Quel mercoledì mattina in cui le due donne erano attese all'ospedale di Pieve, padre Thomas si era svegliato prima del suo assistente, si era preparato nel bagno e stava terminando di scrivere le sue impressioni preliminari sul caso, quando Andreas aprì gli occhi stupito dalla forte luce che entrava dalla finestra.
«Che ore sono?» domandò sedendosi sul bordo del letto, ancora stranito dall'avere indugiato in un sonno così profondo.
«Quasi le dieci» disse il gesuita guardando distrattamente l'orologio.
«Non ho mai dormito così a lungo neanche a casa» disse il ragazzo.
«Si vede che ne avevi bisogno» gli rispose Thomas continuando a scrivere.
«Mi preparo in un attimo, mi dispiace per la colazione.»
«Mi sono arrangiato con i biscotti e l'acqua di ieri, come vedi avevo da fare.»
«Ha già sentito il vescovo?»
«Non credo sia saggio telefonargli stando in questo edificio, i muri sono sottili e si sente tutto, se uno parla appena più forte. Lo farò più tardi da fuori, ma tu devi ancora fare quella ricerca che ti ho chiesto sul francescano.»
«Tra dieci minuti sarò operativo, mi dia il tempo di fare una doccia veloce» disse il giovane entrando di corsa dentro al bagno. Aveva sempre con sé sia un cellulare che un portatile dotato di una chiavetta che serviva a connetterlo ad internet, ovunque si trovasse. Era molto utile per recuperare indirizzi e numeri di telefono, visto che molti ordini religiosi si erano dotati di pagine internet di accoglienza.
Quando Andreas uscì dal bagno, il gesuita aveva già riposto tutte le carte e stava sbirciando fuori dalla finestra. Da quel punto si poteva vedere tutta la vallata ed era uno spettacolo meraviglioso.
«Nessuna novità dai vicini?» domandò il ragazzo pensando che forse il religioso stesse osservando qualcuno che si trovava nello spiazzo davanti alla foresteria.
«Li ho sentiti uscire verso le nove, parlavano tra loro di non so cosa, saranno andati in paese, qui fuori comunque non c'è nessuno.»
«Il vecchio Tobia sarà uscito pure lui?»
«Potrebbe essere ancora in stanza, ma non possiamo saperlo per certo visto che, come ti sarai accorto, ora non canta.»
«Crede che al monastero abbiano riaperto la cappella?»
«Se hanno trovato tre baldi volontari tra i monaci da fare entrare per verificarne le reazioni, allora forse può darsi che l'abbiano fatto. Lo sapremo più tardi, ma penso che l'abate voglia ricominciare ad usarla al più presto, ci passano molto tempo in preghiera e per loro è difficile starne lontano.»
«Non possono utilizzare la chiesa qui a fianco?» domandò Andreas.
«Di solito ci vanno di domenica quando arrivano gli altri fedeli per la messa, oppure in occasioni particolari, ma è molto più grande della cappella, quindi meno intima. Adesso basta con le domande e mettiti al lavoro, ti ho lasciato qualche biscotto e una bottiglietta d'acqua. Vado giù a telefonare, mi raccomando di non aprire la porta a nessuno, te l'ho già detto, ma preferisco ripetermi, non devi avere alcun contatto con Tobia, potrebbe essere pericoloso.»
«Si è spiegato perfettamente» disse il giovane che aveva recepito la preoccupazione del suo superiore. Subito dopo accese il portatile per recuperare le informazioni sulla sede centrale dei francescani e, una volta trovato il numero, telefonò presentandosi come il segretario personale di padre Thomas, perché all'interno della Chiesa quasi tutti sapevano chi fosse il gesuita. Si sussurrava da tempo che fosse amico personale del nuovo Papa, eletto da poco al soglio pontificio dopo la rinuncia di Benedetto, diventando così il primo Santo Padre proveniente dall'ordine gesuita, il cui superiore generale veniva comunemente chiamato Papa Nero a causa dell'influenza che aveva nel clero.
La chiamata fu rimpallata tra diversi interlocutori fino a quando Andreas fu messo in comunicazione con un vecchio francescano che però gli disse che avrebbe parlato al telefono solo con padre Thomas, di cui poteva riconoscere la voce avendo ascoltato alcune sue lezioni all'università pontificia. Per questo motivo Andreas fu costretto a scendere in tutta fretta le scale e, trovato il gesuita, gli passò il suo cellulare.
«Cosa devo farci?» gli chiese il religioso stupito.
«C'è in linea un francescano che dice di volere parlare solo con lei.»
«Pronto, con chi parlo?» chiese Thomas avvicinando il telefono all'orecchio.
«Riconoscerei quell'inflessione tedesca nella voce ovunque. Buongiorno padre Thomas, sono fratello Egidio, immagino che lei non si ricordi di me, ma ho seguito un suo corso qualche anno fa come uditore.»
«Ma certo che mi ricordo!» esclamò invece Thomas. «Non è tanto comune essere seguiti nelle lezioni da un frate, inoltre non ho più incontrato nessun allievo con una cultura pari alla sua» aggiunge il gesuita che ricordava perfettamente il piccolo frate che, durante l'anno in cui aveva frequentato, arrivava in aula sempre prima degli altri e appena lui cominciava a parlare apriva diligentemente il suo quaderno per prendere appunti.
«Lei mi lusinga, ma sono solo un umile servitore del Signore.»
«Senza alcun dubbio» disse l'altro che conosceva la stretta regola dei francescani la quale predicava come prima cosa l'umiltà.
«Adesso veniamo a quello che mi ha detto il suo assistente, a quanto ho capito mi sembra che abbiate un grosso problema.»
«Non so esattamente cosa le abbia riferito Andreas perché mi ero allontanato per fare una telefonata urgente, ma vorremmo sapere se lei conosce un francescano il cui nome è Tobia. Dovrebbe avere lasciato l'ordine quarant'anni fa dopo avere avuto delle vicissitudini per così dire particolari.»
«Il suo assistente si era già spiegato perfettamente ed è a questo che mi stavo riferendo quando le ho detto che avete un grosso problema tra le mani, perché Tobia non si muove mai senza motivo» rispose il frate.
«Potrebbe essere più chiaro?» domandò il gesuita sedendosi su di una panchina di pietra posta vicino al muro esterno della foresteria da cui si dominava con lo sguardo tutta la valle.
«Ne parlo solo perché di lei ho la massima fiducia, ma la prego non faccia mai il mio nome se ripeterà questa storia.»
«Può starne certo, ha la mia parola.»
«Inizio dicendole che le notizie in suo possesso non sono corrette. Potrei sapere chi gliele ha fornite?»
«Mi trovo nel monastero benedettino di Rocca del Pianto per un motivo che al momento non posso spiegarle e alloggio nella foresteria dove è ospite anche Tobia, me le ha date lui quando gli ho parlato brevemente.»
«Quindi gli ha parlato di persona. Deve fare molta attenzione a quell'uomo perché è estremamente pericoloso, ma credo che se ne sia già accorto, se si sta informando sul suo conto e sono a conoscenza del fatto che ha già trattato casi simili in passato.»
«Infatti, ma vada pure avanti» disse il gesuita.
«Partiamo dall'inizio» cominciò frate Egidio. «L'allontanamento di Tobia, che allora si chiamava frate Antonio, da un convento marchigiano di cui taccio il nome non è avvenuto quarant'anni fa, ma a quanto ricordo a metà degli anni novanta. Fu causato da un fatto molto grave e chiunque dentro all'ordine ne venne a conoscenza proprio per la drammaticità degli avvenimenti occorsi. Facendola breve, dopo una vita trascorsa quasi interamente in convento, dove aveva passato la grande maggioranza del suo tempo in preghiera e meditazione, divenendo un esempio per gli altri fratelli, all'improvviso Antonio fu colto da una forte depressione e cominciò a non volere più mangiare, a dormire male di notte, insomma in poco tempo divenne l'ombra di quello che era stato.»
«Gli altri fratelli provarono ad aiutarlo?»
«Consideri che io non vivevo nello stesso convento e le riferisco solo cose ascoltate da altri, ma mi dissero che fu subito chiamato un medico e il priore si prodigò in ogni modo per cercare di aiutare quel poveretto che pareva spegnersi di ora in ora sotto ai loro occhi.»
«Può dirmi se frate Antonio avesse l'abitudine di cantare?» domandò all'improvviso Thomas.
«Come fa a saperlo?» chiese frate Egidio sbalordito da quella domanda che non si aspettava.
«Il nostro Tobia canta spesso delle lodi alla Madonna.»
«Dunque in parte è ancora presente» rispose l'altro con voce commossa. «Si, cantava in un coro che eseguiva in massima parte canti gregoriani, lo ascoltai in più occasioni e non ho mai più sentito una voce più pura, così vicina al Signore da ispirare la preghiera di noi tutti. Pare che durante le lunghe notti in cui non riusciva a dormire, già preda del male che lo stava consumando, cantasse fino all'alba per poi cadere in un sonno innaturale da cui non riuscivano a svegliarlo in nessun modo.»
«Quando si accorsero che il problema non era solo fisico?»
«Troppo tardi, quando il male era ormai dilagato nel suo spirito. Lo scoprirono nel modo peggiore, sentendolo dialogare con il maligno in una lingua sconosciuta, probabilmente aramaico. Successe un pomeriggio, il fratello che se ne accorse era entrato nella sua cella per controllare come stesse e fu aggredito selvaggiamente da Antonio che quasi gli strappò un braccio dal tronco quando si rese conto che aveva scoperto la sua possessione. Con uno sforzo estremo l'altro riuscì a liberarsi e a dare l'allarme, prima di cadere a terra per le ferite. Antonio era scappato e solo dopo una ricerca condotta in tutto il convento lo ritrovarono nascosto sulla torre del campanile. L'infelice minacciava di gettarsi, forse rendendosi conto di quello che gli stava succedendo, però alla fine riuscirono a riportarlo nella sua cella e da allora non fu più lasciato solo, dovettero anche legarlo perché non si facesse del male e fu chiamato un esorcista.»
«Ne ricorda il nome?»
Il frate all'altro capo del telefono parve riflettere un istante e poi disse: « purtroppo non mi sovviene, sono passati tanti anni, ma me lo descrissero come avanti con gli anni e credo di origini francesi.»
«Doveva trattarsi di padre Sebastien» disse allora il gesuita che in passato aveva incontrato il prelato in questione in più di un frangente, apprendendo solo da qualche anno della sua morte avvenuta per un aneurisma.
«Chiunque fosse, tornò varie volte al convento per scacciare il maligno dal corpo di Antonio e parve esservi riuscito, perché in neanche un mese il nostro fratello si rimise del tutto. Riprese a parlare in modo normale ed era tornato quello di prima, l'unica cosa strana era che aveva smesso di cantare, ma nessuno prestò la giusta attenzione a questo particolare. Fu quando ormai tutti consideravano la guarigione avvenuta completamente che avvenne il vero disastro, una notte i frati furono svegliati da urla terribili proveniente dalla cella di Antonio: come se si trattasse di un alterco tra due persone che si urlavano a vicenda gli improperi peggiori, ma quando riuscirono ad entrare nella piccola cella videro solo Antonio che evidentemente stava lottando contro il demonio che non lo aveva mai abbandonato e si era solo celato alla vista. Teneva in mano un rasoio, di quelli affilati da barbiere, e dopo avere chiesto perdono al Signore si tagliò con quello il collo da un'estremità all'altra.»
«Come fece a sopravvivere?» chiese Thomas.
«Fu portato subito in ospedale anche se i suoi fratelli ormai lo davano per spacciato, avendo visto il danno che si era procurato, ma in qualche modo riuscì a cavarsela. All'epoca i medici dissero che dipendeva da una malformazione congenita della carotide che gli aveva impedito di dissanguarsi completamente, ma tutti noi pensammo che fosse perché il demonio non voleva lasciare il suo corpo. Infatti quando guarì completamente, qualche mese dopo, abbandonò l'ospedale senza darne notizia a nessuno, semplicemente prese dall'armadio i vestiti del suo vicino di letto e si dileguò in un momento in cui nessuno del personale faceva attenzione al corridoio. Solo parecchio più tardi venimmo a conoscenza, grazie ad un confratello che l'aveva riconosciuto, del fatto che aveva preso a farsi chiamare Tobia e che ora viaggiava per tutta Italia, senza mai fermarsi e prediligendo soggiornare durante le sue brevi soste in luoghi religiosi.»
«Secondo lei per quale motivo?» domandò il gesuita che ora intuiva perché il frate gli avesse detto che avevano un grosso problema.
«La mia è solo una supposizione, ma dal poco che siamo venuti a sapere in questi anni pare che vada sempre dove è avvenuta qualche disgrazia, come se vi fosse attratto irresistibilmente.»
«Si seppe mai cosa causò la possessione? A quanto mi ha detto fratello Antonio aveva una fede profonda.»
«Ce lo chiedemmo tutti a lungo, ma non riuscimmo a darci una risposta. I fratelli che vivevano con lui continuavano a ripetere che aveva sempre tenuto una condotta irreprensibile e non capivano quale strada avesse potuto trovare il male.»
«Non vi furono altri casi nel convento?»
«Nessuno.»
«Capisco» disse il gesuita. «Mi è stato davvero di grande aiuto.»
«Pensa di potere fare qualcosa per Antonio? Se riesce ancora a cantare forse rimane una speranza.»
«Da quello che mi ha riferito, il maligno si è impossessato della sua anima in maniera così salda che nemmeno un esorcismo ripetuto è riuscito a sradicarlo, temo quindi che non ci sia più molto da fare.»
«Ha ragione, forse l'abbiamo davvero perduto» replicò il frate sospirando. «Allora la saluto e le auguro ogni bene.»
«Se riesce mi venga a trovare all'università, ricevo di martedì mattina e mi farebbe piacere rivederla.»
«Senz'altro» disse il francescano e chiuse la comunicazione.
Immediatamente dopo, Thomas fece segno al suo giovane assistente, che fino ad allora si era tenuto in disparte, di avvicinarsi e gli raccontò a grandi linee quello che aveva saputo.
«Crede davvero che non si possa più fare niente per il vecchio Tobia?» gli domandò Andreas quando l'altro ebbe finito la sua esposizione.
«Non ho detto questo, ma forse non è ancora venuto il momento» disse il gesuita sovrappensiero.
«Come può essere? Ormai soffre da quasi vent'anni.»
«Non dobbiamo mai mettere in dubbio l'amore che Nostro Signore nutre per il suo gregge» gli rispose Thomas con un tono di voce che non ammetteva replica. «Adesso andiamo, sono quasi le undici e sento il desiderio di visitare la chiesa, siamo qui da due giorni e non vi siamo ancora entrati.»
«È riuscito a parlare con il vescovo o l'ho interrotta?» domandò Andreas mentre già si stavano avviando.
«Per fortuna avevo appena terminato la telefonata. Mi è parso sorpreso dalla direzione in cui mi ha portato questa ricerca, ma ha detto che si informerà subito presso la sede benedettina di Parma, dove per fortuna ha ottimi amici. Se scopre qualcosa su fratello Guglielmo mi richiamerà subito» disse Thomas controllando di avere inserito la vibrazione nel telefono perché non voleva squillasse quando fossero stati dentro alla casa del Signore.
Passando lungo l'orto videro Bartolomeo che, chinato a terra dopo avere finito di effettuare il raccolto, stava estirpando con le mani delle erbacce per preparare il terreno alla semina, aiutato in questo compito da fratello Isaia il quale, tutto rosso in volto, mostrava i segni della fatica a cui non era abituato. Più in là un paio di monaci stavano controllando la salute degli alberi da frutto che nel giro di qualche settimana avrebbero cominciato a mostrare i primi minuscoli abbozzi di mele e pere che si sarebbero potute raccogliere in estate, mentre accanto al roseto una famiglia con bambini al seguito faceva delle foto alle rose più belle cercando di scacciare le api che, attratte dal polline fresco, gironzolavano intorno alle piante.
Stavano per allontanarsi quando Bartolomeo, sollevando lo sguardo proprio in quel momento, si accorse della loro presenza e li chiamò ad alta voce.
«Buongiorno» disse padre Thomas non appena si furono avvicinati ai due confratelli.
Il monaco infermiere si era levato in piedi e ora si stava ripulendo le mani sporche di terriccio con un panno che teneva sempre in tasca per questo scopo, mentre fratello Isaia, non più stimolato dall'altro, ne approfittò per sedersi a terra, respirando con la bocca aperta.
«Volevo sapere oggi come si sente» disse Bartolomeo.
«Molto meglio, la ringrazio dell'interessamento, ma è sicuro che il suo confratello stia bene?» gli domandò il gesuita preoccupato per le condizioni di Isaia.
«Ecco bravo, glielo chieda. Il nostro fratello infermiere ritiene che un po' di esercizio non mi possa fare male, ma io non ne sono poi così sicuro» disse Isaia quasi senza voce.
«Non si preoccupi, il cuore di fratello Isaia è forte, i sintomi che sente sono solo per il poco esercizio a cui è abituato» e aggiunse più piano, affinché potesse sentirlo solo il gesuita: «è la punizione che gli ha inflitto l'abate Bernardo per avere chiacchierato più del dovuto, a mio parere troppo lieve, ma non sta a me giudicare.»
«Vedo che avete fatto un buon raccolto, mi sembra ci siano parecchi chili di carote, asparagi e dell'ottima insalata. Li consumate tutti al monastero?» disse Thomas osservando il contenuto di due grossi panieri.
«Di solito si, ma se il raccolto è particolarmente abbondante a volte vendiamo qualcosa al mercato di Pieve.»
«Come vi portate la merce?» domandò il religioso che sapeva che nessuno poteva usare mezzi motorizzati lungo le strette stradine del paese sottostante.
«Abbiamo una piccola ape car, un furgoncino a tre ruote che ci serve per spostarci, è talmente minuscolo che passa ovunque, pensi che quando l'anno scorso l'abate si è rotto il femore l'abbiamo portato all'ospedale di Pieve in quel modo e fortuna che era estate perché abbiamo dovuto adagiarlo dietro dove è tutto aperto.»
«Che velocità raggiunge?»
«Non più dei sessanta all'ora, ma è comodo soprattutto quando facciamo la spesa mensile, oppure se dobbiamo comprare del terriccio che pesa.»
«Infatti mi chiedevo come faceste a vivere così isolati, soprattutto in caso di un'emergenza» disse Thomas osservando di nuovo gli ortaggi che costituivano parte integrante della mensa dei monaci.
«Ha visto come sono belli gli asparagi?» esclamò dopo un istante Isaia che era appena riuscito a rialzarsi da terra con l'aiuto di Andreas. «Guardi come sono venuti su grossi, sono ottimi gratinati ricoperti di burro fuso e formaggio grattugiato.»
«Tu pensi troppo al cibo» lo redarguì Bartolomeo «però è vero che quest'anno sono più grandi.»
«Cosa state seminando ora?»
«È la stagione adatta per pomodori, zucchine e cavoli, senza dimenticare le patate che qui in montagna le piantiamo tra fine aprile e maggio» rispose Bartolomeo fiero di come quel piccolo orto rispondesse ogni anno alle sue cure amorevoli.
«Mi chiedo cosa coltiviate dall'altra parte» disse il gesuita alludendo ad una zona dell'orto grande poco meno della metà della superficie complessiva di tutto il terreno e marcata da una rete metallica alta una quarantina di centimetri.
«Quello è l'orto dei semplici dove si trovano parecchie specie di piante medicinali» gli rispose Isaia «pertinenza assoluta del nostro caro fratello che non vuole nemmeno che ci avviciniamo.»
«Tu come al solito parli troppo, comunque le ha dato la risposta corretta, si tratta della nostra rivisitazione dell'antico herbarium medievale. È una tradizione che risale ai secoli cosiddetti bui e che i monaci di questa abbazia hanno sempre tenuta viva dalla sua fondazione.»
«Che specie di erbe coltivate?» chiese Thomas incuriosito.
«Venga pure a vedere. Le piante qui davanti sono di salvia, genziana e menta, più dietro si intravedono l'arnica e la valeriana, come può osservare non hanno tutte lo stesso periodo di fioritura.»
«Vedo che coltivate anche un'altra pianta, quella là dietro con i fiori violacei a campanula. Come si chiama?»
«Quella poi la tratta come una figlia, anche se io la brucerei subito da tanto è velenosa» disse Isaia che si era piazzato vicino a Thomas nonostante Bartolomeo gli avesse fatto cenno più volte di andarsene.
«Perdoni la sua ignoranza» disse l'altro monaco sbuffando. «Si tratta della digitale purpurea, è una pianta officinale non velenosa, al massimo può essere tossica in caso di sovradosaggio. In passato è stata utilizzata spesso come cardiotonico nelle insufficienze cardiache, ma a causa della difficoltà nel dosarla correttamente e i rischi connessi ad una possibile intossicazione non viene quasi più usata per questo scopo. Io la coltivo da qualche anno solo per la sua bellezza, anche se ovviamente non vi faccio mai avvicinare nessuno.»
«Le altre piante invece come le utilizzate?»
«Con le foglie di genziana e di menta messe in infusione prepariamo delle ottime tisane utili a facilitare la digestione, la tisana di valeriana invece favorisce il giusto riposo, mentre quella di salvia è rigenerante. Le foglie di salvia e di menta inoltre si usano anche in cucina mentre l'arnica è l'unica a cui bisogna fare davvero attenzione perché è velenosa se viene ingerita. Io la utilizzo unicamente nella preparazione di una pomata per uso esterno con cui curiamo piccoli traumi o reumatismi.»
«Le sue tisane sono davvero buone» disse fratello Isaia.
«Finalmente non hai parlato a vanvera» gli rispose il confratello con l'accenno di un sorriso. «Se ve la sentite di assaggiarle posso prepararvene due per questa sera e farvele portare in foresteria, però mi raccomando vanno bevute belle calde.»
«Ci farebbe molto piacere» gli rispose Thomas.
«Avete delle preferenze?»
«Io ne gradirei una rigenerante» disse Andreas.
«Per me invece andrà benissimo una qualunque» disse il suo superiore guardando l'orologio. «Adesso dobbiamo lasciarvi, ma ci rivediamo dopo a pranzo, quando saremo vostri ospiti. Avrei solo un'ultima curiosità, la cappella è stata riaperta?»
«Sicuro» gli rispose Isaia tutto allegro. «Questa mattina presto l'abate Bernardo, il nostro priore Domenico e Leopoldo, l'unico che si è offerto, vi sono entrati dentro tutti tremanti e non essendo successo niente poco più tardi li abbiamo seguiti anche noi altri.»
«Come al solito fratello Isaia tralascia di dire che molti di noi si sarebbero offerti, ma quando si è fatto avanti Leopoldo il nostro abate ha ritenuto che fosse sufficiente.»
«L'importante è il risultato» gli rispose il gesuita che stava per andarsene quando sentì il cellulare vibrargli nella tasca dei pantaloni per una chiamata in arrivo. Osservando sul display poté vedere che si trattava del vescovo, per questo disse: «è sua Eccellenza, devo rispondere subito, ci vediamo più tardi» e si allontanò in direzione della chiesa facendo cenno ad Andreas di seguirlo.
«L'ha chiamato il vescovo?» chiese curioso Isaia.
«Sono amici di vecchia data» disse l'altro rimanendo vago.
«Sua Eccellenza si informa forse per il pianto della Madonna?» domandò allora Bartolomeo che sapeva, come tutti gli altri monaci, che il loro abate aveva contattato giorni prima, proprio a causa di quel presunto miracolo del pianto, il vescovo che aveva mandato i due religiosi ad indagare.
«Non solo per quello, gli abbiamo chiesto di informarsi sulla sorte del vostro confratello Guglielmo di cui non avete più notizie da circa un anno.»
«Guglielmo? Sapete qualcosa di Guglielmo?» gli domandò allora fratello Isaia. «Ci è tanto dispiaciuto per come ci ha lasciati, ma non ci è stato permesso di chiedere..» disse troncando improvvisamente la frase sotto lo sguardo severo del suo confratello.
«Guglielmo ha fatto la sua scelta e non è più un nostro fratello» disse Bartolomeo seccato e subito dopo raccolse una delle due ceste del raccolto avviandosi verso il monastero.
«Lo perdoni, ma l'ha considerato una specie di tradimento» disse Isaia raccogliendo l'altra cesta e avviandosi di corsa dietro di lui.
Ad Andreas non restò altro da fare che percorrere il sentiero dietro di loro e, uscito dal chiostro dall'altra parte, trovò padre Thomas che lo stava aspettando davanti alla chiesa, avendo appena terminato la conversazione con il vescovo.
«Ho paura di avere fatto una sciocchezza» gli confidò subito.
«Di cosa si tratta?»
«I due monaci mi hanno chiesto del vescovo e sotto le loro domande ho rivelato che gli abbiamo chiesto di interessarsi per la sorte di fratello Guglielmo.»
«Quale è stata la loro reazione?»
«Fratello Isaia mi è parso sinceramente preoccupato per Guglielmo e da quello che si è lasciato scappare sembra che anche gli altri monaci non si siano capacitati della sua improvvisa partenza, ma ha aggiunto che non hanno potuto chiedere spiegazioni.»
«Interessante, in questo caso la sua propensione a parlare ci è tornata utile. E fratello Bartolomeo?»
«Lui non ha voluto dire niente e mi è sembrato molto infastidito.»
«Capisco» disse Thomas massaggiandosi la mascella, tic che gli usciva a volte quando era particolarmente nervoso.
«Il vescovo le ha fornito qualche notizia?»
«Mi ha detto che ha parlato con il confessore di Guglielmo, un monaco benedettino che aveva guidato i suoi primi passi all'interno dell'ordine, il quale gli ha confermato di averlo visto circa un anno fa, ma non ha potuto dirgli altro in quanto legato dal sacramento della confessione.»
«Allora siamo giunti ad un punto morto» concluse sconsolato il giovane.
«L'ho pensato anch'io per un istante, ma poi il vescovo ha aggiunto che il monaco ha comunque potuto rivelargli un particolare estremamente importante, ovvero di avere sentito Guglielmo al telefono pochi giorni prima di quell'incontro e che in quell'occasione gli aveva chiesto di poterlo vedere per parlare di un grosso dilemma che lo tormentava e che riguardava la sorte del monastero, quindi possiamo escludere che si trattasse di un problema personale.»
«Ma allora cade il motivo con cui ci hanno detto che avrebbe giustificato il suo allontanamento improvviso.»
«Quando torneremo in monastero dovrò finalmente parlare con il priore Domenico e chiedergli conto di quel biglietto che l'abate ci ha riferito il monaco aveva trovato nella cella vuota di Guglielmo» disse il gesuita spegnendo il telefonino.
«Sono curioso di sapere quale sarà la sua risposta» disse il giovane.
«Per ora trattieni la tua curiosità e seguimi in chiesa, abbiamo bisogno di pregare il Signore di rendere la nostra fede ancora più salda per potere proseguire in questa indagine. Temo purtroppo che un male umano abbia attirato un nemico molto più grande contro cui forse dovremo scontrarci» e senza dire altro entrò nella chiesa seguito dal suo assistente che cominciava a sospettare che la crescente ansia che aveva avvertito da quando erano arrivati al monastero avesse un fondamento reale.
Per circa un'ora rimasero inginocchiati in muta preghiera di fronte all'enorme crocefisso che li guardava da dietro all'altare, ignari dei rari fedeli che dal borgo di sotto venivano ad accendere qualche cero o a lasciare fiori vicino alle statue dei santi, alte come persone vere che in nicchie racchiuse nei muri laterali della piccola chiesa sorvegliavano da secoli il giusto incedere dei penitenti. I visitatori si davano di gomito riconoscendo i due religiosi che temevano fossero stati mandati a giudicare la rettitudine di quella comunità, provando un misto di rispetto e terrore e dopo avere deposto i fiori o acceso i ceri se ne andavano senza fare rumore, timorosi di potere disturbare la preghiera di quegli uomini che prostrati di fronte al Signore mostravano a tutti la loro fede.
Fratello Leopoldo entrò in chiesa poco prima che terminassero quel colloquio intimo con il Signore, era stato mandato a cercarli dall'abate che non aveva gradito le notizie appena ricevute sull'interessamento del vescovo nella dipartita dall'abbazia di fratello Guglielmo e pretendeva spiegazioni. Il monaco si sedette nell'ultimo banco e attese paziente che Thomas, aiutato dal religioso più giovane, si rialzasse a fatica e solo quando i due si diressero verso l'uscita si avvicinò in silenzio accompagnando il loro cammino fin sul sagrato.
«Hai notizie per noi, fratello Leopoldo?» gli chiese Thomas appena fuori.
«L'abate vuole parlarvi, ha saputo che avete informato il vescovo dell'allontanamento di fratello Guglielmo e mi è parso molto contrariato» disse il monaco cercando di restare alquanto diplomatico, ma Bernardo aveva urlato con tutta la voce che aveva in corpo che non avrebbe tollerato quell'ingerenza negli affari del monastero e Leopoldo era rimasto molto sorpreso dallo scatto d'ira di un uomo che fino ad allora era sempre stato mite e pacato nelle sue esternazioni.
«Chi l'ha informato? Fratello Isaia o Bartolomeo?»
«È stato fratello Bartolomeo» disse il monaco sospirando.
«Ti vedo perplesso Leopoldo, perché non mi parli a cuore aperto?» gli domandò senza altri preamboli il gesuita. Di tutti i monaci presenti all'abbazia era l'unico di cui sentiva di potersi fidare completamente, in quanto aveva capito, dal suo racconto dei momenti in cui la statua della Madonna aveva pianto, che era stato chiamato ad assistere a quella visione e solo una persona con animo retto e fede incrollabile avrebbe potuto ricevere un tale dono.
«Non ho mai visto l'abate tanto adirato» disse alla fine il monaco che non voleva tradire la fiducia dei suoi confratelli, ma sentiva anche che padre Thomas stava agendo per il meglio.
«Per quale motivo si è irritato?»
«Crede che non avreste dovuto intromettervi in una vicenda che non vi riguarda, probabilmente sospetta che stiate minando la sua autorità su questioni interne al monastero.»
«Cosa ci puoi dire di fratello Guglielmo?»
«Io non credo come gli altri che il suo amore per i libri l'avesse allontanato da noi, siamo tutti diversi eppure ugualmente figli di Nostro Signore, ognuno con la sua particolarità e fratello Guglielmo era un uomo di fede.»
«Sei molto saggio fratello Leopoldo. L'abate però mi è parso di altro avviso, mi ha confidato che l'aveva richiamato più volte per il suo eccessivo amore per i libri, prima che se ne andasse.»
Leopoldo l'osservò stupito, non aveva mai sentito parlare prima di allora di alcun richiamo contro Guglielmo, ma non voleva nemmeno dare del bugiardo a padre abate con le sue parole per cui si limitò a dire: «non lo sapevo».
«Ti chiedo un'ultima cosa che non riguarda direttamente il monastero, per questo credo che tu sarai in grado di rispondermi liberamente» disse Thomas capendo il conflitto interiore del monaco.
«Se posso aiutarvi lo farò volentieri» disse l'altro.
«Ho motivo di credere che ci sia una presenza perturbatrice tra queste mura, si tratta di un vostro ospite, un anziano che si fa chiamare Tobia.»
«Il vecchio Tobia?» domandò Leopoldo sorpreso.
«Non posso entrare nei dettagli, ma sappi che cela più di un inganno, per questo motivo ho bisogno che tu mi dica tutto quello che ti sovviene su di lui» disse Thomas fermandosi nel chiostro a pochi passi dallo studio dell'abate.
Il monaco prese ad osservare alternativamente sia il gesuita che il suo assistente come per accertarsi che non lo stessero prendendo in giro, ma di fronte ai loro volti seri si decise a parlare:
«Non avrei mai sospettato di Tobia, perché con noi è sempre stato affabile, anche se in realtà non ha mai condiviso i nostri pasti e l'unica volta che l'ho visto dentro alla cappella è stata domenica scorsa, quando la Madonna ha pianto» iniziò il monaco.
«Quante volte è stato vostro ospite e da quando?»
«La prima volta è stato l'anno scorso a maggio, lo ricordo bene perché è il periodo in cui prenotano più persone e non avevamo posto, ma poi una coppia disdisse all'ultimo momento e lui, pur di alloggiare da noi, si offrì di accollarsi il prezzo pieno della stanza che facciamo pagare solo quando gli occupanti sono due. Credo che dopo di allora sia tornato un altro paio di volte.»
«Di solito come trascorre le sue giornate?»
«A parte cantare in latino, particolare che ci fu riferito da subito dagli altri ospiti come un fatto estremamente gradito, credo che vada spesso in paese e a volte passa del tempo nell'orto» disse Leopoldo pensieroso.
«A fare cosa?»
«Probabilmente ammira il roseto e forse gli fa anche piacere osservare noi monaci indaffarati nelle occupazioni quotidiane.»
«Ha stretto rapporti particolari con qualche confratello?»
«Come le ho detto è sempre stato molto riservato, al massimo avrà scambiato qualche parola di più con Gerolamo che di solito cura le rose o con Bartolomeo che con il suo orto botanico intrattiene spesso i visitatori.»
«Va bene, per ora può bastare, non penso sia prudente fare aspettare oltre l'abate.»
«Se Tobia è pericoloso posso rivelarlo agli altri confratelli?» domandò il monaco che si era appena ricordato con terrore quello che gli aveva riferito Domenico sul fatto che padre Thomas era anche un esorcista.
«Certamente, accertatevi di fare la massima attenzione nel caso veniste in contatto con lui, perché Tobia purtroppo non è quello che sembra.»
A queste parole Leopoldo si fece il segno della croce e accompagnò in silenzio i due religiosi fino davanti alla porta dello studio dell'abate, bussò un paio di volte, ma appena ricevuto l'invito ad entrare si fece da parte perché Bernardo gli aveva già detto che voleva vedere unicamente il gesuita e il suo assistente.
«Io non posso seguirvi, ci vediamo più tardi» disse sussurrando.