Faccia a faccia

Tre luci apparvero all'orizzonte e furono intraviste dall'indifeso Lucky, che nell'oscurità dell'asteroide non riuscì a distinguere le sagome umane che le accompagnavano.

Poi una voce risuonò attraverso gli auricolari: era quella, ben nota, del pirata Dingo. «Non chiamare il tuo amico di sopra, ho qui un attrezzo che può intercettare le trasmissioni. Se ci provi ti faccio scoppiare la tuta all'istante, spione!»

L'ultima parola fu detta con particolare livore: era il termine spregiativo che i fuorilegge usavano con tutti coloro che sospettavano di appartenere alle forze governative.

Lucky rimase in silenzio. Appena si era accorto del laccio magnetico aveva capito di essere in trappola. Chiamare Bigman prima di aver accertato le intenzioni degli avversari sarebbe equivalso a metterlo in pericolo senza ragione, quindi ci aveva rinunciato.

Dingo torreggiava su di lui a gambe divaricate, e alla luce di una lampada Lucky vide la faccia del pirata dietro la visiera. Un paio di occhiali scuri, simili a quelli dei sommozzatori, gli coprivano gli occhi. Lucky sapeva che erano lettori ad infrarossi capaci di convertire le radiazioni caloriche in luce visibile. Anche senza lampade, e nella notte scurissima dell'asteroide, erano stati in grado di individuarlo grazie all'energia che emanava dalle unità termiche della tuta di Lucky.

Dingo disse: «Cosa c'è, spione, hai paura?».

Alzò una gamba fasciata di metallo e puntò la formidabile ginocchiera sulla visiera di Lucky. Il giovane girò improvvisamente la testa, in modo che il ginocchio colpisse la parte metallica del casco, ma la gamba di Dingo si fermò a metà strada. Il pirata scoppiò a ridere.

«Non te la caverai con così poco, spione!»

Poi la voce di Dingo cambiò tono e si rivolse ai due pirati che l'accompagnavano. «Andate ad aprire il portello stagno.»

Per un attimo gli uomini esitarono e uno disse: «Ma, Dingo, il capo ha detto che eri troppo...».

«Fate come vi ho detto, altrimenti comincio con lui e finisco con voi!» sbraitò Dingo.

Di fronte alla minaccia i due obbedirono. Dingo si rivolse a Lucky: «Che ne dici di essere sbattuto in quel portello?».

Impugnava ancora il calcio del laccio magnetico; premendo un pulsante tolse la corrente e lo smagnetizzò, poi fece un passo indietro e lo tirò verso di sé. Lucky si trascinò sul suolo roccioso dell'asteroide, fece un salto in alto e si liberò parzialmente delle spire. Dingo sfiorò il pulsante e il laccio aderì di nuovo alla sua preda strettamente.

A questo punto il pirata fece ruotare la frusta verso l'alto: Lucky seguì la stessa sorte, mentre Dingo lottava per mantenere l'equilibrio. Lucky volteggiò nello spazio e l'altro lo seguì da terra, come un bambino che tenesse in mano un palloncino appeso a un filo.

Le lampade degli altri due tornarono a farsi vedere dopo cinque minuti: splendevano contro una chiazza scura dai contorni così regolari che era certo un portello aperto.

Dingo gridò: «Attenti, ho un pacco da consegnare!».

Smagnetizzò di nuovo il laccio e lo portò verso il basso, alzandosi nell'aria di sei centimetri. Lucky ruotò rapidamente, liberandosi dalla stretta.

Dingo fece un balzo in avanti e lo acciuffò. Con l'abilità di chi è abituato da anni all'assenza di peso, evitò i tentativi che Lucky faceva di liberarsi e lo lanciò in direzione del portello. Il pirata controbilanciò il rinculo con un colpo di pistola a repulsione, poi tornò in equilibrio per vedere Lucky che entrava dritto nel portello.

Ciò che seguì fu chiaramente visibile alla luce delle lampade. Preso dal campo di pseudogravità che esisteva all'interno del portello, Lucky fu scagliato verso il basso con una forza che gli tolse il respiro. La risata scomposta di Dingo gli risuonò nel casco.

La porta esterna si chiuse, quella interna si aprì. Lucky si rimise in piedi, rinfrancato dalla presenza della gravità normale.

«Entra, spione.» Dingo impugnava un disintegratore.

Una volta entrato nell'asteroide, Lucky si bloccò. Gli occhi esplorarono l'ambiente da un'estremità all'altra mentre il ghiaccio gli si incrostava agli orli della visiera. Quello che vide non fu la biblioteca dell'eremita illuminata da luci soffuse ma un corridoio lunghissimo il cui soffitto era sostenuto da una serie di pilastri. Non si riusciva a scorgerne l'estremità opposta, ma c'erano uomini che correvano in un senso e nell'altro e l'aria odorava di ozono e olio per macchine. In distanza si avvertiva il caratteristico ronzio dei motori iperatomici, ma dovevano essere giganteschi.

Era ovvio che non si trovavano nella cella dell'eremita ma in un grande complesso industriale all'interno dell'asteroide.

Lucky si morse il labbro inferiore e si chiese con rabbia se quelle informazioni sarebbero andate perdute con lui.

Dingo incalzò: «Sono qui, spione, muoviti».

Il pirata indicò un magazzino pieno di scaffali in cui, a parte loro, non c'erano altri esseri umani.

«Di' un po', Dingo» fece nervosamente uno dei pirati. «Perché gli facciamo vedere tutto questo? Non credo...»

«Non parlare, è meglio.» Dingo scoppiò a ridere. «Comunque non preoccuparti, questo spione non andrà a raccontare a nessuno le cose che vedrà, te lo garantisco. Nel frattempo devo finire un lavoretto con lui, toglietegli la tuta.»

Così dicendo si liberò della sua. Era mostruosamente grosso e con una mano carezzava il dorso peloso dell'altra, assaporando ogni attimo della sua vendetta.

Lucky disse deciso: «Il capitano Anton non ti ha mai ordinato di uccidermi. Stai cercando di regolare un conto privato e questo ti metterà nei guai. Sono un uomo che vale, questo il tuo capo lo sa».

Dingo sedette su un barile che conteneva un assortimento di oggetti metallici e un ghigno gli attraversò la faccia. «A sentirti parlare, spione, si direbbe che tu abbia ragione. Ma non ci hai imbrogliati nemmeno per un minuto. Quando ti abbiamo lasciato con l'eremita, che cosa credi che abbiamo fatto? Abbiamo guardato. Capitan Anton non è uno scemo e mi ha mandato indietro con l'ordine di osservare quello che succedeva sull'asteroide, poi di fare rapporto. Ho visto la barchetta dell'eremita involarsi con voi due a bordo: avrei potuto disintegrarvi, ma l'ordine era di seguirla.

«Sono rimasto un giorno e mezzo al largo di Cerere e ho visto la navetta ripartire. Ho aspettato un altro po' e ho visto una nave che le andava incontro; l'uomo a bordo della navetta si è trasferito sulla seconda astronave e vi ho visti partire. Naturalmente vi ho seguiti.»

Lucky non poté fare a meno di sorridere. «Hai cercato di seguirci, vuoi dire.»

La faccia di Dingo diventò una chiazza violacea. «E va bene» disse, invelenito. «Eravate più veloci, del resto quelli della tua razza sono buoni a correre. Ma che cosa hai ottenuto? Non ho dovuto darti la caccia, sono venuto qui e ho aspettato. Sapevo dove eri diretto e infatti ti ho preso.»

«Va bene,» ammise Lucky «ma cos'è cambiato? Io ero disarmato, l'eremita aveva un disintegratore, ho dovuto fare come diceva lui. Voleva tornare su Cerere e mi ha costretto a seguirlo in modo da poter dichiarare, se l'aveste intercettato, che era stato rapito da me. Tu stesso ammetti che sono andato laggiù alla massima velocità e poi sono tornato.»

«In una bella e fiammante nave del governo!»

«E allora? L'ho rubata. Significa che la vostra flotta ha un'unità in più, un'ottima unità.»

Dingo guardò gli altri pirati. «Come indora la pillola, eh?»

Lucky disse: «Ti avverto di nuovo, il capo te la farà pagare cara, se mi succede qualcosa».

«No che non lo farà,» ringhiò Dingo «perché sa chi sei e lo so anch'io, mister David Lucky Starr. Andiamo, vai al centro della stanza.»

Dingo si alzò e disse ai compagni: «Togliete di mezzo quei barili, spostateli da un lato».

I due uomini guardarono per un attimo la sua faccia congestionata e obbedirono. Il corpo muscoloso, quasi nodoso del pirata era leggermente curvo e la testa affondava tra le spalle massicce; le gambe grosse e un po' arcuate erano piantate saldamente al suolo. La cicatrice sul labbro superiore era di un bianco vivido.

Dingo disse: «Ci sono diversi modi per toglierti di mezzo, alcuni facili e altri divertenti. Non mi piacciono gli spioni del governo e non mi piacciono gli spioni che cercano di fregarmi in un duello a repulsione. Perciò prima di finirti ti farò a pezzi».

Lucky, che a paragone dell'altro sembrava magro e dinoccolato, disse: «Sei abbastanza uomo per farlo da solo o ti farai aiutare dai tuoi amici?».

«Non ho bisogno di aiuto, bel giovane.» Il pirata fece una risata feroce. «Ma, se cerchi di scappare, loro ti fermeranno, e se ti ostini a provarci ti inchioderanno con le fruste neuroniche. E allora non ti muoverai più!» Dingo alzò la voce. «Usatele, voi due, non esitate.»

Lucky aspettò che l'altro facesse la prima mossa. Sapeva che sarebbe stato fatale rischiare il corpo a corpo: nella stretta di quelle braccia poderose il minimo che poteva capitare era di rompersi le costole.

Dingo corse verso di lui col braccio destro piegato. Lucky rimase dov'era il più a lungo possibile, poi scattò a destra, afferrò il braccio sinistro dell'avversario e lo tirò verso di sé avvantaggiandosi dello slancio che Dingo aveva già preso. Poi gli fece lo sgambetto.

Dingo cadde pesantemente ma si rialzò in un baleno, un graffio su una guancia e piccole luci omicide che gli danzavano negli occhi.

Si precipitò come un montone addosso a Lucky, che si era ritirato rapidamente verso uno dei barili allineati lungo la parete.

Lucky si puntellò alle estremità di un barile e lanciò le gambe in avanti, colpendo Dingo in pieno petto. L'altro si fermò un momento e il giovane scattò al centro della stanza, di nuovo libero.

Uno dei pirati gridò: «Ehi, Dingo, smettila di brancolare come uno stupido!».

Dingo ansimava: «L'ammazzo, l'ammazzo».

Ma adesso era più cauto. Gli occhietti erano quasi sepolti nel grasso e nello sporco della faccia; avanzò lentamente, osservando Lucky e aspettando il momento di colpire.

Lucky lo canzonò. «Cosa c'è, Dingo? Hai paura di me? Ti spaventi presto, per essere uno che parla tanto.»

Come Lucky si aspettava, il bestione emise un suono gutturale e si precipitò direttamente su di lui. Non fu difficile scansarlo, e col taglio della mano Lucky lo colpì duramente al collo.

Dopo una mazzata del genere molti uomini perdono i sensi e più di una volta Lucky ne aveva visti morire. Ma Dingo barcollò soltanto e si voltò con un ringhio.

Avanzò verso il giovane con le gambe divaricate. Lucky guizzava come un'anguilla e riuscì ad assestare un pugno sulla guancia ferita dell'altro. Sprizzò il sangue, ma Dingo non fece nessun tentativo di scansare il colpo e non batté ciglio quando lo incassò.

Lucky sgusciò da un lato e dall'altro, colpendo il pirata altre due volte. Dingo non ci fece caso e continuò ad avanzare, inesorabile.

Poi, inaspettatamente, andò giù come se avesse inciampato, ma nel cadere strinse le braccia intorno alla caviglia di Lucky e lo trascinò a terra con lui.

«Adesso ti tengo» mormorò il pirata.

Si avventò su Lucky e lo strinse alla vita. Un attimo dopo rotolavano sul pavimento.

Lucky sentì la pressione che aumentava, il dolore che esplodeva in lui come una fiamma dilagante. Nell'orecchio Dingo gli alitava il fiato puzzolente.

La mano destra di Lucky era libera ma la sinistra era bloccata dalla stretta dell'avversario intorno al petto. Con le ultime forze rimastegli Lucky sferrò un pugno di destro che, dopo una breve traiettoria, si abbatté con forza nel punto dove il mento di Dingo si univa al collo. Ondate di dolore attraversarono il braccio di Lucky.

La stretta di Dingo si allentò un poco e Lucky, contorcendosi, riuscì a liberarsi da quella stretta mortale; poi si rimise in piedi.

Dingo si alzò più lentamente. Aveva lo sguardo vitreo e dalla bocca gli usciva un filo di sangue.

Con voce impastata balbettò: «La frusta, la frusta!».

Improvvisamente si avventò su uno dei pirati che seguivano la scena come spettatori pietrificati, gli tolse la frusta e lo buttò a terra.

Lucky cercò di scansarsi, ma la frusta neuronica era accesa e guizzò nell'aria. Lo colpì al fianco destro, stimolando i nervi in modo che gli trasmettessero un dolore insopportabile. Il corpo di Lucky si irrigidì e andò a terra di nuovo.

Per un attimo i suoi sensi registrarono solo confusione, e con la coscienza che gli restava capì che la morte era questione di secondi. Vagamente udì la voce di un pirata.

«Senti, Dingo, il capitano vuole che sembri un incidente. È un uomo del Consiglio della Scienza, e...»

Fu tutto ciò che Lucky riuscì a capire.

Quando riprese conoscenza gli sembrò che una miriade di aghi gli trafiggessero contemporaneamente il fianco. Indossava di nuovo la tuta e stavano per mettergli il casco; Dingo, con le labbra gonfie e la guancia sanguinante, lo fissava malignamente.

Sulla porta c'era qualcuno che parlava: un uomo arrivato di corsa, con molte cose da dire.

«... per la posizione 247» gli sentì dire Lucky. «Si sta mettendo così male che nemmeno io riesco a tenere conto di tutti i dati. Non posso tenere l'orbita stabile in modo da correggere le coordinate di...»

La voce tacque e Lucky vide un ometto con gli occhiali e i capelli grigi. Si trovava appena al di qua della porta e guardava con un misto di stupore e incredulità il disordine del magazzino.

«Vattene» ringhiò Dingo.

«Ma devo fare un sopralluogo dei...»

«Più tardi!»

L'altro uscì e i pirati infilarono il casco sulla testa di Lucky.

Gli fecero attraversare di nuovo il portello stagno e lo scortarono sulla superficie dell'asteroide, ora illuminata dal sole lontano. Su una lastra di roccia relativamente piatta, aspettava una catapulta. Le sue funzioni non erano ignote a Lucky: un congegno automatico tratteneva una grande leva metallica che veniva piegata all'indietro con lentezza, fino a trovarsi in posizione orizzontale. Alla leva erano assicurate alcune cinghie che gli vennero legate alla vita.

«Non agitarti» intimò Dingo. La sua voce arrivava fioca e disturbata alle orecchie di Lucky; il giovane si rese conto che c'era qualcosa che non andava negli auricolari. «Stai solo sprecando ossigeno. Per farti sentire meglio, manderemo su un paio di navi e disintegreremo il tuo amico sotto i tuoi occhi. Forse cercherà di scappare, e allora vedremo quanto sa correre...»

Un attimo dopo Lucky sentì nel corpo la vibrazione della leva che veniva liberata e scattava nella sua posizione originaria con forza tremenda. Le cinghie si aprirono e lui fu lanciato nello spazio alla velocità di un chilometro al secondo, senza campo gravitazionale che lo rallentasse. Ebbe una rapida visione dell'asteroide con i pirati che seguivano la sua traiettoria, ma la scena rimpiccioliva a vista d'occhio.

Lucky ispezionò la tuta. Sapeva già che la radio del casco era stata danneggiata, e infatti la manopola direzionale girò a vuoto. Questo significava che la sua voce poteva diffondersi solo per pochi chilometri nello spazio. Però gli avevano lasciato la pistola a repulsione... Lucky la provò ma non successe niente: il gas era stato tolto.

Era senza risorse. Solo le bombole d'ossigeno lo separavano da una morte lenta e terribile.