Gli ausiliari che dovevano condurre la Pina all'ospedale di Pieve erano arrivati puntuali alle undici di mattina, avevano suonato al campanello e subito dopo l'Alessandra gli aveva aperto la porta aiutandoli a spingere fuori la carrozzina con sopra l'anziana madre. La Pina quel giorno si era vestita bene, come faceva di solito le poche volte che usciva, indossando una gonna pieghettata con sopra un maglione in cotone leggero, di un verde profondo, accompagnato da una giacca di tessuto marrone cui aveva aggiunto un ampio foulard di seta. La gonna gliela aveva fatta su misura la sarta, perché all'anziana era difficile trovarne della giusta misura, essendo robusta e il grasso, a causa della quasi immobilità cui era costretta, le si era accumulato tutto nella pancia, nonostante nell'ultimo anno avesse mangiato davvero poco.
Come si irritava, quando ancora abitava a Pieve, a doversi andare a provare tutte le volte indumenti sempre troppo stretti da una merciaia che le procurava già i reggiseni e le mutande, insieme a qualche vestito da portare di sopra, di un bel filato, non le solite cose dozzinali che sbolognava alle altre. La donna alla fine le aveva consigliato di rivolgersi ad una sarta che conosceva, una persona fidata che andava anche a domicilio, tanto aveva bisogno di lavorare. Gli accordi erano stati presi in un batter d'occhio, con un'unica telefonata fatto dal negozio, perché quando si trattava di soldi la gente era sempre lesta di gambe e la Pina pagava bene quando era soddisfatta di un lavoro ben fatto.
Il risultato era stato soddisfacente da entrambe le parti e, sborsando solo un piccolo anticipo che sarebbe servito alla sarta per comprare la stoffa, la Pina si era fatta fare quattro belle gonne, due per l'inverno e due per la stagione calda, che la lavorante le aveva consegnato nel giro di un paio di settimane, ricevendo il giusto compenso. La sua preferita era una gonna di un colore grigio chiaro che metteva solo raramente, ma quel giorno aveva deciso di sfoggiarla perché si sentiva più in forze e magari qualche passo sarebbe pure riuscita a farlo, con le scarpe nuove di pelle bucherellata che avevano la suola senza nemmeno un segno, visto che non ci aveva mai camminato.
Il problema era stato spingere la carrozzina in discesa evitando che prendesse velocità e la Pina si era raccomandata più volte al Signore perché l'unica di cui si fidava era la figlia Alessandra, mentre quei giovanotti non sapevano neanche dove mettere le mani. Lo aveva ripetuto più volte a voce alta per essere sicura che la sentissero, tanto che si erano scocciati non poco, ma erano stati zitti come gli avevano raccomandato prima di partire, perché quella non era una poveretta, ma una persona importante e loro avevano capito subito di chi si trattava, anche se nessuno ne voleva parlare, eppure erano certi che fosse la donna che era stata miracolata dalla Madonna. Si erano rilassati solo una volta arrivati al parcheggio dove il loro collega autista li aspettava vicino all'ambulanza pronto a partire.
Erano arrivati all'ospedale di Pieve alle dodici meno dieci e durante il tragitto la Pina aveva quasi vomitato la colazione per la guida di quell'ausiliario che evidentemente si divertiva a prendere le curve nel punto peggiore e allora l'Alessandra aveva dovuto alzare la voce e dire che la madre non era un sacco di patate, riuscendo ad ottenere che rallentasse almeno di un poco. Alle dodici e un quarto ancora aspettavano nella sala d'attesa di fronte all'ufficio del professor Visconti e di Gualtieri non si era vista traccia, le aveva chiamate quella mattina poco dopo le dieci dicendo che si sarebbero incontrati in ospedale, ma lì c'erano ancora da sole e la Pina continuava a guardare l'orologio ad ogni minuto.
«Pensi che dovremo aspettare ancora molto?» chiese stringendo la borsetta di pelle dove teneva il portafogli, le chiavi di casa, i documenti e il telefonino che non usava mai per chiamare, ma se lo era fatta comprare lo stesso perché le piaceva la forma e lo schermo grande che tutti glielo invidiavano.
«Prima di lasciarci, i paramedici hanno avvertito che siamo arrivate» disse l'Alessandra guardandosi intorno. La stanza era spoglia, c'era solo qualche sedia e un distributore di merendine, ma qualcuno aveva appeso alle pareti un paio di stampe che raffiguravano alcuni scorci abbastanza suggestivi del paese.
«Pensi che sia dentro allo studio? Forse dovresti bussare» disse la madre.
«Può darsi che stia visitando qualcuno o magari deve ancora arrivare, non si sente nessuna voce di fuori. Pazientiamo ancora un attimo.»
«Che tipo sarà?» domandò dopo un istante la Pina che era già stufa di quell'attesa. Per l'agitazione la notte prima aveva dormito poco e si era svegliata di pessimo umore. In sala d'attesa non c'era nessuno a parte loro e non si vedeva in giro nemmeno un'infermiera, quella con cui avevano parlato prima gli ausiliari si trovava in fondo al corridoio che avevano appena percorso, rinchiusa dentro ad un gabbiotto.
«Da quel poco che ho trovato su internet dirige questo reparto da qualche anno e insegna anche all'ospedale di Parma.»
«Quanti anni ha?»
«Credo una sessantina.»
L'Alessandra aveva appena finito di parlare quando sentirono un vociare nel corridoio e dopo neanche un minuto apparve sulla soglia Gualtieri seguito da un altro uomo in camice bianco.
«Allora questa è la nostra paziente, lieto di fare la sua conoscenza» disse il medico porgendole la mano con fare galante. «Mi fa piacere che abbia accettato il mio invito signora Pina, sono il professor Visconti e Gualtieri mi ha parlato molto di lei.»
«Spero bene» disse l'anziana osservando prima lui e poi il suo medico di famiglia che in quel momento stava salutando l'Alessandra.
Visconti era un uomo piacente, se lo era immaginato un tipo severo, invece aveva capelli biondi portati non troppo corti che, uniti all'abbronzatura del viso, precoce per quella stagione, lo facevano assomigliare più ad un golfista californiano che ad un oculista dell'Emilia.
«Ma certamente, solo belle parole» rispose il professore. «Abbiamo acquisito tutta la documentazione che la riguarda, non avendola seguita personalmente ho voluto farmi un'idea delle condizioni dei suoi occhi un anno fa, per cui ora procederemo a fare dei nuovi esami per confrontare i risultati.»
«Ci vorrà molto?» chiese la Pina.
«Come le ho detto massimo un paio di ore e nessun esame sarà invasivo» le rispose Gualtieri e il luminare assentì aggiungendo:
«Non deve preoccuparsi di niente, sua figlia potrà accompagnarla dentro la stanza e restare con lei. Adesso la portiamo con la sedia a rotelle, ma volevo sapere se riesce a camminare.»
«Solo pochi passi» disse l'anziana che in realtà negli ultimi giorni, avendo ritrovato le forze, faticava molto meno a stare in piedi da sola.
«Saranno sufficienti nel caso si dovesse avvicinare a qualche macchinario o stendere su di un lettino.»
Terminati i convenevoli si avviarono lungo il corridoio e la Pina perse il conto delle svolte a destra e a sinistra che le fecero fare con la carrozzina per arrivare dentro al reparto dove c'erano i macchinari. Una piccola equipe di medici e infermieri la stava aspettando schierata in fila, erano tutti sorridenti, sull'attenti come piccole vedette e infatti il professore si era raccomandato che la trattassero bene, perché era una paziente di riguardo. “Neanche fossi il Papa” pensò tra sé l'anziana guardando con uno sguardo complice la figlia che ancora non si capacitava di quante persone si interessassero in quel modo alla salute della madre.
Per fortuna i vari esami a cui doveva essere sottoposta assorbirono completamente l'attenzione dell'anziana, in modo che le due ore successive trascorsero abbastanza velocemente. Il professore supervisionava i suoi assistenti e ogni tanto controllava il fascicolo, vecchio di un anno, che documentava la cataratta ai due occhi giudicata inoperabile, prendendo appunti a margine di un foglio. Accanto a lui Gualtieri, suo amico di vecchia data, controllava da vicino come procedevano le cose, facendo attenzione che la sua paziente non perdesse la calma perché l'aveva vista parecchio agitata e la figlia gli aveva confermato che quella notte non aveva quasi dormito. Pur non essendo un oculista, il medico di famiglia i referti li sapeva ancora leggere e anche la testa gli funzionava a dovere, per questo sapeva che i risultati gli stavano dando ragione, anche se dovette aspettare sino alla fine della seconda ora che Visconti gli dicesse a mezza voce:
«I risultati delle verifiche sono stupefacenti, non c'è spiegazione scientifica che tenga. La signora ci vede bene come un giovanotto e della doppia cataratta non c'è più alcuna traccia.»
«Te l'avevo detto che era un miracolo» gli rispose Gualtieri sussurrando.
«Ti prego di non usare quel termine che per me è privo di senso, lo sai che io non sono credente. Riconosco però che la guarigione è inspiegabile.»
«Per il momento questo mi basta. Mi serviranno comunque le copie dei referti di questi esami, l'abate mi ha detto che in futuro verrà istituita un'apposita commissione, probabilmente sarai convocato per parlare del caso.»
«Lo farò volentieri, nonostante sia un uomo di scienza riconosco i limiti della nostra materia. Ti farò avere i referti al più tardi domani e mi raccomando, teniamo la cosa segreta, non voglio scatenare una caccia alle streghe qui in ospedale.»
«Non potresti trovarmi più d'accordo, la signora non vuole alcuna pubblicità e la figlia è ancora più categorica su questo punto, inoltre l'abate si è raccomandato di evitare in questa fase qualunque speculazione che potrebbe complicare le cose. Mi chiedo solo come farai con le persone presenti oggi.»
«Il direttore amministrativo, quando ha saputo cosa volevamo fare, mi ha dato carta bianca sulla riservatezza del caso. Sia i medici che gli infermieri sanno perfettamente che se ne parlano rischiano il posto di lavoro, mi sembra un ottimo incentivo affinché tengano la bocca chiusa.»
«Hai proprio ragione» disse Gualtieri sorridendo all'amico. Poco più tardi si avvicinò all'anziana per comunicarle che gli esami erano terminati.
Solo quando seppe per certo che poteva tornare a casa la Pina riuscì a scacciare la tensione di quella mattina. Nonostante il miracolo agli occhi, continuava a ragionare da anziana ed era stato uno sforzo per lei andare in quell'ospedale, anche se la figlia era rimasta sempre al suo fianco, perché aveva paura di quel posto, un timore che derivava dal passato e che si era fatto ancora più forte ora che temeva che la sua vita stesse volgendo al termine. Ancora ricordava quando aveva dovuto accompagnare in quello stesso ospedale a fine anni settanta la madre, che allora era più giovane di quanto lei fosse adesso, perché i medici le avevano trovato per caso un brutto male che loro le avevano nascosto e la donna, senza sapere niente di quella disgrazia, si era tenuta stretta la valigia al corpo, guardando quel posto con timore ed incertezza, quasi intuendo che non ne sarebbe più uscita viva.
L'avevano provata ad operare, aperta e richiusa, come si diceva allora, facendole credere di doverle togliere una ciste, ma il tumore era tanto esteso che non ci aveva potuto fare niente nessuno. “Aperta e richiusa” avevano detto a bassa voce ai parenti che erano andati a trovarla in una stanza spoglia con quattro letti piccoli piccoli, come fosse già morta, ma era sopravvissuta ancora un mese e in tutto quel tempo chissà cosa doveva avere pensato. La Pina ultimamente, riflettendo sul passato, si chiedeva spesso se la madre aveva capito quello che le stava succedendo o forse non aveva voluto sapere e alla fine non era più importato.
Mentre stavano aspettando in sala d'attesa l'ambulanza che era appena stata chiamata, vide che Gualtieri si era fermato a parlare in disparte con l'Alessandra. Il professore e gli altri medici le avevano già salutate calorosamente tornando alle loro occupazioni e lei non voleva più avere a che fare con nessuno, desiderava solo tornare al più presto nella sua casa. Dopo qualche minuto la figlia le si avvicinò e le disse:
«Sei contenta che è finita?»
«Certamente. Con tutti i loro esami mi hanno fatto pure perdere il pranzo.»
«Per quello non c'è proprio nessun problema, stamattina prima di andare ho preparato un arrostino farcito che è una bellezza e ci basterà cuocerlo per una quarantina di minuti, oppure se non ti va di mangiarlo a quest'ora, appena torniamo ti faccio un bel panino con dentro quello che preferisci.»
«Ce l'abbiamo la mortadella?»
«L'ho presa ieri e ormai va mangiata.»
«Non preoccuparti che non arriva a stasera. Cosa ti stava dicendo Gualtieri?»
«Mi ha detto che gli esami vanno molto bene e basteranno quelli per la cosa che sai, tu non ti devi più muovere. Sono rimasti tutti colpiti dal fatto che ora ci vedi bene.»
«Se fosse stato per loro sarei ancora mezza cieca, sono un branco di incapaci che non si sa come abbiano fatto a prendere una laurea, se poi ce l'hanno davvero» disse la Pina ricordandosi di come l'avevano trattata l'anno prima.
«Si, ma tu non devi parlare così, perché alla fine sei stata fortunata.»
«Dì pure miracolata, che è il termine esatto, ma purtroppo per il carattere nessuno ci può fare niente e rimango una vecchia brontolona.»
«Lo sai che non è vero, hai i tuoi buoni motivi per lamentarti.»
«Sei tu che sei una brava figliola, il mio scricciolo come ti chiamo da quando eri bambina, per fortuna che ho te» disse l'anziana allungando la mano per fare una carezza all'Alessandra.
Rimasero così per un lungo momento, poi la figlia riprese a chiacchierare, tanto per distrarre la Pina dall'attesa dell'ambulanza.
«Gualtieri mi ha anche parlato dei due religiosi che sono arrivati al monastero.»
«Quelli che ieri hanno fatto spettegolare tutto il paese?»
«Proprio loro, pare che alloggino nella foresteria, dove stanno gli ospiti esterni.»
«Ma perché sono venuti?»
«Lui dice che li ha mandati il vescovo per fare una prima indagine su quanto è accaduto.»
«Ma piange ancora?» chiese la Pina con voce incerta.
«Non credo, però Gualtieri mi ha chiesto una cosa» disse l'Alessandra titubante.
«Di cosa si tratta?»
«Stamattina gli ha telefonato il religioso più anziano, pare sia un gesuita. È una persona molto importante che gode della piena fiducia del vescovo e gli ha detto che vorrebbe un colloquio con te.»
«Ancora? Ma non l'hanno capita che voglio essere lasciata in pace?» disse l'anziana cominciando ad alterarsi.
«Non irritarti che loro lo sanno.»
«Allora cosa vogliono?»
«Si tratta del sogno che hai fatto della Madonna, quello che hai riferito all'abate quando ci è venuto in casa.»
L'anziana prese a guardare la figlia con aria interrogativa, non capiva quale fosse il punto della questione, per questo l'altra si affrettò ad aggiungere:
«L'abate l'ha ascoltato in confessione e non può dirlo ad anima viva, ma il religioso appena arrivato vorrebbe conoscerne il contenuto.»
«Per quale motivo?»
«Gualtieri non lo sa, ma ipotizza che sia in qualche modo importante.»
«Dunque l'abate non ha fatto niente al riguardo» disse la Pina dopo averci riflettuto per qualche minuto.
«Cosa avrebbe dovuto fare?»
«Non lo so di preciso, ma il sogno era un messaggio, di questo ne sono sicura. Fai venire qua Gualtieri che me la sbrigo io con lui.»
Durante tutta quella conversazione il medico era rimasto in disparte, ma non appena l'Alessandra gli fece cenno di avvicinarsi non se lo fece ripetere due volte. Era in apprensione da quella mattina per la telefonata che aveva ricevuto da padre Thomas, appena era terminata aveva subito contattato l'abate per avere una conferma di come doveva muoversi e quello gli aveva dato carta bianca. A dire la verità Bernardo gli era sembrato molto preoccupato, anche se quando gli aveva chiesto se ci fosse qualche problema aveva negato vigorosamente. Ora la palla passava nelle mani dell'anziana paziente, per questo le andò vicino aspettando che lei gli parlasse.
«Dottor Gualtieri» esordì la donna scandendo le parole come faceva sempre quando voleva essere capita perfettamente da subito «cos'è questa storia del gesuita?»
Il medico guardò la figlia in cerca di un'alleata, ma l'Alessandra non voleva averci a che fare con quella storia, aspettava che decidesse la madre, a lei sarebbe andato bene comunque.
«Signora non è mia intenzione agitarla, ma conosco l'abate Bernardo da tanto tempo e mi è parso preoccupato» disse allora con fare mortificato, cercando di mantenere il tono della voce basso, anche se nei paraggi non c'era nessuno.
«Questo lo so, ma è proprio necessario farmi venire di nuovo per casa un altro di quei pinguini?» disse la Pina che quando era in buona chiamava così gli uomini di chiesa.
«Ma signora...» ribatté Gualtieri sorridendo perché aveva appena capito che l'anziana non era di cattivo umore e ci si poteva parlare, infatti lei gli rispose:
«Va bene, me lo porti domani il gesuita, ma che sia una cosa veloce.»
«A che ora potrebbe andare bene?»
«Alle undici, dopo colazione. Però mi deve togliere una curiosità, ieri non sono mica arrivati in due al monastero?»
«Certamente» disse il medico. «Si tratta di padre Thomas e del suo assistente, un ragazzo giovane anche lui di origine tedesca, ma parlano bene l'italiano.»
«Se vuole gli dica di portare pure lui, che un po' di gioventù non guasta per noi vecchi che siamo ormai con un piede nella tomba.»
«Lo sa che non deve dire queste cose, ha solo settantacinque anni e con gli esami che si ritrova potrà vivere altri vent'anni.»
«Dio mi scampi dal sopravvivere tanto a lungo, chiedo solo quando sarà il momento di addormentarmi in pace, senza provare dolore, però siamo nelle Sue mani anche per quello.»
Gualtieri stava per rispondere qualcosa, ma in quel momento arrivarono gli ausiliari che dovevano riportare le due donne a casa e non gli restò che un saluto veloce e l'assicurazione che l'indomani avrebbe accompagnato i due religiosi all'ora stabilita.
«Sei sicura di avere fatto bene ad acconsentire?» chiese la figlia non appena furono nell'ambulanza.
«Si, sono certa che è importante» disse la Pina preparandosi ad un ritorno tormentato come era stata l'andata, ma per fortuna quelli che erano venuti a prenderle non erano gli stessi della mattina e l'autista partì dolcemente proseguendo il viaggio in maniera tranquilla, dando così il tempo all'anziana di raccontare ai due uomini che l'avevano aiutata ad accomodarsi di dietro quanto era stata male quella mattina con il mezzo che sfrecciava lungo i tornanti facendole venire su la colazione.
«Alla guida deve esserci stato il Carletto» disse uno scoppiando a ridere e l'altro gli diede manforte aggiungendo: «quello crede di essere su di un circuito di formula 1 e di pilotare una Ferrari, invece di un'ambulanza. Ho sentito che una volta, da tanto andava forte, gli si è aperto il portellone di dietro e fortuna che la barella non è volata fuori.»
Poi cominciarono a parlare del più e del meno, coinvolgendo nei loro discorsi anche l'anziana a cui ogni tanto faceva piacere conversare con qualcuno che non conosceva, perché amava ascoltare i pettegolezzi detti senza metterci malizia che la facevano sentire meno sola, dandole un'idea di come viveva la gente là fuori.
Una mezz'ora dopo erano a Rocca e anche se l'Alessandra voleva lasciarli andare via subito e spingere da sola la madre lungo la strada fino a casa, il più robusto disse che non si poteva fare e l'avrebbe accompagnata pure lui, così da accertarsi che arrivasse sana e salva. Erano le tre di pomeriggio quando entrarono nell'ingresso della loro abitazione, di nuovo sole, e allora la Pina poté finalmente andare in bagno perché in ospedale non aveva voluto, dicendo che non si fidava della pulizia del locale anche se era tutto lustro come l'Alessandra non aveva mai visto un bagno pubblico, forse perché ci avevano fatto attenzione anche a quel particolare, per fare una bella figura in quell'occasione, ma l'anziana, ostinata com'era, aveva preferito tenersela tutto il tempo e fortuna che non soffriva di cistite.
Una decina di minuti e si erano già cambiate d'abito, poi la figlia iniziò a preparare quei panini con la mortadella e un velo di maionese che la madre amava tanto, fatti con un bel pane morbido che non le irritasse le gengive visto che ormai era mezza sdentata. Stava finendo di metterli sul vassoio, aggiungendovi anche un bicchiere di aranciata che la Pina si era davvero meritata quel giorno, e intanto pensava a come fossero state fortunate ad avere quella grazia che permetteva loro di condividere ancora dei bei momenti, invece dei giorni bui che avevano vissuto negli ultimi mesi. La madre aveva cominciato a guardare la televisione, tanto per ingannare il tempo, anche se a quell'ora non c'era niente di decente e per questo continuava a cambiare canale, quando sentirono suonare alla porta, una prima volta e poi dopo pochi istanti una seconda volta ancora più forte.
«Non rispondere» disse l'anziana perentoria.
«Non me lo sogno nemmeno, chiunque sia può solo essere uno scocciatore, non è nessuna delle nostre vicine perché abbiamo fatto dire che ce ne siamo andate per un periodo e la Giovanna telefona sempre prima di venire.»
«Chi potrà mai essere?» chiese la Pina abbassando il volume della televisione con il telecomando che teneva sempre vicino.
«Come faccio a saperlo?» disse l'Alessandra avvicinandosi alla porta d'ingresso.
«Te l'avevo detto di fare mettere uno spioncino.»
«Se ti ricordi, appena ci siamo trasferite ci eravamo informate da quel tipo di Pieve che tu conoscevi, ma voleva uno sproposito di soldi solo per venire a vedere di che legno abbiamo la porta, inoltre non era nemmeno sicuro di potere riuscire con i suoi strumenti, facendo questi lavori alla buona.»
«Però magari qualcuno qui a Rocca lo si poteva trovare.»
«Lo sai che ho provato a chiedere, ma non ci voleva mettere le mani nessuno.»
«La verità è che sono tutti degli sfaticati che per muoversi bisogna riempirli d'oro.»
«Adesso non agitarti, che ormai se ne è già andato» disse la figlia riferendosi a quello che aveva suonato, ma subito dopo chiunque fosse dall'altra parte, forse perché l'aveva sentita, cominciò a bussare talmente forte che la porta sembrò ondeggiare sotto ai suoi colpi. Fu solo un momento, però l'Alessandra si prese una discreta paura e allora urlò con tutta la voce che aveva in corpo che avrebbe chiamato i carabinieri e infatti aveva già estratto il cellulare dalla tasca dei jeans quando il rumore cessò all'improvviso e si sentirono dei passi come di qualcuno che si stata allontanando.
«Madonna Santissima, ma cosa succede?» chiese la Pina con il viso che aveva perso colore, terrorizzata a morte da tutto quel rumore.
«Non c'è motivo di spaventarsi» le disse l'Alessandra andandole vicino. «Deve essere stato qualche ubriacone che ha scambiato la nostra porta di casa per la sua e si è alterato non riuscendo ad entrare» rispose la figlia sperando che quella fosse la spiegazione. «Adesso mangiamo che i panini sono pronti.»
Si misero quindi a mangiare di buona lena, guardando un programma di canzoni in replica su di un'emittente privata che di solito ospitava cantanti melodici o gruppi che facevano liscio in giro per tutta Italia e la Pina si tranquillizzò ascoltando la musica della sua giovinezza che tanto amava, dimenticandolo completamente quell'episodio.
La figlia invece rimaneva in allerta e avesse potuto osservare di fuori in strada, quando quel tale aveva prima suonato e poi bussato in quel modo, avrebbe visto che non si trattava di qualcuno che aveva alzato troppo il gomito, ma di un vecchio alto e magro, vestito di scuro, con i capelli bianchi lasciati lunghi e un viso solcato di rughe da cui emergeva un naso aquilino che avrebbe reso il suo aspetto severo se non fossero stati gli occhi, sconvolti e pieni d'odio, a rivelarne la pazzia. Prima di andarsene il vecchio sputò più volte contro la porta e poi, come se niente fosse, riprese a camminare in salita in direzione del monastero, fermandosi ogni tanto a sogghignare e a parlare da solo, ma a quell'ora non c'era quasi nessuno in giro per strada, per questo lo spettacolo passò inosservato alla gente del paese.
Solo più tardi, quando la madre aveva già mangiato i suoi panini e riposava sul divano, cosa che ultimamente faceva spesso perché le creava angoscia andare a dormire di giorno nella sua stanza dov'era da sola, l'Alessandra si chiuse in bagno e telefonò a Gualtieri spiegandogli quello che era successo.
«Non ha proprio visto chi era?» le chiese lui allarmato da quell'episodio così strano.
«Le ho detto che non abbiamo lo spioncino e non mi sono certo azzardata ad aprire.»
«Ha fatto bene, poteva essere pericoloso, ma la persona là fuori ha detto qualcosa?» domandò il medico tamburellando con la matita sul tavolo dell'ambulatorio dove si trovava per visitare i pazienti, ma un attimo per l'Alessandra lo trovava sempre, anche prima che succedesse quella cosa alla madre nella cappella. Non si era mai sposato e quella ragazza gli era piaciuta da subito, anche se non era mai stato più che galante, essendoci vent'anni di differenza che li separavano.
«Niente, ha solo suonato e poi bussato in quel modo da fuori di testa, sono io che gli ho urlato.»
«Adesso sto visitando e ne ho fino alle sette, vuole che passi più tardi?» disse lui speranzoso.
«Per carità, se mia madre la rivede oggi poi va a rotoli l'appuntamento di domattina. Volevo solo un consiglio, sapere se secondo lei dovrei avvertire subito i carabinieri.»
Gualtieri si mise a pensare per un istante e poi le rispose: «È stato solo un episodio, aspettiamo di vedere che non si ripeta, al massimo li può avvertire anche domani. Se però succede qualcosa stanotte li chiami subito e poi mi avverta a qualunque ora, mi raccomando.»
«Va bene, allora facciamo così» disse la donna chiudendo la conversazione. Le era rimasta una strana sensazione di pericolo che non avrebbe saputo spiegare, ma non voleva dare troppa importanza alla cosa, soprattutto per via della madre che si agitava con niente e aveva bisogno di riposo assoluto.
Uscì dal bagno e vide che stava ancora dormendo tranquilla sul divano, sotto una coperta imbottita che le faceva caldo durante la mezza stagione. Si fece coraggio e andò verso la porta d'ingresso, l'aprì cercando di non fare rumore, inconsapevole di cosa stava realmente cercando. La via era sgombra, non che di solito ci fosse molto movimento, soprattutto in inverno, ma di lì a qualche settimana il grosso dei turisti avrebbe preso possesso per qualche mese di Rocca, girandone i vicoli a tutte le ore, soprattutto durante le calde serate estive, quando anche le donne più anziane che abitavano nelle case vicine si mettevano fuori dall'uscio di casa su sedie di paglia e chiacchieravano tra loro fino a tardi.
Stava per rientrare quando vide qualcosa di strano sull'esterno della porta. In basso il legno pareva corroso in più punti, come se vi fosse stato buttato dell'acido, fece per toccarlo con la mano, ma poi la ritirò spaventata. Più in alto, a mezza altezza, erano invece presenti dei graffi, ma dovevano essere stati fatti con una specie d'uncino, tanto erano profondi. Chiunque avesse provato a farsi aprire aveva fatto un bel danno, decise di non dirlo alla madre, ma si ripromise di farne denuncia non appena quella storia fosse finita, anche se magari non sarebbe servito a niente. Richiudendo la porta a doppia mandata, lasciando la chiave inserita all'interno, decise che quella notte avrebbe dormito sul divano dove ora stava riposando la madre, in quel modo avrebbe potuto avvertire anche il minimo rumore di fuori e nel caso agire più velocemente.