Sull'esterno la casa era dipinta di un giallo ocra che riprendeva il colore della facciata  a fianco, mentre sulla destra qualcuno aveva pitturato la sua fetta di  casa di un blu scuro che dava un certo contrasto all'insieme e piaceva all'Alessandra, la figlia della Pina, una che era sempre pignola quando si trattava di mettere fuori i suoi soldi e che se fosse stata di un altro colore magari non l'avrebbe comprata o avrebbe fatto storie sul prezzo. D'altronde era stata una fortuna, se così si poteva dire, che il Malpredi, il vecchio custode del cimitero, fosse morto proprio quell'inverno per una polmonite che se l'era portato via in una settimana. Non che la casa fosse fredda, si era affrettata a dire la Giovanna parlando al telefono alla sua amica, perché c'erano due belle stufe a legna in ognuno dei piani che bastavano a fare un bel calduccio in tutte le stanze, ma quel vecchio ubriacone non ci stava mai in casa, per questo si era preso un accidente quel dicembre quando aveva iniziato a nevicare così tanto che erano anni che non si vedeva Rocca così imbiancata e si erano vendute pale per spalare la neve come fosse pane e il paese era rimasto bloccato per settimane.

Non aveva neanche visto il nuovo anno il Guerino, perché quando era andato a farsi visitare dal medico con una febbre da cavallo e una tosse che aveva fatto scappare tutti dall'ambulatorio era troppo tardi. Il dottore l'aveva coscienziosamente ricoverato all'ospedale di Pieve e all'inizio sembrava una cosa che si potesse sistemare, ma poi il fisico del vecchio non aveva reagito alle cure ed era peggiorato in pochi giorni. Se ne era andato una mattina mentre guardava il soffitto e urlava contro dei ragni alle pareti che esistevano solo nella sua testa, solo come era sempre stato, con il medico che aveva dichiarato la morte solo un'ora dopo, quando se ne erano accorti.

Una volta che era morto c'era voluto un po' per capire chi avesse diritto a quel pezzo di casa, non che facesse gola a molti perché era davvero piccina, ma nessuno ci avrebbe sputato sopra se l'avesse avuta per niente, questo era certo. Comunque a gennaio era venuto un notaio a parlare con la Franca, che tutti sapevano era una sua cugina per via del fratello del padre, ma visto che non si salutavano più da oltre trent'anni nessuno credeva potesse avere la sua roba, invece avevano scoperto che la legge non considerava gli screzi o i vecchi rancori e alla fine quel pezzo di casa, svuotato dai mobili mezzi marci del vecchio Malpredi e ripulito da cima a fondo, era andato proprio alla lontana cugina.

La donna non si era certo illusa di riuscire a vendere quel piccolo immobile, chi avrebbe voluto abitare in uno sperduto paesino in montagna che in inverno faceva rimpiangere di non essere da qualunque altra parte, ma almeno sperava di farci qualcosa affittandolo ai turisti, anche se la fila di quelli che già ci campavano in quel modo era lunga e nessuno si sarebbe fatto passare davanti da lei solo per farle un piacere. Era stato per caso che un mese dopo la Rita, una vecchia conoscenza della Giovanna dai tempi della scuola che avevano frequentato tutte e due a Pieve, aveva chiamato l'amica, chiedendole se non conoscesse qualcuno che voleva vendere la sua casa, perché lei e la figlia volevano trasferirsi a Rocca con una certa urgenza, viste le sue condizioni di salute molto precarie.

L'affare si era concluso in una settimana e ci era scappato pure un regalo da parte della Franca alla Giovanna, un bel cesto pieno di prelibatezze che si era fatta preparare dal macellaio, con i tagli di carne di prima scelta e che era rimasto una mezza giornata in bella vista nella vetrina più grande suscitando un mare di commenti. Chi lo vedeva e non sapeva della vendita della casa si chiedeva se era impazzita, perché la Franca non aveva mai speso così tanti soldi dal Tonino che in quell'occasione non ci aveva nemmeno fatto la cresta, tanto era contento che finalmente qualcuno apprezzasse la sua carne più buona.

Quella sera la Giovanna percorse le poche vie che separavano la sua abitazione da quella dell'amica con il cuore in gola per il compito che l'aspettava. Era una donna alta, sulla settantina, che da quando era morto il marito due anni prima vestiva sempre di scuro, con un fazzoletto calcato sulla testa e uno scialle grigio che le ricopriva la schiena ricurva tanto che i bambini avevano cominciato a prenderla in giro con nomignoli che richiamavano la figura della befana anche fuori stagione e pure qualche adulto ci si aggiungeva, quando la incontrava, e faceva segretamente le corna al suo passaggio o qualche altro gesto scaramantico.

A lei non importava e tirava dritto, ma quello che ormai le pesava era vivere da sola, l'unico figlio lavorava da anni a Roma in uno studio legale ed era sempre impegnato, non era nemmeno riuscito a tornare a casa per il funerale del padre e spesso non rispondeva nemmeno alle sue chiamate, ma lei non avrebbe mai detto niente contro quello che molti in paese definivano come un ingrato, perché ai suoi occhi di mamma era comunque un bravo figliolo.

L'ultimo tratto di strada era il più impegnativo, una decina di metri per la verità, ma con l'anca che da un po' di tempo le dava fastidio quella parte con una pendenza  accentuata se la sarebbe risparmiata volentieri, visto che l'aveva già fatta quella mattina quando la Pina l'aveva chiamata dicendole che ora ci vedeva, che le era preso un mezzo colpo e per crederci le si era dovuta piazzare davanti facendole una visita che sembrava un oculista, ma aveva ricevuto la telefonata della Luisella e a quella non le si poteva semplicemente dire di no, perché altrimenti il marito, che possedeva l'unico negozio di alimentari della zona, altro che prezzi da turisti le avrebbe fatto da lì in poi.

Arrivata a destinazione si fermò un momento a prendere fiato, appoggiando una mano al muro, perché non voleva farsi vedere che respirava a bocca aperta dalla sua amica e quella nuova visita doveva sembrare fatta per caso. Il piccolo portoncino in legno dell'abitazione che dava sulla via lastricata di ciottoli rimaneva sempre chiuso e per farsi aprire bisognava suonare il campanello posto nel muro alla sua destra, proprio sopra la cassetta delle lettere, incastonato in una placca d'ottone che riportava solo il cognome Gastaldi. Erano quasi le sette, non certamente ora di visite, e infatti l'aveva detto alla Luisella che correva il rischio di trovarle a tavola, ma quella niente, testarda come pochi, aveva insistito, perché la cosa andava fatta prima della fine del giorno, neanche che si dovesse pagare qualcosa a volere aspettare fino al mattino dopo.

Le mani le tremavano di nuovo, colpa dell'artrite che le dava il tormento da una decina d'anni e aveva provato a prendere di tutto, pillole, bustine, anche una pomata che ci passava sopra di mattina al risveglio e costava parecchio, ma quella gliela mandava il figlio, in un pacchettino di colore azzurro, tutti i mesi senza sgarrare e quando il postino gliela portava le si allargava il cuore perché veniva dal suo ragazzo, anche se il sollievo era solo momentaneo, poi il dolore tornava.

“Maledetta vecchiaia” sussurrò tra sé prima di suonare il campanello e sperò che l'Alessandra non le facesse storie per l'ora, anche se in verità quella mattina le era sembrata più gentile del solito, visto che l'aveva fatta accomodare in casa con un sorriso che non le aveva quasi mai visto, offrendole pure un bel tè con i biscotti, tanto sembrava cambiata per quello che era appena successo alla madre.

La voce dall'altra parte del citofono chiese all'improvviso chi ci fosse là fuori, la Giovanna riconobbe subito che era quella dell'Alessandra, perché la Pina non riusciva a fare che pochi passi da sola, tenendosi spesso aggrappata a qualcuno per paura di cadere, e di solito stava in carrozzina anche dentro a casa, lasciando alla figlia tutti i compiti pratici. Non appena ebbe detto il suo nome un rumore metallico accompagnò l'apertura della porta.

L'abitazione, come le altre che la circondavano, era costituita da un piano terra e un piano rialzato, per questo appena entrata si trovò di fronte l'Alessandra che la scortò lungo il minuscolo corridoio che portava al salotto con in fondo l'angolo cottura. A pianterreno, oltre a quel locale, c'era la camera da letto della Pina e un piccolo bagno di servizio mentre di sopra nell'unico piano a cui si accedeva tramite una scala fornita di corrimano c'erano altre due stanze da letto e un bagno più grande. La figlia ne aveva scelta una per dormirci e nell'altra aveva fatto il suo studio dove scriveva quei libri di cui tutti ancora parlavano, ma la Giovanna non aveva mai detto niente di male su quello che faceva, perché se ci si era comprata la casa con quei libri allora era più furba di tutti loro messi insieme.

Si stava ancora scusando per l'ora tarda quando arrivarono al salotto e allora sì che le prese un mezzo colpo, perché seduti di fianco alla sua vecchia amica c'erano l'unico medico del paese, Vittorio Gualtieri, insieme all'abate del monastero. Parlavano fitto tra loro, ma appena la videro si interruppero subito e le toccò pure fare la figura del pesce fuor d'acqua in piedi in mezzo alla stanza, almeno fino a quando la Pina le si rivolse:

«Che bella sorpresa Giovanna» le disse tendendole la mano. «Prenditi da sedere e unisciti a noi.»

L'Alessandra era già andata a prenderle una sedia dalla zona cucina e passandogliela le disse piano: «Spero che se ne vadano alla svelta, mia mamma deve ancora cenare e riceviamo gente da tutto il giorno» con un'espressione del viso e un tono di voce che lasciava capire chiaramente quanto già si fosse stancata di tutta quella frenesia.

Facendo attenzione a sistemarsi vicino alla sua amica la Giovanna si sedette e unì le mani in grembo cercando di non fare vedere quanto era imbarazzata e sperando che gli altri ricominciassero a parlare come prima, facendo finta che lei non ci fosse, e infatti dopo un attimo Gualtieri riprese a dire:

«Allora siamo d'accordo, prenoto l'ambulanza per mercoledì, i paramedici verranno a prenderla a piedi, ma con la carrozzina non sarà un problema arrivare fin giù al parcheggio. Il professor Visconti, che conosco dai tempi dell'università, non vede l'ora di visitarla e  ha già pianificato gli esami a cui dovrà essere sottoposta, niente d'invasivo per carità, ma serviranno ad accertare le sue attuali condizioni cliniche. Ci aspetta nel suo studio per mezzogiorno e poi ci guiderà lui in reparto, tutto nella massima discrezione possibile.»

«Va bene» disse la Pina quasi sbuffando, perché di pazienza negli ultimi anni gliene era rimasta poca e il recente miracolo non le aveva certo addolcito il carattere. «Però che sia una cosa veloce e che la finiamo una volta per tutte. Lei dottore lo sa che ho bisogno di stare tranquilla e sono già stanca di tutta questa pubblicità e di gente per casa ne ho già vista troppa che mi basterà per un anno.»

«Non è contenta che le persone vengano a farle visita?» le chiese l'abate con voce gentile. Fino ad allora, a parte il momento in cui si era presentato alla donna non appena era arrivato, era rimasto quasi sempre in silenzio osservando l'anziana mentre parlava con Gualtieri, occasionalmente interrotta dalla figlia. L'impressione che ne aveva avuta era di una donna forte a dispetto della malattia e che, nonostante stesse quasi tutto il tempo su di una carrozzina, amava comandare nella sua casa, mentre la figlia la lasciava fare, anche se da qualche piccolo indizio aveva capito che pure la giovane aveva ereditato lo stesso carattere della madre.

L'anziana lo guardò come se lo vedesse per la prima volta, un monaco piccino piccino con radi capelli bianchi e gli occhi azzurri che sembrava un bambino anche se doveva essere bello anziano, a giudicare dalle rughe sul viso e gli rispose senza timore: «Non vengono certo per me visto che la maggior parte nemmeno la conosco, ma solo per curiosare. Pensa che dovrei esserne felice?»

«Almeno di stare meglio» le rispose l'anziano monaco che in cuor suo cominciava a domandarsi se la donna fosse davvero degna di un tale miracolo.

«Di quello si» disse l'anziana abbassando gli occhi che le si erano improvvisamente riempiti di lacrime. «So di non meritarmi una tale grazia» disse quasi rispondendo al segreto pensiero del religioso, tanto che lui impallidì vistosamente, «ma ho tanto pregato Padre Pio di cui sono devota e poi la Madonna che alla fine ho voluto starle vicina, anche se non pensavo che mi facesse questo dono..» poi si interruppe con la voce spezzata e la figlia l'abbracciò da dietro la sedia per calmarla.

«Mia madre è stanca» disse la giovane con voce ferma perché tutti capissero. «Se la Madonna ha voluto farle una grazia non è stato certamente per esporla in questo modo alla curiosità degli altri. Da domani la nostra casa resterà chiusa per tutti, non risponderò più né al telefono né al citofono, potete dire che ce ne siamo andate per un periodo o quello che volete, tanto il succo non cambia.»

«Ma mercoledì…» obiettò timidamente Gualtieri che non voleva perdere l'occasione di fare certificare da un luminare quel cambiamento mirabolante nelle condizioni fisiche della sua assistita.

L'Alessandra lo guardò quasi con disprezzo e poi disse: «Verremo, ma come le ha già detto mia mamma sarà solo per quella volta.»

«Certamente» rispose il medico ossequioso, cercando di non irritare ulteriormente la figlia.

La Giovanna era rimasta in silenzio ad osservare la scena ed era tutta contenta perché da come si erano messe le cose era chiaro che la Pina non avrebbe più ricevuto nessuno nella sua casa ed in fondo era quello che volevano gli altri del paese, che se ne stesse zitta sul miracolo agli occhi. Più tardi avrebbe informato la Luisella che era andato tutto per il verso giusto, poteva pure inventarsi di avere parlato dell'argomento alla sua amica, anche se non era vero, ma tanto il risultato era stato lo stesso. Decise quindi di andarsene inventando una scusa, ma proprio mentre stava per dire qualcosa la Pina ricominciò a parlare rivolgendosi all'abate.

«Vorrei che mi confessasse» gli disse all'improvviso dopo averlo soppesato per un lungo momento. «Ho parecchi peccati che pesano sulla mia coscienza da troppo tempo e anche una cosa da riferirle che potrebbe essere importante.»

«Di cosa si tratta?» chiese l'altro estremamente interessato.

«Stamattina prima dell'alba ho sognato la Madonna, è stato un sogno strano che non sono riuscita a capire. Non so se c'entra con il fatto che adesso ci vedo, ma mi sono svegliata inquieta, come se dovessi dirlo a qualcuno.»

«C'è un posto dove possiamo stare soli, senza essere ascoltati?»

«La camera di mia madre è qui a fianco, se tenete la porta chiusa e parlate piano nessuno potrà ascoltare quello che dite» gli rispose l'Alessandra.

«Allora io vado, ero passata solo per vedere come stavi. Se hai bisogno di qualunque cosa chiamami» disse la Giovanna approfittando di quel momento e dopo avere abbracciato affettuosamente l'amica si diresse spedita verso l'ingresso. Uscendo vide l'Alessandra che cominciava a spingere la madre con la carrozzina verso la porta della sua camera seguita dall'abate, mentre Gualtieri si era alzato in piedi e osservava distrattamente i quadretti alle pareti.

“Finalmente sono fuori” pensò tra sé la Giovanna non appena ebbe chiuso dietro di sé il portone. Fino ad allora si era sentita sui carboni ardenti perché mai avrebbe pensato di trovare a casa della Pina oltre a Gualtieri anche l'abate del monastero che non lo aveva mai visto così da vicino, tanto era un uomo schivo e se si era mosso in quel modo ci era voluto proprio un miracolo. Respirò a pieni polmoni l'aria della sera, per la verità faceva ancora freschino e non c'era da stupirsene visto che i primi giorni di maggio di solito da loro pioveva sempre e tirava un vento niente male che per fortuna si era messa un doppio maglione.

S'incamminò verso casa pensando a cosa dire alla Luisella e scartando immediatamente nella sua testa di riferirle della visita dell'abate che altrimenti quell'impicciona ci avrebbe ricamato sopra per dei giorni. Sarebbe stata di poche parole, d'altronde il fastidio di quella visita serale l'aveva patito tutto lei e poi l'avrebbe capito pure un bambino che prima o poi la cosa si sarebbe venuta a sapere anche di fuori, nonostante tutti i loro accorgimenti e allora al diavolo la buona stagione e le case da affittare, si sarebbero ridimensionati tutti e forse il paese sarebbe tornato quello che era prima, un posto abitato da poveri diavoli per i quali ogni giorno era uguale agli altri.

Dentro alla casa intanto l'Alessandra aveva cominciato a preparare la cena, segno inequivocabile che, una volta finito il colloquio della madre con l'abate, la visita doveva considerarsi terminata e d'altronde Gualtieri aveva già ottenuto quello per cui era andato, in più aveva anche fatto un piacere al suo amico Bernardo che aveva tanto insistito per conoscere l'anziana. Mentre l'Alessandra preparava ai fornelli, Gualtieri si guardò intorno, era stato in quella casa una volta a settimana da quando ci si erano trasferite e tutte le volte rimaneva impressionato dal gusto con cui era stata arredata. Il tavolo che era stato messo nell'angolo cucina era di dimensioni contenute, ma bastava per due o più persone ed era nuovo, di legno buono, con tre sedie robuste intrecciate di paglia che avevano sopra dei soffici cuscini, mentre le mensole poste sul fondo della stanza erano di un bel giallo pastello che risaltava sul bianco dei muri e richiamava il giallo di fuori, sulla facciata. Il frigorifero a lato e il forno accanto al lavabo, messo proprio sotto alle mensole, erano in acciaio cromato e si capiva che erano costati parecchio, come il divano a tre posti in pelle, la libreria in mogano, il mobile porta tv e la televisione a schermo piatto bella grande.

Per quel poco che aveva potuto vedere anche le altre stanze erano state arredate con la stessa attenzione. In camera della madre l'Alessandra non aveva badato a spese, a partire dal letto ad una piazza e mezza in ferro battuto con il materasso alto ricoperto con lenzuola di cotone pregiato e trapunte ricamate, mentre l'armadio intarsiato con a fianco il cassettone dell'ottocento faceva bella mostra di sé sulla parete di fronte. Quando le amiche della Pina ci erano andate a farle visita erano rimaste a bocca aperta pensando a quanto doveva guadagnare la figlia con quei libri, per potersi permettere tutto quel ben di Dio e infatti la Pina era orgogliosa di quella ragazza che si era fatta da sola, senza chiedere mai niente né a lei né al marito che fino a quando era stato vivo se l'era portata ovunque da tanto ne era fiero.

I pensieri del dottore furono interrotti dal rumore della porta che si apriva e subito dopo vide uscire la Pina spinta da dietro dall'abate, con la carrozzina che faceva uno strano rumore, stridendo sul parquet che doveva appena essere stato lucidato. Il volto dell'anziana pareva essersi molto rasserenato grazie quell'incontro che per lei doveva essere stato importante. Stringeva tra le mani un rosario quasi sicuramente dono del religioso, perché Gualtieri non glielo aveva mai visto prima e continuava a sgranarlo recitando piano l'Ave Maria. Solo quando anche l'abate fu uscito completamente dalla camera da letto, richiudendo diligentemente la porta alle sue spalle, il dottore notò che non tutto doveva essere andato per il verso giusto, in quanto il religioso aveva invece il viso sconvolto.

Fu solo un attimo, appena padre Bernardo vide che lo stava osservando riprese il suo solito aspetto gioviale e Gualtieri pensò di essersi solo immaginato quell'espressione di estremo tormento che era apparsa sul volto del religioso che conosceva da quasi quarant'anni, ovvero da quando fresco di laurea in medicina si era trasferito in quel posto per fare pratica sotto il vecchio dottor Ciarelli e poi l'aveva sostituito quando quest'ultimo era andato in pensione una trentina di anni prima.

L'Alessandra si avvicinò all'abate e lo ringraziò per la sua premura nei confronti della madre che ora sembrava più serena, ma forse era solo stanca dopo quella giornata così impegnativa. Dopo pochi altri convenevoli i due uomini si congedarono e la figlia li accompagnò velocemente alla porta perché aveva fretta di fare cenare la madre che, anziana com'era, aveva lo stomaco delicato e non poteva mangiare troppo tardi, altrimenti non avrebbe digerito bene.

Appena furono fuori Gualtieri alzò il bavero della giacca e disse a bassa voce, un po' come se stesse parlando da solo:

«È venuto su un bel vento e non sono neanche le otto, fortuna che c'è ancora luce. Ti accompagno al monastero?»

«Lascia stare, vado da solo» disse il monaco alzando a sua volta il cappuccio della tunica.

«Va tutto bene?» gli chiese allora il medico senza altri preamboli.

«Diciamo che ho avuto un'altra lezione da Nostro Signore. Anche alla mia età si può imparare qualcosa» disse l'altro evitando di guardarlo negli occhi.

«Di cosa stai parlando?» chiese Gualtieri preoccupato.

«Sono venuto sperando di toccare il mistero divino e me ne vado con un fardello molto pesante, ma non posso dirti altro» gli rispose l'abate e senza aspettare risposta iniziò ad avviarsi lunga la stretta stradina che portava al monastero con la schiena ricurva, come se stesse davvero portando un peso sulle spalle.

Il dottore l'osservò con sguardo allibito per qualche minuto fino a quando scomparve alla sua vista, solo allora scosse la testa decidendo che non era il caso di farsi troppe domande su questioni religiose che esulavano dal suo campo.

Dentro alla casa la Pina aveva iniziato a mangiare la sua minestrina. Nonostante dovesse prenderla spesso di sera, per evitare i problemi allo stomaco che altri cibi le avrebbero dato, continuava a piacerle.

«La fai proprio bene, bella densa come piace a me e con dentro tante stelline» disse alla figlia sorbendone un altro bel cucchiaio con gusto.

«Lo dici sempre mamma» le sorrise l'Alessandra che aveva imparato nel corso degli anni a prendersi cura dell'anziana nel migliore dei modi, rispettando i suoi desideri in tutto e per tutto, almeno se non nuocevano alla sua salute.

«Sei una brava figliola, lo diceva sempre anche tuo padre, pace all'anima sua.»

«Ti ho fatto anche un po' di purè come secondo, perché devi nutrirti.»

«Tu passa qui che stasera ho fame, ma però mi devi fare compagnia, prendi anche tu qualcosa che lo sai che non mi piace mangiare da sola» disse l'anziana finendo la minestrina.

«Ti senti davvero meglio?»

La Pina mise giù la forchetta che già stava per inzuppare nel purè e la guardò per un attimo fissa negli occhi:

«Non avere paura, la Madonna ha ascoltato le mie preghiere e mi ha fatto la grazia. Lo sai che non volevo lasciarti da sola.»

«Lo so che mi vuoi bene» le rispose allora l'Alessandra asciugandosi di nascosto una lacrima che le era scesa sul viso. «Adesso mangia che il purè altrimenti si fredda e dopo ci guardiamo un po' di televisione.»

«Non c'è mai niente di decente, ci prendono su i soldi per dei programmi che fanno schifo» sbuffò l'anziana come suo solito.

«Dovrebbe esserci un film giallo sul primo, se non ti piace possiamo guardare quel programma musicale che ti piace tanto, con i cantanti del liscio.»

«Ormai mi hanno stufato anche quelli, ma se non c'è proprio nient'altro..» rispose la Pina che adorava quel programma, ma non voleva darlo troppo a vedere e infatti dopo pochi minuti di visione del film sentenziò che non le piaceva e passò il resto della serata ad ascoltare i cantanti che interpretavano le canzoni della sua epoca, facendo di tanto in tanto qualche commento che la riportava con il ricordo a quando era giovane.

Alle dieci e trenta la figlia l'accompagnò in camera da letto, come faceva tutte le sere, l'aiutò a spogliarsi e a mettersi una bella camicia da notte, a maniche lunghe e in cotone felpato, perché di notte la temperatura si abbassava parecchio, anche se lei lasciava sempre in funzione la stufa a legna che era in soggiorno. La madre riusciva ad alzarsi dalla carrozzina solo se era aiutata, ma era comunque una gran cosa perché quando la portava in bagno poi faceva da sola e anche per andare a letto non c'era bisogno di sollevarla a peso morto, cosa che la figlia non avrebbe potuto fare senza dovere chiedere aiuto.

Quella notte, mentre era nel suo studio impegnata a scrivere il nuovo libro che l'editore aspettava entro un paio di mesi, l'Alessandra s'interrogò sul vero significato di quel miracolo che aveva colto tutti di sorpresa poche ore prima. Come negare che l'aveva invocato quando il giorno prima aveva distrattamente guardato alla sua sinistra, in quella cappella che la madre aveva tanto desiderato visitare da quando si erano trasferite a Rocca?

Quella visita le era costata una fatica fisica immensa, aveva dovuto spingere la carrozzina in salita fino al monastero, ma non aveva chiesto l'aiuto di nessuno, perché sapeva che dovevano essere solo lei e la madre a fare insieme quella cosa che forse sarebbe stata l'ultimo ricordo bello che le sarebbe rimasto. I dottori le avevano detto che si doveva preparare al peggio, perché era chiaro che l'anziana si stava lentamente spegnendo, era sempre più debole nonostante le trasfusioni che le facevano ogni due mesi e ormai non ci vedeva nemmeno più bene. Per lei era una pena vederla ridotta in quello stato, ma non riusciva nemmeno ad immaginare il momento in cui avrebbe dovuto lasciarla andare, per questo sperava di avere ancora un po' di tempo e che le cose potessero in qualche modo cambiare per il meglio.

Quella domenica mattina aveva spinto con le ultime forze la carrozzina lungo il chiostro, con la madre che sgranava il rosario che lei le aveva comprato qualche mese prima, quello di legno con l'immagine di Padre Pio che le era tanto cara, e poi una volta che erano entrate nella cappella dalla porticina che un monaco aveva spalancato per loro l'aveva portata fin in fondo alla navata. Era come se vi fosse stata attirata da qualcosa che non avrebbe saputo spiegare, una voce silenziosa che sembrava dirle che doveva affrettarsi. Dopo qualche minuto di preghiera si era voltata sulla sinistra, senza nemmeno sapere cosa avrebbe visto, eppure la Madonna era lì, una figura piccola, di neanche cinquanta centimetri, dipinta con dei colori tenui mezzi scrostati e in braccio non aveva suo figlio, ma un mazzo di rose intagliate anch'esse nel legno.

La teca in cui era conservata pareva aperta, ma non era quella la cosa più strana perché l'Alessandra aveva notato tutt'intorno alla statua una luce soffusa che l'illuminava e che non riusciva a capire da che punto provenisse. Guardando più attentamente vide che la statua della Madonna stava piangendo, anche se subito le parve impossibile, eppure continuando ad osservarla scorse delle lacrime copiose che sgorgavano dai suoi occhi come piccoli rivoli che la spingevano verso di lei. Prese un fazzoletto e si avvicinò, le parve quasi che la Madonna la stesse chiamando quella mattina nella cappella, lei sola, e allora bagnò la stoffa in quelle lacrime che la Santa Vergine le stava offrendo, decisa a passarle, non appena avesse potuto, sugli occhi sofferenti della madre, con la segreta speranza che in questo modo tornasse a vedere.

Così era stato, quella sera stessa aveva inumidito gli occhi della madre nelle lacrime della Madonna e poi aveva trascorso la notte a pregare, ma non lo avrebbe mai detto a nessuno, nemmeno all'abate che comunque non glielo aveva nemmeno chiesto, fidandosi di quello che lei aveva riferito a Gualtieri, ovvero che  solo per caso si era avvicinata alla Madonna che piangeva e solo per un impulso improvviso aveva inzuppato il fazzoletto decidendo in un secondo tempo di usarlo sulla madre.

Certe cose era meglio tenerle per sé, questo aveva imparato nel corso degli anni e aveva provato anche a farlo capire alla madre quando l'anziana le aveva detto del sogno che aveva fatto, ma lei non poteva stare tranquilla con quel peso sul cuore. La venuta dell'abate nella loro casa proprio quella sera era sembrato un segno, eppure l'Alessandra aveva capito, vedendo il volto sconvolto del religioso dopo che aveva ascoltato quel sogno, che quella cosa avrebbe portato solo sventura, non forse per loro, ma la verità avrebbe presto dannato l'anima di qualcuno.