La stessa mattina in cui Amelius e Sally (a Londra) entravano in chiesa per assistere al matrimonio, Rufus (a Parigi) se ne andava a passeggiare agli Champs Elysées.
Si trovava a metà dello splendido viale quando, per la seconda volta, vide Regina mentre faceva il solito giro in carrozza con un’anziana signora al suo servizio. Rufus si tolse di nuovo il cappello, incurante della fredda accoglienza che aveva già sperimentato. Con sua grande sorpresa, non soltanto Regina gli restituì il saluto, ma ordinò di fermare la carrozza e gli fece segno di avvicinarsi perché desiderava parlargli. Osservandola più da vicino, notò che portava sul volto i segni di una sofferenza che avevano trasformato completamente l’espressione che ricordava in lei. I suoi magnifici occhi erano come spenti e arrossati. Non aveva più il suo bel colorito. La voce le tremò mentre si rivolgeva a lui.
«Avete qualche minuto da dedicarmi?», gli domandò.
«L’intera giornata se desiderate, signorina», rispose Rufus.
Poi si rivolse alla donna che la accompagnava. «Aspettami qui, Elizabeth, ho qualcosa da dire a questo signore».
E con queste parole, scese dalla carrozza. Rufus le offrì il braccio e lei vi si appoggiò prontamente, come se fossero stati vecchi amici. «Prendiamo uno dei vialetti laterali», disse. «Sono quasi deserti a quest’ora del giorno. Ho paura di avervi molto sorpreso. Posso soltanto confidare che nella vostra gentilezza mi perdonerete per esservi passata accanto senza degnarvi di uno sguardo, l’ultima volta che ci siamo incontrati. Forse potrà scusarmi il fatto che sono in un grosso guaio. Ma è probabile che riusciate a sollevarmi il morale. Suppongo sappiate che sono fidanzata ufficialmente».
Rufus la guardò con un’espressione all’improvviso incuriosita. «La cosa riguarda dunque Amelius?», le chiese.
Lei rispose con un filo di voce, in modo quasi impercettibile: «Sì».
Rufus continuava a tenere lo sguardo fisso su di lei. «Non ho niente da dire, signorina», spiegò. «Ma se avete da fare qualche lamentela su Amelius, lo prenderei come un favore se mi guardaste dritto negli occhi e la faceste a chiare lettere».
Nell’imbarazzo che turbava Regina in quel momento, aveva scelto fra tutte le due richieste che per lei sarebbe stato impossibile soddisfare. Continuò a tenere ostinatamente lo sguardo rivolto a terra. Poi, invece di parlare di Amelius, portò l’argomento sulla malattia del signor Farnaby.
«Mi trovo a Parigi con lo zio», disse. «Ha avuto una lunga malattia, ma ora è forte abbastanza per riuscire a parlarmi di cose che ha per la testa da diverso tempo. Mi ha così turbata, mi ha reso così disperata riguardo ad Amelius...». Si soffermò, portandosi il fazzoletto agli occhi. Rufus non disse una parola per consolarla, si limitò ad aspettare pazientemente fino a quando lei non si sentì pronta a proseguire il discorso. «Conoscete bene Amelius», riprese, «gli siete affezionato e credete in lui, non è così? Ritenete sia capace di comportarsi in maniera tanto spregevole con chiunque si fidi di lui? È dunque verosimile, è possibile che possa essere stato tanto falso e crudele proprio nei miei confronti?».
La sola domanda suscitò l’indignazione di Rufus. «Chiunque vi abbia parlato di lui in tal senso, vi ha mentito, signorina! Rispondo del mio amico come farei di me stesso».
Finalmente Regina lo guardò, con un’espressione improvvisamente sollevata. «Anch’io ho risposto così», disse. «Ho pensato che qualche nemico volesse screditarlo. Lo zio non vuole dirmi chi è stato. Ma è risoluto nel proibirmi di scrivere ad Amelius. Dice che non devo vederlo mai più, e ha intenzione di scrivergli lui stesso per rompere il fidanzamento. Oh, è troppo penoso per me! Davvero troppo penoso!».
Fino a quel momento avevano passeggiato lentamente, ma adesso Rufus si fermò, con l’intenzione di farla parlar chiaro.
«Permettete che vi dia un suggerimento, signorina», disse. «Non fidatevi mai di qualcuno a metà. Non c’è niente che non sia disposto a fare per rimediare a questa situazione, ma devo sapere prima di che cosa si tratta. Cos’è stato detto di Amelius? Sputate il rospo, non m’importa cosa sia! Sono vecchio abbastanza per essere vostro padre e provo davvero simpatia per voi».
La totale sincerità del tono e dei modi che accompagnarono queste parole ottennero l’effetto voluto. Regina era arrossita e tremava, ma si decise a parlare.
«Lo zio dice che Amelius ha dato un cattivo esempio di sé e mi ha disonorata. Lo zio dice che c’è una persona... una ragazza che vive insieme a lui...». S’interruppe, con un debole grido di timore. La sua mano, ancora poggiata sul braccio di Rufus, lo sentì trasalire mentre pronunciava quelle parole sulla ragazza. «Allora lo sapevate anche voi!», gridò. «Oh, che Dio mi aiuti, allora è vero!».
«Vero?», ripeté Rufus con severo disprezzo. «Cosa vi succede? Non ho ancora aperto bocca, o forse mi sbaglio? Volete una risposta? Amelius è sincero con voi. Vi basta? No! Siete un tipo molto cocciuto, signorina, ecco cosa siete. Bene dunque! È mio dovere nei confronti del ragazzo provare ad aggiustare le cose con voi, sempre che le parole servano a qualcosa. Sapete com’è stato educato a Tadmor? Tenetelo a mente e conoscerete la verità, parola di un uomo per bene».
Senza aggiungere altri preamboli le raccontò di come Amelius aveva incontrato Sally, sottolineando con insistenza l’aspetto puramente caritatevole che aveva motivato l’amico. Regina ascoltava con un’espressione alquanto diffidente e caparbia che avrebbe scoraggiato la maggior parte degli uomini. Malgrado ciò, Rufus insisté e, per lo meno entro certi limiti, riuscì a produrre l’impressione giusta. Quando giunse alla fine del racconto, affermando che aveva assistito di persona all’affidamento senza riserve della ragazza alle cure di una signora che era una sua amica cara e stimata, e quando dichiarò che non c’erano stati altri incontri tra loro e nessun genere di corrispondenza, soltanto allora, finalmente, Regina ammise di sentirsi incoraggiata a confidare nella rispettabilità di Amelius, e non senza un valido motivo. Ma anche in simili circostanze, era rimasta un’ombra di dubbio nella sua mente. Chiese quale fosse il nome della signora a cui Amelius era debitore per la benevola assistenza. Rufus tirò fuori uno dei suoi biglietti da visita e ci scrisse il nome e l’indirizzo della signora Payson.
«Mia cara, il vostro carattere non vi porta a fidarvi come mi auguravo», disse porgendole con calma il biglietto da visita. «Ma non si può cambiare il proprio carattere, non è vero? E non siete obbligata a credere a un uomo come me, senza prove a mio sostegno. Scrivete pure alla signora Payson e tranquillizzatevi. Poi, già che ci siamo, ditemi dove posso telegrafarvi domani. Me ne andrò a Londra col battello postale stanotte».
«Volete dire che avete intenzione di vedere Amelius?».
«Proprio così. Sono troppo affezionato a lui per lasciare questa faccenda in sospeso. Gli sono stato lontano per poco tempo, durante il mio soggiorno a Parigi, e potreste accusarmi, anche a ragione, di non poter rispondere per quanto è accaduto in mia assenza. No! Giacché ci siamo, lo renderemo pubblico. Voglio vedere Amelius e la signora Payson domani mattina. Dite soltanto a vostro zio di aspettare prima di troncare il fidanzamento, e di attendere il mio telegramma. Allora? È questo dunque il vostro indirizzo? Conosco l’albergo. Ha una bella vista sui giardini delle Twillery, ma una pessima cantina, da quanto ho sentito. Io sono al Grand Hôtel, se doveste aver bisogno di me prima di stasera. Ora che vi guardo meglio, credo che abbiate ancora qualcosa da dirmi, se soltanto vi concedeste di dar sfogo alla lingua. No, non si tratta di ringraziamenti. Diamo per scontata la riconoscenza, e passiamo piuttosto a quel che c’è dietro. Ecco la vostra carrozza, e mi sembra che quella brava signora sia stanca di aspettare. Be’, allora?».
«C’è una sola cosa», ammise Regina, con lo sguardo nuovamente rivolto a terra. «Forse, tornando a Londra, avrete modo di vedere la...».
«La ragazza?».
«Sì».
«Non è detto. Dite piuttosto che vorreste che la vedessi. Per quale motivo?».
Regina riacquistò il suo colorito. «Nel caso vi capitasse di incontrarla», disse, «vi prego e vi supplico di non parlare di me in sua presenza. Ne morirei per la vergogna, se soltanto pensasse di lasciarlo per pietà nei miei confronti. Promettetemi che il mio nome non sarà pronunciato, promettetemi che non farete cenno neppure al fatto che ci siamo parlati. Sulla vostra parola d’onore!».
Rufus promise, senza esitazioni e senza appunti di alcun genere. Ma quando si dettero la mano, prima che lei salisse di nuovo in carrozza, lui gliela trattenne per qualche istante. «Vogliate scusarmi, signorina, se vi faccio un’altra domanda», disse con una voce talmente bassa che nessun altro avrebbe potuto sentire. «Siete davvero affezionata ad Amelius?».
«Sono sorpresa che abbiate dei dubbi», rispose. «Sono più, molto più che affezionata a lui!».
Rufus l’aiutò in silenzio a salire in carrozza. «Davvero affezionata a lui?», pensò mentre si allontanava. «Credo si tratti di quel genere di passione che non resiste all’uso e che mal sopporta i lavaggi».