Al bar da quella mattina non si parlava d'altro perché l'arrivo dei due religiosi diretti al monastero aveva destabilizzato ulteriormente gli animi facendo temere di nuovo il peggio.

«Sei sicuro che erano due preti?» chiese Raimondo, uno dei figli del Lavezzi, che era appena entrato nel locale avvicinandosi subito al bancone per farsi servire un bicchiere con del vino rosso, di quello economico che l'oste prendeva da una fiaschetta ricoperta a metà di tela ruvida e che teneva separata dagli altri liquori per riservarla solo a chi conosceva, visto che i soliti avventori non gli facevano mai storie sulla provenienza del vino, a patto che costasse poco.

«Con tutti i monaci che girano qui attorno con quelle specie di tonache credi che io non sappia distinguere un prete vestito in pantaloni e giacca?» gli rispose il Ginetto mentre intascava l'euro che costava il bicchiere di vino perché chi beveva al bancone sapeva che doveva pagare subito quello che consumava.

«Ma cosa vi hanno detto?» continuò l'altro dopo avere bevuto d'un fiato il suo vino.

«Hanno solo chiesto come si arrivasse al monastero. Mio figlio Marcello» disse indicando un ragazzo che stava spazzando svogliatamente il pavimento con una scopa di saggina mezza rotta «che non è ancora tanto scantato si è offerto di accompagnarli e fortuna che poi il più vecchio gli ha dato una mancia, altrimenti vedevi che bella pedata nel sedere si prendeva una volta che è tornato.»

«Vediamo se indovino, adesso quei soldi sono nelle tue tasche» disse un vecchio seduto ad un tavolino con altri due anziani e tutti si misero a ridere perché sapevano quanto il Ginetto fosse tirato.

«E c'hai ragione» rispose l'oste «però era denaro che mi spettava, visto che il ragazzo è stato via dal bar più di mezz'ora, ma poi lo stipendio lo vuole intero tutti i mesi» mentre il figlio lo guardava torvo, perché con quella mancia ci si poteva comprare le sigarette per tutta la settimana e aveva ragione il padre a dire che era poco sveglio, altrimenti non gli avrebbe detto niente di quel piccolo regalo che aveva ricevuto.

«Insomma si sa cosa sono venuti a fare o non hanno detto proprio niente?» chiese di nuovo il Raimondo facendo segno che gli versasse un nuovo bicchiere e tirando fuori un altro euro dal taschino dei jeans.

«Qui hanno solo domandato come arrivare al monastero, non si sono fermati a prendere niente e mio figlio dice che non gli hanno fatto nessuna domanda lungo la strada» gli rispose il Ginetto e il ragazzo assentì a quelle parole, allora il Raimondo bevve il contenuto del bicchiere di nuovo d'un sorso.

«Stai attento che a forza di bicchieri di vino ti rovini il fegato e poi, se ci torni ubriaco a casa, tuo padre ti leva la pelle» disse il vecchio di prima.

Il Raimondo si girò verso il tavolino da cui proveniva la voce, con la faccia torva e sembrava pronto a prendere a pugni il vecchio tanto l'aveva irritato. Aveva i capelli lunghi e neri come la pece con un accenno di barba che pareva un gitano e con quel fisico muscoloso come un toro faceva paura un po' a tutti, a parte alle donne che ci andavano pazze per la tartaruga dei suoi addominali.

«Ti consiglio di farti gli affari tuoi» gli disse e stava per continuare, ma il Ginetto che aveva l'occhio lungo per queste cose gli spinse indietro la moneta dicendo:

«Lascialo stare, che lo vedi è un povero scemo, questi te li offro io, alla tua salute» riempiendogli di nuovo il bicchiere fino all'orlo.

Dopo un momento il Raimondo si rigirò e disse: «Va bene, mi faccio quest'ultimo e vado di corsa. Sono venuto per prendere la carne che ci ha preparato il Tonino, abbiamo già degli ospiti e nei prossimi giorni ne aspettiamo degli altri.»

«Chiedono niente del monastero?»

«Per fortuna ancora no, ma noi non staremo certo a spettegolare come delle comari, neanche la Silvia ci vuole perdere tempo con questa cosa» disse riferendosi alla nuova moglie del padre che nell'agriturismo faceva un po' di tutto, dalla cameriera alla cuoca e assumeva due ragazze del posto, perché l'aiutassero, solo in luglio ed agosto, i mesi in cui erano al completo.

«Certo che la Madonna poteva metterci un po' più d'impegno che fare la grazia ad una vecchia, con tutti i bambini che soffrono» disse il Marcello mettendo via la scopa con cui aveva pulito il pavimento.

«E questa da dove ti esce?» chiese il Ginetto sorpreso che il figlio esprimesse un'opinione. «Adesso deve chiedere il tuo permesso per fare del bene?»

«Certo che no» rispose il figlio con la voce meno decisa «ma lo dicono tutti che è stato uno spreco.»

«Io non l'avevo ancora sentito e non azzardarti a ripeterlo mai più davanti a me, fortuna che non ti ha sentito tua madre, devota com'è alla Madonna» gli disse il padre facendosi il segno della croce.

«Allora io vado, vedo che anche tu hai le tue belle gatte da pelare» disse il Lavezzi salutando i presenti con un rapido gesto della mano e dirigendosi subito dopo verso il macellaio mentre dentro al bar ancora tirava aria di maretta per quella bella uscita del Marcello sul senso di quella grazia appena accaduta.

Era mezzogiorno e mezzo e per le strade non c'era quasi più nessuno, chi stava a Rocca si preparava a pranzare e sulle tavole imbandite di poche cose, perché non era giorno di festa e un unico piatto era sufficiente a sfamare i vecchi del paese, ancora si parlava di quel miracolo e della venuta dei due religiosi. Nessuno era stato tanto curioso da volere andare al monastero in quei giorni per vedere se la Madonna stesse ancora piangendo, in più girava voce che la cappella fosse stata chiusa e facevano bene i monaci a volere preservare la statua da occhi indiscreti, visto che era il simbolo di Rocca e la proteggeva da quando era sorta dal nulla per suo desiderio.

La gente del borgo avrebbe potuto sembrare a volte gretta e meschina, ma sotto sotto tutti si affidavano alla Santa Vergine per le prove che la vita riservava loro e oltre ad andare a messa ogni domenica si fermavano spesso in raccoglimento nella cappella perché si sentivano protetti dal suo sguardo materno. Pochi se ne andavano dal paese e quando proprio lo dovevano fare per cercare lavoro, come era stato per il Lavezzi tanti anni prima, poi pensavano solo a tornare. In casa tenevano le immagini della Madonna accanto al crocefisso, di solito erano piccoli quadretti fatti all'uncinetto dalle donne che ritraevano la Vergine in mezzo alle rose, e il 15 d'agosto c'era anche una bella processione che dal monastero portava la statua della Madonna, protetta da una teca di vetro, ma visibile a tutti i fedeli, giù per le stradine del paese fino all'ultima casa prima del parcheggio, perché tutti potessero ammirarla e poi di nuovo verso la cima, nella chiesa addobbata a festa con i fiori portati dai credenti, dove la santa messa celebrata dall'abate serviva a rinsaldare il vincolo tra il paese e la sua Santa Protettrice.

La chiesa era il fulcro della vita di Rocca, dentro alle sue mura avvenivano infatti i battesimi, i matrimoni e purtroppo anche i funerali degli appartenenti alla piccola comunità, ma il minuscolo cimitero posto a lato della chiesa era riservato solo ai religiosi, per seppellire i propri cari li si doveva portare nel cimitero posto ai piedi della rocca, in una delle poche aree pianeggianti dei dintorni. Le campane della torre che si stagliava al cielo per ricordare la fede di quegli uomini che l'avevano edificata in tempi remoti suonavano per ogni nuova nascita e per ogni nuova morte, illustrando con il loro rintocco il ciclo della vita che veniva da Dio e a Dio tornava, polvere alla polvere, così come era scritto.

Mentre gli abitanti del paese mangiavano un pasto frugale nelle loro case anche i monaci che dimoravano all'abbazia si erano riuniti per consumare il pranzo comune nel refettorio, la sala più grande di tutto l'edificio dove era presente sulla parete centrale un imponente camino in pietra che durante i mesi invernali restava sempre acceso, perché quel locale veniva utilizzato dai religiosi non solo per consumarvi i pasti, ma anche come zona comune in cui riunirsi. Sul pavimento di coccio antico erano stati posizionati tre ampi tavoli di legno, di solito i monaci ne usavano solo uno e lasciavano gli altri sia per i visitatori che avessero voluto condividere il desco con loro sia per ricordare i tempi antichi quando il numero dei religiosi presenti al monastero era ben superiore alla quindicina di ora.

Erano quasi le tredici e uno di loro era già pronto in piedi di fianco al leggio per la consueta lettura di brani della Bibbia che di solito accompagnava la condivisione del cibo, sia a pranzo che a cena. Aspettavano l'abate che si era attardato nel giardino e arrivò sbuffando per lo sforzo, sorretto da Bartolomeo che faceva del suo meglio per aiutare l'anziano. Il priore gli si avvicinò e parlando piano gli chiese:

«Gli ospiti pranzano con noi?»

«Non lo so» gli rispose Bernardo guardandosi intorno come smarrito. «Sono stati invitati, ma hanno fatto un lungo viaggio in macchina da Roma e forse preferiscono riposarsi.»

«Capisco» disse Domenico. «Allora forse li vedremo stasera a cena, tutti i confratelli sono ansiosi di incontrarli. Cosa devo fare per la cappella e gli altri luoghi che di solito teniamo chiusi ai profani?»

«Ovviamente hanno libero accesso ad ogni parte del monastero e alla chiesa» gli rispose l'abate. «Padre Thomas è stato mandato per aiutarci a dipanare questo mistero, gli dobbiamo obbedienza e riconoscenza» aggiunse l'anziano religioso.

«Certamente padre» disse il priore e accompagnò personalmente Bernardo a capo tavola dopodiché cominciarono tutti a mangiare, in assoluto silenzio come era loro consuetudine, ascoltando le parole sacre declamate da uno di loro.

Nella foresteria padre Thomas si era appena tolto di dosso la polvere del viaggio con una lunga doccia ed ora aveva lasciato la stanza da bagno al suo assistente. Mentre si rivestiva sentì provenire da fuori un canto, qualcuno stava intonando una lode al Signore espressa in un latino così preciso che non dubitò per un attimo che non si trattasse di uno dei monaci, anche se la cosa gli sembrò alquanto strana perché era più dell'una e sapeva che i religiosi si erano radunati nel refettorio per il pranzo. Non appena si fu infilato le comode scarpe che aveva portato per quel viaggio in montagna uscì nel pianerottolo per accertarsi da dove provenisse la voce e con suo massimo stupore si rese conto che nasceva dall'interno della camera posta dall'altra parte del corridoio. Rimase quindi in silenzio ad ascoltare quel bellissimo canto gregoriano fino a quando vide uscire dalla stanza di fianco un uomo che avvicinandosi gli sussurrò:

«È il vecchio Tobia, ogni tanto prende a cantare, ma non disturba mai di notte, dice che è il suo modo di rendere omaggio alla Madonna.»

L'uomo che aveva parlato era sulla quarantina, di bell'aspetto, con capelli neri folti e occhiali da vista, vestito sportivo in jeans e camicia. A lui si aggiunse subito dopo una donna appena più giovane, minuta, che portava una gonna fino al ginocchio e sopra un golf di cotone screziato.

«Questa è mia moglie Anna e io sono Giorgio Anselmi» si presentò l'uomo stringendo la mano a padre Thomas proprio mentre il canto del vecchio Tobia finiva.

«Padre Thomas» disse il religioso «sono venuto con il mio assistente Andreas.»

«Noi stavamo andando giù in cucina a prepararci qualcosa per pranzo, ci fate compagnia?»

«Vi ringrazio dell'invito, ma abbiamo altre faccende da sbrigare.»

«Siete qui per quello che è successo?» chiese allora il marito con fare complice.

«A cosa si riferisce?» chiese Thomas.

«I monaci ci hanno detto tutto del pianto» rispose l'altro. «Veniamo qui in ritiro spirituale ormai da parecchio tempo e abbiamo imparato a conoscerli. Quello che è successo domenica è davvero stupefacente» disse evitando di usare la parola “miracolo” di proposito proprio perché non voleva sembrare troppo infervorato agli occhi del religioso, ma la moglie dietro di lui aggiunse subito:

«È il primo miracolo a cui assistiamo o meglio a cui quasi assistiamo» disse correggendosi immediatamente «perché noi in cappella non c'eravamo, a quell'ora stavamo dormendo, ma d'altronde nemmeno Tobia che invece era presente si è accorto di niente.»

«Posso solo dirvi che sono cose non provate di cui non dovrete parlare con nessuno, proprio perché non sono ancora state appurate» disse Thomas ai due coniugi che assentirono subito come se fosse chiaro che da loro non sarebbe uscita una parola al riguardo. Il gesuita si ritirò subito dopo nella sua stanza chiedendosi perché i monaci avessero rivelato una faccenda tanto delicata a dei laici, si appuntò che avrebbe dovuto parlarne urgentemente con l'abate Bernardo.

Andreas si era seduto sul suo letto, quello vicino alla porta e stava finendo di prepararsi quando Thomas rientrò.

«Ho sentito cantare una lode alla Madonna, è uno dei monaci?» chiese incuriosito.

«Anch'io sono stato tratto in inganno dalla precisione della voce, ma si tratta di quello che tutti chiamano il vecchio Tobia, l'ospite che alloggia nella stanza qui di fronte» gli rispose Thomas.

«Mi sembra impossibile che sia un laico.»

«Infatti io non ho detto questo, può darsi che si tratti di un ex religioso. Se avrò occasione di parlargli glielo chiederò.»

«Gli altri ospiti chi sono?» chiese il giovane che aveva sentito parlare il suo superiore con qualcuno lì fuori.

«Sono due coniugi e sanno del miracolo, l'uomo me ne ha parlato subito e la cosa mi preoccupa.»

«Ma come possono...?»

«Pare che qualche monaco abbia la lingua lunga, non ho potuto farmi dire chi fosse, ma non credo che sia più d'uno. Dovrò parlarne all'abate.»

«Adesso cosa facciamo?»

«Abbiamo appena perso il pranzo al monastero, ma quello viene consumato in silenzio, come la loro regola impone e non avremmo certo potuto fare conversazione. Ci faremo una bella passeggiata verso il paese, il bar dove questa mattina abbiamo chiesto informazioni ci potrà agevolmente fornire cibo e bevande, poi faremo il punto della situazione.»

«Non vuole prima vedere la statua della Madonna?»

«La statua è al sicuro nella cappella, la visiteremo più tardi, per ora preferisco farmi un'idea del paese e anche dell'abbazia. Mi sono sembrati tutti un po' troppo nervosi, può darsi che sia per quello che è successo, ma è meglio accertarci di chi ci troviamo di fronte prima di procedere.»

«Teme un intervento del maligno?» gli chiese Andreas che in quell'anno in cui era stato a fianco del gesuita svolgendo per lui il ruolo di segretario lo aveva visto combattere in un paio di occasioni contro qualcosa d'invisibile eppure di così reale, una volta che era stato svelato, che anche solo il ricordo gli metteva paura.

«Non ho avuto ancora alcun sentore al riguardo, ma siamo appena arrivati» disse il religioso mettendosi il portafogli nella tasca posteriore dei pantaloni e badando di avere con sé il cellulare il cui numero era riservato a pochi prelati che di solito si rivolgevano a lui solo in caso di estrema emergenza, mentre i suoi studenti del corso di teologia sapevano che per parlargli fuori dagli orari dedicati alle lezioni dovevano aspettare il martedì, giorno che di solito riservava alle consulenze accademiche.

Quella mattina sulla porta del suo ufficio nell'Università Pontificia sarebbe invece apparso un cartello che informava del fatto che il professor Thomas Beckler si sarebbe assentato per una settimana da Roma e quindi sia le lezioni che gli incontri con gli studenti erano sospesi. Un po' gli dispiaceva perché i corsi sarebbero terminati a fine maggio e stava seguendo diverse tesi, ma non aveva potuto rifiutare quel piacere al vescovo Marini, un amico di vecchia data.

Mentre scendevano a piedi verso il paese si fermarono per un momento ad ammirare la vista che si godeva da quell'altezza, con i boschi che ricoprivano i monti e la vallata più in basso, dove c'erano strade e un brulicare di vita di esseri umani ed animali, ad iniziare dalle fattorie isolate e poi quasi al centro il grosso paese le cui case arrivavano fino a lambire i bordi delle montagne.

«Sembra un paesaggio incantato» disse Andreas che aveva sempre vissuto in città a Monaco dove era entrato in seminario da giovanissimo e dove aveva incontrato il suo professore che l'anno prima aveva seguito fino a Roma, laureandosi in teologia sotto la sua guida.

«Preferiresti vivere qui piuttosto che in una grande metropoli?» gli chiese Thomas che non aveva ancora capito quali fossero le intenzioni del giovane e come volesse continuare la sua strada all'interno della Chiesa, anche se per ora sembrava accontentarsi di stare al suo fianco facendogli da segretario.

«Cosa potrei fare?» chiese Andreas stupito da quella domanda.

«In questi paesi di montagna mancano spesso i parroci. Non ti vedresti alla guida di una di queste chiese?»

«Non credo che ne sarei all'altezza» rispose il ragazzo che in realtà temeva di non essere adatto alla vita sacerdotale e nemmeno troppo dotato per continuare gli studi teologici, per questo apprezzava enormemente il fatto che dopo la laurea padre Thomas l'avesse tenuto con sé.

«Sei molto giovane, hai tempo per decidere del tuo futuro, io alla tua età lavoravo ancora in miniera e non conoscevo una parola di latino, poi come sai il Signore mi ha chiamato» disse Thomas riprendendo la discesa.

Il gesuita proveniva da una modesta famiglia di minatori e fino a vent'anni, nonostante un diploma in ragioneria preso quasi esclusivamente per fare piacere alla madre, non aveva mai pensato di potere cambiare drasticamente la sua vita, anzi aveva sempre temuto che alla fine sarebbe andato a lavorare nella miniera di carbone in cui era diventato vecchio suo nonno e dove ora lavorava il padre con il fratello maggiore. Erano gli anni settanta e l'ondata delle contestazioni giovanili era passata sulla Baviera senza lasciare grandi tracce se non forse nel mondo universitario, ma le persone comuni dovevano ancora faticare per vivere e in molti non riuscivano a mantenere i figli agli studi. Per questo Thomas dopo avere timidamente provato a fare valere il suo diploma di ragioniere si era rassegnato a fare il minatore ed erano stati due anni molto impegnativi che avevano messo a dura prova il suo fisico in apparenza non altrettanto allenato come quello dei suoi congiunti.

Era però stato in un freddo mattino di fine settembre che il destino gli si era rivelato con tutta la sua forza quando a fine turno c'era stato un crollo parziale di una galleria che aveva impedito a lui e ad altri cinque uomini di tornare in superficie per un'intera settimana. Alla fine li avevano salvati facendoli uscire uno ad uno da un pertugio che avevano scavato i loro compagni nel muro di detriti che si era creato tra loro e la salvezza, malconci e disidratati, su delle barelle rudimentali e molti avevano pianto di gioia di fronte a quella specie di miracolo.

Thomas non aveva mai rivelato ad anima viva, se non molto più tardi al suo confessore, cosa fosse successo in quei giorni di buio, con un'unica lampada tenuta al minimo e la polvere dei detriti nella gola riarsa tanto che quasi non riusciva a respirare, ma quando era uscito non era più lo stesso. Se ne era accorta la madre guardandolo negli occhi quel giorno, nel cortile della miniera che pullulava di mogli, madri e bambini, per questo non si era stupita quando poco dopo aveva lasciato la casa per entrare in seminario, nonostante fino ad allora non fosse mai stato religioso. Da quel momento aveva dedicato la sua vita allo studio e alla preghiera, con lunghe ore ogni giorno passate sui libri, sia sacri che profani, per cercare di capire il senso del mondo e avvicinarsi di nuovo al Signore che nella sua testa sarebbe sempre stato quella presenza viva e tangibile che in quei giorni nella miniera gli si era affiancato dicendogli l'unica frase che poteva salvarlo: “Io sono con te”.

«Cosa spera di scoprire in questo paese?» gli domandò Andreas non appena furono vicini alle prime case.

«A te che impressione hanno fatto questa mattina?»

«Non credo gli abbia fatto molto piacere vederci arrivare, anche se non ne capisco il motivo.»

«Gli abitanti di questi piccoli paesi di solito non sono molto ospitali, temono le novità, eppure non sono cattivi, bisogna solo dar loro il tempo di abituarsi alla nostra presenza.»

«Ma non resteremo più di qualche giorno» obiettò il giovane.

«Allora speriamo che basti» disse il gesuita sorridendo.

Erano arrivati alla piazza che era quasi deserta per via dell'ora ed entrarono senza indugio nel bar dove erano rimasti solo dei vecchi che giocavano a carte in un tavolo sul fondo del locale.

«Vorremmo mangiare qualcosa» disse Thomas al Ginetto che, uscendo dal retro bottega, si trovò davanti al bancone i due religiosi senza che nessuno l'avesse prima avvertito e quasi gli prese un colpo mentre gli anziani ridevano tra loro.

«Cosa posso servirvi?» disse non appena si fu ripreso.

«Per me un panino col salame, se ce l'ha ci metta dentro anche un po' di maionese e una birra fredda» rispose il gesuita.

«Io prendo lo stesso» aggiunse il giovane che lo accompagnava.

«Vi sedete dentro o fuori?» chiese allora l'oste.

«Fuori, è una bella giornata di sole e ci godremo la vista della piazza» disse Thomas e mentre i due religiosi si accomodavano il Ginetto cominciò a tagliare il pane e il salame facendo segno ai vecchi che per una buona volta la smettessero di fare chiasso.

«Pensa che sappiano cosa è accaduto?» gli chiese il suo segretario una volta che si furono seduti all'aperto.

«Scommetterei di si, sono tutti troppo nervosi, ma non credo sia il caso di fare domande, probabilmente non ci risponderebbero nemmeno.»

«Su questo ha ragione, quando vogliono sono sordi come muli» gli disse un uomo che mentre stava entrando nel locale aveva udito per caso quella conversazione e non era riuscito a non impicciarsi.

«Lei sa di cosa stiamo parlando?» gli chiese Thomas guardandolo dal basso con una mano sollevata sugli occhi a protezione dal sole.

«Certamente, in paese non si parla d'altro da giorni.»

«Se vuole accomodarsi le offriamo volentieri una birra» disse il gesuita indicando una sedia che l'altro soppesò per un breve istante prima di rispondere:

«Volentieri. Al Ginetto gli prenderà un colpo quando mi troverà qui fuori con voi, ma tanto oggi non ho niente da fare e venivo per ascoltare le solite chiacchiere.»

«Io sono padre Thomas e lui è Andreas» si presentò il gesuita.

«Mi chiamo Peppino e sono lieto di fare la vostra conoscenza» disse l'altro porgendo la mano al più anziano.

Come aveva detto, non appena l'oste uscì per portare le birre e i panini e lo vide insieme ai due religiosi gli prese un mezzo colpo, anche se cercò di fare finta di niente mettendo tutte le cose ordinatamente sul tavolino.

«Ci porti anche un'altra birra per il signore» gli disse Thomas e quello dovette rientrare per poi tornare a denti stretti portando un'altra birra che mise proprio davanti al Peppino mentre nella sua testa gli augurava di strozzarcisi bevendola, se aveva intenzione di parlare delle loro faccende.

«Ha visto come mi guardava?» disse il Peppino ridendo. «Posso solo immaginare cosa stava pensando.»

«Ma perché si comportano tutti in quel modo?» chiese Andreas con un candore che ispirava tenerezza, tanto veniva dal cuore.

«Qui siamo molto gelosi delle nostre cose, alcuni anche delle idee che gli passano per la testa, per quel poco che possono valere, e con quello che è successo prima al monastero e poi all'anziana hanno quasi tutti paura che la notizia si sparga e il paese venga invaso da dei pellegrini molesti.»

«Allora è per questo» disse Thomas cominciando a sorseggiare la sua birra dopo avere dato un grosso morso al suo panino. «Wunderbar!» gli scappò detto nella sua lingua nativa.

«Il panino con il salame è davvero buono» confermò il ragazzo.

«È nostrano» disse l'uomo sorridendo a quegli stranieri che come al solito provando la cucina emiliana si meravigliavano di tanta bontà.

«Le faranno storie perché si è fermato?» gli chiese improvvisamente Thomas cambiando argomento.

«Sono grosso e vaccinato, nessuno può darmi fastidio» lo rassicurò il Peppino. «Al massimo là dentro saranno curiosi di sapere cosa ci siamo detti.»

«Vorrebbero sapere perché siamo qui?»

«Certamente, è da stamattina che ci sbattono la testa.»

«Non pensavo che avessimo suscitato tanto interesse» disse Thomas sinceramente sorpreso.

«Qui siamo abituati ai monaci, li vediamo quasi ogni giorno scendere in paese, oppure a messa la domenica, ma un prete erano anni che non si vedeva.»

«Lei cosa ne pensa dei monaci?» gli domandò allora Thomas stupendosi delle sue stesse parole, una volta che le ebbe pronunciate, ma a volte gli succedeva che la mente seguisse un suo percorso particolare che gli si svelava solo più tardi.

«Tutto il bene possibile, devo la mia vita ad uno di quei monaci» disse l'altro mentre la voce gli si incrinava per l'emozione trattenuta.

«Perché non ci racconta la sua storia? È una così bella giornata e sono sicuro che ascoltare le sue parole sarà molto istruttivo.»

Così il Peppino cominciò a parlare di quello che gli era successo più di un anno prima, all'inizio a fatica perché non ne aveva mai parlato con un religioso e aveva paura che la sua convinzione che fratello Guglielmo l'avesse salvato non venisse condivisa, ma mano a mano che raccontava la storia si sentiva più leggero, come se si stesse liberando da un peso che l'aveva oppresso fino a quel momento. Finito il racconto bevve la sua birra tutta d'un sorso e si preparò ad ascoltare quello che Thomas aveva da dire al riguardo.

«Davvero notevole. Così se fratello Guglielmo non fosse venuto con lei i freni si sarebbero rotti molto prima causando presumibilmente la sua morte.»

«È quello che penso» gli disse l'uomo guardandolo dritto negli occhi, quasi a sfidarlo di dire il contrario.

«La Provvidenza opera spesso in modo nascosto, sono sicuro che il monaco ne facesse parte» concluse il gesuita mentre il Peppino si rilassava visibilmente alle sue parole e concludeva:

«Mi dispiace solo di non averlo più rivisto, con tutte le disgrazie che mi sono successe dopo quel giorno sento che le sue parole mi avrebbero dato conforto.»

«È proprio sicuro che fratello Guglielmo se ne sia andato dal monastero?»

«Nessuno l'ha più visto in paese e quel monaco di cui le ho appena detto era stato chiaro, Guglielmo li aveva lasciati subito dopo quel viaggio a Parma.»

Thomas rimase un attimo in silenzio, dalla descrizione che gli aveva appena fatto il Peppino il monaco con cui aveva parlato doveva essere uno di quelli che ancora non avevano incontrato, ma forse non sarebbe stato difficile riconoscerlo tra gli altri. Aveva proprio voglia di chiedergli che fine avesse fatto quel loro confratello che doveva avere lasciato in fretta e furia il monastero subito dopo avere contribuito a salvare la vita di un uomo.

«Mi può dire dove l'aveva accompagnato a Parma?» chiese ancora e si appuntò l'indirizzo in un block notes che teneva sempre in tasca.

«Se viene a sapere qualcosa di Guglielmo sarebbe così gentile da riferirmelo? Anche se gli ho parlato solo una volta ho preso a considerarlo come un amico. Questo è il mio numero di casa» gli disse il Peppino scrivendogli su di un pezzo di carta il suo telefono.

«Stia tranquillo, se saprò qualcosa l'avvertirò subito» rispose il gesuita dandogli la mano e dopo essere andato a pagare si avviò con il suo assistente di nuovo lungo la piazza e poi su per la salita verso il monastero, questa volta in silenzio perché quell'incontro gli aveva dato molto da riflettere.

Solo una volta che furono di nuovo in cima, a pochi passi dal portone, disse con la voce che sembrava solo un sussurro, tanto che Andreas temette di essersela solo immaginata:

«Dobbiamo guardarci le spalle. Questo luogo nasconde più di un mistero.»