoria sessuale?»

Avalon disse: «Continua, Roger, continua. Tira dritto e non lasciarti punzecchiare». E, rivolgendosi agli altri, aggrottò con severità le sopracciglia lussureggianti e disse a bassa voce: «Lasciatelo parlare».

«Perché?» chiese Rubin. «Non ha niente da… D'accordo Jeff. Parla, Roger».

«Grazie a tutti» disse Halsted, col tono risentito di uno che veda riconosciuto il torto subito. «Il valore di un limerick consiste nella imprevedibilità dell'ultimo verso e nella ingegnosità della rima finale. In realtà, un contenuto irriverente può sembrare che abbia valore per se stesso ma richiede meno abilità… e costituisce un limerick meno pregiato. La rima può essere ottenuta anche con convenzioni ortografiche».

«Con che cosa?» chiese Gonzalo.

«Con la grafia, diciamo, con il modo di scrivere la parola» intervenne Avalon.

«E quindi» disse Halsted, «vedendo la grafia e avendo una brevissima battuta di arresto per rendersi conto del suono, il divertimento risulta intensificato. A condizione però di vedere, di leggere il limerick. Con la sola recitazione il meglio va perduto».

«Se ci dessi un esempio?» disse Drake.

«So cosa vuol dire» disse forte Rubin. «Sta per fare una rima tra M.A. e C.D… “Master of Arts e Caster of Darts”».

«È un esempio che è stato usato» ammise Halsted, «ma è forzato. Occorre troppo tempo per afferrarne lo spirito e il divertimento resta sminuito dall'irritazione. Si dà il caso che abbia composto un limerick, durante la discussione…»

A questo punto Thomas Trumbull prese parte alla discussione per la prima volta. Il suo viso abbronzato e rugoso si contorse in cipiglio minaccioso: «Non hai fatto un bel niente, adesso. Lo hai preparato ieri e hai fatto questa stupida messa in scena per poterlo recitare. Se è uno dei tuoi cosi sull'Iliade, ti caccerò personalmente a pedate».

«Non si tratta dell'Iliade» disse Halsted. «Non mi sono dedicato a quello, in questi ultimi tempi. Recitare questo, invece, non raggiungerebbe lo scopo, naturalmente. Lo metto per scritto e lo faccio circolare».

E scrisse, su una salvietta di carta intatta, in stampatello maiuscolo:

LA REGINA D'INGHILTERRA CHIAMAR NON POTETE MS.

BELLO COME ELIZABETH NON EST.

LA REGINA, A MIO PARERE,

AVREBBE ANCOR MENO PIACERE

SE VENISSE CHIAMATA LS.

Gonzalo uscì in una sonora risata, quando gli fu passato il limerick e disse: «Certo, se sapete che la sigla MS si pronuncia = Mis, LS lo pronunciate Lis».

«Per me» disse Drake sdegnosamente «LS sta per “lanoscritto,” che non significa niente se deve far rima con MS che significa manoscritto».

A questo punto tutti si lanciarono in una caotica discussione su sigle, rime, pronuncia e metrica, tutti tranne Trumbull che, perduta la pazienza, gridò con voce tonante: «Dobbiamo proprio sprecare tempo e ragionamenti con un mucchio di sciocchezze del genere?»

«Mi sembra di aver dimostrato quello che volevo» riprese Halsted. «Esiste un umorismo visivo».

«Benissimo, allora finiamola con questo argomento» replicò Trumbull. «È un ordine, l'anfitrione sono io… Henry, arriva questo maledetto dessert?»

«Eccolo, signore» disse Henry con la abituale cortesia. Impassibile nonostante il tono di Trumbull, sgomberò la tavola con destrezza e servì le tartelettes ai mirtilli.

Il caffè era già stato versato e l'ospite di Trumbull disse a bassa voce: «Potrei avere una tazza di tè, per favore?»

L'ospite aveva un lungo labbro superiore e un mento egualmente lungo, capigliatura ispida, viso glabro e camminava un po' curvo, come un orso. Quando era stato presentato, solo Rubin aveva mostrato di riconoscerlo. Aveva detto: «Lei non è nella NASA?»

Waldemar Long aveva risposto con un «Sì» sorpreso, come se fosse stato disturbato in una specie di sua risentita rassegnazione all'anonimato. Poi aveva corrugato la fronte. E fece lo stesso mentre Henry, versato il tè, si allontanava con discrezione dalla tavola.

Trumbull disse: «Penso sia venuto il momento, per il nostro ospite, di partecipare alla conversazione e aggiungere forse un po' di buon senso a quella che è stata una serata insolitamente futile».

«No, non preoccuparti, Tom» disse Long, «le frivolezze non mi dispiacciono». Aveva una voce profonda, piuttosto bella, con una definita nota di tristezza. «Non sono tagliato per gli scherzi, personalmente» continuò, «ma mi piace ascoltarli».

Halsted, che stava ancora rimuginando sulla faccenda dei limerick, intervenne con improvviso impeto: «Propongo che non sia Manny l'inquisitore, questa volta».

«No?» disse Rubin, puntando in avanti la barba rada con fare bellicoso.

«No. Lascio giudicare a te, Tom. Se Manny interroga il nostro ospite, tirerà sicuramente in ballo il programma spaziale, dato che esiste un riferimento alla NASA, e quindi saremmo di nuovo al maledetto argomento che abbiamo discusso centinaia di volte. Sono stufo dell'argomento spazio e della questione se dovremmo o meno andare sulla luna».

«Nemmeno la metà di quanto lo sia io» disse Long, piuttosto inaspettatamente. «Sono dispostissimo a non discutere alcun aspetto della esplorazione dello spazio».

La chiarezza e la severità di quella dichiarazione calmò gli spiriti di tutti. Anche Halsted, per il momento, sembrava incapace di trovare un altro argomento per un individuo dell'ambiente NASA.

Poi Rubin si agitò sulla sedia e disse: «Direi, dottor Long, che questa sua attitudine sia di origine recente».

Long si volse di scatto verso Rubin, socchiudendo gli occhi. «Perché dice questo, signor Rubin?»

Il viso minuto di Rubin sembrò più vicino a un sorriso di quanto mai fosse stato. «Elementare, mio caro dottor Long. Lei ha partecipato alla crociera dell'inverno scorso per il lancio dell'Apollo. Ero stato invitato come rappresentante letterario degli intellettuali, ma non ho potuto andarci. Ho ricevuto, comunque, le pubblicazioni propagandistiche e ho notato che lei era presente. Avrebbe fatto una conferenza su certi aspetti del programma spaziale, non ricordo quali, e si trattava di una sua iniziativa volontaria. Quindi la sua delusione sull'argomento deve essere sorta nei sei mesi successivi alla crociera».

Long annuì leggermente parecchie volte e disse: «Sembra che io sia stato più seguito in quell'occasione che in qualsiasi altra circostanza della mia vita. Quella maledetta crociera mi ha reso perfino famoso».

«Dirò di più» proseguì Rubin, entusiasta. «Immagino che durante la crociera sia accaduto qualcosa che l'ha deluso, sull'esplorazione dello spazio, forse fino al punto da farle considerare di abbandonare la NASA per entrare in un'attività del tutto diversa».

Long guardava fisso davanti a sé. Puntò un dito verso Rubin, un lungo dito senza traccia di tremore, e disse: «Non è il momento di scherzare». Poi si alzò dalla sedia dominando l'ira e disse: «Mi dispiace, Tom. Grazie della cena, ma adesso devo andare».

Tutti balzarono in piedi, parlando simultaneamente; tutti tranne Rubin che rimase seduto, con espressione sbalordita.

La voce di Trumbull dominò le altre. «Aspetta un momento, Waldemar. Volete rimettervi a sedere, maledizione? Anche tu Waldemar. Cos'è questa agitazione? Rubin, di cosa si tratta?»

Rubin fissò la tazzina del caffè vuota e la prese come desiderando che vi fosse ancora del caffè, per prender tempo bevendone un sorso. «Stavo solo esponendo una catena di fatti logici. Dopo tutto, sono scrittore di gialli. A quanto pare ho toccato un punto nevralgico». Poi ringraziò con riconoscenza Henry, vedendo la tazzina colma fino all'orlo.

«Che catena di fatti logici?» chiese Trumbull.

«Benissimo, ecco qua» riprese Rubin. «Il dottor Long ha detto “quella maledetta crociera mi ha reso perfino famoso,” marcando in particolare la parola “perfino.” Significa che ha fatto anche dell'altro per lui e, dato che stavamo parlando del suo disgusto per l'argomento esplorazione dello spazio, ho dedotto che gli ha dato anche il motivo per quel disgusto. Dato il suo atteggiamento, ho immaginato che il disgusto fosse così netto da fargli desiderare di lasciare il suo incarico. Questo è tutto».

Long annuì di nuovo, esattamente come aveva fatto prima e si accomodò di nuovo sulla sedia. «Benissimo, mi dispiace, signor Rubin. Ho avuto uno scatto eccessivo. Il fatto è che lascerò la NASA. Praticamente, l'ho già lasciata… scacciato con una pedata. Ecco tutto… adesso cambiamo argomento. Tom, mi avevi detto che venir qui mi avrebbe tirato fuori dal mio stato di depressione, ma la cosa non ha funzionato. Al contrario, il mio umore ha contagiato tutti, è stato una doccia fredda per questa riunione. Perdonatemi tutti».

Avalon si lisciò leggermente i baffi ben curati e disse: «Per dire la verità, signore, lei ci ha offerto ciò che preferiamo… l'occasione di esercitare la nostra curiosità. Possiamo farle qualche domanda in proposito?»

«Non posso parlare liberamente dell'argomento» disse Long, stando in guardia.

Trumbull interloquì: «Se vuoi, puoi farlo, Waldemar. Non occorre che tu riferisca particolari delicati e inoltre tutto quanto viene detto qui è strettamente confidenziale. E, come preciso sempre facendo questa affermazione, la riservatezza comprende il nostro stimato amico Henry».

Henry, in piedi presso la credenza, sorrise leggermente.

Dopo un'esitazione, Long disse: «La vostra curiosità, in effetti, può esser soddisfatta facilmente e immagino che almeno il signor Rubin, con la sua attitudine a indovinare, abbia già dedotto i dettagli. Sono sospettato di avere commesso indiscrezioni, deliberatamente o per trascuratezza e, comunque, mi è precluso per l'avvenire qualsiasi incarico nel campo di mia competenza in modo non ufficiale ma molto effettivo».

«Vuol dire che è stato interdetto?» disse Drake.

«Questo termine» disse Long. «non si usa mai. Ma praticamente è così».

«Mi sembra di capire» disse Drake, «che non ha commesso indiscrezioni».

«Sono stato indiscreto, invece». Long scosse la testa. «Non l'ho negato. Il guaio è che ritengono che la faccenda sia peggiore di quanto io abbia ammesso».

Dopo una pausa, Avalon, con il suo tono più austero, disse: «Allora, signore, quale faccenda? Può dirci di più o deve limitarsi a quanto ha già detto?»

Long si passò una mano sul viso e spinse indietro la sedia per appoggiare la testa alla parete.

«La cosa non è affatto drammatica» disse. «Ho partecipato a quella crociera, come ha detto il signor Rubin. Avrei dovuto parlare di alcuni progetti spaziali a raggio piuttosto ampio e avevo deciso di entrare in dettagli su quanto si stava facendo in certe direzioni particolarmente affascinanti. Questi dettagli non posso comunicarveli. L'ho imparato a mie spese. Una parte del materiale su cui mi basavo era stato considerato segreto, ma mi era stato detto che potevo parlarne. E poi, il giorno prima della conferenza, ho ricevuto una comunicazione radiotelefonica che annullava tutto. L'obbligo alla segretezza non era stato tolto.

«Ero furioso. Inutile negare che ho un certo temperamento, e nessun dono per improvvisare una conferenza. Avevo scritto accuratamente il testo della conferenza e intendevo leggerlo. So che non è il miglior modo per fare un discorso, ma io non so fare di meglio. E mi trovavo senza nulla da dire a un gruppo di persone che avevano pagato profumatamente per ascoltarmi. La mia situazione era tremendamente imbarazzante».

«Cosa ha fatto?» chiese Avalon.

Long scosse la testa. «Il giorno seguente tenni una specie di seduta a base di domande e risposte, piuttosto squallida. Non andò affatto bene, fu peggio che non parlare del tutto. Nel frattempo, capite, venni a sapere di trovarmi in guai notevoli».

«In che modo?» domandò Avalon.

«Se vuole la divertente storiella» disse Long, «eccola. A tavola, come forse avrete notato, non sono quello che si dice un chiacchierone, ma quando andai a cena, dopo la chiamata radio, credo di essere stato una discreta imitazione di un cadavere con un'espressione di rabbia in viso. Gli altri cercarono di coinvolgermi nella conversazione, credo solo per evitare che avvelenassi l'atmosfera. Poi uno disse: “Bene, dottor Long, di che cosa ci parlerà domani?” Io scoppiai e dissi: “Di niente! Assolutamente di niente! Il testo della conferenza è pronto, sullo scrittoio della mia cabina, ma non serve più a nulla perché ho appena scoperto che si tratta di materiale segreto”».

«E le sue carte furono rubate?» disse Gonzalo sovreccitato.

«No. Perché rubare delle carte al giorno d'oggi? Sono state fotografate».

«Ne è sicuro?»

«Quando dopo cena sono tornato nella mia cabina, ho trovato la porta aperta e le carte spostate. Ne ho avuto la certezza, allora. Poi abbiamo avuto prove che alcune informazioni sono trapelate».

Seguì un silenzio piuttosto triste, poi Trumbull disse: «Chi può averlo fatto? Chi ha sentito quello che ha detto?»

«Tutti quelli che erano a tavola» disse Long sconfortato.

Rubin disse: «Lei ha una voce forte, dottor Long e se, come ha detto, era molto arrabbiato, avrà parlato con foga. Forse può averla sentita anche qualcuno ai tavolini vicino».

«No» disse Long scuotendo la testa. «Ho parlato a denti stretti, non ad alta voce. Inoltre non vi rendete conto di che genere di crociera fosse. La partecipazione era stata scarsa, capite, l'iniziativa era stata reclamizzata e diretta malamente. I partecipanti erano solo il quaranta per cento della capacità della nave e la compagnia di navigazione deve aver perduto un mucchio di soldi».

«Quindi» disse Avalon, «deve essere stata una triste esperienza, a parte le sue disavventure!»

«Al contrario, fino a quel punto per me era stata molto piacevole e, immagino, avrà continuato ad essere piacevole gli altri. L'equipaggio era quasi più numeroso dei passeggeri, il servizio era eccellente. Si poteva avere tutto quello che si voleva senza bisogno di accalcarsi. Ci avevano disposto in gruppi distanziati, nella sala da pranzo, e eravamo abbastanza isolati. Alla nostra tavola eravamo in sette. Numero fortunato, disse qualcuno all'inizio». L'espressione di Long, per un attimo, divenne più tetra. «Nessuna delle tavole vicine era occupata, sono sicuro che nulla di quanto dicevamo poteva esser sentito, se non alla nostra tavola».

«Quindi i sospetti sono sette» disse Gonzalo pensoso.

«Sei, perché non bisogna contare me» disse Long. «Sapevo dove fossero le carte e di cosa si trattasse. Per saperlo non era necessario che sentissi cosa dicevo io stesso».

«Anche lei è sospettato, lo ha detto lei» disse Gonzalo.

«Non per me» disse Long.

«Peccato che non ti sia rivolto a me, per questa faccenda» disse Trumbull irritato. «Mi sono preoccupato per dei mesi per il tuo atteggiamento angustiato».

«Cosa avresti fatto se te lo avessi detto?»

Trumbull rifletté. «Maledizione, ti avrei portato qui… Allora, parlaci dei sei che erano alla tua tavola. Chi erano?»

«Uno era il medico di bordo, un olandese di bell'aspetto, con una uniforme imponente».

Rubin disse: «La cosa non mi meraviglia. La nave è della American Line, non è così?»

«Sì. Gli ufficiali erano olandesi e l'equipaggio, camerieri cambusieri e così via… erano indonesiani, per la maggior parte. Tutti avevano fatto un corso accelerato di inglese, ma comunicavamo per lo più a segni. Non c'era da lamentarsi, però. Erano simpatici e lavoravano sodo… e molto efficienti in quanto il numero dei passeggeri era inferiore al previsto».

«Ha qualche motivo per sospettare del medico?» chiese Drake.

«Li ho sospettati tutti. Il medico era un uomo taciturno, lui e io eravamo quelli che parlavano meno. Gli altri cinque facevano continuamente baccano come voi a questa tavola. Lui e io ascoltavamo. Ciò che mi ha dato da pensare, nei suoi riguardi, è che fu lui a chiedermi del mio discorso. Non rientrava nel suo modo di fare, porre una domanda di carattere personale come quella».

«Forse si preoccupava di lei dal punto di vista medico» disse Halsted. «Forse cercava di tirarla su».

«Può darsi» disse Long con indifferenza. «Ricordo ogni particolare di quella cena, ci ho pensato e ripensato. Era una cena in costume, per così dire, e ognuno di noi aveva un cappellino olandese di carta e il menù era composto da piatti indonesiani speciali. Il cappello me lo ero messo ma detestavo il cibo al curry e il medico mi chiese del mio discorso proprio quando mi servirono come antipasto un piattino di agnello al curry. Stavo ribollendo di rabbia per le sciocchezze dei superiori e l'aroma del curry mi dava la nausea, così non ho saputo dominarmi. Se non fosse stato per il curry, forse…

«Comunque, dopo cena scoprii che qualcuno era entrato nella mia cabina. Il contenuto delle carte non era poi tanto importante, segreto o no, ma aveva importanza il fatto che qualcuno avesse agito tanto rapidamente. Qualcuno, sulla nave, faceva parte di una rete di spionaggio e questo era più importante del colpo in se stesso. Anche se nel mio caso il materiale non era importante, avrebbe potuto esserlo in una successiva occasione. Era necessario riferire l'accaduto e da leale cittadino, l'ho fatto».

Rubin disse: «Non è il dottore l'indiziato più logico? È lui che ha fatto la domanda cruciale, era lui l'interessato alla risposta. Gli altri potrebbero non esserlo stati. Come ufficiale aveva pratica della nave, sapeva come arrivare in fretta alla sua cabina, forse aveva pronta una doppia chiave. Ha avuto la possibilità di raggiungere la sua cabina prima di lei?»

«Sì, l'ha avuta» disse Long. «Ci ho pensato, ma il guaio è questo. Tutti quelli che erano a tavola hanno sentito la mia risposta, perché per un po' tutti parlarono del sistema della segretezza. Io tacevo ma ricordo che venne fuori l'argomento dei Documenti del Pentagono. E tutti sapevano dove fosse la mia cabina perché il giorno prima avevo dato un piccolo ricevimento per i compagni di tavola. E le serrature possono essere aperte con facilità da chiunque abbia un minimo di abilità… ma è stato uno sbaglio non richiuderla a chiave; evidentemente, chiunque sia stato aveva fretta. E si dà il caso che ciascuno della mia tavolata abbia avuto la possibilità di andare nella mia cabina durante la cena».

«Gli altri chi sono?» chiese Halsted.

«Due coppie sposate e una donna, nubile. Questa donna… chiamiamola signorina Robinson… era graziosa, piccola e rotondetta, aveva un piacevole senso dell'umorismo, ma aveva l'abitudine di fumare durante i pasti. Credo che il medico le piacesse parecchio. Sedeva tra noi due… avevamo sempre gli stessi posti».

«Quando ha avuto possibilità di andare nella sua cabina?» chiese Halsted.

«Lasciò la tavola poco dopo il mio sfogo. Ero troppo immedesimato nei miei pensieri per rendermene conto al momento ma dopo me ne sono ricordato, naturalmente. Tornò prima che finisse il trambusto a proposito della cioccolata bollente, perché ricordo che cercò di rendersi utile».

«Dove disse di essere stata?»

«Nessuno glielo chiese, allora. Gli fu chiesto in seguito e disse di essere stata nella sua cabina per andare in bagno. Forse è vero. Ma la sua cabina era abbastanza vicina alla mia».

«Qualcuno l'ha vista?»

«Nessuno avrebbe potuto vederla. Erano tutti in sala da pranzo e per gli indonesiani tutti gli americani sono uguali».

Avalon disse: «Cos'è il trambusto sulla cioccolata bollente cui ha accennato?»

«È qui che entra in scena una delle coppie» disse Long. «Chiamiamoli Smith, e chiamiamo Jones l'altra coppia. Il signor Smith era un tipo grossolano, mi ricordava, infatti…»

«Oh, Dio mio, non lo dica» disse Rubin.

«D'accordo, non lo dirò. Era uno dei conferenzieri. Per l'esattezza, lo erano sia Smith che Jones. Smith parlava in fretta, rideva spesso, dava un doppio senso a tutto e pareva che si divertisse tanto a farlo che anche noi facevamo lo stesso. Era una persona molto strana. Quel tipo di persona che non potete fare a meno di prendere subito in antipatia e giudicare stupido. Poi, conoscendolo meglio, scoprite che, dopo tutto, è simpatico e che è estremamente intelligente, sotto un'apparenza fatua. Ricordo che la prima sera il medico continuava a fissarlo come se fosse un soggetto da psicanalizzare, ma fu chiaro che nel corso della crociera Smith gli divenne simpatico.

«Jones era molto più taciturno. Da principio sembrava inorridito dagli eccessivi commenti di Smith, ma alla fine faceva a gara con lui, notai… e, mi sembra, a tutto svantaggio di Smith».

Avalon chiese: «Quale era il campo della loro attività?»

«Smith era un sociologo e Jones un biologo. Il concetto informatore era che l'esplorazione dello spazio doveva esser considerata alla luce di diverse discipline. Il concetto era buono ma rivelò seri difetti, nello svolgimento pratico. Alcuni dei discorsi, tuttavia, furono eccellenti. Ne ricordo uno sul Mariner 9 e sui nuovi dati relativi a Marte, una cosa superba, ma questo è un altro argomento.

«Fu la signora Smith la causa della confusione. Era una ragazza snella, non molto alta. Non molto graziosa, ma con una personalità straordinariamente attraente. Aveva una voce dolce ed era chiaro che pensava sempre agli altri. Credo che tutti le si affezionarono subito e lo stesso Smith sembrava molto affezionato a lei. La sera in cui non seppi tacere, lei ordinò una cioccolata calda. Fu servita in un bicchiere grande, pieno fino all'orlo e naturalmente, con eleganza poco pratica, fu portato su un vassoio.

«Smith, come al solito, parlava animatamente agitando le braccia. Quando parlava usava tutti i muscoli. La nave ondeggiò, lui ondeggiò… bene, andò a finire che la cioccolata fu rovesciata in grembo alla signora Smith.

«La signora Smith balzò in piedi e così tutti gli altri. La signorina Robinson le andò subito vicino per aiutarla, lo notai, per questo so che era già tornata. La signora Smith non volle essere aiutata e lasciò in fretta la tavola. Smith, confuso e a disagio, strappò il suo cappello olandese di carta e la seguì. Tornò dopo cinque minuti, e si mise a parlare animatamente col capo cameriere. Poi tornò al tavolo e disse che la signora Smith lo aveva mandato a rassicurare il cameriere che quanto indossava poteva esser lavato facilmente, che non aveva subito alcun danno fisico, che non era colpa di nessuno e non intendeva biasimare nessuno.

«Volle rassicurare anche noi dicendo che sua moglie stava benissimo e ci pregò di trattenerci a tavola fino al suo ritorno. Si stava cambiando d'abito e ci avrebbe raggiunti di nuovo, così tutti saremmo stati sicuri che non era successo nulla di terribile. Acconsentimmo, naturalmente; nessuno di noi aveva altri impegni».

Avalon disse: «E questo significa che avrebbe avuto il tempo di andare nella sua cabina».

Long annuì: «Sì, credo di sì. Non ne sembrerebbe il tipo ma in questo gioco forse non bisogna basarsi sulle apparenze».

«E tutti voi avete aspettato?»

«Il medico no. Si alzò e disse che andava a prendere un unguento, nel caso la signora ne avesse avuto bisogno per le scottature, ma tornò prima di lei dopo un minuto o poco più».

Avalon, battendo leggermente sul tavolo per maggior enfasi, disse: «Allora anche lui potrebbe essere andato nella sua cabina. E avrebbe potuto farlo anche la signorina Robinson quando si è allontanata prima dell'incidente della cioccolata».

«A che punto entrano in scena i Jones, secondo lei?» chiese Rubin.

«Lasciatemi continuare» rispose Long. «Quando la signora Smith tornò, disse di non avere nessuna scottatura e non ci fu bisogno dell'unguento, quindi non sappiamo se il medico fosse andato veramente a prenderlo. Avrebbe potuto essere un bluff».

«E se lei lo avesse chiesto?» disse Halsted.

«Avrebbe risposto di non aver trovato quello che cercava, ma che avrebbe fatto quanto poteva se la signora fosse andata con lui. Chi lo sa? Comunque, ci rimettemmo a sedere per un po', come se nulla fosse accaduto. La nostra tavola era l'unica ad essere ancora occupata. Poi il gruppo si sciolse, tutti se ne andarono e la signora Jones e io ci attardammo per qualche istante, restando dietro gli altri».

«La signora Jones?» chiese Drake.

«Non vi ho ancora parlato di lei. Occhi e capelli scuri, molto vivace. Aveva la passione per i formaggi piccanti, ne prendeva un pezzetto di tutti, quando venivano serviti. Aveva un modo di guardare, quando si parlava con lei, da convincervi di essere l'unica persona che vedesse. Credo che Jones, con i suoi modi tranquilli, fosse un individuo piuttosto geloso. Non l'ho mai visto a più di mezzo metro di distanza da lei, tranne una volta. Si alzò e disse che andava in cabina e la moglie disse che lo avrebbe raggiunto presto. Poi si volse verso di me e disse: “Potrebbe spiegarmi l'importanza di quelle estensioni di ghiaccio disposte a terrazza, su Marte? Volevo chiederglielo, a cena, ma non ne ho avuto l'occasione.”

«Quel giorno avevamo ascoltato la magnifica conferenza su Marte e fui piuttosto lusingato dal fatto che si rivolgesse a me e non all'astronomo che aveva parlato. Sembrava ritenesse scontato che ne sapevo quanto lui. Le parlai per un po' e lei continuava a dire: “Molto interessante”».

«E nel frattempo Jones avrebbe potuto andare nella sua cabina» disse Avalon.

«Forse. A questo ho pensato dopo. È stato certo qualcosa di insolito da parte di entrambi».

Intervenne di nuovo Avalon. «Ricapitoliamo, allora. Le possibilità sono quattro. Può esser stata la signorina Robinson, quando ha lasciato la tavola prima dell'incidente della cioccolata bollente. Gli Smith possono averlo fatto lavorando in coppia: il signor Smith fa rovesciare deliberatamente la cioccolata, in modo che la signora Smith possa fare il suo sporco lavoretto. Oppure può esser stato il medico, quando è andato in cerca dell'unguento. Oppure possono essere stati i Jones, anche loro in coppia: Jones fa il colpo mentre la signora Jones trattiene il dottor Long».

Long annuì. «Abbiamo pensato a queste possibilità e quando la nave arrivò a New York gli agenti del controspionaggio avevano già iniziato a controllare il passato e l'ambiente dei sei. Vedete, in casi del genere è indispensabile avere dei sospetti. L'unico modo per non essere scoperto, per qualsiasi agente segreto, è rimanere insospettato. Una volta che l'occhio del controspionaggio lo ha inquadrato, è inevitabile che venga smascherato. Nessuna copertura resiste a un'indagine accurata».

«E allora chi è risultato colpevole?» chiese Drake.

Long sospirò. «I guai sono cominciati appunto qui. Nessuno di loro è risultato colpevole. Erano tutti assolutamente senza macchia. Mi rendo conto che è impossibile sostenere che uno qualsiasi di loro sia diverso da quello che sembra».

«Perché dice che si “rende conto”?» chiese Rubin. «Non ha partecipato all'indagine?»

«Sì, ma dalla parte opposta, per così dire. Più quei sei risultano innocenti, più sembro colpevole io. Ho detto agli investigatori… ho dovuto dirlo… che quei sei sono gli unici che hanno potuto farlo, e se non è stato nessuno di loro devono sospettare che io abbia imbastito una storia per nascondere qualcosa di peggio».

«Oh, al diavolo, Waldemar» disse Trumbull, «non possono pensare una cosa simile. Cosa ci avresti guadagnato a denunciare l'incidente se il responsabile fossi tu?»

«È appunto questo che non sanno» disse Long. «Ma l'informazione è trapelata e, se non possono incolpare uno dei sei, incolperanno me. E più i miei eventuali moventi sono un mistero per loro, più li ritengono gravi. Quindi mi trovo nei guai».

«È sicuro che quei sei siano davvero gli unici individui sospettabili?» disse Rubin. «È sicuro di non aver fatto parola delle carte segrete a nessun altro?»

«Assolutamente sicuro» disse Long asciutto.

«Potrebbe non ricordare di averlo fatto» riprese Rubin. «Potrebbe averlo fatto in modo del tutto casuale. Può essere sicuro di non averlo fatto?»

«Sono sicuro di non averlo fatto. La chiamata via radio è avvenuta poco prima di cena. Non ho avuto assolutamente tempo di parlarne a qualcuno prima di cena. E quando ho lasciato la tavola, sono tornato in cabina senza aver detto nulla a nessuno. Assolutamente nulla».

«Chi ha ascoltato la sua telefonata? Può esserci stato un intruso in ascolto, un'intercettazione».

«Naturalmente, intorno c'erano degli ufficiali della nave. Però il mio capo ha parlato in linguaggio figurato. Io capivo cosa volesse dire, ma nessun altro avrebbe potuto capire».

«Ha usato anche lei un linguaggio figurato?» chiese Halsted.

«Vi riferisco esattamente cosa ho detto. “Pronto, Dave” ho detto, e il capo mi ha parlato in linguaggio figurato. Poi io ho detto: “Maledizione, all'inferno,” e ho riattaccato. Ho pronunciato quelle cinque parole, non una di più».

Gonzalo batté le mani, in un improvviso entusiastico applauso. «Ascoltate, ho pensato! Perché la cosa dovrebbe essersi svolta come avete detto? Può esser successa in un altro modo. Dopo tutto, tutti sapevano della crociera, sapevano che qualcuno della NASA avrebbe fatto discorsi ed avrebbe quindi potuto esserci qualcosa di interessante. Qualcuno… può trattarsi di chiunque… ha perquisito diverse cabine durante l'ora di cena, tutti i giorni, e finalmente è capitato sulle sue carte…»

«No» disse Long brusco. «È oltre i limiti del plausibile supporre che qualcuno trovi per caso le mie carte proprio una o due ore dopo il mio annuncio che il testo di una conferenza segreta era sul mio scrittoio. Inoltre, per un non esperto, nelle mie carte non c'era nulla che ne rivelasse l'importanza. È stata solo la mia osservazione che ha indicato ai presenti dove fossero e che importanza avessero le carte».

«Supponiamo che uno dei presenti a tavola abbia dato questa indicazione, senza volerlo» disse Avalon. «Quando si è allontanato dalla tavola potrebbe aver detto a qualcuno “Hai sentito del povero dottor Long? Gli hanno strappato la conferenza dalle mani!” E questo qualcuno, chiunque sia, potrebbe aver fatto il colpo».

Long scosse la testa. «Vorrei che fosse così, ma non è possibile. La cosa funzionerebbe solo se questo particolare individuo fosse innocente e, se gli Smith sono innocenti, quando hanno lasciato la tavola non avrebbero pensato ad altro che alla cioccolata bollente e non si sarebbero fermati per chiacchierare. Il medico avrebbe pensato solo a trovare l'unguento. E quando Jones ha lasciato la tavola non avrebbe più ricordato la cosa, sempre supponendo che fosse innocente. Avrebbe parlato anche lui della cioccolata, se avesse parlato di qualcosa».

Rubin disse a un tratto, alzando la voce: «D'accordo. E la signorina Robinson? Si è allontanata dalla tavola prima dell'incidente della cioccolata. L'unica cosa interessante cui potesse pensare era il suo dilemma, dottor Long. Può averne parlato con qualcuno».

«Davvero?» disse Long. «Se è innocente, ha fatto veramente ciò che ha detto: è andata nel bagno della sua cabina. Se ha dovuto lasciare la tavola per questo motivo, doveva avere una urgenza e in circostanze del genere nessuno si ferma per delle chiacchiere inutili».

Attorno alla tavola regnò il silenzio.

Long disse: «Continueranno certamente ad investigare e alla fine la verità verrà a galla, sarà chiaro che sono colpevole di una disgraziata indiscrezione. Intanto, però, la mia carriera sarà rovinata».

«Dottor Long» disse una voce cortese, «posso farle una domanda?»

Long alzò lo sguardo, sorpreso. «Una domanda?»

«Sono Henry, signore. Questi signori del Club dei Vedovi Neri mi consentono talvolta, di partecipare…»

«Diavolo, Henry, certo» disse Trumbull. «Ha notato qualcosa che ci è sfuggito?»

«Non ne sono sicuro» disse Henry. «A quanto pare il dottor Long ritiene che solo gli altri sei commensali possano essere implicati e chi sta investigando è dello stesso parere, apparentemente…»

«Non possono non esserlo» disse Long.

«Benissimo» disse Henry. «Mi domando se il dottor Long abbia detto agli investigatori cosa pensa del curry».

«Vuol dire se ho riferito agli investigatori che non mi piace il curry?»

«Sì» disse Henry. «Ne ha parlato?»

Long allargò le braccia e scosse la testa. «No, non credo di averlo fatto. E perché avrei dovuto? La cosa è irrilevante. Sarebbe stata solo un'occasione in più per dire una stupidaggine. I.'ho detto a voi, qui, in cerca di simpatia, forse, ma per gli investigatori non avrebbe avuto alcun peso».

Henry rimase in silenzio per un attimo e Trumbull disse: «Vede una qualche importanza nel curry, Henry?»

«Forse sì, signore» disse Henry. «Penso che ci troviamo in una situazione simile a quella descritta dal signor Halsted, a proposito dei limerick. Certi limerick, perché siano efficaci, devono essere visti; il suono non basta. E alcune scene, per essere chiare devono esser viste».

«Non capisco» disse Long.

«Bene, dottor Long» riprese Henry. «Lei è al ristorante della nave, a tavola con altre sei persone e solo quelle sei persone la sentono. Ma se potessimo vedere la scena invece di sentire la sua descrizione, potremmo vedere chiaramente qualcosa che le sia sfuggito?»

«No, non potreste» disse Long con ostinazione.

«Ne è sicuro?» chiese Henry. «Lei qui è seduto a tavola con altre sei persone, esattamente come sulla nave. Quante persone sentono la sua storia?»

«Sei…» cominciò Long.

A questo punto intervenne Gonzalo: «Sette, contando lei, Henry!»

«Non c'era nessuno che serviva a tavola, dottor Long?» riprese Henry. «Ha detto che il medico le ha domandato qualcosa a proposito del suo discorso proprio mentre le servivano l'agnello al curry e ha detto anche che è stato proprio il disgusto per l'odore del curry che l'ha fatta esplodere nella sua indiscrezione. L'agnello al curry non è venuto davanti a lei da solo. Quando si è sfogato alla sua tavola, vi erano sei persone sedute e una settima persona era in piedi dietro di lei, fuori vista».

«Il cameriere» disse Long in un sussurro.

Henry disse: «In genere si tende a non far caso a un cameriere; a meno che non dia fastidio. Un cameriere efficiente è invisibile, e lei ha ricordato l'eccellenza del servizio. Non potrebbe esser stato il cameriere a organizzare con cura il rovesciamento della cioccolata bollente, per creare una diversione o forse ha approfittato della diversione, se è stato un incidente fortuito? Con molti camerieri e pochi ospiti, una sua momentanea sparizione può esser passata inosservata. Conosceva l'ubicazione della sua cabina quanto il medico, e poteva avere facilmente una specie di grimaldello».

Long disse: «Ma era un indonesiano, non sapeva parlare l'inglese».

«Ne è sicuro? Aveva fatto un corso accelerato di tre mesi, e potrebbe conoscere l'inglese meglio di quanto voglia far credere. Lei è pronto a pensare che la signora Smith non sia, in realtà, così dolce e premurosa come sembra, che la vivacità della signora Jones sia una finzione, come la rispettabilità del medico, l'animazione di Smith, la devozione di Jones e la necessità della signorina Robinson di andare in bagno. Non potrebbe essere una finzione anche l'ignoranza della lingua da parte del cameriere?»

«Per Giove» disse Long dando un'occhiata all'orologio, «se non fosse così tardi chiamerei subito Washington».

Trumbull disse: «Se hai qualche numero privato, di casa, telefona adesso. Si tratta della tua carriera. Devi dire che facciano un'indagine sul cameriere e, per amor del cielo, non dire che l'idea l'hai avuta da un altro».

«Cioè devo dire che mi è venuto in mente adesso? Mi chiederanno come mai non ci ho pensato prima».

«E tu gli chiedi perché non ci hanno pensato loro. Perché non hanno pensato che un tavolo di un ristorante comporta un cameriere?»

Henry, con voce soave, disse: «Non vi è motivo per pensarlo. Solo pochi si interessano dei camerieri quanto me».


(Titolo originale: Out of Sight)

 

Questo racconto è apparso nel numero di dicembre 1973 dell'Ellery Queen's Mystery Magazine, con il titolo I Sei Sospetti. Ancora una volta preferisco il mio titolo.

L'ispirazione per questo racconto mi è venuta mentre ero in crociera, una crociera del genere di quella ora descritta. Alcuni fatti sono perfino accaduti ma, mi affretto a dirlo, a bordo non vi era alcun segreto scientifico e nessun mistero, per quanto ne sappia.

Un'ultima parola. A giudicare dalla passata esperienza, riceverò un'infinità di lettere con la domanda se intendo scrivere altri racconti dei Vedovi Neri. Lasciatemi rispondere con un fermo e definitivo «sì». Questo, forse, eviterà le lettere.

Infatti, mentre scrivo queste righe, ho completato e venduto altri sei Vedovi Neri, cinque all'Ellery Queen's Mystery Magazine e uno al Magazine of Fantasy and Science Fiction. Vedete quindi che è possibilissimo che vi si chieda di leggere qualcosa con il titolo Altri Racconti dei Vedovi Neri.

E lo spero, perché scrivere questi racconti è divertente… e grazie a tutti per averli letti.


FINE