Epilogo
CALEB
Febbraio
«Sei sempre stato come tuo padre. Non ho mai capito il suo fascino per la beneficenza e la smania di aiutare il prossimo.» Mia madre mosse le mani in circolo, con grazia, verso Brooke e Ellen. «Il concetto di filantropia in JW, con le sue associazioni di beneficenza e il lavoro costante per aiutare quelli meno fortunati, era fortemente radicato. Tu, Caleb, hai seguito appieno le sue orme.» Sapevo quello che stava facendo. Era molto abile nel rivolgere un insulto facendolo apparire come un complimento.
Decisi di ribattere. «Okay, allora visto che sono come mio padre, è per questo che hai venduto Blackwater senza neanche dirmelo? Temevi che obiettassi?»
«No, Caleb. Ho venduto Blackwater perché era mia e potevo farlo. Tuo padre me l’ha data per farci quello che preferivo.» Stentavo a crederci, ma avevo visto i documenti io stesso e sapevo che stava dicendo la verità. Ma perché mio padre aveva dato Blackwater a mia madre, prima di tutto?
«Perché mi hai tenuto all’oscuro?»
«A dire il vero, non l’ho fatto. L’ho solo messa in vendita senza discuterne con te. Non che tu mostrassi chissà quale interesse, Caleb. Per anni non hai messo piede sull’isola, finché non hai incontrato Brooke. Così stanno le cose.»
Fece un gesto con la mano nella nostra direzione, come se stesse impartendo una benedizione a dei poveri paesani che imploravano un favore. Mi fece andare in bestia.
«Non provarci nemmeno a iniziare con Brooke.» Riuscivo a malapena a contenere la rabbia. Chiunque sano di mente avrebbe pensato che, dopo l’esperienza con Janice, mia madre avrebbe mostrato molta più gentilezza nei confronti di mia moglie. Tutt’altro. Questo avrebbe significato concedere qualcosa e, nella sua visione distorta, il concedere l’avrebbe messa dalla parte dei perdenti. Un’ideologia del cazzo, che ci rendeva tutti combattenti su un campo di battaglia, ma purtroppo queste erano le regole del suo mondo, ed erano inflessibili. Ai perdenti non veniva mostrata alcuna pietà. Non c’erano seconde occasioni.
Janice, per esempio, era stata completamente esclusa dalla cerchia e non sarebbe mai più stata la benvenuta nell’alta società di Boston.
Nonostante l’ordine restrittivo del tribunale di non avvicinarsi a noi nel raggio di duecento metri, avevo fatto in modo di prevenire qualunque eventuale atto da folle: o avrebbe lasciato il Paese per sempre, senza farsi più vedere, oppure l’avrei trascinata davanti ai giudici di Boston. Un’aula di tribunale stracolma di giudici ostili e paparazzi con la bava alla bocca, pronti a scattarle foto impietose, per spargerle nel mondo e nutrire la folla assatanata, il cui unico intrattenimento era quello di vedere le celebrità col culo per terra. Chissà come mai aveva raccolto le sue cose e se l’era svignata di tutta fretta. Era pazza, sì, ma non stupida. Aveva scelto Hong Kong.
Mia madre si voltò a sorseggiare il suo vino, prima di dire: «Non capisco tutto questo trambusto per la vendita di Blackwater. Quel vecchio posto mi ha portato un bel capitale. Tutto è bene quel che finisce bene, no?»
«Ma che cazzo dici, mamma? Esigo una spiegazione e anche subito.» Sferrai un pugno sul tavolo. «Perché papà ti ha dato Blackwater, prima di tutto?»
Arricciò la bocca, disgustata per la parolaccia. «Linguaggio, Caleb, ricordati come sei stato cresciuto, per piacere.»
«E come sono stato cresciuto, sentiamo? Questo è interessante, perché da quel che ricordo tu non sei mai stata molto presente con me. Papà, sì, ma ricordo solo babysitter e tate che mi leggevano le favole, mi facevano il bagno o tutte le altre cose che una madre fa per i suoi figli.» Avrei voluto non chiederle il resto, ma avevo bisogno di sapere. «Perché mi sono sempre sentito per tutta la mia cazzo di vita come se tu ce l’avessi con me? Come se tollerassi appena la presenza del tuo stesso figlio?»
«Caleb, questo non è né il luogo né il momento per discutere di questo.» Si voltò a guardare i presenti. I miei fratelli, le mie sorelle, Herman, Ellen, Brooke, James, i miei cugini, erano tutti in trepidante attesa di sentire la sua risposta. Erano tutti a disagio e immobili e io mi sentivo allo stesso modo. Tutto il marciume stava per venire a galla di fronte a tutti, e non me ne fregava niente.
La cazzo di campana era finalmente suonata, perdio, e anche forte! E ormai non si poteva tornare indietro.
«Madelaine, credo che tu debba dirgli la verità» intervenne Herman. «JW se n’è andato e Caleb ha il diritto di sapere.»
Tutti gli occhi si puntarono su mio zio, inclusi i miei, mentre i peli sul mio collo si drizzavano e l’asse della Terra cambiava rotta.
«Di che cazzo di verità parlate? Cos’è che mi è stato tenuto nascosto per tutta la vita?» gridai contro mia madre, inferocito.
Lei trasalì sulla sedia.
L’unica cosa che mi tratteneva dal detonare era la mano di Brooke che mi accarezzava piano la schiena, con lenti movimenti circolari. Riusciva a tenermi ancorato a terra, impedendomi di perdere il mio cazzo di controllo di fronte a tutti coloro che amavo di più al mondo.
Mia madre raddrizzò la schiena e perse quell’altezzosità che la contraddistingueva. Qualsiasi verità avesse rivelato, sapevo che avrebbe rivoltato la mia vita, completamente.
Si voltò verso di me e parlò con calma: «La verità, Caleb, è che tu non sei mio figlio.»
***
Sollievo. Per la prima volta in trentun anni mi sentii sollevato per qualcosa che riguardava mia madre. Non avrei più dovuto scervellarmi per capire cosa le avessi fatto di male, tanto da potarla a negarmi il suo amore. Adesso, finalmente, tutto aveva un cazzo di senso. Avevo cancellato tutti i presenti, sapevo che erano lì, ma non mi interessava più. Mi interessava solo la verità, perché non avevo nulla da nascondere a nessuno di loro.
Avevo una paura fottuta di chiederlo: «Mio padre?»
«Tuo padre era tuo padre, Caleb. Sei suo figlio, non il mio.» Mi sentii ancora più sollevato, perché almeno non tutta la mia esistenza era stata una menzogna. Ero un Blackstone puro.
«Com’è... successo?»
«Poco dopo che ci fummo sposammo, scoprii che aveva un’amante. Una delle donne delle pulizie di nome Melody Rainford. Era una studentessa inglese con un visto lavorativo. Sì, anche lei era inglese» disse in un tono acido che non mi fece né caldo né freddo. Mi trattenni perché volevo sentire il resto della storia. «La mise incinta e nascesti tu. JW era perdutamente infatuato di questa ragazza e sono certa che mi avrebbe lasciata e avrebbe sposato lei se non fosse morta in un incidente, tre settimane dopo la tua nascita.» Alzai di scatto gli occhi e fissai mia madre, anzi no, pugnalai Madeleine con la domanda che non osavo rivolgerle.
«No, Caleb. Non sono un’assassina, nonostante quello che puoi pensare in questo momento. Fu un aneurisma post-parto che la uccise. Sono tragiche complicanze che a volte capitano, e sono mortali, purtroppo. Tuo padre fu devastato dalla perdita e non aveva intenzione di separarsi da te. Ti amava perché eri suo figlio e ti voleva crescere come tale agli occhi della società, con tutti i benefici che ciò ti avrebbe portato.»
Non riuscivo a immaginare le terribili emozioni che mio padre doveva aver provato quando la mia vera madre era morta, lasciandolo con un neonato da crescere. Mi voltai verso Brooke e sentii come una pugnalata allo stomaco. Se mai la perdessi non rimarrebbe nient’altro al mondo per me.
«Lui venne da me e mi implorò umilmente di riprenderlo. Io e tuo padre facemmo un patto. Io ti avrei preso come mio figlio e lui avrebbe rigato dritto per tutto il resto del nostro matrimonio. Mi diede anche dei beni che sarebbero appartenuti a me sola, così non avrei mai più dovuto essere economicamente dipendente da lui e avrei avuto il controllo della mia personale ricchezza, anche in caso lui avesse perso tutto quello che possedeva. Blackwater fu uno di questi beni. Ogni giorno si perdono fortune nel business del petrolio, perciò, dovevo assicurarmi che quello che ricevevo resistesse al tempo e mantenesse il suo valore.»
La sua spiegazione non faceva una piega. Una fortuna promessa in cambio di prendermi come suo figlio. Segreti mantenuti... a caro prezzo.
«Dopo aver annunciato che ero incinta, ci trasferimmo a Houston per due anni, così i nostri amici non avrebbero fatto domande sulla tua nascita. Era tutto programmato, il tuo certificato di nascita fu alterato, e delle persone furono pagate per dimenticare di aver visto, se mai qualcuno se ne fosse accorto. La brava servitù conosce l’importanza del far finta di nulla, e tuo padre si era assicurato di ricompensarla a dovere. Per quando tornammo a Boston, tu eri un bambino dato alle cure delle tate perché io ero incinta dei primi gemelli e troppo debole per occuparmi di te. Nessuno lo notò. Tu eri uguale a JW e la tua relazione di sangue fu accettata senza alcun dubbio. La gente vede quello che vogliamo mostrare, Caleb, e quello che vedevano era una famiglia felice che cresceva, con un padre e una madre. Tuo padre fece tutto questo per te, Caleb. Mantenne la sua promessa e, nonostante quello che puoi pensare, io lo amavo molto. Anzi, grazie al patto, il nostro matrimonio si fortificò, dopo quegli inizi turbolenti. Io feci il massimo con te, dandoti tutto quello di cui ero capace. Non interferii mai nella relazione tra te e tuo padre o con i tuoi fratelli. Tu li ami incondizionatamente e loro amano te. Questo è evidente.
Tuo padre non voleva che lo sapessi. Anche sei mesi fa, sul letto di morte, mi ha fatto promettere di non rivelarti nulla, perché temeva che avresti perso il rispetto che nutri per lui. Temeva che tutti i suoi figli avrebbero perso il rispetto nei suoi confronti. JW non era l’uomo perfetto che avete sempre creduto che fosse. Aveva difetti, come tutti noi. Finora, ho mantenuto la mia promessa e non l’ho mai tradito, né lui né i suoi v-voleri» balbettò appena. «E nonostante quello che pensi, Caleb, mi sono sempre considerata tua madre.»
Si alzò dal tavolo, con quella compostezza elegante che le avevo sempre visto indossare in tutti questi anni, e chinò il capo da un lato, verso di me, in segno di conferma. «Adesso sai la verità, figliolo.» Si rivolse poi al resto dei presenti. «Se volete scusarmi. Purtroppo vi devo salutare, mi sento molto stanca. Grazie per la cena, Caleb e Brooke.»
Poi se ne andò a testa alta. Sentimmo il portone aprirsi e richiudersi un attimo dopo.
Siamo madre e figlio che non sono madre e figlio.
Non mi sentii devastato come pensavo mi sarei potuto sentire, perché le cose non erano bianche o nere, ma circondate da mille sfumature di grigio.
Un padre in una situazione disperata che aveva cercato di trarne il meglio che poteva.
Una moglie tradita a cui veniva chiesto di coprire gli errori di suo marito.
Un bambino che non sapeva altro che quello che aveva sempre saputo e creduto.
Perché in effetti la mia infanzia era stata molto bella. Ero stato un bambino felice e mi ero sentito amato. Non mi ero mai sentito non parte della famiglia, perciò non potevo incolpare mia madre di avermi escluso in alcun modo. Soffrivo per la mancanza di affetto da parte sua, certo, ma lei era così. Anche i miei fratelli erano stati mandati in collegio come me, e poi le mie sorelle avevano subito la stessa sorte. Qualunque risentimento avesse avuto, lo aveva mascherato bene. Mio padre mi aveva amato per entrambi. Ero curioso nei confronti della mia vera madre; anche lei era inglese come Brooke. Melody Rainford, un nome grazioso. Volevo saperne di più su di lei.
Quando uscii dalla mia nebbia mentale, sentii il tocco della mano di Brooke, ancora sulla mia schiena, mentre con l’altra mi prendeva il volto.
Fece leva sulla guancia e mi fece voltare verso di lei. «Caleb, amore. Come stai?»
«Sorprendentemente bene.» Le feci un piccolo sorriso, perché era davvero quello che sentivo. «Se ho te, sto bene.»
«Tu hai me.»
«Ti amo, Brooke.»
Ricambiò il sorriso e mi offrì le labbra con dolcezza. «Ti amo anch’io e voglio che ti guardi intorno e vedi le persone in questa stanza, che ti amano incondizionatamente. È un amore eterno, Caleb, quello che sentiamo per te. Non metterlo mai in discussione, questo, okay?»
Guardai ciascuno di loro. Lucas e Wyatt sembravano sotto shock. Willow e Winter trattenevano a stento le lacrime. Herman e Ellen sembravano calmi e pacifici. Le espressioni dei miei cugini erano uguali a quelle dei miei fratelli. James che mi mostrava il suo supporto incondizionato. Brooke aveva ragione: nulla avrebbe mai cambiato la mia relazione con loro. Erano sempre i miei fratelli e le mie sorelle, mio zio, i miei cugini, i miei amici. La mia famiglia sarebbe sempre stata questa. Anche Madelaine sarebbe sempre stata comunque mia madre, dato che era l’unica madre che avevo e che avrei mai conosciuto. Purtroppo, non c’era nulla che potesse cambiare questo fatto, per nessuno dei due.
Entrambi avremmo dovuto farci i conti e andare avanti. Col tempo, speravo che ci saremmo venuti incontro e che avremmo trovato un po’ di pace. Io non avevo avuto scelta in nulla riguardo a tutto ciò, ma dovevo ricordarmi che lei l’aveva avuta, trentun anni prima. Avrebbe potuto rifiutarsi, ma non lo aveva fatto. Si era assunta il ruolo di madre del figlio bastardo di suo marito, nel bene e nel male. E, in fondo, le volevo bene.
Era tutto molto duro da digerire in questo momento, ma almeno non avevo più la sensazione che ci fosse qualcosa di poco chiaro. Quella strana sensazione di sentirsi persi, ma non del tutto. Per tutta la vita mi ero sempre sentito, come dire, un po’ fuori rotta rispetto al resto della famiglia, ma non avevo un reale motivo per giustificare quella percezione.
Comunque, era una cosa sconvolgente per la mia mente.
Per tutti, immaginai, non solo per me. Non avrei mai potuto dimenticare questa serata.
Mi alzai dal tavolo, perché era arrivato il momento di condividere con tutti loro il reale motivo per cui li avevo invitati.
«Mi rendo conto che tutti abbiamo già molto su cui riflettere. Di certo non era quello che mi aspettavo stasera, quando vi ho invitati per condividere la mia nuova avventura. Perciò fatemi dire quello che voglio dire, prima, e poi potremo festeggiare, okay?»
Qualcuno rise.
Lucas stemperò la tensione. «Sarò sempre il tuo fratello minore molto più figo e sexy di te!» esclamò, alzando la birra per fare un brindisi, e capii che tutto sarebbe andato bene.
Sollevai il mento per dirgli che avevo apprezzato il suo tempismo perfetto, poi mi concentrai.
Respirai profondamente. «La mia splendida moglie mi ha aperto un mondo che non sapevo di stare perdendo, prima di conoscerla.» Le strinsi la mano e abbassai lo sguardo verso di lei, così elegante e bella nel suo vestito turchese, con nostro figlio che cresceva nel suo ventre e diventava ogni giorno più forte. Aspettava che condividessi con loro la sua idea geniale. Non avrei mai potuto ripagare il destino per essere stato così generoso con me, da portarmi lei. Perciò questo era l’unico modo per iniziare a ripagare il mio debito.
Tutto ciò di cui avevo bisogno per vivere era accanto a me.
Lei mormorò: «Caleb, ti amo veramente tanto.»
«Lo so, Brooke» le dissi prima di continuare il discorso che avevo iniziato. «Un mondo, dicevo, dove si fanno sforzi per aiutare coloro che ne hanno un disperato bisogno. Non molti hanno le risorse economiche che ho avuto la fortuna di avere io, perciò ho deciso di dare qualcosa in cambio. Blackwater è stata venduta, è vero, ma non a uno qualsiasi e non fuori da questa famiglia. Il socio accomodante della trattativa, in realtà, è l’associazione no-profit che abbiamo creato e che si chiama La Riserva di Blackwater, e non è una riserva per animali selvatici. Abbiamo ottenuto da poco la licenza dal Dipartimento di Salute e Servizi sociali del Massachusetts e inizieremo con le operazioni non appena avremo un consiglio di amministrazione. Ecco dove entrate in gioco voi.» Concentrai l’attenzione su mia sorella Winter che era nata per questo lavoro. Speravo davvero che accettasse il ruolo di direttore amministrativo della struttura, ma se non lo avesse fatto, mi sarebbe stato bene lo stesso. Questa sarebbe stata un’impresa di puro amore e solo per coloro veramente ispirati. Volevo solo dare alla mia famiglia l’opportunità di partecipare al progetto, prima di rivolgermi alla comunità.
«Iniziare le operazioni come luogo per...?»
«Per donne e bambini che hanno bisogno di un rifugio.»
***
Gli occhi di Brooke non si staccarono dai miei quando facemmo l’amore, quando tutti se ne furono andati. Avevo bisogno dell’unione totale con lei, dopo le notizie della serata. Lei riusciva a farmi stare coi piedi per terra in un modo che era necessario per la mia futura sopravvivenza. Qualsiasi cosa fosse successa in passato non mi aveva formato o cambiato come era riuscita a fare Brooke.
Con i corpi morbidi e rilassati, stesi l’uno di fianco all’altro, parlai alla sua pancia, che ormai era tondetta, con il nostro piccolo John William che cresceva veloce dentro di lei. «Come stai, figliolo mio?»
Lo facevamo tutti i giorni. Io gli parlavo, gli raccontavo la mia giornata, gli leggevo i report finanziari ad alta voce e, più in generale, infastidivo sua madre.
«Dice che è molto orgoglioso di suo padre per essere così generoso e premuroso verso coloro che hanno bisogno.» Brooke rispondeva sempre per John, e a volte ci credevo davvero che le sue parole fossero quelle del piccolo. L’intera faccenda era credibile, per me, in maniera quasi ridicola.
«Ma che carino.»
«Sì, è un bambino molto carino, proprio come suo padre, da quello che vedo.»
«Ti amo, Brooke. E amo anche te, Johnny» dissi rivolgendomi alla sua pancia. «Pensa, sta già iniziando a conoscere i suoni delle nostre voci e...» mi interruppi.
Brooke alzò gli occhi verso di me, sorpresa.
«Ecco,» continuai «ho appena capito perché mi sono innamorato di te, la prima volta in cui sentito la tua voce, al cocktail party.»
«Credo di sapere il perché anche io» disse lei.
«Spiegami la tua teoria.»
«Ti è piaciuto il mio accento perché tua madre ti parlava con lo stesso accento inglese quando ti portò in grembo per nove mesi. Il tuo subconscio ha ricollegato che molto tempo fa c’era qualcuno con lo stesso accento, che ti amava con tutto il suo cuore.»
«Credi davvero che sia possibile?» domandai.
«Sì, Caleb... e ora io ti amo con tutto il mio cuore.»
Baciai la mia Brooke e la ringraziai per avermi salvato, mostrandoglielo in tutti i modi possibili. Mi ci sarebbe voluta tutta la vita, ma ero pronto alla sfida. Non avevo nient’altro di più importante da fare... che amare lei.