Ulivolì Ulivolà (1996-2001)
Cento teste di adulatori maledetti in cerchio lo leccavano.
Aristofane, Le vespe
Il primo governo Berlusconi cade dopo 7 mesi per mano di Bossi il 22 dicembre 1994. Segue un anno di governo tecnico presieduto da Lamberto Dini, appoggiato da Lega e centrosinistra con l’astensione della Casa delle Libertà. Poi, il 21 aprile 1996, si vota e vince l’Ulivo di Romano Prodi. Michele Serra su «l’Unità» mette subito in guardia i vincitori dal «rischio di essere circondati da troppo consenso» e aggiunge: «condivido gli allarmi per i rischi di conformismo a sinistra» e dà un «piccolo consiglio ai leader della sinistra: non andate in televisione tutte le sere. Basta una volta ogni tanto, come si usa nei paesi civili». Aldo Grasso, sul «Corriere», implora Veltroni: «Non vorremmo che le esigenze della telecamera soppiantassero quelle della Camera». Giorgio Bocca su «l’Espresso» sbertuccia «gli informatori servi, già passati al corteggiamento di Walter Veltroni». E Giampaolo Pansa sbeffeggia «il bla-bla dei vincitori» che «ringhiano contro l’informazione critica» che ha il dovere di «essere sempre contro chi sta al potere». Ma sono voci isolate. Montanelli sente puzza di melassa e avverte l’Ulivo felix dal pericolo dell’autoconformismo e il ceto intellettuale dal «fascino della livrea» perché da sempre «la cupidigia, la voglia di padrone tiene in fibrillazione tanti italiani, e soprattutto la cosiddetta intellighenzia». Prediche nel deserto.
PRODI
Tu Coppi, io Bartali
«Romano Prodi è il Fausto Coppi della sinistra» (Ferdinando Adornato, ex Pci, ex Alleanza democratica, direttore di «Liberal», 1996, citato dal «Corriere della Sera», 16.10.2005).
Il Sacro Romano Impero
«Il giuramento di Prodi: “Dureremo cinque anni”», «“Io giuro”, parte l’Italia dell’Ulivo» («la Repubblica», 19.5.1996).
«A mezzogiorno la chiesa slega tutte e quattro le sue campane... Romano Prodi è appena entrato, è la sua prima domenica a Bologna con l’aura di presidente. “Speriamo di sentirle molte volte le quattro campane”, mormora lui alla fine. “Ho detto messa per te, ieri sera”, sussurra monsignor Luciano Gherardi all’orecchio del novello premier. “Pregate”, gli ha risposto quello che tutti qui continuano e continueranno a chiamare Romano» («la Repubblica», 21.5.1996).
Normalità cosacca
«La storia a volte non fa rumore... Non hanno l’aria dei cosacchi... Riservati, laconici, un po’ impacciati, normali» («la Repubblica» sui nuovi ministri dell’Ulivo, 20.5.1996).
Prodivino
«Prodi, a Bologna la prima domenica da premier. Brindisi col vino» («la Repubblica», 20.5.1996). Però, originale: brinda col vino, lui.
Uno di noi
«Valigioni in mano, Romano Prodi sul treno come un viaggiatore qualunque. L’aereo presidenziale per tornare a Bologna? “Grazie, no”» (Vittorio Monti, «Corriere della Sera», 20.5.1996).
Baciami, stupido
«Un governo tutto baci». «Quella del governo Prodi è la foto di un’Italia di famiglia, mentre il centrodestra era ed è l’Italia che “tiene famiglia”» (Mino Fuccillo, «la Repubblica», 24.5.1996).
Romano il paninaro
«Quello di Prodi è un programma di svolta che ha l’ambizione di portare l’Italia, di portare il Paese oltre il Duemila, nel terzo millennio... Messaggio di speranza e di fiducia... tono responsabile e costruttivo... non c’è nulla del vecchio consociativismo... agli antipodi di quell’arroganza di regime messa in mostra dal centrodestra... Uno stile diverso, semplice e chiaro... Un capo di governo che, all’intervallo di pranzo, esce da Palazzo Chigi per fare due passi e andare a mangiare un panino» («la Repubblica», 24.5.1996).
Anzi no, pizzaiolo
«I due figli di Prodi volevano vedere la partita in tv con papà per poi farsi, tutti insieme, una bella pizza. Da non credere» («Corriere della Sera», 24.5.1996).
Diversamente filiformi
«Prodi e Clinton vengono entrambi da origini umili, da piccoli paesi di provincia, tutti e due sono andati a studiare in Inghilterra, sono dei self-made men e sono entrambi leggermente paffuti, l’uno con il gusto della mortadella e l’altro del cheeseburger: il gusto, insomma, dei cibi semplici e confortanti» (Alan Friedman, «autorevole osservatore dei problemi italiani», «l’Unità», 13.6.1996). Da notare la soavità di quel «leggermente paffuti». Chissà come si dice, in inglese.
Repetita iuvant
«Il presidente del Consiglio è stato accolto alla Casa Bianca con tutti gli onori... Il presidente del Consiglio è stato accolto alla Casa Bianca con tutti gli onori» (Vittorio Monti, «Corriere della Sera», 13.6.1996). Due volte? Ma sì, abbondiamo, che poi dice che siamo tirati: adbondantis adbondandum.
Bill & Romano in love
«Con Bill ci siamo capiti subito». «Sorridono, si guardano, sembrano amici da sempre. Bill Clinton e Romano Prodi si stringono la mano davanti a fotografi e telecamere... C’è chi dice che questo pomeriggio è diverso e si può perfino definire una svolta» (Barbara Palombelli, «la Repubblica», 13.6.1996).
Gnam gnam
«Incontro saporoso e leggero come una portata di nouvelle cuisine» (Paolo Passarini sul primo vertice Clinton-Prodi, «La Stampa», 13.6.1996).
The premier is on the table
«Il premier italiano ha parlato in inglese praticamente perfetto» («la Repubblica», 13.6.1996).
«L’inglese di Prodi è corretto, leggermente scandito» (Fabio Martini, «La Stampa», 13.6.1996).
«A Clinton l’uomo [Prodi, nda] è piaciuto. Non solo per il suo inglese piuttosto preciso» (Paolo Passarini, «La Stampa», 13.6.1996).
Fanfan le Zuccon
«Intelligenza vivida, visione politica che spazia lontano, onestà cristallina, lingua velenosa, ambizione smisurata, con questo identikit, Amintore Fanfani era nato per non essere simpatico. La stampa non fece nulla per illustrare, o almeno descrivere, le azioni coraggiose di Fanfani, le lungimiranze preziose, le iniziative utili, anche perché l’uomo era sempre contro le idee correnti, i luoghi comuni, e gli interessi consolidati, perciò ebbe l’opinione pubblica contro... Il suo ultimo atto politico è stato la fiducia che nel 1996 ha votato a Prodi, il quale, più del voto ha sicuramente apprezzato l’abbraccio dell’erede di De Gasperi... Altri tempi, altri uomini...» (Guglielmo Zucconi, «Il Giorno», 4.2.1998). La punteggiatura è dell’autore.
Noio volevan Prod
«Nel cuore del “prime-time” appare sulle tv americane il “prime-minister”. Introdotto dall’intervistatore con l’inedita deferenza dovuta a un leader europeo, invece della consueta supponenza riservata a un pifferaio italiano, buca lo schermo Romano Prodi. Oddio, buca. Ci si spalma. Ma è, anche quello, un modo per conquistarlo. Quindici minuti con “The Professor” ed è fatta. Il giornalista, più che ottenere risposte, impara... Da un continente all’altro, da una lingua all’altra, Prodi fa lezione. Lento, calcolato, inarrestabile... Comincia spiegando. In inglese, che, per un “prime minister” italiano, Dini a parte, è già una notizia... L’intervistatore domanda e Prodi introduce immancabilmente la risposta con “Look!”. Letteralmente: “Guarda!”. Ma è un modo per dire: sta’ attento, adesso ti spiego, non ti distrarre. “Look!”, accompagnato da un gesto che definisce il campo d’azione in cui si muoverà il mondo (tra le mani di Prodi, a giudicare): Come mai il suo governo dura? “Look!” L’Inghilterra adotterà l’euro? “Look!” Avete sconfitto la corruzione? “Look!” Poi parte la spiegazione. Pacata e inesorabile... L’interlocutore, che in realtà non ne sa niente, annuisce per non scoprirsi. Lo spettatore, anche. Poco importa se c’è qualche svista o qualche aggiustamento sulla storia passata o recente. Look, il professor Prodi ci ha portato in Europa, you know» (Gabriele Romagnoli, «La Stampa», 8.5.1998). Lingua bilingue.
VELTRONI
Piatto Baricco mi ci ficco
«Certo che se mi annunciano un ministero per la Cultura fatto da questo governo che fa capo a questa coalizione e mi danno un nome: Walter Veltroni, per me va bene. Se un ministro per la Cultura me lo annunciano come progetto, per esempio, quelli di un governo che era una coalizione come quella del Polo, mi suona già meno bene. Se poi mi dicono che forse, probabilmente il ministro per la Cultura sarà Liguori, io mi spavento. Non credo che sia una forma di conformismo, penso che dare un ministero per la Cultura a una coalizione come il Polo sia inutile: non sa cosa farsene... Penso che dare un simile ministero a un governo come quello dell’Ulivo sia utile» (Alessandro Baricco, LineaTre condotto da Lucia Annunziata su Rai3 con ospite anche il ministro della Cultura e vicepremier Walter Veltroni, 21.5.1996).
Walter I, il Papa Buono
«E al quarto giorno Walter Veltroni fece la sua comparsa al Salone del Libro di Torino. Alle cinque in punto della sera. Ressa, spintoni, braccia e gambe che si aggrovigliano... ovazioni... Walter di qui, Walter un momento, Walter un autografo, una dedica, ancora una per la mia amica, un fiume di dediche. Domande che restano a vagare a mezz’aria, smozzichi di risposte che si rincorrono. Si procede a rilento, con accelerazioni improvvise. “Un momento, fermi!” Veltroni blocca il corteo, placa il servizio d’ordine che stava per investire una famiglia con bambino piccolo. “Scusatemi”: e col sorriso imbarazzato chiede scusa davvero, una seconda volta. Sarà buonismo, saranno i primi accenni di un nuovo stile?... Ovazioni. Veltroni è stanco» (Maurizio Assalto, «La Stampa», 21.5.1996). L’opera buona quotidiana del Ministro Buono.
Buono il ministro, buone le maniere
«Ora al governo le buone maniere», «Veltroni, appena preso possesso del nuovo ufficio di ministro, ha confidato: “Quando sono rimasto solo, ho guardato fuori dalla finestra e ho pensato di dover ricordare sempre il dolore di certe persone che stanno là fuori”» («l’Unità», 21.5.1996). I fioretti del Ministro Buono.
Il Poeta del Gol
«Sogno un’Italia sportiva e giusta». «A Palazzo Chigi si respira odore di intonaco e l’aria dei grandi momenti... Anche la delega dello Sport al vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni sembra dettare una svolta nel nostro piccolo grande mondo... Veltroni parla di tutto. Dall’amata Juventus a Berlusconi, da Peter Pan a Cammarata [giovane calciatore della Juventus, nda]. Con parole semplici, con idee che sembrano partire da uno di noi: “Dello sport mi piace la poesia... A Berlusconi rimprovero di aver usato lo sport per fini politici... Bene, questo è un vizietto dal quale il nuovo governo starà molto lontano”...» (Enrico Maida, vicedirettore de «Il Corriere dello Sport-Stadio», intervista Walter Veltroni, vicepresidente del Consiglio e ministro della Cultura del governo Prodi, 22.5.1996). Ecco perché il vicepremier si fa intervistare sul calcio da un giornale sportivo: per metter fine al vizietto dei politici di usare il calcio a fini politici.
Veltrò le Mokò
«Un uomo che nel deserto abbia camminato per ore, i piedi gonfi, la gola riarsa e negli occhi finalmente l’immagine e non più il miraggio dell’acqua. Ditegli a questo punto che forse l’oasi chiude e magari riapre più tardi. Fatelo, e avrete la reazione di Walter Veltroni all’idea che l’Unione monetaria ritardi oppure svanisca» (Mino Fuccillo, «la Repubblica», 1.6.1997).
Uòlter Millefoglie
«Veltroni ministro sprint... Veltroni è un millefoglie, un dolce a molti strati... Veltroni è attivissimo e polimorfo... E certo, sul dolce-Veltroni brillano stelline di glassa argentata: sono le imprese finite sui giornali e in tv... Quante cose fa Veltroni. Lo chiamano l’onorevole Sveltoni... Per tutti ha trovato soldi, sbloccato trattative, firmato leggi e intese... Veltroni, 42 anni il 3 luglio, con la fantasia galoppa. Spesso realizza pure... Veltroni ha la mania di svecchiare; aspira a spargere entusiasmo come un Berlusconi dell’Ulivo e dell’Arte... Veltroni vuole un ministero tutto nuovo, più snello e veloce...» (Claudio Altarocca, «La Stampa», 29.6.1997).
Un americano a Roma
«Veltroni: Clinton mi ha ringraziato». «Walter Veltroni parla a tu per tu di governo e Albania con Bill Clinton: mai, prima dell’altro ieri, era capitato che un dirigente postcomunista italiano si incontrasse a Washington con il presidente americano... Una benedizione politica? Un pentimento tardivo della Casa Bianca per le discriminazioni del passato? “Siamo soltanto noi italiani a guardare indietro e a dare importanza a questi vecchi schemi”, scuote la testa l’interprete del postkennedismo e del clintonismo. “Invece mi ha fatto molto piacere sapere che il presidente avesse letto e apprezzato la mia introduzione alla versione italiana del suo libro. Non c’è dubbio: abbiamo un linguaggio comune”... Clinton si è mostrato soddisfatto e ha pregato di trasmettere i suoi saluti a Romano Prodi. Hanno fatto un breve accenno a Blair... Insomma, un colloquio breve, pragmatico. “Che però è servito – insiste Veltroni – a constatare una stessa lunghezza d’onda”» (Arturo Zampaglione, «la Repubblica», 27.10.1997).
Bill & Uòlter
«Bill e Walter, un “linguaggio comune”. Clinton, sollevato per il superamento della crisi politica, promuove l’Italia dell’Ulivo». «C’è un “linguaggio comune” che lega Bill Clinton e Walter Veltroni, Partito democratico Usa e governo Prodi targato Ulivo. Lo hanno trovato i due statisti sabato sera a Washington grazie ad un incontro fuori programma dietro le quinte del gala italoamericano» (Stefano Trinca, «Il Messaggero», 27.10.1997). Che linguaggio comune potrà mai avere Veltroni con Clinton, visto che non parla inglese? Gli inviati dei quotidiani italiani, doloranti alle ginocchia per le troppe ore passate a strisciare, si scordano di domandarglielo.
Pompe & Pompei
«Pompei cambierà volto. A duecentocinquant’anni dalla “scoperta” tornerà a splendere, ritroverà interamente il fascino che ancora si intravede, mai completamente perduto. Lentamente ma inesorabilmente. Entro cinque anni, entro il 2001. Lo promette il vicepresidente del Consiglio e ministro per i Beni culturali Walter Veltroni. E lo promette snocciolando dati e appuntamenti... Comincia la collaborazione tra pubblico e privato grazie al comitato delle imprese varato dalla Confindustria con conseguente – si spera – pioggia di denaro... Sprizza ottimismo Veltroni. È certo di riuscire a spezzare l’infausto destino di Pompei: da quarant’anni diminuisce l’ampiezza dell’area visibile e aumentano i visitatori» (Paolo Vagheggi, «la Repubblica», 17.1.1998). A parte l’uso delle virgole, la matematica approssimativa (il 2001 è di lì a tre anni, non cinque) e un pizzico di suspense (che sarà mai il «piano programma»?), Veltroni sprizza ottimismo. E «Repubblica» spruzza saliva.
Uòlter Multisala
«Nuovo cinema Veltroni: nel nome di Kubrick. Passioni e odi nelle recensioni del vicepresidente del Consiglio ora raccolte in volume. E se la vita fosse un effetto speciale del cinema? Leggendo o rileggendo le duecentoottantanove schede uscite sul “Venerdì” e riassunte in Certi piccoli amori 2 (Sperling & Kupfer, lire 24.000) si capisce che per l’autore, Walter Veltroni, vita e film sono un tesoro comune di emozioni proustiane: si ricorda il film ma anche la sala. Dialogando sui film in tv, l’onorevole aziona il flipper-cinema: la pallina s’accende a contatto con la vita, la poesia, i sentimenti, la leggenda e la quotidianità. Protetto da un carteggio con Eduardo Galeano – scrittore sudamericano – Veltroni minaccia il medioevo tecnologico prossimo venturo quando, come in Strange Days, avremo un microchip nel nervo ottico e allora sarà davvero tutto un cinema. Il volume è un’occasione rara per sposare fiction e realtà. Intanto godiamoci il self service dei miti: Veltroni ha le sue simpatie, non solo uliviste: Mastroianni, Troisi, Scola. I suoi registi del cuore, ha confidato a “Ciak”, oltre al cult per Blow-up, sono Fellini, Rossellini, Zurlini, Leone e De Sica; e Kubrick, Welles, Wilder, Truffaut e Hitchcock. Ma ci sono anche sacrosante antipatie... Ama la “cerbiatta” Audrey Hepburn, di Marilyn dice che turberebbe anche una cresima, su Eastwood dice che sbagliò solo a sostenere Reagan, ma odia Doris Day e soprattutto il suo parrucchiere... Veltroni vince mescolando, in nome di san Truffaut e san Fellini, vita, arti, emozioni, McEwan e Salinger, Borges e Clay: “Ero felice, mi sembrava di toccare il cinema con un dito”» («Corriere della Sera», 5.3.1998).
D’ALEMA
Pellegrinaggio a Stranamore (con Gabibbo)
«Mediaset è un patrimonio per l’Italia, è un’impresa strategica che deve poter affrontare serenamente il futuro in un quadro di regole certe e all’altezza di un paese europeo» (Massimo D’Alema, segretario del Pds, «l’Unità», 23.3.1996). Gli sfugge che il patrimonio dell’Italia sono le frequenze, cioè l’etere, che è un bene pubblico. Mediaset, che ha le frequenze in concessione dallo Stato, è un patrimonio privato (di Berlusconi).
Non contento delle corbellerie dette al suo giornale, due settimane prima delle elezioni, il 4 aprile 1996, D’Alema rende visita agli studi della quotanda Mediaset a Cologno Monzese, dove trova ad attenderlo – oltre al Gabibbo – il vicepresidente Fedele Confalonieri. Che lo fa accomodare nello studio dove si registra abitualmente Stranamore. Lì, per due ore, D’Alema risponde alle domande dei dirigenti Mediaset, da Confalonieri a Emilio Fede a Paolo Liguori, rassicurando i dirigenti e le maestranze. Ma soprattutto il padrone assente.
«Sono qui per sottolineare questo messaggio: voi non dovete avere timore del giorno dopo. Non ci sarà nessun day after. La tv è un altro potere rispetto alla politica. È fondamentale restituire indipendenza a questo potere. Ma voi non dovete aver timori. State tranquilli: il giorno dopo noi non avremo “Storaci” con liste di proscrizione. Avremo invece la serenità sufficiente per trovare intese... su una visione flessibile, non rigida, del concetto di antitrust... Mediaset è una ricchezza per il Paese» (Massimo D’Alema, 4.4.1996). Da tempo Max e Silvio si mandano segnali d’intesa a distanza, in attesa di convolare a giuste nozze alla fine del 1996, nella Bicamerale, anche per la riforma della Costituzione.
Max & Silvio in love
«Non m’interessa sapere perché Berlusconi vuole l’accordo sulle riforme. Se per una volta gl’interessi della Mediaset coincidono con quelli del Paese, a me va bene lo stesso» (Massimo D’Alema, segretario Pds, 31.12.1995).
«D’Alema? Io ho fiducia nelle persone con cui tratto. Io voglio fare delle nuove regole. Se per farle devo accordarmi col diavolo, mi accordo anche col diavolo» (Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia, 23.1.1996).
«Sono preoccupato da un’eventuale caduta di Berlusconi, che potrebbe produrre lo sfaldamento del Polo e determinare un arresto nel processo di costruzione di una vera democrazia dell’alternanza» (D’Alema, 31.5.1996).
«In Berlusconi vedo la buona volontà» (D’Alema, 28.6.1996).
«Berlusconi umanamente è proprio simpatico» (D’Alema, 26.7.1996).
«Caro Massimo, per fortuna che c’è lei. Con lei si può parlare» (Berlusconi, 29.10.1996).
«Caro D’Alema, tutti gli italiani debbono guardare alla sua politica con estremo favore» (Berlusconi, 30.10.1996).
«Noi e Forza Italia siamo partiti confinanti, decisi a modernizzare il Paese. Questo non è inciucio, ma antagonismo collaborante» (D’Alema, 19.12.1996). Era dai tempi delle «convergenze parallele» che non si rideva tanto.
«D’Alema non mi pento di averlo votato [a presidente della Bicamerale, nda]: è stato un presidente che ha tenuto conto, anche con grande pazienza, degli argomenti di tutti. È stato corretto, di un’imparzialità encomiabile, ma se non c’ero io non combinava niente. Comunque è stato un accordo difficile ma utile per il Paese. È stato bello ed importante esserci. Ringrazio anche Marco Boato per la sua perseveranza e la sua passione. Il suo lavoro sulla separazione delle carriere costituisce un passo avanti, anche se ancora timido» (Berlusconi, 30.6.1997).
«In Parlamento non posso che considerare Berlusconi come il leader di uno schieramento che ha raccolto i voti di oltre 15 milioni di nostri concittadini. Se una forza così rilevante vuol discutere di giustizia, lo si deve fare» (D’Alema, «la Repubblica», 27.2.1998). E così, mentre «l’Espresso» di Claudio Rinaldi e Giampaolo Pansa lo chiama «Dalemòni», la stampa berlusconiana e i giornali dei poteri forti eleggono D’Alema a nuovo idolo.
Auto usata con sei marce
«Credo che di D’Alema ci si possa fidare, ha una marcia in più, comprerei da lui una macchina usata» (Vittorio Feltri, direttore de «il Giornale», intervista a «l’Unità», 6.6.1996).
Il nuovo Mitterrand
«Negli ultimi mesi si è aperto un vero e proprio “caso D’Alema”. Il segretario del Pds, infatti, si è reso protagonista di un’imprevista metamorfosi che lo ha condotto a passare, nell’immagine pubblica, da capo di una sinistra antica e altezzosa a leader in pectore di una gauche moderna e riformatrice... contro la cultura giustizialista e le esasperazioni di alcune Procure... Diventerà uno statista... È l’effetto Mitterrand» (Ferdinando Adornato, direttore di «Liberal», dicembre 1996).
Il nobile Dalemoni
«Le buone ragioni del signor Dalemoni». «“L’Espresso” straparla di “Dalemoni”... Ma la sintonia che ormai da mesi lega Berlusconi e D’Alema... può disegnare i contorni di un nuovo Stato e di un futuro stabile per questo Paese disorientato... grazie alla sincerità di D’Alema e alla trasformazione genetica che ha imposto al Pds. Non è inciucio, ma politica. La più nobile» (Antonio Socci, «il Giornale», 21.12.1996).
Pier Max
«Ce l’avessimo noi in squadra uno come D’Alema!» (Pier Ferdinando Casini, segretario Ccd, «Corriere della Sera», 8.6.1996).
Budget Bozzo
«Veltroni fa la guerra a D’Alema e a tutti noi... D’Alema vuole articolare un discorso politico, si rifà al linguaggio del socialismo liberale cercando di ripetere in Italia l’opera politica di Tony Blair» (don Gianni Baget Bozzo, 22.12.1996).
Look perfetto
Catherine Spaak: Il suo look è perfetto, forse manca un tocco di rosso.
Massimo D’Alema: Vede, cerco di non mettere colori troppo brillanti che farebbero risaltare il mio incarnato un po’ cadaverico (dialogo fra l’attrice e il segretario Pds a Porta a Porta, Rai1, 4.3.1996).
Sexy Max
«D’Alema, il nuovo sex symbol... È un uomo che non si concede facilmente. Dunque, seducente... Di fatto, Massimo D’Alema piace alle signore. Molto... Sarà il fascino del potere? O quello, discreto, del quadro di partito che non si è (troppo) montato la testa?... Di lui piacciono... i completi grigio perla e le cravatte Marinella... Ma soprattutto il baffo timido da insegnante severo ma giusto, e quella magrezza da uomo parco, la reticenza a esibire la famiglia. Che autorizza il sospetto che il leader del Pds sia in fondo un timido» («D-La Repubblica delle donne», 1.6.1996).
Il Capitale di Max
«D’Alema conquista la platea di industriali», «Gianni Agnelli e Marco Tronchetti Provera gli hanno stretto la mano con calore», «D’Alema e Agnelli si sono stretti la mano più volte e hanno bevuto insieme diversi caffè» («Corriere della Sera», 17.6.1996).
«D’Alema conquista anche i banchieri» («La Stampa», 18.6.1996).
«Per D’Alema applausi, e ancora applausi» («la Repubblica», 18.6.1996). Ma sì, abbondiamo!
«Quanto piace Massimo D’Alema che sostiene il governo... “Straordinario” mormorano i banchieri, meglio che a Wall Street. E chi l’aveva mai visto un politico italiano con questa sensibilità per i mercati?» (Ugo Bertone, «La Stampa», 18.6.1996).
Inondazione bicamerali
«Quando è stato eletto presidente della Bicamerale, la soddisfazione di Massimo D’Alema è stata grande: ha persino inondato il suo sguardo un po’ intimidito» («Il Messaggero», 6.2.1997).
Un po’ Ricasoli, un po’ Minghetti, un po’ Sella
«D’Alema mi ricorda alcuni grandi della destra storica. È un collage tra Ricasoli, Minghetti e Sella. Di Ricasoli ha la grinta ma è più portato alla mediazione: non chiuderebbe mai la porta in faccia al popolo ex comunista, come Ricasoli fece con il re» (Sergio Romano, «La Stampa», 13.2.1997).
Max il Magnifico
«Alla commissione Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema spetta il compito di aprire le porte a un nuovo Rinascimento» (Paola Sensini, Tg3, 20.2.1997).
Max ha sempre ragione
«Il discorso di Massimo D’Alema a Gargonza, che il “Corriere” ha pubblicato ieri nella sua versione integrale, mi è sembrato molto onesto e molto bello. Rischio (e me ne rendo conto) di finire in qualche lista di “pennivendoli di regime” compilata da qualche antico pennivendolo. Ma accetto il rischio: secondo me, a Gargonza, D’Alema ha volato alto ed è stato spietatamente sincero... È una festa, per tutti i democratici, che Massimo D’Alema abbia tagliato grosse fette di sincerità, nel banchetto di Gargonza. Il leader del Pds, innanzitutto, ha rivendicato orgogliosamente l’onore del far politica, senza le arroganze care ai suoi predecessori antichi, ma anche senza complessi di inferiorità nei confronti dei grilli parlanti... Nel discorso di D’Alema a Gargonza c’è qualche (tenerissima) reminiscenza egemonica... Detto questo, insisto: D’Alema, a Gargonza, è stato onesto e sincero... Se ho ben capito, anche il segretario del Pds abbandona l’ideologia che difende, a tutti i costi, il posto di lavoro umiliante, avvelenato, pericoloso. Se ho ben capito, D’Alema ha ragione, anche su questo» (Giuliano Zincone, «Corriere della Sera», 13.3.1997). Accetta il rischio.
La pagella del Maestro
«Il mio Piano di rinascita democratica? Vedo che vent’anni dopo questa Bicamerale lo sta copiando pezzo per pezzo, con la bozza Boato. Meglio tardi che mai. Mi dovrebbero almeno dare il copyright...» (Licio Gelli, «Il Borghese», 16.4.1997).
Lingue Marroni
«Le tenta tutte, Massimo D’Alema, pur di dare una mano a Valentino Castellani... in difficoltà. E così sale sotto la Mole e si spende, il segretario della Quercia. Ostentando, alla fine, un buon umore da missione compiuta. Perché nel giorno della prima, parziale ricucitura pubblica con Rifondazione, anche da casa Agnelli arrivano buone notizie: «L’Avvocato mi vuole bene... e mi ha detto che voterà Castellani...». Sì, proprio non è un brutto giorno, per il capo di Botteghe Oscure, il giorno in cui mezzo Polo applaude la sua proposta di riforme, e Umberto Bossi conferma di non voler restare fuori dalla Bicamerale. Tant’è vero che per una volta non strapazza i cronisti. Anzi: saluta e fa battute... Lo sa, che fotografi e cameramen sono pronti alla rissa pur di inquadrarli insieme [D’Alema e Bertinotti, nda]. Ma si presta, pacificamente. Si presta, sorride, stringe la mano del capo di Rifondazione... A giudicare dagli evviva, il popolo ulivista è felice... Massimo e Fausto stanno vicini. Nei posti d’onore, uno a destra uno a sinistra del sindaco. Un sindaco visibilmente rincuorato... Si beccano, insomma, i due duellanti, ma stando attenti a non farsi male: “Stare insieme – ammette D’Alema – è fatica quotidiana”. “A chi lo dici...”, conviene Bertinotti. Intesa piena, a sinistra...» (Stefano Marroni, «la Repubblica», 10.5.1997).
Max, in arte Omero
«Campidoglio, ore 10.30. Il film del matrimonio di Fabrizio Rondolino, portavoce di Massimo D’Alema, si apre con il segretario del Pds nell’inedita veste di officiante, con tanto di fascia tricolore a tracolla... Pur assistito dal prosindaco Walter Tocci, D’Alema appare emozionato e un po’ imbarazzato. Fa un discorsetto agli sposi ispirato a Omero. E narra di quando Ulisse, tornato ad Itaca, venne riconosciuto da Penelope per via del letto ricavato nel vecchio ulivo, un segreto che solo loro conoscevano. Come dire che l’intimità di una coppia è fatta di piccoli grandi segreti. All’uscita c’è riso per tutti e si grida “Ulisse, Ulisse”... Una Giovanna Melandri radiosa, tutta in turchese indiano (un look che va molto). Molti parenti e amici stretti, molti bambini di ogni età. Ma tanti giornalisti anche alla festa... D’Alema non dà segni di disagio. Si è tolto la cravatta e, come molti uomini normali, pesca spesso le sue cose nella borsa della moglie, uno zainetto Chanel bianco che Linda Giuva porta disinvolta sulle spalle. E, tra una pasta e fagioli e una fetta di salame, si lascia persino andare a parlare di calcio in un crocchio di cronisti. Luciano Violante arriva in ritardo. La sua auto ha incidentalmente investito un motociclista della scorta che è finito in un fosso. E il presidente della Camera è stato sorpreso mentre lo soccorreva nell’erba alta, col portavoce Ligas che faceva ombra con un giornale e Lucia Annunziata che, sopraggiunta, lo rinfrescava, con un fazzoletto umido... Tante Polaroid ricordo. Anche per Bruno Vespa, che aveva perso l’aereo ma è riuscito a non mancare» (Maria Grazia Bruzzone, articolo a sei colonne nella cronaca politica de «La Stampa», 1.6.1997). E come poteva mancare, in quel vivaio di lingue matrimoniali?
Tre uomini in Bicamerale (per tacer del gatto)
«Dobbiamo cominciare a preparare la campagna elettorale del 1999, quando si potrebbe tornare a votare con il nuovo assetto istituzionale uscito dalla Bicamerale... D’Alema correrà per il Quirinale... Alle elezioni del ’99, D’Alema arriva come “l’uomo che ha fatto le riforme”. Il profilo istituzionale e di garanzia di D’Alema sarà fra due anni senso comune fra gli italiani... D’Alema è “giovane”, ed è percepito come nuova classe dirigente. Dopo i capelli e le sciarpe bianche di Scalfaro, un “giovane” al Quirinale è, sul piano dell’immagine, una svolta radicale che dà, anche visivamente, il senso del cambiamento e del passaggio alla Seconda Repubblica. L’immagine della first family, giovane e bella, è un fattore essenziale nell’elezione diretta (né Berlusconi né Fini sono competitivi). Infine, dobbiamo riflettere sull’uomo D’Alema... Dobbiamo coltivare l’immagine “presidenziale” di D’Alema...
Le elezioni presidenziali si terranno prima delle legislative. La sinergia Prodi-D’Alema torna assai utile: D’Alema, l’uomo che ha fatto le riforme, va al Quirinale forte anche del successo di tre anni di governo dell’Ulivo (incassa insomma anche i successi di Prodi, senza scontarne i difetti e le antipatie); dopodiché, dal Quirinale, diventa a sua volta il motore della campagna elettorale che dovrà confermare la fiducia degli italiani nel governo guidato da Prodi... Noi dobbiamo essere una Dc, come dire, europea... Il posizionamento di D’Alema e la piattaforma programmatica devono dunque, schematicamente, tenere conto che l’Italia che noi vogliamo è (sarà) al 70 per cento il Belpaese e al 30 per cento il Paese normale. La parola d’ordine che dobbiamo trovare per il biennio che ci sta di fronte dovrà accentuare l’aspetto dell’innovazione (per intenderci: Paese normale + “nuova frontiera”), ma non può dimenticare la cornice di partenza (il Belpaese)... Il Pds, inteso come ceto politico, è un cane morto. Non può essere rianimato. Dobbiamo aggirare l’ostacolo... Il Pds-partito è un simulacro che potrà sopravvivere più o meno a lungo, ma che a noi non serve e soprattutto non interessa. Dobbiamo invece pensare il Pds come una rete di relazioni, da un lato, e, dall’altro, come una delle componenti del comitato elettorale di Massimo D’Alema (cioè dell’Ulivo)...
Dobbiamo accentuare il profilo “presidenziale” di D’Alema, “piccolo padre” della sinistra al di sopra delle beghe quotidiane... Dobbiamo concepire l’Ulivo simultaneamente come il “grande Pds”, la Dc degli anni Duemila, e il comitato elettorale permanente di D’Alema... Il primo problema è quello di ridimensionare (e in ultima analisi cancellare) l’immagine, tutt’altro che nuova, del D’Alema “tattico”. Un tocco di spregiudicatezza rafforza un leader, senza dubbio. Dobbiamo però accentuare la portata strategica delle scelte di volta in volta compiute, costruendo (rafforzando) l’immagine di un leader che ha un progetto strategico di lungo corso, che ha individuato una rotta e una meta, che si muove con la necessaria circospezione e furbizia per superare e/o aggirare gli ostacoli, che accetta i compromessi ma non per questo si compromette, e che, se del caso, accetta e dichiara le sconfitte temporanee.
Dobbiamo riflettere sulla figura e sul percorso di Mitterrand. Le analogie con D’Alema sono interessanti: Mitterrand è un intellettuale, è legato come pochi altri alla storia (anche sentimentale) della sinistra, è il “tattico” capace delle operazioni più spregiudicate (e per questo paga un prezzo non piccolo di immagine), è l’uomo che unifica la sinistra francese (la più simile all’italiana) e la porta finalmente al governo, infine è il Presidente, il padre di tutti i francesi, l’uomo saggio che dall’Eliseo guida la politica della Francia con ragionevolezza e prestigio senza per questo rinunciare, quando necessario, alla “zampata” di sinistra. Il passaggio dall’uomo di parte al presidente di tutti (restando politicamente caratterizzato) equivale in buona misura al passaggio dal tattico allo stratega: è su questo che dobbiamo lavorare.
D’altro canto, dobbiamo anche ragionare sul D’Alema “innovatore” e sul D’Alema “presidenziale”... Il “presidente” è il buon padre di tutti, è l’uomo in cui avere fiducia, è la persona saggia che sa mettere le cose a posto perché vede più lontano degli altri e, soprattutto, perché non ha interessi partigiani da difendere e da affermare... D’Alema insomma deve – come il Berlusconi dei tempi d’oro – rivolgersi agli italiani, non alla sinistra o al centrosinistra; ai giovani o alle donne o ai pensionati, non al proprio “popolo”. Una qual certa tonalità antipartitica, o antipartitocratica, non guasta: anzi, con il garbo necessario è utile venga utilizzata là dove le polemiche e gli ostacoli si moltiplicano. Non dobbiamo alimentare il disprezzo qualunquistico per la politica, ma possiamo servircene quando appare necessario...
In sintesi: nel ’99, al momento della candidatura, D’Alema dev’essere già, soggettivamente e nella percezione dell’opinione pubblica, il presidente degli italiani. È questa la cornice da costruire e rafforzare. All’interno di questa cornice, tuttavia, va evidenziato il profilo innovatore del politico D’Alema: per il bene del Paese, e non di una sua parte, D’Alema è l’uomo che indica le scelte da compiere, anche difficili e dolorose, perché vede davanti a sé il futuro della nazione che vuole costruire insieme agli italiani e per gli italiani. Futuro (e dunque le giovani generazioni) e orgoglio nazionale sono le possibili chiavi di volta della campagna presidenziale... Abbiamo bisogno di una parola d’ordine della forza (evocativa e programmatica) del “paese normale” che orienti il lavoro del prossimo biennio e definisca le linee della campagna presidenziale... I concetti su cui lavorare sono futuro/giovani, orgoglio nazionale, creatività/individuo/libertà, bene comune. Ci serve insomma qualcosa del tipo Nuova frontiera.
Noi non dobbiamo cambiare i giornali (non più di quanto, a ben vedere, dobbiamo cambiare l’Italia): dobbiamo prima di tutto sedurre i giornali per potercene servire. Un organismo acefalo, destrutturato, intellettualmente mediocre può diventare persino pericoloso se preso di petto: ma diventa pateticamente indifeso se viene ammansito. Nei confronti dei giornali, e dei media in genere, il nostro deve essere un atteggiamento egemonico. Non dobbiamo esercitare un comando, né aprire un’offensiva frontale. Dobbiamo invece assecondarne gli umori, vezzeggiarne questo o quell’aspetto... I giornalisti non vanno brutalizzati: vanno blanditi e vezzeggiati. Bisogna essere sempre sorridenti. Bisogna avvicinarsi a loro senza scorte e a passo lento. È meglio una dichiarazione che non dice nulla a nessuna dichiarazione. Se incontrati in luoghi o orari disagevoli vanno salutati con simpatia, persino invitati a prendere un caffè... La battaglia contro di loro è destinata a sicura sconfitta: dunque saremo noi a sconfiggerli capovolgendo la nostra impostazione del problema. Dobbiamo ragionare sulla possibilità di portare alla guida del “Corriere” e di “Repubblica” due direttori “di garanzia”, politicamente equilibrati, avversi al qualunquismo pettegolo che costituisce oggi la cifra di quei due quotidiani. È un aspetto, questo, che investe naturalmente le proprietà: con loro bisognerà, direttamente o indirettamente, aprire un discorso serio: d’altra parte, la convinzione ormai diffusa che resteremo a lungo in sella potrà indurre le proprietà ad una discussione proficua. Non ci servono due direttori amici dell’Ulivo o di D’Alema: ci servono due direttori che riconoscano il primato della politica.
In linea di massima, si può dire che ci troviamo ad uno snodo cruciale. La fase di “accreditamento” di D’Alema può dirsi conclusa (simbolicamente, lo sarà il giorno dell’incontro con il Papa). D’Alema è riconosciuto come interlocutore credibile e/o come l’“uomo che deve governare l’Italia” pressoché da tutte le élites: industria, finanza, apparati dello Stato, Chiesa, Ue, Stati Uniti. L’establishment interno e internazionale non costituisce più problema. Ma i rapporti nati in questi anni vanno naturalmente coltivati e rafforzati. In particolare, dobbiamo accentuare la dimensione internazionale di D’Alema: è bene stabilire il principio secondo il quale ogni anno D’Alema visita (anche per un breve periodo di vacanza) gli Stati Uniti, la Germania e la Francia, dove incontra le élites e con loro scambia opinioni.
Dobbiamo però concentrarci prioritariamente su un altro piano: la gente. Cioè il segmento basso della popolazione, tendenzialmente a-ideologico quando non qualunquista, poco o per nulla toccato dai giornali e dalla politica. Dobbiamo conquistare e sedurre la gente, perché ci stiamo preparando per l’elezione diretta. Ciò significa che dobbiamo lavorare molto sul personaggio-D’Alema: tanto quanto si lavorò nel primo anno di segreteria, e probabilmente ancora di più...
Sappiamo che D’Alema è assai più “antiitaliano” che “italiano”. Il che significa principalmente una cosa: percepito come “altro da sé”, come “diverso”, suscita/può suscitare lontananza, antipatia, diffidenza. Dobbiamo correggere questa percezione... Valorizzare l’aspetto competente, tranquillo, raziocinante (l’immagine da veicolare è naturalmente quella della “persona seria”, del professionista che sa di che cosa sta parlando); accentuare l’aspetto umano, evidenziare qualche debolezza (perché scatti l’identificazione), mostrare, senza ostentazione, la dimensione familiare e in questo caso “normale”. Sul piano dell’immagine, dovremo ragionevolmente lavorare sulle fotografie (in famiglia, a casa, al mare), sui media di target medio-basso (i familiari, i femminili ecc.), sulla televisione popolare (Costanzo e il day-time; ma andranno studiati con più attenzione i contenitori televisivi, analizzando il doppio effetto penetrazione positiva/fastidio per il politico-prezzemolo). Dovremo studiare qualche “evento” che definisca emblematicamente questa nuova immagine (la ricetta di cucina è l’esempio più immediato).
In linea di principio, alla competenza (già consolidata) va affiancata la “vicinanza”: possiamo sedurre l’elettorato lavorando su un mix di questi due fattori fondamentali, con una particolare attenzione al pubblico femminile e a quello giovanile. In altre parole, al riconoscimento dell’autorità (D’Alema-padre o zio saggio) va affiancata l’identificazione (D’Alema-fratello). Senza una quota di identificazione, il personaggio-D’Alema non può sfondare.
Un’attenzione specifica, naturalmente, va rivolta al linguaggio verbale e gestuale. D’Alema è ormai depurato, seppur non del tutto, dai toni e dal lessico truculento del polemista politico. Dobbiamo ora prendere congedo dal politichese: frasi più brevi, parole più semplici, sostituzione permanente del “noi” con la prima persona singolare, immagini efficaci che restino nella memoria, aneddoti e raccontini di vita quotidiana devono sostituire l’argomentazione politica classica quando si appare in televisione. Il tono di voce basso e suadente va bene; ma lo sguardo deve cambiare: c’è spesso, al termine di una risposta, uno sguardo come di autocompiacimento, come di ricerca dell’applauso, che va cancellato. La battuta mordace, che è segno di intelligenza e come tale viene percepita, va usata come variatio all’interno di un discorso che, invece, è e resta pacato, dialogante, tranquillo. Il corpo, infine, deve essere meno rigido: le mani devono muoversi con più libertà e familiarità; anche la testa può muoversi più liberamente: un movimento dolce dal basso in alto, come di un gatto che fa le fusa, è un esempio possibile...» (Fabrizio Rondolino e Claudio Velardi, rispettivamente capo-staff della Comunicazione e consigliere politico del presidente della Bicamerale Massimo D’Alema, documento riservato datato luglio 1997 dal titolo «Dalema99. Che facciamo nei prossimi due anni?», pubblicato da Alessandra Sardoni nel libro Il fantasma del leader, Marsilio Editori, 2009).
Il risotto come lo fa lui...
È il 14 ottobre 1997. Bruno Vespa inaugura la nuova stagione di Porta a Porta su Rai1 con un’esclusiva mondiale: Massimo D’Alema con tanto di grembiule, intento a rimestare un risottino nella cucina del fedelissimo Nicola Latorre, tra pentolini, barattoli e vinello. Mentre il presidente della Bicamerale si esibisce ai fornelli, in studio lo chef dalemiano Gianfranco Vissani elogia con perizia le sue mosse e i suoi condimenti. E il consigliere Claudio Velardi e il portavoce Fabrizio Rondolino annuiscono radiosi. Purtroppo per il risotto, D’Alema usa il vino rosso anziché il bianco: «Gli amici in casa non avevano di meglio» si giustifica. Ma il magnanimo Vissani, dopo un affettuoso rabbuffo, lo perdona. Vespa, in estasi, svolazza da un capo all’altro dello studio: non sa più dove leccare.
Sansoffietti
«Massimo D’Alema si è affermato ormai, non solo nell’opinione pubblica italiana, ma anche all’estero, come il leader nazionale più nuovo e prestigioso e anche come il più affidabile, quello su cui contare nei momenti di crisi, quando non si sa cosa fare... Un prodotto selezionatissimo di un partito politico, che ha avuto il coraggio e la capacità di difendere le ragioni della politica a viso aperto di fronte all’attacco furioso che veniva da ogni parte... feroci conflitti con rappresentanti di altri poteri... L’ostilità di molti potenti costituisce un pericolo costante per chiunque» (Piero Sansonetti, «l’Unità», 30.4.1998).
Amore stabile
«D’Alema è un uomo molto interessante: un amore che ha avuto bisogno di tempo per crescere, ma adesso è stabile» (Federica Rossi Gasparrini, presidente di Federcasalinghe, 14.10.1998). Però, si sa, la donna è mobile, e la casalinga Rossi Gasparrini si sente tanto mobiliere. Ha iniziato con la Dc al seguito di Andreotti, poi ha ballato un valzer con Craxi e un tango con Bossi, poi ha fatto un giro con Alleanza democratica, poi le piaceva Amato, poi ha aderito al Patto Segni, poi è entrata in Forza Italia, poi ha traslocato nell’Ulivo, pazza com’è di D’Alema. Si ferma qui? Certo che no. Prossime tappe: scoprirà Di Pietro e nel 2006 si farà eleggere deputata con l’Italia dei Valori, per poi abbandonarlo un anno dopo («Antonio non ha una cultura solidale») e schierarsi con Sergio de Gregorio, e subito mollarlo alla velocità della luce per mettersi con l’Udeur di Mastella, e distaccarsene immantinente quando questo farà cadere il secondo governo Prodi («Clemente non doveva comportarsi così: ha detto che tutti nel partito eravamo d’accordo con lui, ma era falso. Ci ha trattati come oggetti»). A quel punto, non avendo più nuovi partiti a cui aderire, salvo ricominciare daccapo il giro da quelli vecchi, la sciura Federica si accaserà nel gruppo misto e, chiusa la legislatura, annuncerà il suo abbandono della politica. Che non le impedirà nel 2008 di sponsorizzare Veltroni, uno dei pochi leader che non ha ancora sposato e dal quale dunque non ha ancora divorziato («Ho mandato un segnale di stima a Walter»). Un amore stabile, anche quello.
L’adorata First Max
Con perfetto tempismo, la stilista ex-craxiana Krizia scrive al «Foglio» (29.10.1998) per smentire di aver mai avuto tra i propri clienti Anna Craxi e confermare di avere invece come «adorata cliente» Linda Giuva D’Alema, «una studiosa quieta che conduce una vita seria, in archivio, non si dà arie, non vuole apparire. Insomma, è una persona semplice o, meglio ancora, normale».
Premier con le ali
«Stretto tra due ali di torinesi che vogliono dargli la mano, D’Alema saluta, ringrazia, si compiace con i presidenti Enzo Ghigo (Regione), Mercedes Bresso (Provincia), con il sindaco Castellani per la riuscita della manifestazione, si sofferma a parlare con gli espositori. Linda, riservata, resta più indietro, impedita dalla ressa di giornalisti, fotografi, cameramen nel suo ruolo di first lady non era mai venuta a Torino con Massimo... E Linda cosa prepara al suo uomo? “Piatti di pesce, mangerebbe sempre pesce”» (cronaca dal Salone del Gusto di Torino, «La Stampa», 10.11.1998).
Mi tocchi il culo, Fantozzi
«“Floscia e scomoda”. Così Massimo D’Alema trovava la sedia di Palazzo Chigi da cui ieri sera ha letto il suo discorso agli italiani. Lo ha scoperto Striscia la notizia, che ha trasmesso il dialogo fuori onda tra il premier e il suo collaboratore Claudio Velardi, dialogo che ha preceduto la lettura del discorso. Fuori onda, D’Alema aggiusta la giacca e chiede a Velardi: “Come vado così?”. Velardi non è convinto e lo invita a rilassarsi. E il premier: “Ma così mi affloscio. D’altra parte la sedia è floscia, ci si sprofonda”. Velardi, a quel punto, offre un cuscino, ma D’Alema rifiuta perché “non potrei neanche infilare le gambe sotto la scrivania e darei l’idea di uno che sta sul trespolo. La verità, Velardi, è che abbiamo sbagliato posto. Non vorrai ammetterlo, eppure è così. Ma ormai ci siamo e buona notte al secchio”. D’Alema insiste: “L’avevo detto che bisognava farlo senza scrivania, in modo più naturale. La prossima volta, mi auguro che la scrivania non ci sia”. Il messaggio di D’Alema è andato in onda sulle tre reti Rai (su Rai3 con la traduzione nell’alfabeto dei sordomuti), su Canale5, su Retequattro (il Tg4 lo ha inserito nello speciale di Emilio Fede Tregua o guerra) e su Tmc. Su Italia1, invece, è continuato il quiz Sarabanda» («la Repubblica», 31.3.1999). Disse il Megadirettore Clamoroso, duca-conte Pier Carlo ingegner Semenzara: «E la pianti, Fantozzi, di toccarmi il culo!».
The friend of Benigni
«Nutro affetto e rispetto per l’amico di Benigni» (Bill Clinton, presidente degli Stati Uniti, riferendosi al premier Massimo D’Alema, «la Repubblica», 27.4.1999).
Talmente bravo
«D’Alema è talmente bravo come presidente del Consiglio che lo considero un candidato naturale al Quirinale» (Rosy Bindi, Ppi, 16.5.1999).
Il Centurione Max
«D’Alema tra i “lupi” di donna Flora. Al presidente del Consiglio il premio “Centurione romanista”. Brindisi e doni». «Una serata dal cuore giallorosso. E con un grande nome da celebrare: quello di Flora Viola, moglie di Dino, indimenticabile presidente della Roma... Cena a sorpresa presso il circolo Antico Tiro a Volo. A festeggiare questa affascinante ambasciatrice di tutti i tifosi romanisti, ai quali è vicina in ogni circostanza, ha aderito a sorpresa anche Massimo D’Alema, che con i figli Giulia e Francesco, giallorossi sfegatati, ha voluto porgere di persona il suo “grazie”, e ovviamente l’attuale presidente della Roma Franco Sensi con la moglie Maria. E un boato da Curva Sud è esploso quando il premier, brindando con Sensi e Flora Viola, ha confessato: “Sono contrario al predominio delle squadre del Nord”. I tifosi sono impazziti di gioia e gliene sono stati grati. Poco dopo infatti il presidente del Consiglio ha ricevuto il premio “Centurione romanista”» (Lucilla Quaglia, «Il Messaggero», 14.9.1999).
Rap per Max
«Io adesso mi rivolgo all’onorevole D’Alema / approfitto del microfono per parlarle di questo problema / chissà quanti già le avranno sottoposto la questione / ma io vorrei usare il microfono e la televisione / per chiederle da qui di dare un segno profondo / alla questione del debito estero di molti paesi del Sud del mondo / che sono soffocati dal divario accumulato / verso i governi ricchi del mondo cosiddetto industrializzato /... Faccia un gesto grande di quelli che cambiano la storia / se lei cancella il debito a lei andrà la gloria / e a un sacco di famiglie la speranza / per molti è una questione di sopravvivenza / dimostri che la politica non è solo far quadrare i conti di una legislatura / D’Alema unisciti a noi non avere paura. / Approfittiamo del Giubileo per ripartire da zero / se lei cancella il debito aiuta il mondo intero / lo faccia lei per primo e gli altri le verranno appresso / se il Sud non si risolleva non ci sarà nessun progresso / ma solo nuove guerre di disperazione / tragedie umanitarie e sovrappopolazione / lo faccia lei per primo e gli altri seguiranno in fila / appoggi il progetto di Jubilee 2000 /... Regali questo orgoglio alla nostra generazione / inizi lei per primo quest’epoca di trasformazione / se si muovono i politici poi seguiranno i banchieri / se lei cancella il debito noi ne saremo fieri / dimostri a tutti che le cose si possono cambiare / io la saluto e la ringrazio e torno a ballare» (Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, Cancella il debito, rap cantato al Festival di Sanremo presentato da Fabio Fazio alla vigilia delle elezioni regionali, 21.2.2000).
Il Conte Max
Ricordandone le gesta e i celebratori dopo la rovinosa caduta, Gian Antonio Stella riepilogherà altre perle indimenticabili della breve ma intensa Era Dalemiana.
La rivista «Erba» informava che il Lider Massimo aveva preso una cagna labrador («prima io di Clinton», precisò) e plaudiva alla foto in cui Egli, già impegnato in corsi di «agility dog», si chinava a raccogliere la cacca dell’animale che, con finezza politically correct, chiamava «un vivente non umano» e «flusso ininterrotto d’amore».
Egli scendeva magnanimo in Puglia a distribuire il «Premio Barocco» ai suoi ministri come Luigi Berlinguer, così accolto da un giornale locale: «Il sole splende a Gallipoli. Una tramontana alzatasi nella notte ha allontanato l’afa. La città è splendida per ricevere il suo cittadino più illustre: D’Alema. Il quale torna nella sua terra dopo le battaglie bicamerali».
Il velista Giovanni Soldini quasi sveniva d’emozione scambiando per quello vero il falso D’Alema di Striscia la notizia e si scappellava: «Quale onore!».
Seriosi intellettuali si animavano all’uscita della biografia di Luciano Cafagna su Camillo Benso conte di Cavour, domandandosi pensosi: a chi somigliava, forse a D’Alema?
I settimanali pubblicavano servizi sui geni usciti dalla Normale di Pisa, allineando in una galleria di cornici rococò Giovanni Gentile, Guido Calogero, Enrico Fermi e lui, Massimo D’Alema (peraltro mai laureatosi).
Gianni Morandi lo invitava su Rai1 a C’era un ragazzo e lui, ricordando le partite politici-cantanti, gli concedeva magnanimo: «L’ultima volta che ci siamo incontrati eravamo in mutande su un campo di calcio: diamoci del tu».
Il quotidiano conservatore tedesco «Die Welt» lo definiva «l’uomo forte sul Tevere».
I linguisti sorvolavano sulle sue licenze poetiche anticongiuntivo: («Credo che è... sembra che tu sei...»).
L’intervento militare italiano in Kosovo mandava in estasi l’ambasciatore americano Thomas Foglietta: «Nessun presidente del Consiglio avrebbe potuto gestire questa crisi meglio di lui».
A silenziare i moralisti e i perbenisti della vecchia sinistra che storcevano la bocca davanti a certe ostentazioni (tipo le scarpe su misura da un milione e mezzo di lire), interveniva il portavoce Fabrizio Rondolino con un articolo intitolato «Seduzione è buongoverno»: «Piacersi è anche un modo per sedurre chi ci guarda, chi ci sta intorno, chi vogliamo o dobbiamo governare. Si tratta di un’antichissima legge del potere. Non bastano l’efficacia del buongoverno o una propaganda più o meno convincente: serve anche saper trasmettere serenità. È questo l’uso politico della bellezza».
* * *
Bassolino Tutto Maiuscolo
«Salutiamo il Grande Sindaco di Napoli! Certi come siamo che ripeterà nel nuovo Ruolo di Governatore Regionale quanto ha già fatto in maniera Grandiosa e Strepitosa!» (Antonio Bottiglieri, assessore della giunta del sindaco di Napoli Antonio Bassolino, aprile 2000, citato da Gian Antonio Stella in Avanti popolo, Rizzoli, 2006).
’O Re Franceschiello
«Antonio Bassolino è un grande re borbonico democratico e di sinistra» (Giuliana Olcese, regina dei salotti e sedicente «ambasciatrice dell’Ulivo», 2000, citata da Gian Antonio Stella in Avanti popolo, Rizzoli, 2006).
Bertynight Party
«Una festa straordinaria, Rifondazione comunista festeggia i 60 anni di Fausto Bertinotti». «Compleanno: metti una sera a Roma... Siamo a San Lorenzo, nella sede di un importante istituto fotografico, l’architettura è quella fascinosa, popolare, non classica, certo, ma nemmeno stucchevolmente non post-moderna. Il Partito della Rifondazione comunista con quasi tutti i suoi dirigenti nazionali e romani, con i compagni funzionari... Il festeggiato è Fausto Bertinotti che fa oggi 60 anni. Un’età un po’ solenne, anche se benissimo portata, a dispetto (e forse invece proprio in ragione di) della fatica accumulata in sei anni di leadership di questo partito... I compagni arrivano a piccoli gruppi, a coppie, qualcuno con i bambini. Quasi impossibile contarli tutti... Sono davvero tanti quelli che si accalcano al grande tavolo centrale per mangiarsi buonissimi tramezzini, piccoli supplì, leccornie varie, ancorché semplici. Ma è obbligatorio citare la più giovane partecipante alla festa: si chiama Anna, ha 23 giorni, è figlia della compagna Mimma, colonna del dipartimento Enti locali...» («Liberazione», organo di Rifondazione comunista di cui è segretario Bertinotti, 23.3.2000).
Cenerosy
«Rosy Bindi incespica nelle scarpine» («la Repubblica», 20.5.1996). Come Cenerentola.
Eurolingue da esportazione
«Il Periodico del ministero del Tesoro», nel numero di aprile 1998, è da collezione. Titolo «Dalla lira all’euro». Il ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi – come segnala Antonio Socci su «Panorama» – occupa sobriamente tutta la prima pagina con un editoriale, un articolo, il motto sotto la testata, una vignetta e una grande foto: in 24 pagine, le sue fotografie sono appena 12. L’avvento della moneta unica è celebrato come l’inizio dell’età dell’oro, grazie anche alle interviste di alcuni noti esperti del ramo: Maria Grazia Cucinotta, Piero Chiambretti e Monica Guerritore. La parola dominante è «euforia». Il titolo più riuscito è «Psicanalisi dell’Unione: l’individuo si rafforza», dedicato al pensiero del presidente della Società italiana di psicologia politica, così tacitianamente riassunto: «Il cinismo degli italiani sarà il più adatto a vivere nell’Europa dell’euro». Più che uno psicologo, un profeta.
Tonino dei miracoli
«Dopo ventiquattr’ore filate in cui su Roma è caduta più sabbia che acqua, l’auto blu del ministro dei Trasporti Di Pietro staziona sulla rampa del ministero, brillante dal tettuccio ai cerchi in lega... Insomma non c’è una macchiolina, sulla Croma del ministro» («la Repubblica», 21.5.1996). Impossibile che, semplicemente, l’abbia tenuta in garage durante la tempesta di sabbia. Molto più probabile un miracolo.
Anna dei Miracoli
«La bella lady di ferro paladina di tutte le donne». «Una sera di fine luglio, al secondo piano di un palazzo liberty di piazza del Parlamento. Nell’ufficio di Anna Finocchiaro, ministro per le Pari opportunità, sedute su un divano di velluto giallo... La guardo bene, forse per la prima volta, nelle due ore del nostro colloquio. C’era un tempo in cui le ministre (o le donne-ministro? Lei vuole essere chiamata signora ministro, non ministra... per fortuna) erano infagottate in certi tailleur grigi tagliati con la scure, esibivano pettinature standard, lasciavano correre sul baffetto e sul peletto... Lei no. Lei è decisamente bella, di una bellezza italica provocatoria e appariscente... Rossetto color fuoco sulla bocca grande e disegnata, cipria bianchissima sul viso, rimmel sulle lunghe ciglia, riga nera sull’occhio blu con riflessi verde-oro esaltato dagli occhiali, capello corvino riccio e lungo sulle spalle... La signora ministro indossa una camicia di seta che si appoggia sul seno florido, di quelle che lasciano intravedere i segni del reggiseno... poi si toglie la giacca per il caldo e va ad accendere il condizionatore: “Se penso a quanto il fisico mi ha resa infelice, da ragazza... Ora ho 42 anni, quando ne avevo sedici erano di moda le donne-grissino, mi vedevo grassa, sentivo di non essere al mio posto... Andavo alle feste e non mi invitava a ballare nessuno, ero quella in piedi che metteva i dischi e guardava gli altri stringersi... Le donne giuste mi sembravano tutte bionde e magre. Ero insicura, per questo mi vestivo con i maglioni di mio padre...” (ride, accende una sigaretta, manda indietro i capelli, si accoccola sul divano piegando le gambe e raccogliendole... ha dei sandali a rete col tacco molto speciali)... Mediterranea. Florida. Ma anche dura, durissima. E orgogliosa: “È il mio peccato più grave... Non entro in competizione, mai. Mio padre mi ha insegnato il valore dello studio come vera ricchezza, ci spiegava che quello che abbiamo qui (indica il centro della fronte) non ce lo può togliere nessuno...”. Nei nove anni a Montecitorio la Finocchiaro brucia le tappe... Lavora alla Giustizia con Luciano Violante, “un amico vero” e al gruppo la sceglie come vice l’allora capo Massimo D’Alema... Ottimista e di sinistra, la signora ministro annuncia “la soluzione positiva della trattativa sul welfare, la ripresa economica per l’autunno, un rasserenamento tra le forze politiche” e conferma che il governo di cui fa parte “dopo un anno di lavoro difficile, ora è forte e solido”. Per le sue vacanze ha scelto un agriturismo in Umbria e un viaggio familiare in auto lungo le strade della Germania» (Barbara Palombelli, «la Repubblica», 3.8.1997). E indica il centro della lingua.
La Brusca sterzata
«Naturalmente non c’è nessun rapporto fra la partecipazione dei due nuovi ministri [Giorgio Napolitano all’Interno e Giovanni Maria Flick alla Giustizia, nda] alla commemorazione di Falcone e l’operazione portata a termine lunedì [la cattura del boss Giovanni Brusca il 20 maggio 1996, tre giorni dopo l’insediamento del governo Prodi, nda]. Non a caso Napolitano e Flick sono stati i primi a riconoscerlo... Ma ora è come se l’apparato antimafia si sentisse più forte, non soltanto per l’importanza degli obiettivi raggiunti, ma anche per l’appoggio esplicito fornito dal governo di centrosinistra all’atto del suo insediamento...» (Marcello Sorgi, vicedirettore de «La Stampa», 22.5.1996).
Amore degli occhi, che occhi hai
«L’uomo giovane, molto sorridente, siede al tavolo di comando che lo ha trasformato in uno degli uomini politici italiani più in vista di fronte al mondo... Mi colpì subito l’amore che vidi riflesso negli occhi verde chiaro del sindaco, un amore per la città...» (Nadia Tarantini, cronista de «l’Unità», Francesco Rutelli, prefazione di Maurizio Costanzo, Viviani Editore, 1996).
Chiamate il Telefono Azzurro
«Ieri c’è stato un minivertice: il sindaco Rutelli ha incontrato la sua collega undicenne di Monte Porzio e i 16 membri del Consiglio dei bambini della cittadina, miniassessori inclusi. L’incontro è stato organizzato dall’Ufficio “La città su misura delle bambine e dei bambini” del Campidoglio, portavoce delle esigenze dei più piccoli. Rutelli ha annunciato l’intenzione di promuovere, in ambito circoscrizionale, la costituzione di consigli dei bambini eletti nelle scuole» («Il Messaggero», 26.6.1997).
Il miracolo di Francesco
«Rutelli: premonizione dalla catenina. Francesco Rutelli, a Losanna per la designazione della città olimpica, avuta la notizia della morte di Madre Teresa, ha esclamato: “È un segnale”. È stata poi la moglie, Barbara Palombelli, a spiegare il significato della frase: “Madre Teresa di Calcutta gli regalò una catenina che porta sempre al collo (Rutelli l’ha mostrata): questa notte si è staccata”» («Corriere della Sera», 6.9.1997). Quando si tira la catena, per giunta al buio, può capitare.
Martin Rutell King
«L’idea l’ha avuta, pare, durante una cena, il sindaco Rutelli: la musica l’ha creata Ennio Morricone, i testi Sergio Bardotti. È nato così Inno per Roma, una canzone che risuonerà dalla voce niente meno che di Antonello Venditti, confezionatore finale del brano. È una sorta di manifesto della Capitale e della sua rinascita. Al punto da poter diventare il corredo musicale della campagna elettorale per la rielezione del sindaco Rutelli. L’incipit sembra citare il celebre I had a dream [sic, nda] di Martin Luther King: “Ho fatto un sogno, si chiama Roma” comincia il brano rutellian-vendittiano» («Il Messaggero», 14.9.1997).
Rutelli piace a tutti, anche ai mutandari
«Il cinema affittato per il grande annuncio scoppia letteralmente di gente. Per oltre un’ora, Rutelli ricorda i successi della sua giunta... Per esempio, i drugstore aperti 24 ore: “Funari mi diceva che non poteva comprarsi un paio di mutande, a Roma, la notte. Non ho mai capito perché dovesse fare spese la notte, ma ora può”...» (Barbara Jerkov, «la Repubblica», 5.11.2000).
E santo e navigatore no?
«Violante, il presidente poeta» («la Repubblica» saluta l’elezione di Luciano Violante a presidente della Camera, 17.5.1996).
«Violante profeta» («la Repubblica», 21.5.1996).
Violante 1 a Violante 2
«Egregio on.le Luciano Violante, le manifestiamo il nostro apprezzamento per la correttezza sua personale, e con cui ella ha svolto e svolge le sue funzioni istituzionali... Prendiamo atto con piacere della sua disponibilità a rimettere – su nostra richiesta – le querele per diffamazione aggravata da lei proposte nei nostri confronti, per cui sono stati fissati avanti il Tribunale di Monza i seguenti processi...» (Vittorio Feltri, «il Giornale», 27.10.1996). I processi in questione riguardano altrettanti articoli diffamatori pubblicati negli anni dall’house organ berlusconiano e sobriamente intitolati: «Attenti, Violante è pronto a riprovarci», «Un boss rivelò gli intrecci ma Violante nascose i verbali», «Anche Violante si è preso Casa Nostra», «La Maiolo fa domande su Violante», «L’indirizzo di Violante? È il segreto di Pulcinella». Ora Feltri, in ginocchio, spiega che erano tutti «frutto di interpretazioni erronee, per le quali ci scusiamo con lei e con i lettori». Ops, ci siamo distratti un attimo, pardòn.
Violante senza volante
«La disturba la gente nelle librerie? “No. A volte qualcuno mi offre un caffè. I cittadini sono contenti di vedermi girare da solo. Rompe l’immagine dell’uomo politico con la macchina blindata, la scorta, i tassisti a volte non mi hanno fatto pagare”» (Luciano Violante, Ds, presidente della Camera, intervistato da «La Stampa», 24.11.1996).
L’Ottoviolante
«Luciano Violante potrebbe assomigliare ad un intellettuale non necessariamente italiano: sobrio nei gusti, scarno nelle parole, incute rispetto ed una certa soggezione. Capelli grigi pettinati con cura, occhiali con una leggera montatura, abito sempre rigorosamente scuro: di lana blu, di velluto nero, di lino blu scurissimo; camicia blu scura o bianca, scarpe nere allacciate, l’orologio: uno Swatch con il quadrante bianco. L’unica variante nello stile del Presidente è la penna stilografica, un oggetto che predilige e di cui si serve volentieri perché gli piace scrivere a mano: appunti, lettere, saggi, poesie, biglietti. La penna può essere la classica Montblanc nera o una Parker madreperlata blu o un’altra ancora (le penne stilografiche sono la sua passione)...
I suoi gesti sono eleganti, si esprime con frasi brevi a volte sorride, a volte parla con trasporto... Violante si è adeguato bene alle forme protocollari della sua funzione e si lascia portare da automobili blindate, seguire da scorte, precedere da motociclisti. È cortese, saluta, sorride, ma quelle forme gli sono indifferenti, sembra non vederle nemmeno... Nel suo ruolo istituzionale deve operare delle scelte al di fuori delle parti, ma ribadisce con orgoglio di essere sempre un uomo di sinistra.
Al Presidente Violante interessa ascoltare tutti, da Berlusconi ai più ignoti “peones” della politica... Quando parla dei valori della sinistra un guizzo gli attraversa lo sguardo, un vero entusiasmo di chi non ha mai modificato nel tempo i suoi ideali... L’amicizia è per lui un nutrimento importante e fondamentale... Si capisce dal suo modo di conversare che la cultura francese gli appartiene. I suoi gesti sono eleganti, si esprime con frasi brevi, a volte sorride, a volte parla con trasporto. Non gli piacciono affatto i pettegolezzi o le malignità, preferisce le idee, i grandi dibattiti, la ricerca... Ci tiene a portare personalmente le sue borse e la sua cartella. In macchina siede davanti accanto all’autista. Ho incontrato Violante nel suo ufficio a Montecitorio, nel corso di alcuni convegni, nella sua casa torinese, in viaggio, e ho apprezzato che fosse sempre uguale e di uguale cortesia. Lui sostiene di avere un carattere difficile, di arrabbiarsi. Questo tratto del suo carattere non ho avuto modo di conoscerlo. L’ultima volta che l’ho visto gli ho chiesto “Presidente quando ci rivedremo?”. “Magari dopo le vacanze per un caffè al Pantheon”... Come definire Luciano Violante? Un uomo diverso, di cui forse si potrebbe capire qualcosa camminando con lui, in silenzio, lungo un sentiero di montagna in Valle d’Aosta» (Alain Elkann, «Il Messaggero», 28.7.1997). E come definire Alain Elkann?
IN FONDO A DESTRA
Complimenti disinteressati
«Berlusconi è l’uomo più geniale e generoso del mondo, mi ha reso ricco» (Fedele Confalonieri, «la Repubblica», 7.3.1996).
Da una lacrima sul viso
«L’unico a visitare i profughi [albanesi, nda] è Berlusconi, che si commuove e li ospita. E subito tutti gli danno contro» («il Giornale», 1.4.1997).
Il Verbo
«Presidente Berlusconi, ci dica una parola, perché una sua parola è per noi la vita per tutto un anno» (Claudio Lippi, Milan Show, Italia1, 15.7.1997).
Ritiro spirituale alle Bermuda
«Tucker’s Town è la punta più estrema dell’isola di Bermuda. Sono le 8.30 del mattino, piove in quantità tropicale... In una casa miliardaria... si nota una certa animazione. È una villa bassa, bianca, con le finestre azzurre e un grande patio dal pavimento di marmo rosa. Si capisce che il proprietario deve essere italiano: il mosaico di pietruzze bianche e nere che accoglie le ruote del nostro taxi è lo stesso di Villa Belvedere, a Macherio. Indovinato, siamo davanti a “Blue Horizon”, la villa di Silvio Berlusconi alle Bermuda, quella appena intravista nella celebre foto di qualche estate fa, con Berlusconi alla guida di un gruppo di atleti più o meno sessantenni: Confalonieri, Letta, Dell’Utri... Gli stessi che, come nella “Biancaneve” di Walt Disney, compaiono in fila, uno dietro l’altro, quando il portone di Villa Blue Horizon si schiude al suono del campanello. Biancaneve-Berlusconi..., naturalmente, li precede. Lacoste blu, pantaloni lunghi, abbronzatura autentica, il capo di Forza Italia denuncia, contemporaneamente, una forma smagliante e una certa sorpresa: “Che ci fa lei qui?”... Hanno tutti, chi più chi meno, una valigetta, una busta da negozio, qualcosa tra le mani. Dell’Utri è tutto in blu. Confalonieri ha una camiciola celeste. Letta, che è l’unico ad avere preso sul serio il fatto che qui siamo alle Bermuda, si adegua ai costumi locali e sfoggia un paio di impeccabili calzoni corti. Stanno proprio andando via, non è una finta... Prendiamo posto sul pulmino che ci porterà all’aeroporto: da un lato Dell’Utri e Letta, di fronte a chi scrive e Berlusconi... In questi giorni di ritiro spirituale – come li definisce lui – le notizie dall’Italia non gli sono mancate... Non sembra più così amico di D’Alema... “Io non vado mai alle feste di partito, diciamo che non mi sento adatto”, e qui riaffiora Biancaneve nel bosco oscuro della partitocrazia... Seduto davanti a noi, nel pulmino che intanto avanza costeggiando il mare fermo e grigio, Marcello Dell’Utri non muove un muscolo. Non dice una parola... Blue Horizon ormai non ha più bisogno di lavori. Ha cinque o sei camere da letto, grandi sale per la vita comune, un imbarcadero al quale sono ormeggiati due motoscafi e, naturalmente, una grande palestra. Mentre il pulmino va, Berlusconi si confida, introducendoci a un rito sconosciuto: l’interval training...» (Maria Latella, «Corriere della Sera», 14.8.1997).
Silvio il mammo
«Per me Berlusconi è come la mamma: ce n’è una e non si discute mai» (Adriano Galliani, 30.9.1997).
Lui, De Gasperi e basta
«Uno che ha creato tutto questo è con De Gasperi il più grande politico del secolo» (don Gianni Baget Bozzo dal palco del congresso di Forza Italia a Milano-Assago, 17.4.1998). Risposta di Francesco Cossiga: «E allora io sono Carlo Magno».
Che ingenuone
«Berlusconi è un ingenuo, è bonario, crede a tutti» (don Gianni Baget Bozzo, «Corriere della Sera», 25.6.1998).
Sfiora il 100 per cento
«Secondo i risultati del sondaggio Datamedia, il 68,3 per cento degli italiani condividerebbe le dichiarazioni di Silvio Berlusconi che ieri ha chiesto il trasferimento di tutte le inchieste che lo riguardano perché i magistrati del pool di Milano sarebbero prevenuti nei suoi confronti. La maggioranza degli intervistati (72,1 per cento) ha detto di non condividere quanto detto (e poi smentito) dal pm di “Mani pulite” Piercamillo Davigo sulle responsabilità penali di Berlusconi. D’accordo con Davigo si è detto il 21,3 per cento del campione. Non condivide le dichiarazioni di Berlusconi il 26,2 per cento del campione, non sa o non risponde il 5,5 per cento. L’84,1 per cento degli intervistati si è detto al corrente delle dichiarazioni di Berlusconi» (Ansa, 30.6.1998).
Trenet al pesto
«Berlusconi inciderà in un compact disc venti canzoni del repertorio “classico” francese, il suo preferito. Lo fa, pare, per esaudire un desiderio della figlia Marina. Brani scelti: da Les feuilles mortes e À Paris di Yves Montand. E poi Un monsieur attendait, C’est si bon, Et maintenant, fino alla celeberrima Que reste-t-il des nos amours di Charles Trenet» («Chi», 10.11.1999).
Defensor Fidei
«Ci ha salvato dalla sinistra, ha salvato la Chiesa, a pochi uomini l’Italia deve tanto quanto a Berlusconi: le cose stanno così, e col cazzo che questa è adulazione!» (don Gianni Baget Bozzo, «Corriere della Sera», 4.5.2000).
La voce dell’innocenza
«Papà non interviene né nei tg né nelle strategie. Ve lo posso garantire io» (Pier Silvio Berlusconi, «l’Espresso», 28.9.2000).
La Rivoluzione Culturale
«Berlusconi è l’unico che prende sul serio il principio liberale: non condivido ciò che dici, ma mi batto perché tu possa continuare a dirlo. In Italia questo tipo di mentalità sembra da extraterrestri perché per decenni la cultura illiberale della sinistra ha praticato la via opposta. In questo senso il “berlusconismo” non rappresenta solo una novità politica da studiare per la sua capacità di interpretare il Paese (come dicono D’Alema e Rutelli), ma innanzitutto una rivoluzione culturale che potrebbe liberare il Paese dal veleno della guerra civile ideologica... Nell’intervista a “Ideazione”, per esempio, Berlusconi dichiara che la Casa delle libertà non farà spoil system, cioè la lottizzazione selvaggia della sinistra. Il Polo rifiuta la “cultura organica alla politica” e vuole liberalizzare il mercato delle idee. Alla lunga questo comportamento contagerà anche gli avversari intolleranti e li migliorerà (è la dottrina di Gandhi). Questa fiducia nella libertà e nella non-violenza non è segno di debolezza, ma di forza. Di certezza nelle proprie idee. Infatti il Berlusconi che fa pubblicare Marx è lo stesso che fa pubblicare Il libro nero del comunismo» (Antonio Socci, «il Giornale», 25.11.2000).
Libro & Moschetto
«Propongo un libro di Silvio Berlusconi per tutte le biblioteche delle scuole medie inferiori e superiori» (Mario Valducci, parlamentare di Forza Italia, 25.11.2000). Commenta Fabio Mussi: «Kim Il Sung è vivo e lotta insieme a loro!».
L’omino Duracell
«Berlusconi tiene ritmi insostenibili: nell’arco di poche ore studia leggi e bilanci dello Stato, scrive articoli e discorsi, confronta modelli econometrici di stampo opposto fra loro per verificare l’impatto delle sue idee nella legislazione italiana, lavora ai programmi e alla sua squadra di governo... Segreterie e collaboratori si alternano, con diversi turni, mentre il Cavaliere sembra l’omino delle pile Duracell: chi scrive riesce a stento a girare lo zucchero nella tazzina del caffè, nello stesso tempo in cui il presidente di Forza Italia fa almeno tre cose» (Massimiliano Lussana, «il Giornale», 1.12.2000).
Silvio Natale
«“Non riesco a crederci. Il Natale è arrivato anche per noi. E Babbo Natale io l’ho già visto”, dice Filomena Esposito, 33 anni, disoccupata, madre di un bimbo milanista di 5 anni, benedetta da un assegno di 5 milioni dopo che lei si era gettata in lacrime addosso a Berlusconi in tribunale e, davanti ai giornalisti, era stata invitata il giorno dopo ad Arcore. “Per noi è un amico”, si entusiasma il nonno Aldo, “non avevo mai conosciuto un politico, ma lui non lo sembra”. “Avrà ricevuto diecimila telefonate – continua incantata Filomena – non ha neanche cinque minuti per sé, poverino. Eppure, con tutto quello che ha da fare, ci ha ascoltati fino in fondo e mi ha regalato anche dei soldi”. “Cinque milioni per ora le bastano?”, mi ha chiesto. Li userò per arredare la mia nuova casa» («Corriere della Sera», 8.12.2000).
Il più è fatto
«Berlusconi punta all’elezione diretta del capo dello Stato che sarà anche il capo dell’esecutivo, sul modello americano; al dimezzamento dei parlamentari, alla trasformazione del Senato in una camera delle autonomie e alla revisione di tutta la Costituzione, anche nella prima parte, in modo da conferire nuovi diritti ai cittadini... Il ritardo dell’ordinamento giudiziario italiano – “si sa che una giustizia ritardata è una giustizia denegata” – verrà superato con una profonda riforma dei quattro codici, spesso fermi da decenni: si lavorerà sul codice civile... Riduzione delle tasse, introduzione di tre sole aliquote (massimo il 33 per cento) e creazione di un ciclo virtuoso... Una particolare attenzione sarà dedicata a chi è rimasto indietro e, a partire dall’integrazione, al minimo delle pensioni che arriveranno a un milione... L’obiettivo è trasformare il Mezzogiorno in un gioiello turistico mondiale» (Massimiliano Lussana, «il Giornale», 21.12.2000).
Tre gol, tutta roba sua
«Milan modello Berlusconi: Roma a terra. Un gol di Leonardo e una doppietta di Shevchenko: ma è anche il trionfo del Cavaliere che da sempre chiede a Zac [l’allenatore Alberto Zaccheroni, nda] la difesa a 4» («il Giornale», 22.1.2001).
Uno stalliere è per sempre
«Per me Berlusconi era proprio come un parente e la fiducia che aveva in me era pari a quella che io avevo in lui e nella sua famiglia. A Berlusconi ci voglio bene, fino ad oggi. È una persona onesta, scrivetelo» (Vittorio Mangano, condannato definitivamente a 11 anni per mafia e traffico di droga e all’ergastolo in primo grado per estorsione mafiosa e omicidio, a margine di uno dei suoi tanti processi, 14.7.2000). Poi, nove giorni dopo, spirò. Che uomo, che eroe. Scrivetelo.
Il complotto della Cia
«Washington – Il Servizio Segreto americano ha impedito oggi ad un deputato di Forza Italia di consegnare al presidente George W. Bush una copia di un libro di Silvio Berlusconi. L’On. Umberto Giovine, invitato a Washington alla annuale “Colazione di Preghiera” che vede la tradizionale partecipazione dei presidenti Usa, si era presentato con una copia del libro di Berlusconi L’Italia che ho in mente. “Nel libro avevo inserito una lettera, in inglese, dove spiegavo a Bush che la foto sulla copertina del libro è quella del leader della nostra coalizione, che incontrerà al G8 se riusciremo a vincere le elezioni”, ha raccontato l’On. Giovine. Il deputato italiano è riuscito a incontrare brevemente Bush dopo la cerimonia di preghiera, tenuta in un hotel di Washington, ma non a consegnare il libro: il Servizio Segreto aveva bloccato, per motivi di sicurezza, il volume. Giovine non si è perso d’animo: “Gli farò avere il libro per posta”» (Ansa, 1.2.2001).