6 agosto
« Come si dice addio da queste parti? »
« Amàu » le ho risposto.
« Che significa? »
« Tutto e niente. »
Forse accadde, le ho spiegato, che un giorno due si salu tarono su un argine. Un uomo e una donna, magari. E lei, dopo essersi allontanata per un tratto, si è voltata e ha detto ancora qualcosa: il suo ultimo messaggio. Ma, a causa della distanza, a chi rimaneva non è arrivata che quella parola sen za senso. Come un avvertimento o una premonizione.
« Amàu, allora » mi ha detto Romy.
1 0 .
Anche Jean Seberg è stata la protagonista di un mio film.
Di nuovo, per alcune settimane, fummo sul Po.
« Stanno per uccidermi » mi ripeteva Jean.
Mi parlava di quanti complottavano contro di lei. Io lascol tavo e non le credevo. Pensavo a una sua mania di persecu zione. Il mio errore fu di non ritenere verosimili le mostruo sità che prospettava e che, dopo pochi anni, si sarebbero ma nifestate sulla scena dellEuropa.
« Tu mi devi credere » insisteva.
« Le ragioni. Dimmi le ragioni. »
Si chiudeva in se stessa. Perciò, aneora oggi, esse mi re 242 243
stano oscure. Jean era unanarchica. La sua anarchia spiritua le, forte come può esserlo in una donna, si era tradotta in sovversivismo contro gli assassini di Ninive. Cosl definiva lAmerica (a Ninive, si trovava un catalogo dei mostri osser vati in Assiria): CIA, Dipartimenti di Polizia, Procuratori Distrettuali, membri del Senato.
Ma anche nella sua cerchia personale, vedeva intrighi.
« Un amante dalla mente malata » affermava « non è da meno di un sicario di primo grado assoldato dai Servizi Se greti. La tecnica dellassassinio è simile. Tra gli assassini, esi ste un grande potere di alleanza. ~> Faceva oggetto di analisi il rito della propria morte. Con vinta che si sarebbe svolto esattamente come lo prevedeva.
Con una serenità che ho conosciuto in poche donne, mi spie gava che lidea di eliminarla era questione di riscatto per il sentimento di impotenza di molti, troppi mandanti. E i ne vropatici non si accontentano di uccidere; devono dare una forma scenica ai loro d~litti. Intanto, cercavano di spingerla in un vicolo cieco.
Quando seppi della sua atroce fine a Parigi, che avvenne come mi era stata descritta, ciò che provai per non averle creduto, non so esprimerlo che con la parola rimorso.
Penso a quando mi faceva entrare, furtivamente, nella sua roulotte. Le notti del fiume invitavano a scegliere una delle trattorie che si affacciavano ai ponti di chiatte; comunque ad andarsene, respirando laria dei pioppeti. Invece, finite le riprese, Jean restava chiusa. Leggeva o scriveva al tavolino del trucco: tutte accese le lampadine incastonate nello spec chio.
Dagli argini, la roulotte illuminata assomigliava a una nu be sospesa sul buio dei greti, dentro il chiasso delle rane.
Spesso, Jean riceveva visite che la troupe riteneva misteriose.
Personaggi provenienti da paesi stranieri, preferivano incon trarla lì piuttosto che in albergo e parlottavano con lei ~ino allalba
Mi apriva ripetendomi, con ironia, le parole dellappunta mento concesso da Clelia a Fabrizio nella Certosa di Parma:
« Entra, amico del mio cuore… ». Mi sedevo e cominciava a intrattenermi, per afarmi sentire bene come uomo» (era una sua espressione). Non mi voleva come amico, in realtà, ma come complice.
« Tu mi devi credere. »
E tornava a spiegarmi cosè un assassino.
Una notte, k raccontai la storia di Rosa Balestri, detta Rosellina lInfame, che ancora viveva allIsola Schiavi. Du rante la Repubblica di Salò, da ausiliaria delle Brigate Nere, era diventata un capo. Con Iris, fu la più spietata rappresen tante femminile di un regime ridotto a macabro rituale. Ma le due donne erano allopposto. Nel sadismo di Iris, agiva una degenerazione della sessualità attiva, nonché il perverso velleitarismo di una mediocre. Il caso di Rosa era più com plesso. Il suo solo modo di esistere essendo in lei tutto morto da sempre consisteva nella manipolazione della morte altrui. A sua immagine e somiglianza.
Si era inventata una divisa. Camicia nera con distintivo da braccio della Feldgendarmerie, calzoni di panno grigio con banda nera, stivaloni. Totenkopf, il teschio sulla bustina.
Cosl abbigliata, e col seguito degli scherani, faceva irruzione nella palestra dove i partigiani venivano ammucchia~i dopo la cattura. Li passava in rassegna e con rap.de occhiate sce glieva:
« Questo, sì! Questo, no! »
No significava: nessun diritto di vivere. I prescelti, in tal senso, finivano nelle camere di tortura. Erano altre donne a strappdrgli le unghie e a praticargli iniezioni di benzina. Ro sellina mandava a morte solo i giovani più belli del Po. Dan do sfogo al suo odio per la bellezza e la virilità, che non lavevano mai degnata. Si diceva che non conoscesse contatto con un uomo. Ciò aveva generato la frigidità, la frigidità Iisteria, listeria listinto del carnefice. Anche i barcari e i contadini capivano che la decimazione era la sua ars amandi.
I brutti si salvavano. Al momento della cattura, il parti giano dal corpo sgraziato provava, per la prima volta, la feli cità di essere brutto. Sapeva che sarebbe sopravvissuto. Di sua mano, Rosellina evirò col rasoio ragazzi di una giovinezza splendente. Gli scherani giravano via la testa; lei badava sol tanto a non sporcarsi la divisa e fissava i testicoli che scivo lavano a terra, tra le gambe divaricate dalle assistenti, per mezzo di corde legate alle caviglie.
«Mi richordo anchora” si dice a Po.
Ho ascoltato, da bambino, i racconti delle sue imprese.
Stavano rafligurate in tavolette di legno, simili a quelle dove i maestri antichi dipingevano gli ex voto, appese sulle porte delle case, per rinfacciare ai demoni le loro infamie. Vi do minavano gli occhi di Rosa. Prima che il rasoio calasse, il partigiano reagiva automaticamente con unerezione impres sionante, come un grido alla vita. Allora, negli occhi dellIn fame, si produceva la magia delittuosa: da grigi, si facevano neri e senza iride. Due piccole lune in eclissi.
Lei sapeva quanto sia difficile castrare un uomo. Ma co nosceva larte. Il polso ruotava da sinistra a destra e la pre cisione doveva essere micidiale. Il minimo errore impediva di recidere i legamenti con un solo colpo.
E il suo vanto era: « Un colpo. Non più di uno ».
~Teniva dal «Reparto Speciale di Polizia Repubblicana», comandato da Pietro Koch. A Villa Triste aveva appreso la tecnica delle sevizie. Koch era venuto una volta a Sermide per incontrarla, e lavevano visto condurre sottobraccio Rosellina per gli argini di Ganda.
Come due fidanzati, si raccontava.
Poi, nella piazza, Pietro aveva tenuto un discorso: « Rosa Balestri, con la vostra intelligenza e fedeltà voi onorate la Repubblica! Siamo impegnati in una lotta spietata. Avete ascoltato il Maresciallo Graziani: una lotta al coltello! Biso gna sterminare i banditi dovunque si annidino. Questione di sopravvivenza: o le loro opere o la nostra civiltà!… Perciò la repressione è anche cultura! ».
Rosellina lInfame sosteneva che, arrivata la vittoria, il salto di qualità sarebbe stato immediato: come Adolf Eich mann, di cui ammirava il linguaggio burocratico a commento delle esecuzioni capitali, confidava nel genio di ricercatori quali il dottor Josef Mengele, che si occupava degli esperi menti della ~selezione” e tentava di aprire nuovi spazi alla mente.
« Condizioneremo il penslero delluomo. Disporremo di un cervello funzionante nella sua totalità! »
Dopo la Liberazione, Rosellina non fu fucilata. La chiu sero in una cappella del cimitero di Sermide e ogni giorno, insieme al cibo, le portavano bare che contenevano i resti dei partigiani che erano stati seviziati e giustiziati per suo ordine.
Le schiodavano e le scoperchiavano. Per due mesi, lInfame fu costretta a mangiare, dormire e pensare se ancora le re stava un lume di ragione tra quei corpi divorati dai vermi.
Quando uscì dalla cappella, dimostrava cento anni. I ca pelli le erano caduti ed era di una magrezza impressionante.
Andava supplicando che qualcuno le sparasse in fronte. La relegarono, invece, in una baracca che venne chiamata Salò e le ordinarono di indossare la sua divisa di aguzzina.
La vita tornò a esploderle intorno. Dai pioppi ai gelsi, al grano alto e dorato, ai sopravvissuti. Costoro passavano, pie ni di futuro, davanti alla baracca. E agli occhi dellInfame, che un tempo avevano avuto il potere di diventare neri e senza iride, non restava che guardare come si fa lamore sugli argini o si passa cantando in bicicletta o si scala un ciliegio o si fa crescere una distesa di rose selvatiche dove non sem bra esserci che sabbia.
Jean Seberg mi chiese di incontrarla.
Entrammo nella Baracca Salò. LInfame sedeva a terra, ap pena somigliante a una i~gura umana. Benché fosse estate, stava rannicchiata sotto una coperta. Jean le si avvicinò e prese kntamente a scoprirla: si diffuse un fetore insoppor tabile.
Pendeva, dallalto, una spada da ufficiale; il cordone e la nappa erano slargati, come se Rosellina, nei suoi deliri, avesse cercato di impiccarsi a quellei~imero cappio.
Jean non tradì alcuna emozione. Si limitò a fissare un esem plare di assassino che non riusciva ancora a morire, mostran do, tra le mosche che si avventavano, come un essere vi vente può trovare uno spazio per sopravvivere dentro il pro prio sterco.
Capitolo undicesimo
Marianne, col mio aiuto, ha arredato lappartamento dove e andata a vivere con Simone. In Via dei Tre Orologi.
i~ stato semplice. Abbiamo trasferito, da casa mia, i mobili e gli oggetti della zona biedermeier. Comprese le fotografie.
Via dei Tre Orologi è tra le strade romane che preferisco: ha un suo mistero, cè molta quiete. A un passo dalla Via Flaminia come da Piazza Ungheria.
Lei finisce di sistemare, nelle camere spaziose, ciò che è suo. Io sistemo, ben diversamente, ciò che è mio. Mi sono liberato dei libri, tanto per cominciare. A che mi servono, ormai? Li ho consegnati a Porta Portese. Mi è stato offerto un prezzo.
« Non voglio niente » ho rlsposto.
Si sono fatti sospettosi. Giravano le pagine, col timore che contenessero qualche diavoleria. Hanno preteso che prendessi quei pochi soldi, per tenersi i libri. Mi sono liberato dei qua dri. Ora le pareti hanno toppe bianche. Il galleris~ta non riu sciva a capacitarsi; è stata la stessa cosa che coi venditori di Porta Portese.
« Ho capito bene? Ha detto: niente? »
« Ha capito benissimo. »
a Significa che sono falsi? »
« Sono verissimi. »
a Aspettiamo lexpertise. »
« Expertise? Ma io glieli sto regalando. »
« Abbia pazienza. E se è roba che scotta? E poi, non pos riempirmi di croste. »
« Non scotta. E non sono croste. »
Ha replicato, con una vaga minaccia: « ~ quello che ve dremo ».
Lexpertise è arrivata.
« Sono autentici » mi ha telefonato sbalordito.
« E allora? »
« Mi dica lei. »
Ho dovuto firmare numerose carte. ~ difficile anche dimo strare che sono nostre le cose di cui siamo padroni e che diamo in regalo. Il nulla fa terrore. Per quanto si siano con sultati, e mi abbiano interrogato, non hanno trovato un con I vincente perché al mio nulla. I
« Un perché » insisteva il gallerista. « Cosa le costa dar mi un perché? » 3
Mi sono liberato dei mobili. Mentre gli operai facevano sparire, lo sguardo dellantiquario correva da me a loro. Era sulle spine. Si aspettava che gli dicessi, da un momento allal tro: indietro, ho scherzato. Solo quando il mobile se ne an dava per le scale sulle spalle dei portatori, sospirava di sol lievo.
« Non cè più! » esclamava con un sorriso cretino e bat tendo le mani, come si fa coi bambini.
Gli rispondevo tranquillo: « Lo vedo ».
Le pareti apparivano nude, cPn altri pallori a nube gero I glifica, e le mani dellantiquario sfioravano le impronte la sciate qua e là.
« Toccare il nullàmi fa ribrezzo » affermava. « A lei no? »
« Un tempo. Ora non più. »
« Daltra parte, dopo che uno ha passato la vita tra i mo bili di pregio, come me, è comprensibile. Un feticista? E va bene, lo riconosco. Mi Diace Diù accarezzarmeli. ma~ari da solo, quando nessuno mi vede, che venderli. ~ come acca rezzare una donna. Anzi, meglio… Riesce a capirmi? »
« Perfettamente. »
« Ma lasci almeno che le faccia un presente! »
Nei giorni successivi, mi ha chiamato al telefono.
Tutto bene? sicuro di non soffrire di qualche fastidio?
Non so: capogiri, allucinazioni. Sono amico di medici bra vissimi.
« Stia tranquillo. »
« I mobili sono qui. Direi che ci stanno bene. Hanno già fatto amicizia con gli altri. Ma sono suoi, se li rivuole. »
Capivo che non mi telefonava solo per i mobili. Ma per ridurre, sia pure per pochi istanti, il vuoto da cui mi imma ginava circondato, di cui udiva leco nel ricevitore.
« Le auguro… »
Non ha trovato parole. Ha chiuso.
Con gli oggetti, è stato più facile. Li ho regalati al mio amico restauratore di Via dei Giubbonari. Li ho ringraziati daver parteggiato per me nelle battaglie con Marianne e, in questi tre anni, dessere stati benevoli testimoni di nefandez ze di vario genere. Ho sfiorato, per lultima volta, le scara mantiche donnine nude dei Trovatori di Po, che affondano la testa nel gomito con la grazia del daino, e lombelico di Kuan Yin.
Mi è parso che larmatura giapponese Yokohagidogusoku indugiasse sulla porta, guardandomi dal buco a squarciagola della maschera. Il mitico uccello HòHò non saluterà più, dallelmo, i miei stralunati mattini.
Così, quando il mediatore ha mandato per spa«armi la casa, gli Joachim e gli Egon non hanno trovato che il letto.
La parete è crollata.
Ci si è presentata una caverna di ombre, dove risplende vano soltanto il dito doro e un occhio che ci fissava dal fon do della crosta di terra.
A tutti i soci del Re Polacco, me compreso, batteva il cuo re. Ci sentivamo parte viva dellincantesimo. Lo ha rotto Marzio, che sembrava il meno emozionato. Ha cominciato a liberare, dallo strato che le ricopriva, le estremità inferiori della statua. Ci sono apparsi due piedi per la verità assai più piccoli di quanto si pensava. Ma abbiamo sorvolato. Ora, con Marzio, lavoravo anchio, febbrilmente.
Sono venuti alla luce i bordi di una veste sfarzosa Capi tava che un Re indossasse tuniche, manti o altri paludamenti tipo clamide.
Allaltezza del petto, due piccole gobbe.
« Pettorali di corazza! » ha esclamato con sicurezza il so cio Basilio.
Io e Marzio abbiamo affrontato la testa. Tranne locchio splendente, al fondo come di un cannocchiale, era così incro stata che non arrivava mai. Quando dal naso ha preso a dis solversi lestremo velo di polvere, è scoppiato un applauso.
Si è subito spento.
« ~ una Regina! » ho annunciato.
Ormai, avevo bruciato e catalogato tutto. Non restava che un manoscritto. Mi aveva sorpreso, trovarlo. Credevo, e forse speravo, che fosse andato perso.
Un progetto, abbozzato dieci anni prima. Quando ancora meditavo il gran libro. Lavevo intitolato Doradus.
Doradus è la più splendente nebulosa della Nube di Magel lano, la galassia prossima alla nostra. Essa contiene una a stel la impossibile» che sconvolge la scienza: più calda di ogni corpo celeste finora conosciuto, supermassiccia, di tremila mas se solari. ~ una delle grandi anomalie del cosmo.
Ero convinto, allora, che si dovesse guardare la realtà da un unico punto di vista: la fine del mondo. Per troppi secoli, la riflessione dei filosofi era partita da Dio e dalle origini del luomo. Bisognava invertire lorientamento. E la morte del sole era cominciata con la Storia stessa.
Ecco la ragione del titolo. Pensavo che Doradus esprimes se lanomalia del tempo umano: la Storia.
Che maestra, folle, contro il proprio dogma! Il suo atroce sberleffo alle nostre spalle non è mai cessato. Intendevo scri vere il gran libro sui suoi frammenti di pazzia tra le rovine del tempo, tradotti come in una geometria di cristalli: trascl nati, alla ~ne, da un vento stellare che raggiunge le più alte velocità mai osservate. In un “impossibile” astro di fuoco.
Sognare è unattività pericolosa. Lho imparato allinizio di questa vicenda. Da quando mi è accaduto, sto in guardia.
Anche ora, ero certo di avere gli occhi bene aperti. Eppure, sfogliando il manoscritto, mi sentivo spinto in uno spazio dove si cancellavano distinzioni e confini tra personaggi ed eventi, e la scena era un continuo succedersi di visioni: luna divorava laltra.
Stavo male. Era un mio collasso fisico a provocare il col lasso dei segni della logica? Stordito da un senso di beffa crudele, afferravo, nei miei appunti febbrili, quei lampi, quel brontolìo di uragani remoti, e subito vicinissimi, in cui mi sembrava di distinguere le risate che la Storia si era concessa: affollata e accecante come l aammasso» di Doradus.
…le sue follie avevano inizio con una falloforia.
Le prime raffigurazioni umane: le DonneSe$so del Trasi meno, i FalliFemmina di Sireuil e le Veneri di Lespugue o di Mar Khareistoun, i personaggi itifallici di Altamira o di Isturitz, i bassorilievi della Magdaleine o di Laussel. La teo ria si snodava lungo una collina brulla e i portatori alzavano una nube di polvere.
Nella nube si udiva la voce di San Paolo, dalla Prima epi stola ai Corinzi, che scuoteva la terra: “Non luomo è stato creato per la donna, ma la donna per luomo! “. E diradan dosi sia leco della voce, sia la polvere assorbita da un cielo di cristallo, su un crinale apparivano in solenne processione, por tando un grande Orecchio doro al posto della Croce, i Padri della Chiesa, secondo i quali la Vergine Maria avrebbe con cepito dallorecchio, anziché dal ventre, il Verbo incarnato, frutto dello Spirito Santo e non di Giuseppe, umile padre falegname.
Tutta la terra, con le sue piante e i suoi fiumi, stava ora in ascolto verso lOrecchio errante sui fiammeggianti colori delle mitre, dei pastorali e dei manti.
…un grido. Non scendeva dai cieli, ma si chiudeva entro i rami scheletrici dellalberello a cui Onan veniva appeso dai carnefici, per aver trasgredito alla legge che gli imponeva di generare con Thamar, la moglie del fratello defunto. Dal suo sesso, il seme sgocciolava, come succede agli impiccati, su un fondo di ortiche. Era un uomo piccolo, Onan, in ogni senso, e la Storia lo confinò in una delle sue infinite menzogne: che quel seme fosse stato sparso per lo squallido piacere di una masturbazione.
Doradus accoppiava i vivi e i morti nellassurdo dellamore.
…Erode pugnalava Mariamne, e la Storia dice che egli si tenne accanto i resti della compagna per sette anni. E Carlo magno, da vecchio, non si separava dalle spoglie dellamica tedesca: passava in rassegna gloriosi soldati, poi entrava con passo malfermo nella tenda, a piangere in solitudine sulla teca dove, sotto le torce, splendevano intatti e bellissimi sol tanto i capelli biondi. E Giovanna, reginadi Castiglia, viag giava per tre anni attraverso la Spagna col corpo senza vita di Filippo il Bello, facendolo vegliare in permanenza da un drappello di armati, col compito di impedire ad altre donne di avvicinarsi.
Doradus…
…questa era la Barca Primiera che scivolava sul Po di Sermide: una madre sollevava, oltre il bordo, il catino pieno di sangue di gallo, e il sangue versato copriva dolcemente un tratto della scia, segnalando ai Gabbiani Reali che per la figlia primogenita era iniziato il flusso mestruale. La Barca salutava levento portando i musicanti di celestìe; ma in un tronco di fronte alla casa della bambina mestruata, veniva conficcato il mangàs, laccetta sacrificale. La lama colore del ùloro, il manico nero, erano a loro modo un grido di guerra e simboleggiavano il rapporto carnale, il gusar, che in senso letterale significa “dar daccetta”.
La bambina raggiungeva il mangàs e piangeva appoggiando la fronte al tronco.
Doradus attraversava, col suo vento astrale, il vuoto lascia to dalle cose nelle mie stanze e anchio provavo il terrore di essere trascinato nella sua remota sfida a ogni legge esistente.
Mentre il Vescovo di Cordova istruiva i boia dellInquisi zione sul modo di torturare le donne senza cadere nel peccato di lussuria, a causa “di quei tortuosi movimenti che hanno le femmine a contatto con le fiamme”. Tra luno e laltro ba gliore della ruce “impossibile”, la voce di Lautréamont, dai Canti di Maldoror, risuonava da una porta aperta sullabisso:
“Oh, se invece di essere un inferno, luniverso non fosse stato che un immenso ano celeste! Guardate il gesto che io faccio verso il mio basso ventre: sì, avrei spinto il mio mem bro dentro lo sfintere sanguinante e avrei spezzato, coi miei colpi di reni, le pareti del suo bacino. Cosl non mi avrebbe gettato negli occhi intere dune di sabbia e avrei scoperto il luogo sotterraneo dove giace la verità addormentata! “.
Mi sono sorpreso a pronuQciare la parola: “Signore”.
Il paradiso e la gloria eterna sono forse là, in Doradus.
Marianne mi è apparsa di fronte. Non mi ero accorto che fosse entrata. Mi scuoteva il hraccio. Eppure anche la sua testa mi sembrava lontana: gli occhi fissi su di me e insieme persi in una logica cosmica che sapevo non appartenermi.
« Vieni » mi ha detto.
La guardavo senza risponderle.
« Devi venire » ha ripetuto.
Sono riuscito ad alzarmi e lho seguita. Mi teneva sotto braccio, ora, con forza. Capivo perfettamente che era succes so qualcosa, in un punto del mondo. Ma lei non parlava. Né io le facevo domande. Siamo scesi in strada. Cominciava a fare giorno. Mi ha aperto la portiera e sono montato in mac china.
…mi si è presentato il tratto della pineta di Castelfusano, compreso tra Viale Mediterraneo e Via della Villa di Plinio.
Lo conoscevo bene: è chiamato il macello. In un raggio di qualche centinaio di metri, sono stati scoperti delitti tra i più misteriosi degli ultimi anni.
Viale Mediterraneo è provvisto di cancelli. Erano tutti aperti. Agenti andavano e venivano. Tre auto del~a polizia.
Un piede spuntava da un cespuglio.
Avevano ucciso Marzio poco dopo la mezzanotte.
La scoperta era stata possibile per una segnalazione anoni ma. Marianne mi ha portato al cespuglio. Marzio non aveva scarpe. Stava in posizione prona, con i segni di colpi inferti probabilmente da un bastone e macchie di sangue.
Ora rigiravano il corpo per permettere il sommario esame del medico legale: la bocca di Marzio era colma di fog]iame.
Sentivo dire: lassassino ha prima tramortito la vittima ser vendosi di un oggetto contundente, che ha provocato una vio lenta emorragia. Lha ucCisa in un secondo momento, con la sola forza delle mani. Poco distante, una cinghia di quelle usate per gli avvolgibili, servita a trascinare Marzio privo di sensi e forse ancora in vita.
Il fogliame conficcato in gola non veniva interpretato come un rituale della malavita. Era stato un tentativo di tamponare lemorragia.
Un agente si è inginocchiato e ha preso a togliere foglie dalla bocca di Marzio. Allora ho visto Marianne che si stac cava da me, si avvicinava e anche le sue mani toglievano fo glie. Le labbra di Marzio si sono ricomposte. In unassurda serenità, mi è sembrato.
Quando lhanno sollevato, da una sua tasca sono caduti un temperino, e poi palline di vario colore, che hanno risuonato su una pietra, correndo da ogni parte.
Lavevo amato per quel suono di ragazzo, in lui rimasto per sempre.
I giorni volano.
Roma sembra volersi far perdonare. Nessuna città ha lo stesso potere, femminile, di inventarsi felicità e diffondere grazia nellaria, dopo oscurità e infamie. Queste giornate di giugno sono bellissime. Nulla sembra più ostile: la mente si apre come le strade e le piazze. Mi fermo allimprovviso per certi scorci, nei vicoli e sui ponti, che sono pure folgorazion;.
“Cest donc icin si chiede Rilke “que les gens viennent pour vivre? “.
Fra una settimana, sarà il mio compleanno.
Procedo bene verso quella data. A colazione, vado da Ma rianne. Le dico che mai mi sono sentito più sereno. Se ha da fare, mi offro di portar fuori Simone: ci perdiamo con quel senso di piccola avventura con cui si cammina nella ne ve. Gli ho regalato i matitoni che, sazi delle mie geometrie, ritrovano nelle sue mani una capricciosa fantasia. Segni che gonfiano il foglio come una vela. Scopro che è un bambino pieno di curiosità, non si aspetta che sorprese.
Ho sonni profondi, dopo molto tempo.
Si è perduta lansietà dellindecifrabile, dei salti acrobatici verso lalto. Non mi interessa la lontananza divina che si in stalla tra le cose mentre Dio, se cè, le accosta e le unisce.
Dio si crea perché il reale non basta. A me, finalmente, ba sta. Ogni dramma si è appartato anche dalla memoria e la scia spazio a questa pace interiore, simile a una mano che con pudore cancella le tracce.
Mi accorgo che continuo a ricevere corrispondenza da tutte le parti del mondo. Ieri, una cartolina con gli uliveti di Gre cia. La firma è di una donna, ma non sono riuscito a identi ficarla. Mi ha ricordato le parole di Eurte: a volte si diventa cosl calmi che si ha un po paura. Fissavo gli ulivi, con sopra nuvole grigie, di quel grigio vivo che eccita la retina, e ca pivo che si arriva a un punto dellesistenza quando in noi si fa davvero silenzio come si mette piede in uno dei luoghi sacri della civiltà, guardandosi attorno, tra le fastose rovine, meravigliati della coordinazione con cui gli uomini seppero produrre i loro atti.
Ho immaginato la donna sconosciuta dividere il suo viag gio greco con un compagno. Io non so chi sia, eppure sono certo che si è accompagnata anche con me, in una vacanza, chissà dove.
Spesso, prendo la macchina e vado a caso. Insetti mi cor rono contro il parabrezza. Piccole macchie di bellezza, rosse e viola: sangue per distrazione. Presto, ne avrò lo stesso, effi mero stupore, per qualche idolo in cui sbatterò. Lungo la strada, inezie mi rallegrano. Un muricciolo in un campo e, sotto, un contadino che dorme. Un davanzale con un gatto.
Biciclette dimenticate ai muri delle case.
Mi sembra tardi. Più tardi della concezione del tempo. Ma questo, non meno del resto, mi rincuora.
Marianne ha dato una festa per inaugurare la casa di Via dei Tre Orologi.
Mi ha detto: « Porta chi vuoi ».
Ho portato quelle che, dal sogno dellinizio, io chiamo le mie donne dellimprobabile. Tutto deve essere verificato. Tut to, finora, ho voluto verificare. Era logico che animassi nella realtà la scena onirica che, dopo il primo incontro con Ma rianne, ha propiziato questa vicenda.
Anche perché lo ripeto diffido dei sogni.
Marianne era divertita nel vederle arrivare con regali e facendo auguri. Il campanello squillava in continuazione.
Mi abbracciavano e mi baciavano. Ombre e cattivi ricordi sva nivano da rapporti e avventure.
In breve, erano tutte presenti.
Ho notato qualche sconosciuta. Sybille si è fatta accompa gnare da una francese molto bella, in pantaloni da gaucho che le fasciavano i fianchi: « Un corpo » mi ha insinuato Sybille « di quelli che piacciono a te ». La francese mi fissava e sintomi di seduzione seguivano i,l mio aggirarmi per casa, mentre aiutavo nei doveri di ospite.
Una volta, questa complicità mi avrebbe procurato piacere e lavrei presa per un segno di favore nelle metamorfosi del limprevisto. Ma ho lasciato agli altri uomini presenti, amici di Marianne, che non conoscevo, il compito di tessere trame, annotare numeri di telefono, pregustando appuntamenti.
Ho visto la mondinamondana dimenticarsi dei suoi me diatori. Sybille trovare lo spirito di quando è in vena. La donna dalla bella voce, ha cantato. Ho so,lecitato il gioco delle giocatrici: quel gioco che è invenzione, rischio, il risul tato di uno scontro tra costrizione e libertà. Ho detto le ulti me cose a quelle che si sentono spiriti caduti in un deserto maschile dove manca la possibilità di scambio, e non esistono che fretta, atonia e indifferenza. Ho ascoltato le altre capaci, con intelligenza, di cambiare gli uomini e le situazioni.
Quando hanno cominciato a ballare, mi sono messo da parte. Un ragnetto, dal soffitto, mi è giunto allorecchio; un ragnetto felice di stare come io non avevo saputo fino a quel momento: appeso solo a me stesso.
Notavo intanto la varietà del disegno che avevo concepito invitando le amiche; unaria da prima e ultima cena, si tra duceva in festosità corporale. Ciascuna aveva scelto il compa gno che le piaceva. Anche la francese, dopo aver capito che con me era inutile. Avrebbero avuto a disposizione giorni sod disfacenti. Glielo auguravo.
Le ho chiamate tutte, per anni convenivo come il fi schiatore di palude, a Po, chiama lairone. Rammentarne pic cole cose, momenti, era un modo di ringraziarle. Il portafor tuna che mi tengo in tasca; lamore fatto in una camera dal bergo e dimprovviso interrotto per aver udito dalla parete altri due che facevano anchessi lamore, di là; una bugia detta con unimmaginazione che mi lasciava ammirato; il se greto della piccola tedesca, che mai ha voluto svelarmi; i bei gatti di Jeanne; un tradimento o una frase: ~ sDin~imi a ra«ontare i miei desideri »…
Alla fine, la mia curiosità era vivissima.
Siamo rimasti soli, con Marianne. Lho aiutata a fare un po di ordine. Si stava bene. Si andava e veniva, togliendo i resti e spostando oggetti, e un odore notturno di alberi entrava dalle finestre. Quasi fossimo tornati allinizio di qualcosa.
Prima che me ne andassi, mi ha chiesto semplicemente:
« Durerà? »
Sapevo che alludeva a quel benessere, alla sua curiosità conquistata. Come sapevo, daltra parte, di aver fatto un buon lavoro. Perciò le ho risposto, senza incertezze:
« Durerà. »
Marianne resterà per me come una di quelle frasi, in punta di penna, che un tempo mi davano una felice ansia da scriba.
Deve avermi letto nello sguardo. Lho abbracciata. Mi è sem brato che i muri della stanza ci premessero alle spalle.
Sybille era ancora di fronte a casa, con la francese. Parla vano chiuse in macchina con uno. Le ho lanciato un saluto, passando:
« Ciao anche a te, Sybille. »
Finisce un giorno di quelli che si ricordano per la bellezza con cui non accade nulla.
Il sole va spegnendosi dietro i tendaggi del Re Polacco che, dora in poi, dovrà cambiare nome. Le luci sono già accese tra i fiammanti velluti delle poltrone. I soci non sono ancora arrivati e la statua della Regina, su un piedistallo al centro del salone, manda il suo bagliore doro nella solitudine.
lora più lenta e silenziosa. La Regina mi guarda con occhi e labbra atteggiati al sarcasmo e alla sensualità. Le dita affu solate della destra stringono il manto. Tutto continua a qua drare. La Dama dellermellino sembra essersi insinuata in quelle forme auree
Scendo. i~ la terza notte che supero la grata del cunicolo di sinistra e.mi inoltro nel tunnel.
~uadagno, ogni volta, un tratto.
Avevo sbagliato quando scrutavo insieme a Marzio. Non cè alcuna minaccia, laggiù. Nessuno cerca di sgomentarmi.
Esiste violenza solo quando si vuole limpossibile. Mi inoltro con uneco di passi e appena un batticuore. Non compio pro fanazioni.
Vedo sessi femminili spampanarsi come rose sotto le pance immonde. Ma ciò che colpisce, avanzando in quelle ombre, è la purezza che circonda il turpe. Da ogni corpo chiuso nella sua oscurità oscena, si proietta una zona chiara, di clemen za. La terra, nel suo tunnel, è più dellinferno e del para diso, che non hanno mai avuto il privilegio di praticarla. Io non saprò mai nulla degli uomini e delle donne che traf~cano con i loro vizi, come con i loro organi genitali. Il significato riposto e universale che ero spinto ad attribuirgli, non gli appartiene.
Quando puntano gli occhi, si capisce che sono soggetti di un desiderio immenso, vere macchine desideranti qualcosa di terribile. Ma basta un po di accortezza per passare in mezzo a loro senza invadere la cerchia di questo qualcosa.
Cè un istinto, anche quaggiù, che consente di procedere.
Ho notato una figura, da un lato, che dà le spalle, e sembra una mano femminile quella che a tratti si alza e gra~ia la pa rete con le unghie, per tracciarvi sempre gli stessi segni. Dal latteggiamento, appare la più conciliante, persino con una sua eleganza. Riesco ad ammirarne la geometria dei gesti. La parete, di fronte a lei, ha un vago chiarore e laspetto di una tela su un cavalletto.
Ho la certezza che, stanotte, le arriverò alla distanza giusta.
Sono curioso di vedere cosa quei segni esprim~no. ~ la scrit tura di un delirio? O invece un nome di donna tracciato come tanti altri per ricordare un tormentoso passaggio? Se così fosse, con la fìgura potrò scambiare uno sguardo dintesa e forse parlarci.
Tra poco lo saprò. Tolgo la grata.
Cè, a questora, una barca che dà di cozzo al pontile di Motteggiana. Moretta sente il colpo e sa che comincia la not te. Finora, lho tenuta io per una manica dallassurdo, come da uno dei suoi passeggi insensati sotto lapioggia o la neve, per appostare mio padre. Ma nemmeno con lei si porrà que stione di dramma. Tra noi, lho detto, lidea del tempo è diversa. Un giorno, un anno, mille, letà di Doradus, non fa differenza.
Io entrerò dalla porta e lei, alzando appena la mano, indi cherà la cena e mi dirà:
« Siediti. ~ pronto. »