CAPITOLO 9

Qualcuno mi scuote per una spalla e mi raddrizzo. Mi sono addormentata con la faccia sul tavolo. La tovaglia bianca mi ha lasciato qualche grinza sulla guancia sana. L'altra, quella che si è presa la frustata da Thread, pulsa dolorosamente. Gale dorme come un sasso, ma le sue dita sono serrate intorno alle mie. Sento il profumo del pane fresco e quando giro il collo irrigidito trovo Peeta, lì in piedi, che mi guarda con un'espressione tristissima. Ho idea che ci stia osservando già da un po'.

—Va' di sopra a dormire, Katniss. Mi prendo io cura di lui — dice.

—Peeta. Riguardo a quello che ti ho detto ieri, sulla fuga... — inizio.

—Lo so — mi interrompe. — Non c'è bisogno di spiegazioni.

Vedo le pagnotte di pane sul bancone nella pallida luce di un mattino nevoso. Le ombre scure sotto i suoi occhi. Mi chiedo se abbia dormito. Non molto, comunque. Penso a come ieri ha accettato di venire con me, a come si è fatto avanti per aiutarmi a proteggere Gale, a quanto è sempre pronto a condividere la mia sorte fino in fondo, anche se io gli do così poco in cambio. Qualunque cosa io faccia, finisco per fare del male a qualcuno. — Peeta...

— Va' a letto, d'accordo? — dice.

Salgo le scale a tentoni, striscio sotto le coperte e mi addormento all'istante. A un certo punto Clove, la ragazza del Distretto 2, entra nei miei sogni. Mi dà la caccia, mi inchioda a terra e tira fuori un coltello per tagliarmi la faccia. Il coltello penetra a fondo nella mia guancia, aprendo un ampio squarcio. Poi Clove comincia a trasformarsi, il suo viso si allunga fino a diventare un muso, dalla pelle le spunta una pelliccia scura, le unghie si fanno lunghi artigli, ma i suoi occhi rimangono gli stessi. Si tramuta nella forma ibrida di se stessa, nell'essere simile a un lupo creato da Capitol City che ci ha terrorizzati l'ultima notte nell'arena. Gettando indietro la testa, emette un lungo, spaventoso ululato, che viene raccolto da altri ibridi nelle vicinanze. Clove prende a leccare il sangue che esce dalla mia ferita, e a ogni leccata una nuova ondata di dolore mi percorre il viso. Mando un grido strozzato e mi sveglio di soprassalto, sudando e rabbrividendo. Mentre mi tengo delicatamente la guancia con la mano, ricordo a me stessa che non è stata Clove ma Thread a procurarmi questa ferita. Vorrei che Peeta fosse qui ad abbracciarmi, ma mi torna in mente che non dovrei più volerlo. Ho scelto Gale e la ribellione, e il futuro con Peeta è un progetto di Capitol City, non mio.

Il gonfiore intorno all'occhio si è ridotto e riesco a sollevare un pochino la palpebra. Faccio scorrere le tende e vedo che la nevicata si è fatta più intensa, trasformandosi in una autentica tempesta di neve. Non c'è che un biancore totale e l'ululare del vento, sin troppo simile a quello degli ibridi.

In fondo mi piace la tempesta, coi suoi venti impetuosi e la neve alta che vortica nell'aria. Forse basterà a tenere i veri lupi, altrimenti noti come Pacificatori, lontano dalla mia porta. Qualche giorno per pensare. Per elaborare un piano. Con Gale e Peeta e Haymitch a portata di mano. Questa bufera è un dono.

Ma prima di scendere ad affrontare questa nuova vita, mi prendo un po' di tempo per capirne il significato. Meno di ventiquattr'ore fa ero pronta ad addentrarmi in pieno inverno in un territorio disabitato insieme ai miei cari, con la più che concreta possibilità che quelli di Capitol City venissero a cercarci. Un'iniziativa rischiosa, nel migliore dei casi. Ma adesso mi sto impegnando in qualcosa di ancor più pericoloso. Mettersi contro Capitol City garantisce rapide ritorsioni. Devo accettare l'idea che potrei essere arrestata in qualsiasi momento. Che busseranno alla porta, come ieri sera, e una brigata di Pacificatori mi trascinerà via. Che potrebbero esserci torture. Mutilazioni. Una pallottola in testa nella piazza cittadina, se sarò abbastanza fortunata da andarmene così in fretta. A Capitol City hanno un'infinità di metodi creativi per uccidere la gente. Immagino queste cose e ne sono terrorizzata. Ma parliamoci chiaro, erano già in agguato nella mia testa. Sono stata tributo negli Hunger Games. Sono stata minacciata dal presidente. Mi sono presa una frustata in pieno viso. Io sono già un bersaglio.

Adesso arriva la parte più difficile. Devo affrontare la possibilità che la mia famiglia e i miei amici condividano il mio stesso destino. Prim. Mi basta solo pensare a Prim perché tutta la mia determinazione svanisca. Io ho il dovere di proteggerla. Mi tiro la coperta sopra la testa e il mio respiro è così affrettato che comincio a soffocare per mancanza d'aria. Non posso permettere che quelli di Capitol City facciano del male a Prim.

E poi realizzo. Gliel'hanno già fatto. Le hanno ucciso il padre in quelle maledette miniere. Sono rimasti a guardarla mentre moriva praticamente di fame. L'hanno scelta come tributo, poi l'hanno costretta ad assistere allo spettacolo di sua sorella che combatteva all'ultimo sangue durante gli Hunger Games. A dodici anni, le hanno fatto del male ben più di quanto ne abbiano fatto a me. Ma tutto questo impallidisce se confrontato con la vita di Rue.

Spingo via la coperta e aspiro l'aria fredda che filtra attraverso i vetri della finestra.

Prim... Rue... non è proprio per loro che devo provare a combattere? Perché ciò che hanno subito è così sbagliato, così ingiustificabile, così malvagio da non lasciare altra scelta? Perché nessuno ha il diritto di trattarle come sono state trattate?

Sì. È questo che devo ricordare, quando la paura minaccia di inghiottirmi. Ciò che sono sul punto di fare - non importa quello che mi toccherà sopportare - è per loro. È troppo tardi per aiutare Rue, ma forse non è troppo tardi per quei cinque visetti sollevati verso di me, sulla piazza del Distretto 11. Non è troppo tardi per Rory e Vick e Posy. Non è troppo tardi per Prim.

Gale ha ragione. Se la gente ha coraggio, questa potrebbe essere un'opportunità. E ha ragione nel dire che, visto che sono stata io ad avviare tutto, potrei fare davvero tanto. Anche se non ho idea di cosa dovrebbe essere, quel "tanto". Ma decidere di non scappare è un primo passo essenziale.

Mi faccio una doccia. Stamattina la mia testa non riflette sulla lista di provviste che possono servirmi nei boschi, ma cerca di capire com'è stata organizzata la rivolta del Distretto 8. Tante persone che sfidano Capitol City così apertamente. L'hanno pianificato o è stato qualcosa che è esploso dopo anni di odio e rancori? Come potremmo fare una cosa del genere anche qui? La gente del Distretto 12 parteciperebbe o chiuderebbe a chiave la porta di casa? Ieri la piazza si è svuotata molto in fretta, dopo la fustigazione di Gale. Ma non è forse perché ci sentiamo tutti impotenti e nessuno di noi sa cosa fare? Ci serve qualcuno che ci guidi e ci assicuri che è possibile. E io non credo di essere la persona adatta. Posso aver agito da catalizzatore della rivolta, ma un leader deve essere qualcuno che ha salde convinzioni, e io sono a malapena una convertita. Qualcuno che possegga un indomito coraggio, e io sto ancora faticando per trovare il mio, di coraggio. Qualcuno che si esprima con parole chiare e persuasive, e io mi ammutolisco così facilmente.

Parole. Penso alle parole e penso a Peeta. A come la gente faccia sua qualsiasi cosa dica. Scommetto che potrebbe smuovere un'intera folla, se decidesse di farlo. Troverebbe gli argomenti. Ma sono sicura che l'idea non gli è mai passata per la testa.

Al piano di sotto, trovo mia madre e Prim che assistono un Gale piuttosto depresso. L'effetto della medicina deve cominciare a svanire, a giudicare dall'espressione del suo viso. Mi preparo per un'altro scontro, ma cerco di mantenere calma la voce. — Non puoi fargli un'altra iniezione?

— Lo farò, se necessario. Pensavo di provare prima con un impacco di neve — dice mia madre. Ha rimosso le fasciature di Gale. Quasi si vede il calore che si irradia dalla sua schiena. Gli stende un telo pulito sulla carne infiammata e fa un cenno con la testa a Prim.

Prim viene avanti, mescolando qualcosa in una grossa scodella. È di colore verde chiaro e manda un delicato profumo di pulito. Comincia a versare con cura sul telo quella mistura di neve e balsamo. Riesco quasi a sentire lo sfrigolio della pelle torturata di Gale al contatto con quell'impacco rinfrescante. Batte le palpebre e spalanca gli occhi, perplesso, poi si lascia sfuggire un sospiro di sollievo.

—Meno male che abbiamo la neve — dice mia madre.

Penso a come dev'essere riprendersi da una fustigazione in piena estate, con la calura violenta e l'acqua che scende tiepida dal rubinetto. — Cosa fai nei mesi caldi? — chiedo.

Una ruga compare tra le sopracciglia di mia madre mentre si incupisce. — Cerco di tenere lontane le mosche.

Lo stomaco mi si rivolta al pensiero. Lei riempie un fazzoletto con la mistura dell'impacco e me lo appoggia sulla piaga della guancia. Il dolore se ne va all'istante. È il freddo della neve, certo, ma anche l'estratto di erbe che ha aggiunto mia madre. — Oh, è meraviglioso. Perché non gliel'hai messo ieri sera?

—Doveva chiudersi la ferita, prima — mi spiega.

Non so cosa significhi esattamente, ma finché funziona, chi sono io per dubitare di lei? Sa quello che fa, mia madre. Provo una fitta di rimorso per ieri, per le cose orribili che le ho urlato mentre Peeta e Haymitch mi trascinavano fuori dalla cucina. — Mi dispiace, di averti gridato contro, ieri.

—Ho sentito di peggio — ribatte. — Hai visto come si comportano le persone quando qualcuno che amano soffre.

Qualcuno che amano. Quelle parole mi anestetizzano la lingua come se avessi un impacco di neve anche lì. Io amo Gale, naturalmente. Ma che genere di amore intende lei? Cosa intendo io, quando dico che amo Gale? Non lo so. Ieri sera l'ho baciato, è vero, in un momento in cui le mie emozioni erano a mille. Ma sono certa che lui non se ne ricorda. O sì? Spero di no. Altrimenti tutto si complicherebbe ancora di più, e io non posso certo pensare ai baci quando ho una ribellione da fomentare. Scuoto leggermente la testa per schiarirmi le idee. — Dov'è Peeta? — chiedo.

—È tornato dai suoi quando ha sentito che ti eri svegliata. Non voleva lasciare la casa incustodita durante la tempesta — risponde mia madre.

—È arrivato sano e salvo? — chiedo. Durante una bufera, ci si può perdere per una questione di metri e finire a vagare nella direzione sbagliata fino a perdere i sensi.

—Perché non lo chiami e controlli? — ribatte lei.

Vado nello studio, una stanza che ho evitato il più possibile dall'epoca del mio incontro con il presidente Snow, e faccio il numero di Peeta. Risponde dopo qualche squillo.

—Ehi. Volevo solo assicurarmi che fossi arrivato a casa — dico.

—Katniss, abito a tre case di distanza dalla tua, osserva.

—Lo so, ma con questo tempo e tutto il resto... ribatto.

—Be', sto benissimo. Grazie per aver controllato. — C'è un lungo silenzio. — Come sta Gale?

—Bene. Adesso mia madre e Prim gli stanno facendo un impacco di neve — dico.

—E la tua faccia? — chiede.

—Ne hanno fatto uno anche a me — rispondo. — Hai visto Haymitch, oggi?

—Sono andato a dare un'occhiata. È ubriaco fradicio. Gli ho ravvivato il fuoco e gli ho lasciato un po' di pane — dice.

—Volevo parlarvi... a tutt'e due. — Non oso aggiungere altro al telefono. Il mio apparecchio è sicuramente sotto controllo.

—È probabile che tu debba aspettare finché il tempo non si rimette — dice. — Prima succederà ben poco, comunque.

—No, non molto — concordo.

Ci vogliono due giorni perché la tempesta si plachi, lasciando mucchi di neve più alti di me. E un altro giorno affinché venga sgomberato il viottolo che dal Villaggio dei Vincitori porta alla piazza. In questo lasso di tempo, aiuto ad assistere Gale, mi faccio impacchi di neve sulla guancia, cerco di ricordare tutto quello che posso sulla rivolta del Distretto 8, in caso ci serva. Il gonfiore diminuisce e mi lascia con una ferita in via di guarigione che mi prude e con un occhio nero. Ciononostante, alla prima occasione chiamo Peeta per sentire se vuole venire in città insieme a me.

Scuotiamo Haymitch e lo trasciniamo con noi. Si lamenta, ma non tanto come al solito. Sappiamo bene di dover parlare di quello che è successo e per farlo non c'è posto più pericoloso delle nostre case al Villaggio dei Vincitori. Quindi aspettiamo che il Villaggio sia lontano anche solo per aprire bocca. Impiego quel tempo a osservare i muri di neve alti tre metri ammonticchiati sui due lati dello stretto sentiero appena ripulito, chiedendomi se ci crolleranno in testa.

Alla fine Haymitch rompe il silenzio. — Allora stiamo per partire tutti per il grande ignoto?

—No — rispondo. — Non più.

—Hai studiato i punti deboli del piano, dolcezza? — chiede. — O hai qualche altra idea?

—Voglio dare inizio a una rivolta — annuncio.

Haymitch si limita a ridere. E non è una risatina, la sua, il che è preoccupante, perché dimostra che non riesce proprio a prendermi sul serio. — Be', voglio qualcosa da bere. Ma fammi sapere come pensi di fare.

—Il tuo piano quale sarebbe, invece? — reagisco, rabbiosa.

—Il mio piano è assicurarmi che tutto sia assolutamente perfetto per il tuo matrimonio — dice Haymitch. — Ho fissato la data per un nuovo servizio fotografico.

—Ma se non hai nemmeno il telefono — ribatto.

—Ci ha pensato Effie. Pensa che mi ha chiesto se mi piacerebbe condurti all'altare. Io le ho risposto solo che prima è, meglio è.

—Haymitch. — Sento il tono di supplica che si insinua nella mia voce.

—Katniss. — Mi fa il verso. — Non funzionerà.

Tacciamo mentre una squadra di uomini muniti di pale ci supera, diretta verso il Villaggio dei Vincitori. Forse faranno qualcosa per quei muri alti tre metri. E quando sono fuori portata d'orecchio, la piazza è già troppo vicina. Entriamo e ci fermiamo tutti nello stesso momento.

Succederà ben poco durante la tormenta. Io e Peeta eravamo d'accordo su questo. Ma non avremmo potuto sbagliarci più di così. La piazza è trasformata. Un enorme stendardo col sigillo di Panem pende dal tetto del Palazzo di Giustizia. Un drappello di Pacificatori in uniformi immacolate marcia sul selciato pulito e spazzato. Lungo le cime dei tetti, altri Pacificatori occupano postazioni dotate di mitragliatrici. Ma la cosa più sconcertante è la serie di nuove strutture allestite in mezzo alla piazza: un palo per le fustigazioni pubbliche, vari recinti di detenzione, e una forca.

—Thread è uno che si dà da fare — osserva Haymitch.

A qualche strada di distanza dalla piazza, vedo infuriare un incendio. Non c'è bisogno che nessuno di noi lo dica. Può essere solo il Forno che va in fumo. Penso a Sae la Zozza, a Ripper, a tutti i miei amici che là si guadagnano da vivere.

—Haymitch, pensi che fossero ancora tutti dentro... — Non riesco a terminare la frase.

—Naaa, quelli sono furbi. Lo saresti anche tu, se fossi in circolazione da più tempo — dice. — Be', sarà meglio che vada a vedere quanto alcol può farmi avere il farmacista.

Si allontana faticosamente attraverso la piazza e io guardo Peeta. — A cosa gli serve? — Poi mi rendo conto della risposta. — Non possiamo permettergli di bere quella roba. Si ucciderà, o come minimo perderà la vista. Ho messo da parte un po' di liquore bianco, a casa.

—Anch'io. Forse questo lo tratterrà, finché Ripper non troverà il modo di rimettersi in affari — dice Peeta. — Ho bisogno di vedere come sta la mia famiglia.

—Io vado a trovare Hazelle. — Sono preoccupata. Pensavo che si sarebbe presentata alla nostra porta non appena avessero tolto la neve. Invece non si è vista.

—Vengo anch'io — si offre Peeta.

—Grazie. — All'improvviso sono molto spaventata da ciò che potrei trovare.

Le strade sono praticamente deserte, il che non sarebbe insolito, a quest'ora del giorno, se gli adulti fossero alle miniere e i ragazzini a scuola. Ma non sono là. Vedo volti che ci guardano furtivi dalle case, attraverso le fessure delle persiane.

Una rivolta, penso. Quanto sono stupida. In quel piano c'è un vizio di fondo che io e Gale eravamo troppo ciechi per vedere. Una rivolta richiede di infrangere la legge, di opporsi all'autorità. Noi l'abbiamo fatto per tutta la vita, e così pure le nostre famiglie. Cacciare di frodo, commerciare al mercato nero, deridere Capitol City nei boschi. Ma per la maggior parte degli abitanti del Distretto 12, già fare un giro al Forno per comprare qualcosa era giudicato troppo rischioso. E ora mi aspetto che si radunino in piazza con torce e mattoni? La sola vista di me e Peeta è sufficiente a far sì che la gente allontani i bambini dalle finestre e tiri bene le tende.

Troviamo Hazelle a casa sua, occupata ad assistere una Posy molto malata. Riconosco le macchie del morbillo. — Non potevo abbandonarla — si giustificata. — Sapevo che Gale sarebbe stato nelle mani migliori che esistono.

—Certo — confermo. — Lui sta molto meglio. Mia madre dice che potrà tornare alle miniere tra un paio di settimane.

—Fino ad allora potrebbero comunque non essere aperte — ribatte Hazelle. — Gira voce che resteranno chiuse fino a nuovo ordine. — Poi lancia un'occhiata nervosa alla sua tinozza vuota.

—Hai chiuso anche tu? — chiedo.

—Non ufficialmente — risponde lei. — Ma adesso hanno tutti paura a venire da me.

—Forse è per la neve — osserva Peeta.

—No. Rory ha fatto un giro veloce stamattina. A quanto pare non c'è niente da lavare — dice.

Rory stringe Hazelle tra le braccia. — Andrà tutto bene.

Prendo una manciata di monete dalla tasca e la appoggio sul tavolo. — Mia madre manderà qualcosa per Posy.

Quando siamo fuori, mi rivolgo a Peeta. — Tu vai pure. Io voglio passare dal Forno.

—Vengo con te.

—No. Ti ho trascinato già in troppi guai — replico.

—Evitare una passeggiata dalle parti del Forno... mi servirà a sistemare le cose? — Sorride e mi prende per mano. Percorriamo insieme le strade del Giacimento finché non raggiungiamo l'edificio in fiamme. Non si sono nemmeno presi il disturbo di lasciare lì intorno qualche Pacificatore. Sanno che nessuno cercherebbe di salvarlo.

Il calore prodotto dalla fiamme sta sciogliendo la neve intorno e un rivolo nero incontra le mie scarpe. — E tutta la polvere di carbone che si è accumulata — dico. Era in ogni fessura, in ogni fenditura, compressa persino fra le assi del pavimento. È sorprendente che quel posto non sia saltato in aria prima. — Voglio vedere come sta Sae la Zozza.

— Non oggi, Katniss. Non credo che la nostra visita sarebbe d'aiuto a nessuno — ribatte Peeta.

Torniamo in piazza. Compro un po' di biscotti dal padre di Peeta mentre loro due chiacchierano del tempo. Nessuno accenna agli orribili strumenti di tortura a pochi metri dalla porta. L'ultima cosa che noto prima che ce ne andiamo dalla piazza è che non riconosco nemmeno una delle facce dei Pacificatori.

Col passare dei giorni, le cose vanno di male in peggio. Le miniere sono chiuse da due settimane e metà del Distretto 12 muore di fame. Il numero di bambini che si iscrivono per avere le tessere sale alle stelle, ma spesso non ricevono i loro cereali. Il cibo comincia a mancare, e anche chi dispone di un po' di soldi esce dai negozi a mani vuote. E quando le miniere riaprono, gli stipendi vengono ridotti, le ore di lavoro aumentate e i minatori spediti in zone sempre più pericolose. Il cibo garantito per il Giorno dei Doni, atteso con tanta ansia, arriva guasto e contaminato dai topi. Intorno alle strutture erette in piazza c'è grande movimento, via via che la gente viene trascinata lì e punita per reati sui quali si è chiuso un occhio per così tanto tempo che tutti si erano scordati che fossero illegali.

Gale è tornato a casa senza che abbiamo più parlato di ribellione. Ma non posso non pensare che tutto ciò che vede servirà solo a rafforzare la sua determinazione a reagire. Le difficoltà nelle miniere, i corpi torturati in piazza, la fame sui volti dei suoi familiari. Rory si è iscritto per le tessere, ed è qualcosa di cui Gale non riesce neppure a parlare. Ma anche quello non basta, col cibo sempre più caro e difficile da trovare.

La sola nota positiva è che convinco Haymitch ad assumere Hazelle come governante, il che permette a lei di guadagnare qualche soldo extra e produce un netto miglioramento nello stile di vita di Haymitch. È strano andare a casa sua e trovarla lustra e pulita, col cibo messo a scaldare sul fornello. Lui se ne accorge appena, perché sta combattendo una battaglia del tutto diversa. Io e Peeta abbiamo provato a razionare quel poco di liquore bianco che avevamo, ma ormai è quasi finito, e l'ultima volta che ho visto Ripper, era alla gogna.

Sembro un paria quando cammino per le strade. In pubblico tutti mi evitano. Ma a casa la compagnia non manca. Un flusso continuo di malati e feriti viene depositato nella nostra cucina davanti a mia madre, che già da un pezzo ha smesso di farsi pagare per i suoi servigi. Le sue scorte di medicinali, però, si stanno riducendo a tal punto che presto le rimarrà soltanto la neve per curare i suoi pazienti.

Naturalmente i boschi sono proibiti. Tabù. Non se ne parla neanche. Persino Gale non sfida il divieto, adesso. Ma una mattina lo faccio io. E non sono la casa piena di malati e moribondi, le schiene sanguinanti, i bambini dai volti scarni, gli scarponi in marcia o l'onnipresente miseria a spingermi sotto la recinzione. È l'arrivo di una cassa di abiti da sposa, una sera, insieme a un biglietto di Effie in cui si dice che lo stesso presidente Snow ha approvato quei modelli.

Il matrimonio. Sta davvero progettando di andare avanti con questa storia? A cosa dovrebbe servire, nella sua mente contorta? È per quelli di Capitol City? Vi abbiamo promesso un matrimonio e vi daremo un matrimonio. E poi ci ucciderà, per dare una lezione ai distretti? Non lo so. Questa mossa non la capisco. Mi rigiro nel letto finché non riesco più a sopportarlo. Devo andarmene di qui. Almeno per qualche ora.

Le mie mani frugano nell'armadio finché trovo l'equipaggiamento invernale che Cinna mi ha fatto per i momenti di svago durante il Tour della Vittoria. Scarponi impermeabili, una tuta da sci che mi copre dalla testa ai piedi, guanti termici. Adoro i miei vecchi abiti da caccia, ma per la camminata che ho in mente di fare questo abbigliamento tecnico è decisamente più adatto. Scendo le scale in punta di piedi, riempio la mia bisaccia di cibo ed esco di casa di nascosto. Muovendomi furtivamente lungo vicoli e strade laterali, arrivo al punto debole della recinzione più vicino alla casa di Rooba, la macellaia. Visto che in molti percorrono questa strada per andare alle miniere, la neve è piena di impronte. Le mie non verranno notate. Nonostante i suoi grandi miglioramenti alla sicurezza, Thread ha prestato poca attenzione alla recinzione, forse credendo che il tempo infame e gli animali selvatici bastino a tenerci tutti dentro, al sicuro. In ogni caso, una volta passata sotto la rete, nascondo le mie orme fintanto che gli alberi non lo fanno per me.

Sta facendo giorno quando recupero un arco con le frecce e comincio ad aprirmi a forza un varco tra la neve ammassata nei boschi. Per qualche motivo, sono decisa ad arrivare al lago. Forse per dire addio a quel posto, a mio padre e ai momenti felici che ho trascorso lì, perché so che molto probabilmente non vi farò mai più ritorno. Forse solo per poter ancora respirare a fondo. A una parte di me non importa che mi prendano, se riesco a rivedere il lago un'ultima volta.

Il viaggio richiede il doppio del tempo rispetto al solito. I vestiti di Cinna trattengono benissimo il calore, e infatti arrivo fradicia di sudore, sotto la tuta da sci, mentre il viso è insensibile al freddo. Il bagliore del sole invernale sulla neve ha giocato con la mia vista e sono così stanca e presa dai miei pensieri disperati che non mi accorgo dei segni. Il sottile filo di fumo del camino, i solchi di impronte recenti, l'odore di aghi di pino sul fuoco. Sono letteralmente a qualche metro dalla porta della casa quando mi fermo di botto. E non per il fumo o le impronte o l'odore. Per l'inconfondibile scatto di un'arma alle mie spalle.

Seconda natura. Istinto. Mi volto, tendendo l'arco già armato, anche se so già che le probabilità non sono a mio favore. Vedo l'uniforme bianca da Pacificatore, il mento aguzzo, l'iride marrone chiaro dove andrà a piantarsi la mia freccia. Ma la sua arma cade a terra e la donna disarmata tende qualcosa verso di me nella mano guantata.

— Ferma! — grida.

Esito, incapace di elaborare questa svolta negli eventi. Forse hanno ordinato di portami indietro viva, così che possano torturarmi e indurmi ad accusare chiunque abbia mai conosciuto. Auguri, penso. Le mie dita non hanno ancora deciso se lasciar partire la freccia, quando vedo l'oggetto nel guanto. È solo il piccolo disco di una galletta, grigia e molliccia ai bordi. Ma al centro ha una figura chiaramente impressa.

È la ghiandaia imitatrice.