Giù nella fascia ("cintura"?) degli asteroidi

Lucky Starr and the Pirates of the Asteroids (1953) è il secondo romanzo del ciclo eponimo e una delle prime opere di Isaac Asimov ad essere state pubblicate in volume. La creazione di questa serie avventurosa, pensata in origine per sfruttare il successo dei "serial" televisivi (Tom Corbett, Space Cadet) è infatti contemporanea alla stesura dei primi e più maturi romanzi asimoviani. Le avventure di Lucky non vanno considerate tanto come un modo per "farsi le ossa" (l'autore aveva debuttato nel 1939 e per tutti gli anni Quaranta era stato un collaboratore delle riviste, fornendo soprattutto racconti brevi), ma come una specie di passepartout per la carriera di scrittore professionista. All'inizio degli anni Cinquanta, infatti, Asimov si rende conto che scrivere un libro frutta molto più che non pubblicare racconti saltuari, e il fatto di mettersi "di punta" su un certo argomento - in questo caso l'avventura spaziale destinata ai giovani lettori - gli dà la fiducia di chi comincia a sentirsi parte di un'industria.

Ma torniamo a Lucky Starr. Ognuno dei sei romanzi è ambientato in una diversa regione del sistema solare e questa volta tocca alla fascia degli asteroidi, zona che la fantascienza ha rapidamente inserito nel suo "stock" di luoghi comuni. Andare nella fascia (o nella cintura, secondo le traduzioni) degli asteroidi vuol dire impelagarsi certamente in un mare di guai. Sono un po' come le sabbie mobili del sistema, la tana dei pirati, il rifugio dei tiranni, la pista delle collisioni facili. Se il racconto è più sofisticato diventeranno una palude morale, un mortorio dove il povero cercatore minerario darebbe un occhio pur di prendersi una sbronza e fuggire non dico col primo paio di gambe femminili che sbucasse oltre l'orbita, ma addirittura con la prima marziana o venusiana sola.

In astronomia le cose stanno diversamente. Fino al 1801, tanto per cominciare, nessuno aveva sentito parlare di asteroidi (cioè "corpi che sembrano stelle, ma non lo sono") e tantomeno di pianetini. Si sospettava, è vero, che a una distanza di 418 milioni di chilometri dal Sole dovesse esserci un pianeta (questo per via di una legge empirica detta di Bode) ma non ci si aspettava di trovare quello che poi si trovò.

La notte del primo gennaio 1801 un astronomo italiano - G. Piazzi, dell'osservatorio di Palermo - scoprì il primo e il più grande degli asteroidi, che battezzò Cerere (anche quelli venuti dopo hanno preso il nome di entità mitologiche femminili, e poi nomi di donna: i nomi maschili sono riservati ai pianeti maggiori, con le significative eccezioni di Venere e della nostra Terra). Sappiamo che Cerere - giustamente descritto da Asimov come la sede del principale avamposto umano nella regione - ha un diametro di circa 922 chilometri: è dunque un pianeta molto piccolo.

Ma gli astronomi che pensavano di aver risolto i loro problemi con la scoperta di Cerere sbagliavano. Il 28 marzo 1802, infatti, W. Olbers scoprì Pallade e nel 1804 e 1807 vennero scoperti rispettivamente Giunone e Vesta (quest'ultimo è il più brillante della famiglia). "Da allora", come scrive Paolo Maffei nel suggestivo Al di là della Luna,{1} il numero dei corpi di questo tipo a noi noto è andato continuamente aumentando. Nel 1868 erano un centinaio, nel 1879 duecento, nel 1890 trecento... Alla fine del 1974 ben 1914 rientravano nella numerazione definitiva". Si ritiene, tuttavia, che il loro numero debba rientrare nell'ordine dei milioni se non addirittura dei miliardi, anche se per il momento la ricerca non è in grado di accertarlo (ammesso che lo sarà mai).

Gli asteroidi, in sostanza, sono piccoli mondi che girano intorno al Sole come i pianeti maggiori, ma che essendo piccolissimi ci appaiono come stelle. Per la maggior parte si trovano tra Marte e Giove, ma alcuni sono disposti in orbite ellittiche più estese. Sembra che ben pochi abbiano forma sferica e in gran parte deve trattarsi di blocchi di roccia vaganti dai cui dirupi ci si potrebbe affacciare improvvisamente sullo spazio cosmico.

Diverse sono le teorie sulla loro origine. Si è a lungo creduto - e Asimov ne accenna in questo romanzo - che gli asteroidi fossero il risultato della disintegrazione di un pianeta maggiore che orbitava tra Marte e Giove. Oggi si preferisce un'ipotesi che sembra accordarsi meglio con le teorie di formazione del sistema solare, e cioè che i pianetini "si condensarono, più o meno nella loro attuale configurazione, dal gas che circondava il Sole dopo la sua formazione, piuttosto che formare direttamente un pianeta. Recenti osservazioni indicano che vi sono almeno due popolazioni di asteroidi distinguibili chimicamente, e che sono distinguibili anche per la loro distanza dal Sole. Dal momento che si ritiene che minerali differenti si siano condensati dal gas a distanze diverse dal giovane Sole, queste osservazioni depongono a favore delle teorie correnti." Così Paul Murdin e David Alien nel loro Catalogo dell'universo del 1979.{2}

La misurazione del diametro degli asteroidi, che in passato veniva effettuata otticamente, segue ora due metodi diversi: uno si basa sull'emissione infrarossa e l'altro sulla polarizzazione della luce solare riflessa. Una volta ottenuti diametro e luminosità apparente, si può calcolare l'albedo di questi piccoli corpi. L'albedo è la frazione riflessa di luce solare incidente, e in relazione a questo fattore si è visto che esistono due tipi diversi di asteroidi: la maggior parte di essi è molto scura, anzi alcuni sono fra gli oggetti più scuri del sistema solare (lo accenna anche Asimov nella sua nota); si ritiene che la scarsa riflessione di questi asteroidi scuri sia dovuta alla loro composizione di superficie, che sarebbe ricca di carbonio. Altri - ma sono una minoranza - presentano albedo elevate, riflettendo anche il 40% della luce solare incidente.

Ma la scoperta più eccitante in fatto di asteroidi risale al primo novembre 1977, quando Charles Kowal dell'osservatorio di monte Palomar scopri l'oggetto che ora è denominato Chirone. Vari fattori hanno fatto ritenere (e le misurazioni lo hanno poi confermato) che Chirone si trovasse più lontano dal Sole della maggior parte degli asteroidi. In effetti questo pianetino (del diametro di circa 200 km, come quello di molti suoi compagni) si trova normalmente fra le orbite di Saturno e Urano; solo per alcuni anni, ogni mezzo secolo, passa all'interno dell'orbita di Saturno.

La scoperta di Chirone ha acceso il dibattito fra gli scienziati: secondo alcuni esso farebbe parte di una vera e propria famiglia di asteroidi situati tra Saturno e Urano, mentre secondo altri Chirone si sarebbe originato fra Marte e Giove, ma in seguito (per effetto di perturbazioni provocate dall'influsso gravitazionale di Giove e Saturno) sarebbe stato spinto nella posizione attuale.

Ma è tempo di lasciare la parola ad Asimov: prepariamoci a tuffarci nella cintura, anzi, nella fascia degli asteroidi.

Giuseppe Lippi