Duello verbale
L'espressione di Anton non cambiò. «Adesso mi hai trovato.»
«Devo parlarti in privato, capitano.» Lucky strinse le labbra con determinazione.
Anton si guardò rapidamente intorno. Una decina di uomini con le tute tolte parzialmente o totalmente si erano affollati nella cabina di comando e seguivano la scena con grande interesse.
Il capitano arrossì lievemente e alzò la voce. «Mettetevi al lavoro, ciurma. Voglio un rapporto completo su questa nave. Tenete le armi pronte, potrebbero esserci altri uomini a bordo; se qualcuno si fa sorprendere come Dingo, giuro che lo butto fuori dal portello stagno.»
Ci fu un lento, incerto trepestio.
La voce di Anton si trasformò in un urlo. «In fretta, in fretta!» Un gesto velocissimo e nella sua mano apparve un disintegratore. «Conto fino a tre e poi sparo. Uno... due...»
Gli uomini sparirono.
Anton si voltò di nuovo verso Lucky. Aveva gli occhi luccicanti e il fiato sibilava dalle narici bianche, dilatate.
«La disciplina è una gran cosa» ansimò. «Gli uomini debbono temermi. Devono avere più paura dei miei ordini che della Marina terrestre. Solo così una nave diventa un cervello e un braccio solo.»
"Sì", pensò Lucky, "un cervello e un braccio solo, ma di chi? Il tuo?"
Anton aveva riacquistato il sorriso amichevole, aperto e infantile di poco prima. «Adesso dimmi cosa vuoi.»
Lucky indicò col pollice il disintegratore ancora estratto e pronto a sparare, poi sorrise a sua volta. «Vuoi uccidermi? Se è così, fai presto.»
Anton sembrò sorpreso. «Per lo spazio, non sei il tipo che si preoccupa per niente! Ti ucciderò quando vorrò, mi piace così. Come ti chiami?» La canna dell'arma continuava a fissare Lucky con mortale precisione.
«Williams, capitano.»
«Sei un uomo alto, Williams, sembri forte. Eppure basta un gesto del mio dito e sei morto. Penso che sia una parabola istruttiva: due uomini e un disintegratore, è tutto qui il segreto del potere. Hai mai pensato al potere, Williams?»
«Qualche volta.»
«È l'unica cosa che abbia un significato nella vita, non trovi?»
«Forse.»
«Vedo che sei ansioso di parlare d'affari. Cominciamo. Perché ti trovi qui?»
«Ho sentito parlare dei pirati.»
«Noi siamo gli uomini degli asteroidi, Williams, non usiamo altri nomi.»
«Mi sta bene. Sono venuto per unirmi agli uomini degli asteroidi.»
«Ci lusinghi, ma il mio dito è ancora sul grilletto del disintegratore. Perché vuoi unirti a noi?»
«La vita sulla Terra è opprimente, capitano. Un uomo come me potrebbe farsi una posizione come contabile o come ingegnere; potrei dirigere una fabbrica o sedermi dietro una scrivania e votare alle riunioni del consiglio d'amministrazione. Non ha importanza, in qualunque caso sarebbe pura e semplice routine. Comincerei la mia vita in un modo e la finirei nella stessa maniera, sapendo benissimo a che cosa andrei incontro. Non ci sarebbe avventura, non ci sarebbe incertezza.»
«Sei un filosofo, Williams, continua.»
«Ci sono le colonie, ma non mi attira la vita del colono marziano o del coltivatore di lievito su Venere. Quello che mi affascina è la vita sugli asteroidi, dura e pericolosa. Un uomo può raggiungere il potere, proprio come te. E, come hai detto, il potere dà un senso alla vita.»
«E così ti sei imbarcato clandestinamente su una nave automatica?»
«Non sapevo che fosse automatica. Dovevo imbarcarmi clandestinamente su un'astronave: i voli legittimi costano cari e il visto per gli asteroidi non viene concesso facilmente, di questi tempi. Sapevo che la nave faceva parte di una spedizione cartografica. Si era sparsa la voce che era diretta qui, così ho aspettato e all'ultimo momento sono saltato a bordo. Pochi minuti prima del decollo tutti sono occupati nelle operazioni di lancio, ma il portello stagno è ancora aperto: ho approfittato del momento propizio e mentre un amico distraeva la sentinella, mi sono infilato nella nave.
«Credevo che ci saremmo fermati su Cerere, la prima base per ogni spedizione negli asteroidi. Una volta lì pensavo di potermela cavare senza problemi. Lassù ci sono soltanto astronomi e matematici: strappagli i loro cannocchiali e diventeranno ciechi, puntagli un disintegratore contro e moriranno di paura. Da Cerere avrei contattato facilmente i pi... voglio dire gli uomini degli asteroidi. Semplice.»
«Solo che una volta a bordo hai avuto una sorpresa, vero?» chiese Anton.
«Direi. Sulla nave non c'era nessuno e prima che potessi decidere diversamente, siamo decollati.»
«Come te lo spieghi, Williams?»
«Non me lo spiego affatto.»
«Bene, vediamo se riusciamo a scoprirlo insieme.» Anton fece un gesto col disintegratore e disse rudemente: «Andiamo».
Il capo dei pirati fece strada lungo il corridoio centrale della nave. Un gruppo di uomini uscì dalla porta di fronte. Borbottavano tra loro ma si interruppero quando videro lo sguardo di Anton.
«Venite qui» ordinò il capo.
Gli uomini si avvicinarono. Uno si asciugò i baffi grigi col dorso della mano e disse: «Qui non c'è nessuno, capitano».
«Va bene. Che ne pensate?»
Altri uomini si aggiunsero al gruppetto iniziale formato dai quattro.
La voce di Anton si fece tagliente. «Voglio sapere che cosa pensate di questa nave.»
Dingo si fece avanti. Si era tolto la tuta spaziale e Lucky poté vederlo meglio: non era piacevole. Grosso e pesante, aveva braccia che pendevano in maniera scimmiesca dalle spalle massicce. Sul dorso delle dita spuntavano ciuffi di peli neri e la cicatrice che gli spaccava il labbro tremava. I suoi occhi fiammeggiarono in direzione di Lucky.
«Non mi piace» disse semplicemente.
«Non ti piace la nave?» chiese duro Anton.
Dingo esitò, poi raddrizzò le braccia e buttò indietro le spalle. «Puzza.»
«Perché dici questo?»
«Potrei aprirla con un apriscatole. Chiedi agli altri se non la pensano come me. Quest'affare è tenuto insieme dagli stuzzicadenti, non durerà tre mesi.»
Ci furono mormorii di assenso. L'uomo coi baffi grigi aggiunse: «Chiedo scusa, capitano, ma i circuiti sono in gran parte rovinati e l'isolamento è quasi completamente consumato».
«Le saldature sono state fatte di corsa» intervenne un altro. «Le cuciture si vedono così.» Ed esibì un dito sporco e grasso.
«Si può ripararla?» chiese Anton.
Dingo rispose: «Ci vorrebbe un anno più una domenica. Non ne vale la pena e comunque non possiamo farlo qui. Dovremmo portarla su uno dei sassi».
Anton si volse verso Lucky e spiegò soavemente: «Noi gli asteroidi li chiamiamo sassi».
Lucky annuì.
Anton continuò: «A quanto pare i miei uomini non vogliono saperne di questa nave. Perché credi che il governo terrestre avrebbe mandato un'astronave automatica - e uno scassone, per giunta - in questa zona del sistema?».
«È una faccenda sempre più misteriosa» si limitò a rispondere Lucky.
«Continuiamo la nostra indagine, allora.»
Anton s'incamminò per primo e Lucky lo seguì da vicino. Gli uomini della ciurma si accodarono in silenzio. A Lucky si rizzarono i peli sulla base del collo, ma Anton continuò ad avanzare senza il minimo segno di nervosismo, come se non si aspettasse nessun attacco alla schiena da Lucky. Bella forza: il giovane era tallonato da almeno dieci uomini armati.
Dettero un'occhiata nelle piccole stanze, ognuna progettata con la massima economia di spazio: c'erano la sala di calcolo, il piccolo osservatorio, il laboratorio fotografico, la stiva e le cabine dell'equipaggio.
Scesero al livello inferiore attraverso uno stretto tubo ricurvo all'interno del quale la pseudogravità era neutralizzata, sicché una qualunque direzione poteva essere definita arbitrariamente "alto" o "basso". Lucky fu spinto avanti per primo, con Anton che seguiva a così breve distanza che il giovane ebbe appena il tempo di levarsi di sotto (le gambe leggermente piegate per l'improvviso aumento di peso) che il capo dei pirati gli fu addosso. Duri, pesanti stivali spaziali mancarono la sua faccia per qualche centimetro.
Lucky riacquistò l'equilibrio e girò su se stesso, ma Anton sorrideva amabilmente e la canna del disintegratore era puntata al cuore di Lucky Starr.
«Mille scuse» disse il pirata. «Fortuna che sei agile.»
«Già» borbottò Lucky.
Al livello inferiore c'erano la sala motori e l'impianto per la produzione dell'energia; le nicchie vuote erano i vani delle scialuppe. Seguivano i magazzini del combustibile, quelli del cibo e dell'acqua, i ventilatori e lo scudo atomico.
Anton mormorò: «Be', che ne pensi? Tutto vecchio, magari, ma non vedo niente di insolito».
«È difficile dirlo» rispose Lucky.
«Tu hai vissuto su questa nave per giorni.»
«Sicuro, ma non passo il mio tempo a guardarmi attorno. Aspettavo di arrivare da qualche parte.»
«Capisco. Bene, torniamo al livello superiore.»
Ancora una volta Lucky fu buttato per primo nel tubo di comunicazione. Stavolta atterrò con leggerezza e fece un salto laterale di due metri con l'agilità di un gatto.
Passarono alcuni secondi prima che Anton uscisse a sua volta dal tubo. «Cos'è, avevi paura?»
Lucky arrossì.
A uno ad uno apparvero gli altri pirati. Anton non li aspettò tutti ma si avviò nel corridoio.
«Sai,» disse «ho l'impressione che l'abbiamo visitata tutta, questa bagnarola. Molti ne sarebbero già stufi, e tu?»
«No, io no» rispose Lucky con calma. «Non siamo stati nei gabinetti.»
Anton gli dette un'occhiataccia e per un attimo l'aria gioviale scomparve dalla sua faccia, sostituita da un lampo di furia.
Poi gli passò. Si aggiustò una ciocca ribelle sulla testa e guardò con interesse il dorso della propria mano. «Bene, guarderemo anche là.»
Quando aprirono la porta dei gabinetti, parecchi uomini fischiarono e altri esplosero in una serie di esclamazioni colorite.
«Molto carini» mormorò Anton. «Lussuosi, direi.»
Lo erano, senza dubbio! C'erano tre docce separate, con i rubinetti predisposti per l'acqua insaponata (tiepida) e l'acqua di risciacquo (calda o fredda). C'erano sei lavabi in avorio cromato con rubinetto per lo shampoo, asciugacapelli e getti pungenti per la stimolazione epidermica. Non mancava proprio niente.
«Di sicuro le toilette non sono antiquate» commentò Anton. «Sembrano quelle che fanno vedere alla subeterica, eh, Williams? Che ne pensi?»
«Sono confuso.»
Il sorriso di Anton svanì come il lampo di un'astronave in accelerazione. «Io no. Dingo, vieni qui.»
Il capo dei pirati disse a Lucky: «È un problema molto semplice. C'è una nave con nessuno a bordo, messa insieme alla men peggio e in fretta. Il bagno, però, è di prim'ordine. Perché? Credo di saperlo, per farci stare il massimo di condutture. Come mai? In modo da non farci sospettare che una o due sono false... Dingo, quale tubo è fasullo?».
Dingo diede un calcio al primo che trovò.
«Non prenderli a calci, maledetto imbecille. Spezzali.»
Dingo obbedì e mise in azione la micropistola termica. Dal tubo uscirono una serie di cavi.
«Che cosa sono, Williams?» chiese Anton.
«Fili» rispose Lucky brevemente.
«Lo so, idiota.» Il pirata era improvvisamente furioso. «Che altro? Te lo dico io. Quei fili servono a far esplodere ogni grammo di atomite a bordo della nave, naturalmente quando ce la saremo portata alla base.»
Lucky trasalì. «Come fai a saperlo?»
«Ti meraviglia? Non sapevi che stavi viaggiando su un'immensa bomba, e che noi avremmo dovuto portarla alla base per riparazioni? Non sapevi che dovevamo saltare in aria tutti quanti? Ma già, tu sei l'esca messa per essere sicuri che avremmo abboccato. Solo che io non sono uno stupido!»
Gli uomini si strinsero minacciosamente intorno al capo e a Lucky Starr. Dingo si leccò le labbra.
Con uno scatto Anton puntò il disintegratore: nei suoi occhi non c'era pietà, nessun segno di pietà.
«Aspettate! Grande galassia, aspettate! Non so niente di tutto questo, non avete il diritto di spararmi senza motivo.» Lucky si preparò a combattere, l'ultima lotta prima di morire.
«Non abbiamo il diritto!» Anton, con gli occhi che luccicavano, abbassò improvvisamente il disintegratore. «Come osi parlare così? Ho tutti i diritti, su questa nave!»
«Non puoi uccidere un uomo in gamba. Gli uomini degli asteroidi hanno bisogno di elementi validi... non buttarne via uno per niente.»
Un improvviso e inatteso mormorio si levò dai pirati.
Una voce disse: «Ha fegato, capitano. Forse potremmo usarlo...».
Ma si interruppe appena Anton si voltò.
Poi il capobanda girò di nuovo la testa. «Che cosa ti fa pensare di essere un uomo valido, Williams? Rispondimi e ci penserò sopra.»
«Sono disposto a battermi con chiunque, qua dentro. A mani nude o con qualunque arma.»
«Davvero?» I denti di Anton si scoprirono. «Avete sentito, uomini?»
Ci fu un ruggito affermativo.
«Sei tu che hai lanciato la sfida, Williams. Con qualunque arma... bene! Se esci vivo da questa prova, ti garantisco che non ti ammazzerò. Diventerai un membro della mia ciurma!»
«Ho la tua parola, capitano?»
«Hai la mia parola, e io la onoro sempre. La ciurma mi ha sentito: se uscirai vivo.»
«Con chi combatterò?» chiese Lucky.
«Con Dingo, è un uomo in gamba. Chiunque riesca a batterlo dev'essere molto speciale.»
Lucky soppesò la massa di carne e muscoli che gli stava davanti, gli occhi rimpiccioliti dall'attesa della lotta, e suo malgrado fece un cenno d'assenso.
Poi chiese con decisione: «A mani nude o con le armi?».
«Armi! Pistole a repulsione, per l'esattezza. Pistole a repulsione nello spazio.»
Per un attimo Lucky trovò difficile mantenere la calma esteriore.
Anton sorrise. «Temi che non sia un esame adeguato a te? Non aver paura, Dingo è il miglior tiratore della ciurma.»
Il cuore di Lucky perse un colpo. Per un duello a repulsione ci voleva un esperto, era risaputo! Fatto per gioco, come ai tempi del college, era uno sport. Combattuto da professionisti, era una competizione mortale!
E lui non era un professionista.