CAPITOLO 17

L' effetto sugli Strateghi è immediato e soddisfacente, i Diversi di loro lanciano degli urletti strozzati. Altri perdono la presa sui loro calici di vino che si infrangono a terra. Due sembrano indecisi se svenire o no. L'espressione sconvolta è sul viso di tutti.

Ora ho l'attenzione di Plutarch Heavensbee. Mi guarda dritto negli occhi mentre il succo della pesca che ha schiacciato nel pugno gli scorre lungo le dita. Alla fine si schiarisce la gola e dice: — Può andare, signorina Everdeen.

Mi esibisco in un rispettoso inchino e mi volto per andarmene, ma all'ultimo momento non resisto alla tentazione di lanciarmi alle spalle il contenitore del succo di ribes. Sento il suo contenuto spiaccicarsi contro il manichino, mentre un altro paio di calici di cristallo si rompono sul pavimento. Quando le porte dell'ascensore mi si chiudono davanti, vedo che nessuno si è ancora mosso.

Direi che li ho sorpresi, penso. È stata un'azione avventata e pericolosa e senza dubbio la pagherò molto cara. Ma per il momento provo qualcosa di molto simile all'esaltazione e mi concedo di assaporarla.

Voglio trovare subito Haymitch e raccontargli della mia sessione, ma non c'è nessuno in giro. Immagino che si stiano preparando per la cena e decido di farmi una doccia, visto che ho le mani sporche di succo. Mentre sono sotto il getto d'acqua inizio ad avere dei dubbi sulla saggezza della mia ultima trovata. La domanda che ora dovrebbe sempre guidarmi è: "Questo aiuterà Peeta a restare vivo?". Ciò che ho appena fatto potrebbe nuocergli, anche se indirettamente. Quello che succede durante l'addestramento è assolutamente segreto, per cui non avrebbe senso fare qualcosa contro di me quando nessuno sa quale sia stata la mia trasgressione. In effetti l'anno scorso sono stata premiata per la mia spavalderia. Ma questa è tutta un'altra storia. Se gli Strateghi sono arrabbiati con me e decidono di punirmi nell'arena, anche Peeta potrebbe restare coinvolto nell'attacco. Forse sono stata troppo avventata. Però... non posso dire che mi dispiaccia.

Quando ci troviamo per la cena, noto che le mani di Peeta sono ancora un po' macchiate di vari colori, sebbene abbia i capelli ancora bagnati dopo il bagno. Alla fine deve aver fatto qualcosa che ha a che fare col mimetismo. Una volta servita la zuppa, Haymitch va dritto al punto: — Allora, com'è andata la vostra sessione privata?

Scambio uno sguardo con Peeta. A questo punto non ho più molta voglia di raccontare quello che ho fatto. Nella tranquillità della sala da pranzo, sembra un gesto davvero estremo. — Prima tu — gli dico. — Deve essere stata una cosa davvero speciale. Ho dovuto aspettare quaranta minuti prima di entrare.

Peeta sembra riluttante quanto me. — Be', io... ho fatto un esercizio di mimetismo, come mi avevi suggerito tu, Katniss. — Esita un po'. — Cioè, non proprio di mimetismo. Però ho usato i colori.

—Per fare cosa? — chiede Portia.

Penso a quanto erano irritati gli Strateghi quando sono entrata in palestra per la mia sessione privata. L'odore di disinfettante. Il materassino trascinato al centro della palestra. Lo avevano spostato per coprire qualcosa che non erano riusciti a cancellare? — Hai dipinto qualcosa, vero? Una specie di quadro.

—Lo hai visto? — chiede Peeta.

—No. Ma si erano dati un gran daffare per coprirlo — lo informo.

—Be', questo è normale. Non possono lasciare che un tributo sappia cosa ha fatto quello prima — interviene Effie senza scomporsi. — Cosa hai dipinto, Peeta? — Ha un'aria un po' assente. — Un ritratto di Katniss?

—Perché avrebbe dovuto dipingere un mio ritratto, Effie? — chiedo un po' infastidita.

—Per far capire che farà di tutto per difenderti. E comunque è quello che si aspettano tutti, a Capitol City. Non si è offerto volontario per entrare nell'arena con te? —dice Effie, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

—In realtà ho dipinto un ritratto di Rue — dice Peeta.

—Di come era dopo che Katniss l'aveva coperta di fiori.

Attorno al tavolo c'è una lunga pausa mentre tutti assorbono questa informazione. — E con questo cosa volevi ottenere, esattamente? — chiede Haymitch in tono molto misurato.

—Non lo so bene. Volevo solo che si sentissero responsabili, anche solo per un momento — spiega Peeta. — Di aver fatto morire quella ragazzina.

—Ma è orribile! — Sembra che Effie stia per scoppiare a piangere. — Questo genere di pensieri... sono proibiti, Peeta. Assolutamente proibiti. Attirerai soltanto altri guai su te e Katniss.

—Questa volta mi tocca essere d'accordo con Effie — dice Haymitch. Portia e Cinna restano in silenzio, ma hanno un'espressione serissima. Naturalmente hanno ragione. Ma, per quanto sia preoccupata, penso che quello che ha fatto è stato magnifico.

—Immagino che non sia un buon momento per dirvi che io ho impiccato un manichino e ci ho scritto sopra il nome di Seneca Crane, vero? — dico. Ottengo l'effetto desiderato. Dopo un istante di incredulità, tutta la disapprovazione della stanza mi si rovescia addosso come un carico di mattoni.

—Tu... hai impiccato... Seneca Crane ? — dice Cinna.

—Sì. Stavo facendo vedere come sono diventata brava a fare i nodi e all'improvviso me lo sono trovato appeso al cappio — rispondo.

—Oh, Katniss — sussurra Effie. — Ma come fai a sapere di questa cosa?

—E un segreto? A giudicare da come ne parlava il presidente Snow non sembrava. Anzi, sembrava che non vedesse l'ora di dirmelo — ribatto. Effie si alza da tavola con il tovagliolo premuto sul volto. — Adesso ho sconvolto Effie. Avrei dovuto mentire e dire che ho tirato qualche freccia.

—Neanche ci fossimo messi d'accordo — osserva Peeta, rivolgendomi un piccolo sorriso.

—E non lo avete fatto? — chiede Portia. Si preme le dita sulle palpebre, come se stesse scacciando una luce troppo intensa.

—No — rispondo, guardando Peeta con un nuovo senso di ammirazione. — Prima di entrare nessuno dei due sapeva cosa avrebbe fatto l'altro.

—E c'è un'altra cosa, Haymitch — aggiunge Peeta. — Abbiamo deciso che non vogliamo alleati nell'arena.

—Bene. Così non sarà colpa mia se farete morire qualche mio amico con la vostra stupidità — ribatte lui.

—È esattamente quello che pensavamo anche noi — gli dico.

Finiamo di mangiare in silenzio, ma quando ci alziamo per andare in salotto Cinna mi mette un braccio attorno alla vita e mi stringe forte. — Dai, andiamo a vedere i punteggi dell'addestramento.

Ci raccogliamo intorno al televisore, dove veniamo raggiunti da Effie. Ha gli occhi rossi. Compaiono le facce dei tributi, distretto per distretto, e i loro punteggi lampeggiano sotto le foto. Dall'uno al dodici. Punteggi prevedibilmente alti per Cashmere, Gloss, Brutus, Enobaria e Finnick. Medio-bassi per gli altri.

—Hanno mai dato uno zero? — chiedo.

—No, ma c'è sempre una prima volta — risponde Cinna.

Ma non è questa. Io e Peeta prendiamo entrambi dodici punti. Ma nessuno ha voglia di festeggiare.

—Perché l'hanno fatto? — chiedo.

—Così gli altri non potranno fare altro che prendervi di mira — dice Haymitch senza scomporsi. — Andate a letto. Non sopporto la vista di nessuno dei due.

Peeta mi accompagna fino alla mia stanza in silenzio, ma prima che possa augurarmi la buonanotte gli getto le braccia al collo e gli appoggio la testa sul petto. Le sue mani mi scivolano lungo la schiena e le sue guance sfiorano i miei capelli. — Mi dispiace se ho peggiorato le cose — dico.

—Non più di quanto abbia fatto io. Ma tu perché l'hai fatto? — mi chiede.

—Non lo so. Forse per dimostrare che non sono soltanto una pedina del loro Gioco — gli rispondo.

Lui ride un po', forse ricordando la notte prima degli Hunger Games dell'anno scorso. Eravamo sulla terrazza del tetto, nessuno dei due riusciva a dormire. Peeta aveva detto qualcosa del genere allora, ma io non avevo capito cosa intendesse. Adesso lo capisco.

—Anch'io — confessa. — E non sto dicendo che non ci proverò. A riportarti a casa, dico. Ma se devo essere sincero...

—Se devi essere sincero, pensi che il presidente Snow abbia dato ordini precisi per fare in modo che noi due moriamo nell'arena in ogni caso — concludo.

—Sì, l'ho pensato — conferma Peeta.

L'ho pensato anche io. Più di una volta. Ma anche se so che non uscirò viva dall'arena, continuo a sperare che Peeta ce la farà. In fondo non è stato lui a tirar fuori quelle bacche, sono stata io. Nessuno ha mai dubitato che la sfida di Peeta fosse motivata dall'amore. E forse allora il presidente Snow preferirà tenerlo in vita, distrutto e col cuore infranto, come monito vivente per gli altri.

—Ma anche se dovesse succedere, tutti sapranno che ce ne siamo andati combattendo, giusto? — chiede Peeta.

—Giusto — gli rispondo. E per la prima volta riesco a lasciarmi alle spalle il dramma che mi ha afflitto da quando hanno annunciato l'Edizione della Memoria. Ripenso al vecchio cui hanno sparato nel Distretto 11, a Bonnie e Twill, alle voci di rivolta. Sì, tutti nei distretti mi guarderanno per vedere come mi comporto di fronte a questa condanna a morte, l'atto finale del dominio del presidente Snow. Cercheranno qualche segno del fatto che le loro battaglie non sono state combattute invano. Se riesco a far capire che continuo a sfidare Capitol City fino alla fine, Capitol City avrà ucciso me, ma non il mio spirito. Che modo migliore potrebbe esserci per dare una speranza ai ribelli?

Il bello di questa idea è che la mia decisione di tenere vivo Peeta a prezzo della mia vita è già in sé un atto di sfida. Un rifiuto di giocare agli Hunger Games secondo le regole di Capitol City. I miei obiettivi privati si incastrano alla perfezione con quelli pubblici. E se riuscissi davvero a salvare Peeta... nell'ottica di una rivoluzione sarebbe l'ideale. Perché sarò più preziosa da morta. Possono trasformarmi in una specie di martire della causa e dipingere la mia faccia sugli stendardi, e riuscirei a unire la gente più di quanto avrei potuto fare in vita. Peeta invece sarà più prezioso da vivo, perché riuscirà a esprimere il suo dolore in parole e discorsi che trasformeranno le persone.

Peeta andrebbe fuori di testa se scoprisse che sto pensando queste cose, per cui mi limito a dirgli: —Cosa pensi che dovremmo fare nei nostri ultimi giorni di vita?

—Io voglio soltanto passare ogni minuto che mi resta da vivere insieme a te — risponde Peeta.

—E allora vieni — gli dico mentre lo trascino dentro la mia stanza.

È bellissimo poter dormire con Peeta. Finora non mi ero resa conto di quanto avessi fame di contatto umano. Della sensazione di averlo accanto nel buio. Vorrei non avere sprecato le ultime due notti chiudendolo fuori. Sprofondo nel sonno avvolta nel suo calore e quando riapro gli occhi la luce del giorno entra dalle finestre.

—Niente incubi? — dice lui.

—Niente incubi — confermo. — E tu?

—Niente. Mi ero dimenticato cosa voleva dire una notte intera di sonno.

Restiamo ancora un po' a letto, non abbiamo fretta di cominciare la giornata. Domani sera ci saranno le interviste per la TV, COSÌ oggi Effie e Haymitch dovrebbero farci fare delle prove. Ancora tacchi alti e commenti sarcastici, penso io. Ma poi entra la senza-voce dai capelli rossi con un biglietto di Effie. Dice che, considerato il nostro recente tour, lei e Haymitch hanno deciso che possiamo decidere da soli come comportarci davanti al pubblico. Le sessioni di prova sono annullate.

—Davvero? — mi domanda Peeta, prendendomi il biglietto di mano ed esaminandolo con attenzione. — Sai cosa vuol dire? Che avremo tutto il giorno per noi.

—Peccato che non possiamo andare da nessuna parte — dico io malinconica.

—E chi l'ha detto? — chiede lui.

La terrazza sul tetto. Ordiniamo un sacco di cibo, rubiamo qualche coperta e andiamo sul tetto per un picnic. Un picnic che dura tutto il giorno nel giardino fiorito che tintinna al suono delle campane tubolari. Mangiamo. Prendiamo il sole. Io strappo qualche viticcio e uso le mie nuove conoscenze per fare pratica di nodi e intrecciare reti. Peeta mi fa dei ritratti. Ci inventiamo un gioco con il campo di forza che circonda il tetto: uno di noi lancia una mela contro il campo di forza e l'altro deve prenderla al volo.

Nessuno viene a darci fastidio. Nel tardo pomeriggio sono sdraiata con la testa sulla pancia di Peeta a intrecciare una corona di fiori, mentre lui giocherella coi miei capelli sostenendo che gli serve per fare pratica di nodi. Dopo un po' le sue mani si bloccano. — Cosa c'è? — gli chiedo.

—Vorrei poter fermare il tempo e vivere così per sempre — dice.

Di solito questi riferimenti al suo imperituro amore nei miei confronti mi fanno sentire in colpa e a disagio. Ma mi sento così tranquilla e rilassata e al di là di qualsiasi preoccupazione per un futuro che comunque non avrò che mi lascio sfuggire due semplici parole: — Va bene.

Sento il sorriso nella sua voce. — Allora sei d'accordo?

—Sono d'accordo — dico io.

Le sue dita tornano ad accarezzarmi i capelli e io mi metto a sonnecchiare, ma lui mi sveglia per vedere il tramonto. È una spettacolare vampata gialla e arancione dietro il profilo dei grattacieli di Capitol City. — Ho pensato che non te lo volessi perdere — si scusa.

—Grazie — gli rispondo, perché potrei contare sulle dita di una mano i tramonti che mi restano, e non voglio perdermene neanche uno.

Non raggiungiamo gli altri per la cena e nessuno ci viene a chiamare.

—Meglio così. Sono stanco di far stare male tutti quelli che ho intorno — dice Peeta. — Tutti che piangono. O Haymitch che... — Non c'è bisogno che concluda la frase.

Restiamo sulla terrazza fino all'ora di andare a letto e poi sgattaioliamo in silenzio in camera mia senza incontrare nessuno.

La mattina dopo veniamo svegliati dai miei preparatori. La vista di me e Peeta che dormiamo insieme è troppo per Octavia, che scoppia immediatamente a piangere. — Ricordati quello che ci ha detto Cinna — la sgrida Venia. Octavia annuisce ed esce dalla stanza singhiozzando.

Peeta deve tornare in camera sua per i preparativi e io resto sola con Venia e Flavius. Mi viene risparmiato il solito chiacchiericcio. In effetti i miei preparatori parlano ben poco, se non per dirmi di sollevare il mento o per illustrarmi una tecnica cosmetica. È quasi l'ora di pranzo quando sento qualcosa che mi sgocciola lungo la spalla, mi volto e scopro Flavius che mi sta spuntando i capelli con il viso inondato di lacrime silenziose. Venia gli lancia un'occhiata e lui appoggia delicatamente le forbici sul tavolo ed esce.

E così resta solo Venia, la cui pelle è così pallida che i suoi tatuaggi sembrano volerne balzare fuori. Con una risolutezza che rende rigidi i suoi movimenti, mi fa i capelli, le unghie e il trucco, le dita che volano agili per compensare l'assenza dei colleghi. Evita il mio sguardo per tutto il tempo. È solo quando arriva Cinna a dare l'approvazione finale e a congedarla che lei mi prende le mani, mi guarda dritto negli occhi e dice: — Vogliamo che tu sappia che... per me è stato un grande privilegio farti apparire più bella che mai. — Poi corre fuori dalla stanza.

I miei preparatori. I miei sciocchi, superficiali, affezionati animaletti domestici, con le loro ossessioni per le piume e le feste, mi hanno quasi spezzato il cuore con il loro addio. Dalle ultime parole di Venia è evidente che sappiamo tutti che non tornerò dall'arena. Lo sa tutto il mondol, mi chiedo. Guardo Cinna. Lui lo sa di sicuro. Ma non c'è pericolo che si metta a piangere, proprio come ha promesso.

—Allora, cosa mi metto questa sera? — chiedo lanciando un'occhiata verso la borsa che contiene il mio vestito.

—Il vestito è stato scelto dal presidente Snow in persona — dice Cinna. Apre la borsa e mi mostra uno degli abiti da sposa che ho indossato per il servizio fotografico. Pesante seta bianca con un'ampia scollatura e la vita stretta e le maniche che mi ricadono dai polsi al pavimento. E perle. Perle ovunque. Cucite sul vestito e in giri attorno al collo e a formare la corona per il velo. — Anche se hanno annunciato l'Edizione della Memoria la sera del servizio fotografico, il pubblico ha votato comunque per il vestito che preferiva, e ha scelto questo. Il presidente ha detto che dovrai indossarlo questa sera. Le nostre obiezioni sono state ignorate.

Mi passo un lembo di seta tra le dita mentre cerco di intuire i piani del presidente Snow. Dato che io sono la principale colpevole, il mio dolore e la mia sconfitta e la mia umiliazione devono essere sotto i riflettori. E pensa che così lo saranno. Il fatto che il presidente trasformi il mio abito nuziale nel mio sudario è un gesto talmente barbaro che ottiene l'effetto desiderato e mi lascia in preda a un dolore sordo allo stomaco. — Be', sarebbe un peccato sprecare un vestito così bello — butto lì.

Cinna mi aiuta a indossare l'abito con grande delicatezza. Il tessuto si appoggia sulle mie spalle che si piegano un po' sotto quel fardello. — È sempre stato così pesante? — chiedo. Ricordo che diversi abiti indossati per il servizio erano dei bei mattoni, ma questo sembra pesare una tonnellata.

—Ho dovuto fare qualche piccola modifica per via delle luci — dice Cinna. Annuisco, anche se non capisco il senso della sua frase. Lui mi fa infilare le scarpe e la parure di perle e il velo. Mi ritocca il trucco. Mi fa camminare.

—Sei uno splendore — dice. — Devi stare attenta, perché il corpetto è aderentissimo, per cui non dovresti sollevare le braccia sopra la testa. Be', almeno non prima di fare la tua giravolta.

—Dovrò farla anche quest'anno? — chiedo pensando al mio vestito dell'anno scorso.

—Sono sicuro che Caesar te lo chiederà. E se non lo fa, proponiglielo tu. Però non subito. Tienilo per il gran finale — mi suggerisce Cinna.

—Fammi tu un segnale, quando sarà il momento — dico.

—Va bene. Hai pensato qualcosa per l'intervista? So che Haymitch vi ha lasciato carta bianca.

—No, quest'anno andrò a braccio. La cosa buffa è che non sono per niente nervosa. — E non lo sono davvero. Per quanto il presidente Snow possa odiarmi, il pubblico di Capitol City è dalla mia parte.

Incontriamo Effie, Haymitch, Portia e Peeta all'ascensore. Peeta è elegantissimo, in smoking e guanti bianchi. È il genere di abito che indossano gli sposi a Capitol City.

Da noi è tutto molto più semplice. Di solito la donna affitta un vestito bianco che è stato già indossato centinaia di volte. L'uomo indossa qualcosa di pulito purché non sia la tuta da minatore. Compilano qualche modulo al Palazzo di Giustizia e viene loro assegnata una casa. La famiglia e gli amici si riuniscono per un pranzo e una fetta di torta, se possono permetterselo. E anche se non possono, c'è sempre una canzone tradizionale che cantiamo mentre gli sposini attraversano la soglia della loro nuova casa. E abbiamo un nostro piccolo cerimoniale, in cui loro accendono il fuoco per la prima volta, tostano una fetta di pane e la condividono. Sarà anche una cosa all'antica, ma nel Distretto 12 nessuno si sente davvero sposato finché il pane non è stato tostato.

Gli altri tributi si sono già raccolti dietro le quinte e parlano sottovoce, ma quando arriviamo io e Peeta cala il silenzio. Mi rendo conto che stanno fissando il mio abito da sposa. Sono invidiosi per la sua bellezza? Del potere che potrebbe avere di manipolare il pubblico?

Alla fine Finnick dice: — Non posso credere che Cinna ti abbia messo addosso quella roba.

—Non aveva scelta. Il presidente Snow lo ha costretto — ribatto io, un po' sulla difensiva. Non permetterò a nessuno di criticare Cinna.

Cashmere si getta all'indietro i fluenti riccioli biondi e, in tono maligno, commenta: — Hai un'aria così ridicola! — Afferra la mano di suo fratello e lo piazza al suo posto, in testa alla nostra processione. Anche gli altri tributi iniziano a mettersi in fila. Sono confusa perché, sebbene sembrino tutti irritati, qualcuno mi dà una pacca solidale sulla spalla, e Johanna Mason addirittura si ferma per raddrizzarmi la collana di perle.

—Fagliela pagare, va bene? — dice.

Annuisco, ma non capisco cosa intenda dire. Almeno non finché saliamo tutti sul palco e Caesar Flickerman, che quest'anno ha i capelli e il volto color lavanda, termina il suo discorso introduttivo e i tributi iniziano le loro interviste. È la prima volta che mi rendo conto di quanto siano profondi, tra i vincitori, il senso di tradimento e la relativa rabbia. Ma sono così intelligenti e così meravigliosamente abili che il loro sdegno finisce col riflettersi sul governo e sul presidente Snow. Non tutti, però. Ci sono i nostalgici, come Brutus e Enobaria, che sono lì soltanto per un altro giro di giostra, e quelli troppo sconvolti o drogati o persi per partecipare all'attacco. Ma ci sono abbastanza vincitori che hanno ancora cervello e fegato a sufficienza per combattere.

Cashmere dà il calcio d'inizio con un discorso su come non riesca a smettere di piangere quando pensa a quanto debba soffrire la gente di Capitol City all'idea di perderci. Gloss ricorda la gentilezza dimostrata da tutto il pubblico nei confronti suoi e di sua sorella. Beetee mette in dubbio la legalità di questa Edizione della Memoria con il suo eloquio nervoso e frammentato e si chiede se la cosa sia stata presa in esame da veri esperti in materia. Finnick recita una poesia che ha scritto sul suo unico vero amore a Capitol City e almeno un centinaio di persone svengono perché sono certe che lui stia parlando di loro. Johanna Mason si alza in piedi e chiede se non si possa fare qualcosa per questa situazione. Di certo gli ideatori dell'Edizione della Memoria non avevano previsto che si creasse un tale legame affettivo fra i vincitori e Capitol City. Nessuno può essere tanto crudele da voler spezzare un legame così profondo. Seeder rimugina sottovoce su come nel Distretto 11 tutti pensino che il presidente Snow sia onnipotente. Ma se è onnipotente, perché non cambia le regole di questa Edizione della Memoria? E Chaff aggiunge subito dopo che il presidente potrebbe cambiare le regole, se lo volesse, ma evidentemente pensa che a nessuno importi granché.

Quando mi presentano, il pubblico è a pezzi. C'è gente che piange, che sviene o persino che invoca un cambiamento nelle regole. La vista di me con il vestito da sposa scatena una protesta generale. Niente più Katniss, niente più vissero-per-sempre-felici-e-contenti, niente più matrimonio. Persino la professionalità di Caesar mostra qualche crepa mentre cerca di calmare il pubblico per farmi parlare, ma i miei tre minuti stanno scorrendo velocemente.

Alla fine c'è un momento di calma e Caesar mi dice: — Allora, Katniss, ovviamente questa è una serata molto emozionante per tutti. C'è qualcosa che vorresti dire?

La mia voce trema mentre parlo. — Solo che mi dispiace tanto, perché non potrete essere al mio matrimonio... ma sono contenta che almeno possiate vedermi con il mio abito da sposa. Non è... semplicemente meraviglioso? — Non ho bisogno di controllare se Cinna mi sta facendo il segnale. So che è il momento giusto. Inizio a girare lentamente su me stessa, sollevando sopra la testa le maniche del mio pesante vestito.

Quando sento le urla del pubblico, penso siano perché quel vestito mi sta magnificamente. Poi mi accorgo che c'è qualcosa che si sta alzando attorno a me. Fumo. È fuoco. Non le fiamme tremolanti che ho indossato l'anno scorso sul carro, ma qualcosa di più reale che sta divorando il mio vestito. Inizio a farmi prendere dal panico via via che il fumo si fa più denso. Pezzi carbonizzati di seta nera turbinano nell'aria e perle cadono tintinnando sul palco. Ho paura di fermarmi perché non mi sento bruciare la pelle e so che dietro tutto questo ci deve essere Cinna. Così continuo a girare e girare. Per una frazione di secondo non riesco a respirare, completamente avvolta da quelle strane fiamme. Poi, all'improvviso, il fuoco si spegne. Mi fermo lentamente, chiedendomi se sono nuda e perché Cinna ha fatto in modo che il mio vestito da sposa venisse consumato dal fuoco.

Ma non sono nuda. Ho addosso un abito identico a quello da sposa, solo che ha il colore del carbone ed è fatto di minuscole penne d'uccello. Sollevo sbalordita a mezz'aria le lunghe maniche fluenti ed è in quel momento che mi vedo sugli schermi. Vestita tutta di nero, a parte le chiazze bianche sulle maniche. O dovrei chiamarle ali.

Perché Cinna mi ha trasformato in una ghiandaia imitatrice.