Capitolo 21



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BROOKE


Lucas viveva a circa un chilometro dal Black Bay Club, dove Caleb mi aveva portata a cena. Caleb aveva chiesto a Lucas di condurlo con il suo elicottero a Boston, così da poter avere un’altra serata con me. Un gesto premuroso da parte del mio uomo, che mi rivelò anche che ci volevano solo quindici minuti per arrivare a Boston con il chopper, come lo chiamava lui. Non mi sorprendevo più di nulla, ormai. Mi disse anche che lui e suo fratello erano in perenne competizione scherzosa su chi avesse il chopper più grosso – e chopper, per loro americani, significava anche... membro maschile! Che dire? Ragazzi ricchi con i loro giocattoli...

Quando arrivai all’eliporto e parcheggiai la jeep, vidi la sagoma di un uomo che aspettava nell’ombra. La somiglianza nella struttura fisica era evidente anche al buio, perciò capii subito che era Lucas. Sapevo delle sue cicatrici dall’amica di mia nonna, Sylvie, che era la sua governante. Lei aveva sempre parlato bene di lui; per gli altri abitanti dell’isola, era una specie di mistero, visto che prediligeva l’isolamento e la solitudine. Lucas Blackstone poteva permettersi l’assoluto isolamento sull’isola, e infatti era così che viveva per la maggior parte del tempo.

Quando Caleb mi presentò a suo fratello non sapevo bene cosa aspettarmi da lui, ma il saluto caloroso e sincero che mi diede mi lasciò di stucco. Lucas aveva la stessa altezza e corporatura di suo fratello, così come gli stessi capelli castano scuro e le spalle larghe. Quando parlò notai anche che alcuni tratti del viso erano simili, ma la guancia destra, dall’angolo dell’occhio fin dietro l’orecchio e giù, a perdersi dentro il colletto della camicia, era marchiata da una grossa cicatrice. I suoi occhi erano insoliti nel colore, ma non come quelli di Caleb. Gli occhi di Lucas erano verdi, ma quello destro tendeva più sul marrone. Un’anomalia genetica che gli regalava un fascino molto particolare, come del resto facevano le sue cicatrici, a mio avviso. Anzi, da un punto di vista femminile lo rendevano molto più attraente agli occhi delle donne. Mi domandai quale fosse la sua storia. A ogni modo, il giovane Blackstone non era un Quasimodo che viveva recluso sull’isola in disperato bisogno di una vita sociale. No, lui stava benissimo così.

«Lucas, sono felicissima di conoscerti, finalmente. Ho sempre e solo sentito parlare bene di te da Sylvie. Ti adora.»

«Ah be’, io sono davvero un uomo fortunato, perché mi vizia fino all’inverosimile. Anche io sono molto contento di conoscerti ufficialmente, Brooke.» Mi diede il suo biglietto da visita. «Il mio cellulare è lì. Se mai avessi bisogno di qualsiasi cosa, non esitare a contattarmi. Sono qui sull’isola il novanta percento del tempo.»

Chinai il capo da un lato guardandolo curiosa. «Per caso Caleb ti ha chiesto tenermi d’occhio in sua assenza?»

«Ehm...» temporeggiò, facendo guizzare gli occhi tra me e suo fratello.

«Non ti preoccupare, Lucas. Non me la prenderò con te» gli dissi, lanciando uno sguardo leggermente infastidito a Caleb, che stava facendo il possibile per farmi sciogliere con quel suo sorriso irresistibilmente affascinante.

«Be’, in questo caso, sì, Brooke. Però sappi che ne sono onorato.» 

Lucas sfoderò la sua versione del fascino dei Blackstone con un sorriso sincero. Questi due sarebbero stati capaci di imbambolare qualsiasi donna di qualsiasi età. Molto, molto bene. Dovevano avere dei geni superbi, in famiglia.

«Allora, grazie, Lucas. È molto carino da parte tua.» Misi in tasca il suo biglietto.

«Dammi un minuto, Cal, che lo accendo. Brooke, a presto.» Lucas mi diede un bacio sulla guancia prima di andare verso l’enorme velivolo.

Non appena fu salito, Caleb mi chiese: «Sei arrabbiata con me perché ho chiesto a Lucas di tenerti d’occhio?»

«A dire il vero, no. Mi ci devo solo abituare» gli risposi in tutta onestà.

«Puoi fidarti ciecamente di lui. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiamalo, okay? Lo farai?» Mi tirò a sé, e io mi inebriai del suo profumo. 

«Okay. È bello che tu sia così protettivo e premuroso nei miei confronti.»

«È il solo modo per riuscire a lasciarti e non perdere la testa.»

«Sarò molto occupata fino alla fine della settimana e lunedì tornerò a Boston al lavoro. Non ti devi preoccupare per me, baciami e basta.» Sollevai le labbra verso le sue.

Mi prese il volto tra le mani. «La prima richiesta è impossibile e la seconda è inevitabile» disse prima di baciarmi così intensamente che il suo sapore sarebbe rimasto con me a lungo.

«La mia segretaria personale, Victoria Blakney, ti consegnerà le chiavi per l’attico, così potrai andarci quando vorrai iniziare il progetto. Sarò di ritorno fra una settimana esatta, e vorrei tanto che ti organizzassi per rimanere con me quella notte, perché sentirò l’esigenza impellente di mostrarti quanto mi sarai mancata, nel momento stesso in cui metterò piede a terra.»

«Oh. Hai intenzione di mostrarmelo?» Non mi trattenni dal prenderlo un po’ in giro.

«Assolutamente sì. E credo anche che te lo mostrerò più e più volte per farti capire bene quanto davvero mi sarai mancata. Anzi, probabilmente mi ci vorrà tutta la notte. Fossi in te, prenderei il giovedì libero, perché già immagino un giorno di malattia per entrambi.»

«Ah, capisco.» Gli misi una mano sul petto, proprio sopra il cuore, e ne sentii il battito. «Allora vedrò di riposarmi mercoledì pomeriggio.»

Fare dell’ironica era l’unico modo per riuscire a lasciarlo andare senza mettermi a piangere. Grazie al cielo, non fu uno di quei momenti in cui scoppiavo a piangere o a ridere all’improvviso. Mi sentivo come se stessi ritrovando me stessa, in un certo senso. Con Marcus avevo perso il senso dell’umorismo. Era come se lui avesse spento la luce dentro di me e non avrei mai più permesso a nessuno di farlo. Ero forte, capace e tosta quando dovevo esserlo, e ora stavo ritrovando anche la gioia. E tutto per via di quest’uomo gentile, attraente e amabile che mi sarebbe mancato come l’aria nei prossimi sette giorni.

Accettalo, stupida. Sei già innamorata di lui.


***


Lucas aspettò tre giorni prima di chiamare.

Stavo portando gli ultimi scatoloni di nonna da Herman e mi sentivo alquanto triste, perciò il suo fu un tempismo perfetto. 

«Ciao, Brooke. Posso invitarti a cena da me, stasera? Potremmo parlare di politica, religione e soldi per metterci a disagio, per poi passare a racconti imbarazzanti sull’infanzia di Caleb, che ne dici?»

Risi di cuore, sapendo che avrei detto di sì per due motivi. Primo, avrei reso felice Caleb e, secondo, ero molto curiosa di conoscere la sua famiglia. 

«Be’, Lucas, se mi tenti così non credo di avere altra scelta. Arriverò verso le sei. Ah, mi piace il vino dolce.»


***


Quando arrivai a casa sua, Lucas mi accolse con un bicchiere di sangria e una varietà infinita di menù takeaway tra cui scegliere. Accettai il delizioso vino fruttato con estremo piacere, ma declinai il cibo da asporto. Gli chiesi, invece, di mostrarmi la cucina, dove presi un grembiule per ciascuno di noi due e gli annunciai che ci saremmo cucinati qualcosa di molto meglio del cibo da asporto. Per familiarizzare con la sua dispensa, iniziai a frugare tra gli ingredienti chiedendogli se avesse qualche restrizione alimentare, poi optai per un’insalata e fettuccine cacio e pepe.

Per quando la cena fu pronta, avevamo già passato da un pezzo la fase di conoscenza, ed eravamo già migliori amici. Piangere insieme per colpa di aglio e cipolla, faceva crollare muri facilmente. L’unico riferimento che fece riguardo alle sue cicatrici fu per dirmi che aveva un problema di udito all’orecchio destro e possibilmente di parlargli dal lato sinistro... e aggiunse anche di non prenderla sul personale se per caso avesse ignorato qualcosa che avessi detto. Come risposta, gli dissi di non prenderla sul personale se fossi scoppiata a piangere, o a ridere, senza motivo... e indicai la mia cicatrice all’attaccatura dei capelli. Annuì comprensivo; di sicuro Caleb lo aveva già ragguagliato, perché non fece domande per il mio commento bizzarro.

In quel momento capii che in Lucas Blackstone avevo trovato un buon amico, perché l’affinità fu immediata. Per qualche motivo avevamo legato in modo facile e naturale e avevo la sensazione che la nostra amicizia sarebbe durata anche se io e Caleb ci fossimo lasciati, e sapevo che questa era una cosa rara. Non avevo tanti amici, ma i pochi che avevo erano veri e preziosi e mi piaceva farmene di nuovi.

Lucas passò il resto della serata a insegnarmi a giocare a iInVidiosa, il gioco che aveva creato. Ero una schiappa ai videogiochi, ma lui era stato una schiappa a cucinare, perciò eravamo pari. Prima di andarmene gli feci promettere di venire a cena da me, la volta successiva, e lui mi fece promettere di chiamarlo non appena fossi arrivata a casa.

Andammo avanti così finché non scoppiammo a ridere mentre io facevo fare a Woody retromarcia sul suo vialetto e lui, con le mani a cornetta, mi ricordava di chiamarlo.

Gli uomini Blackstone avevano una tendenza a essere premurosi e protettivi, e mi sentii molto fortunata. La mia vita era priva di presenze maschili da molto tempo, e questa nuova sensazione mi faceva stare bene.

Il fuso tra Boston e Abu Dhabi era di nove ore, e questo rendeva le chiamate difficili, perciò io e Caleb avevamo deciso di scriverci dei messaggi. Dopo essere tornata a casa, chiamai Lucas, come promesso, e mi misi a letto col telefono. Accucciata sotto le coperte, calcolai velocemente l’ora: dovevano essere le sette e trenta del mattino, ad Abu Dhabi. Poteva essere un ottimo momento per provare a scrivergli, si stava di sicuro preparando alla giornata lavorativa.


Io: Puoi smetterla di preoccuparti. Ho cenato con Lucas, stasera.

Caleb: Te l’ho già detto, piccola, è impossibile. Ti manco?

Io: Come sempre <3

Caleb: Ti ho comprato una cosa, oggi, non vedo l’ora di dartela.

Io: Anche io ho qualcosa da darti 😉

Caleb: Messaggi piccanti da parte della mia Brooke? Mmm... ti prego dimmi di sì e mandami una foto delle tue tette meravigliose, così arrivo sano e salvo alla fine di questa giornata che sarà interminabile.


Non lo avevo mai fatto prima, ma questo non mi fermò. Mi liberai del pigiama e mi feci un selfie nuda di fronte allo specchio, per il mio uomo. Era di profilo. Trattenni il fiato e premetti invio.

Ecco. Ma te ne mostro solo una. Il mio primo messaggio sexy! E tu sei il fortunato destinatario! Devo andare a letto, adesso, ma sarai nei miei sogni. Mi manchi da morire xxx


Provai a immaginarlo guardare la foto e, anche se eravamo a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, lo sentivo vicino a me. Attesi la sua risposta prima di posare il telefono sul comodino. Arrivò un attimo dopo e mi fece svolazzare le farfalle intorno al cuore: Quanto sei bella! Adesso mi mancherai ancora di più. Grazie per la foto. Sarò nei tuoi sogni, Brooke... e non me ne andrò mai. Non ti libererai più di me, baby. xxx


Fui piuttosto certa di essermi addormentata sorridendo, con le sue parole che danzavano nella mia mente.


***


La segretaria personale di Caleb era completamente diversa da come me l’ero immaginata. Era giovane e bella, con lunghi capelli scuri e occhi castano chiari, ma col carattere diretto e pratico di qualcuno ben più adulto della sua età. Un tipo come mia nonna, se avessi dovuto paragonarla a qualcuno. Non fu fredda o antipatica, ma solo tutta affari e poche chiacchiere, quando, il lunedì seguente, da Harris & Goode, mi consegnò le chiavi e il codice per l’allarme dell’attico. Notai anche l’anello di fidanzamento sulla sua mano sinistra, su cui spiccava un enorme diamante. Non potei evitare di guardare con attenzione, visto che stavo incontrando per la prima volta la segretaria personale del mio meraviglioso ragazzo. Sapere che era fidanzata con qualcuno mi tranquillizzò. Inoltre mi diede anche il suo cellulare, insistendo di chiamarla in caso avessi avuto bisogno di qualcosa, visto che poi divideva un appartamento con suo fratello James, nello stesso edificio dell’attico di Caleb.

Mi faceva strano il concetto di segretaria personale. Avere qualcuno che faceva per te il novantanove percento delle cose che la gente di solito faceva da sola. Come ritirare i panni in tintoria, lasciare le chiavi e ordinare fiori per una ragazza che aveva rovinato il completo del tuo capo con della salsa cocktail. Ringraziai Victoria per la scelta del colore delle peonie e gliele mostrai in tutto il loro splendore, sulla mia scrivania.

Questo mi fece guadagnare un sorriso e un grazie sincero.


***


Il mercoledì, io e Eduardo lavorammo all’attico, prendendo le misure e finalizzando il progetto di massima. Prima di iniziare qualsiasi cosa, dovevamo fare un inventario dei mobili che c’erano, identificare le potenzialità di ogni spazio e considerare ogni possibile problema. Tuttavia, non riuscivo a concentrarmi su nulla.

Caleb sarebbe tornato quella sera e l’avrei visto entro poche ore.

«Questa è l’ultima misura che dobbiamo prendere, in questa stanza. Penso che inizieremo da qui, prima di passare alla cucina» dissi mentre Eduardo metteva via gli strumenti. «È davvero un lavoro enorme, e siccome non mi ha dato basi solide da cui partire, vado un po’ alla cieca.»

Eduardo alzò gli occhi dal telefono e fece un sorrisetto. «Forse perché l’unica cosa solida che vuole darti è il suo cazzo finché non svieni, condesa. Perciò, scegli dei colori caldi, compra arredi intriganti e utilizzabili per il sesso e lo farai felice, credimi.» Annuì con entusiasmo.

«Oddio, Eduardo!» lo rimproverai, ma, anche se non volevo ammetterlo, aveva ragione.

«Potrei creare il design di questa casa a occhi chiusi. Tutto ciò a cui un uomo pensa, quando si tratta di un pezzo d’arredo, è se si possa usare per il sesso. Fai in modo che ci siano molti posti in cui lui possa giocare con la tua bella passerina, e l’adorerà. Come ti ho detto prima, sexy e intrigante dovrebbe essere il leitmotiv del progetto.»

«Ciao.» Una voce femminile risuonò alle mie spalle e mi vennero i brividi al pensiero che avesse sentito i vaneggiamenti di Eduardo.

Mi voltai di scatto con un sorrisone stampato in faccia e vidi la proprietaria della voce. 

Mi presentai: «Brooke Casterley, dello studio Harris & Goode, per conto di Mr Blackstone. E questo è il mio assistente Eduardo Ramos.»

«Winter Blackstone, la sorella di Caleb. Volevo solo conoscere la donna che è riuscita a catturare il cuore di mio fratello» disse con un sorrisetto. «E non preoccuparti, non ho sentito neanche una parola di quello che stavate dicendo.»

Oh, mi piaci, Winter Blackstone

Era carina proprio come me la ricordavo, coi capelli castano chiaro e gli occhi verdi anch’essi cerchiati d’oro intorno all’iride, come quelli blu di Caleb. Gli occhi dei Blackstone erano geneticamente particolari. Ci stringemmo la mano e parlammo un po’ del più e del meno, e l’avrei potuta persino baciare per aver detto di non aver udito le parole oscene di Eduardo, su dove e come suo fratello avrebbe potuto usare il suo organo genitale. La situazione era diventata davvero imbarazzante, ma lei mi aveva messo a mio agio, come se nulla fosse accaduto.

Quindi, ebbi il privilegio di conoscere un altro membro del clan dei Blackstone, o meglio di incontrarla di nuovo, visto che la prima volta era stata otto anni prima alla sua festa di compleanno.

«Mi ricordo di te al mio sedicesimo compleanno» mi disse.

«Sì, anche io. Eri gentilissima e ti sedesti a chiacchierare con me.»

«Sì, è vero. Parlammo dei Jonas Brothers, mentre guardavamo gli altri giocare in piscina.»

«Già. La festa era a Blackwater e ricordo che c’erano un prato e un giardino bellissimi» le dissi con onestà. Da quello che ricordavo erano qualcosa di eccezionale. Mi domandai se qualcuno li curasse ancora o se fossero stati del tutto abbandonati.

Winter mi guardò pensierosa, come se stesse ripensando a quel giorno. «Mi sento triste se penso che presto non sarà più parte della famiglia. Mia madre è decisa a venderla a tutti i costi, visto che non ci va più nessuno da anni. Io ho sempre pensato che potesse essere trasformata in qualcosa di utile, come una scuola o un luogo di ritiro di qualsiasi tipo. La location è ideale, ma, purtroppo, credo che nessuno che possa permettersi di comprare Blackwater abbia intenti umanitari» spiegò seria. «Fidati, lo dico per esperienza.»

«Caleb mi ha detto che stai finendo il master di specializzazione in assistenza sociale.»

«Già, finirò questa primavera, poi sarò il momento di trovare qualcosa di concreto da fare. C’è tanta gente che ha bisogno di aiuto» replicò entusiasta.

«Hai ragione. Sono sicura che troverai quello che cerchi.»

«Tesoro,» intervenne Eduardo «io adesso devo proprio andare. So che ti devi preparare per la tua notte di fuoco, perciò anch’io me ne andrò alla ricerca del mio accendino.» Gettò un capo della sua lunga sciarpa dietro la spalla con fare melodrammatico e mi baciò entrambe le guance, un rituale che aveva perfezionato e reso inimitabile. «È stato un piacere conoscerti, Winter Blackstone.» Le prese la mano con gentilezza e se la portò alle labbra con un inchino cavalleresco, forse un gesto un po’ troppo amichevole con qualcuno di appena conosciuto, ma questo era Eduardo e gli andava sempre bene con questo genere di atteggiamenti. Ci ero così abituata che non feci subito caso all’allusione sulla serata di sesso che mi attendeva con Caleb, sparata di fronte a sua sorella. Oddio.

Winter ridacchiò e lui sculettò verso la porta, con la sciarpa gialla che gli ballonzolava dietro. «Ah, eccone un altro» ci gridò una volta sparito alla vista.

Compresi il senso delle sue parole qualche secondo più tardi, quando un bel ragazzo alto e coi capelli scuri fece il suo ingresso nella sala della casa e si presentò: «Ciao, io sono James Blakney, due piani sotto. Tu devi essere Brooke.» Mi tese la mano.

«Sì.» Gliela strinsi. «Piacere di conoscerti, James Blakney, due piani sotto. Tu devi essere il fratello di cui mi ha parlato Victoria. E fammi indovinare... sei l’amico di Caleb?»

«Facciamo disastri insieme da quando avevamo dieci anni» ribatté facendomi un gran sorriso.

«Non ho dubbi al riguardo.» Notai che Winter si era fatta silenziosa. «Quindi conosci senz’altro Winter.»

Gli occhi di James Blakney cambiarono quando li posò su Winter Blackstone, passando da un nocciola caldo a un marrone terra intenso, mentre la scrutava con desiderio evidente. «Già, già. Il dodicesimo piano è il mio e Winter è proprio sotto di me.»

Avevo colto in pieno la tensione, o qualunque cosa ci fosse tra di loro. Mi limitai a sorridere e feci finta di ignorare quanto James Blakney fosse attratto dalla bellissima sorella di Caleb.

Interessante. Mi domandai se Caleb fosse a conoscenza di questa attrazione, e cosa ne pensasse.

«Quindi Caleb ha detto anche a voi di passare per caso a tenermi d’occhio?» chiesi a entrambi.

Winter annuì sorridendo.

James disse: «No, ho avuto l’ordine di presentarmi e portarti da lui, a dire il vero. Le istruzioni di Caleb sono di condurre te e Winter a cena al Callihan. Lui ci aspetterà lì. Dovrebbe arrivare a Boston fra un paio d’ore, mi ha appena scritto e dato direttive. È un despota a volte, quel bastardo.»

«Già. Ti prego, però, di non dirgli che trovo adorabile questo suo lato, okay?»

Eccome, se lo ami.