TERZA PARTE
Vattene dal mio sogno!
Ogni mondo aveva i suoi riti, le sue leggi e i suoi costumi. In qualità di agente della Per-Ricerche, Itlothis Sb Nath si considerava ormai più che assuefatta ai limiti e ai ritardi connessi con il proprio incarico. Ma dentro di sé dovette ammettere che non aveva mai dovuto affrontare un problema simile fino a quel momento.
Anche se non era seduta in una poltrona anatomica che avrebbe automaticamente assicurato al suo corpo esile il massimo comfort, sperò di dare alla donna che le stava davanti l'impressione di essere perfettamente sicura e rilassata. Il colloquio durava ormai da un po'. Che quella… quella Foostmam fosse una persona ostinata non era certo una novità.
Itlothis era stata addestrata a fronteggiare sia l'antagonismo umano che quello pseudoumano. Ma la situazione in sé la confondeva, e non era ammissibile che continuasse ancora.
Non smise di sorridere, nemmeno quando fu costretta a esporre il caso, con flemma e chiarezza, per la ventesima volta in due giorni. La pazienza era una delle virtù fondamentali per un agente e rappresentava uno scudo, oltre che un'arma.
— Gentile signora, ha visto i miei ordini. Ammetterà che sono categorici. Lei ha ammesso che Oslan Sb Atto è uno dei suoi attuali clienti e le istruzioni che ho ricevuto mi autorizzano a esigere un colloquio con lui. Si tratta di questioni della massima urgenza, che riguardano la sua situazione patrimoniale. E la faccenda riveste grande importanza non solo per lui ma anche per altri. Noi non ci permettiamo di interferire con altri mondi, a meno che il Super-Consiglio non ci conceda la sua approvazione.
L'espressione della sua interlocutrice non cambiò di una virgola. Per i Venti Capelli di Ing! Le sembrava quasi di parlare con un registratore, o con il muro corroso dal tempo alle spalle della Foostmam.
— L'uomo che cerca si trova nella stanza dei sogni — replicò la donna, con il tono di voce monotono di una persona in trance e gli occhi vigili e vivaci di chi possiede un'intelligenza basata sull'astuzia.
— Le ho detto la verità, mia cara. E non si può disturbare chi sogna. Sarebbe pericoloso sia per il suo possidente planetario che per la sognatrice stessa. Quell'uomo ha stipulato un contratto per un sogno di una settimana e ha portato personalmente i nastri di istruzione ambientale per la sognatrice. Oggi siamo solo al secondo giorno…
Itlothis soffocò il violento desiderio di calare un pugno sul piano del tavolo e di digrignare i denti per manifestare tutta la propria irritazione.
Aveva udito le stesse parole, o altre comunque simili, già sei volte.
Bastavano altri due giorni di ritardo e il successo della sua missione non sarebbe più stato assicurato.
Oslan Sb Atto doveva essere svegliato, informato della situazione su Benold e poi imbarcato sulla prima nave interstellare disponibile.
— Dovrà pur svegliarsi, per mangiare — osservò.
— In questi casi, la sognatrice e il cliente vengono nutriti per via endovenosa — replicò la Foostmam.
Itlothis non riuscì a capire se in quella frase ci fosse una nota di trionfo oppure no. In ogni caso, non era pronta a dichiararsi sconfitta così presto.
Si protese in avanti per toccare il disco verde sparso insieme agli altri sul tavolo. L'unghia laccata dell'indice ticchettò sulla delega, una espressione di massima fiducia che un agente ben raramente era in grado di vantare. Anche se il disco era stato emesso su un altro mondo da un'agenzia completamente estranea a quel pianeta, e che aveva fama di non aver mai interferito con le leggi locali, la sua semplice esibizione avrebbe dovuto aprirle qualunque porta, anche in quella lontana città di Ty-Kry.
— Le assicuro, gentile signora, che non mi permetterei mai di intraprendere azioni che potessero danneggiare in alcun modo la sognatrice e il suo cliente. Tuttavia, ho saputo che esiste un modo per risvegliarli entrambi. Basta che qualcuno si inserisca intenzionalmente nel sogno, al preciso scopo di recapitare un messaggio importante per il cliente.
Per la prima volta, un'ombra di espressione illuminò per un attimo il viso scarno e severo della donna. Lei la guardò, pensando che avrebbe tranquillamente potuto far da modello per alcune delle statue arcaiche che aveva notato al limite della parte antica della città. Era appunto lì che si trovavano, lontano dalle torri celesti e dagli altri edifici spaziali.
— Chi diavolo…? — La Foostmam si interruppe e strinse le labbra.
Itlothis avvertì una scintilla di eccitazione. Aveva finalmente trovato la chiave giusta!
— Chi me l'ha detto? — suggerì, concludendo con dolcezza quella che era stata solo una mezza domanda. — Che importanza ha? In fondo, raccogliere informazioni fa parte del mio lavoro.
Dunque si può fare, non è vero?
L'altra, pur con molta riluttanza, le concesse un lieve cenno affermativo.
— Naturalmente, ho già fatto rapporto al rappresentante del Consiglio su ciò che intendo fare — continuò lei. — Lui mi assicurerà la presenza di un ufficiale medico della sua equipe, in modo che si possa portare a termine l'operazione nel pieno rispetto delle regole e sotto gli occhi di un osservatore qualificato.
Il viso della Foostmam rimase impassibile. Difficile stabilire se avesse accettato l'accenno come un avvertimento o come una minaccia. In ogni caso, non pare che l'implicita sfiducia di Itlothis le causasse particolari risentimenti.
— Non è detto che il metodo funzioni sempre — fu il suo unico commento. — Annota è una delle nostre migliori sognatrici A e certamente non è facile trovare qualcuno che sia alla sua altezza.
Non credo di avere molte altre ragazze libere, al momento… — Doveva aver premuto qualche pulsante, perché sulla parete alla sua destra comparve all'improvviso un pannello luminoso, fitto di simboli incomprensibili per qualunque agente che venisse da fuori. La donna li studiò a lungo. — Potrei darle Eleudd. E giovane ma promette molto bene.
In più, è già stata usata un'altra volta come sognatrice di irruzione.
— Benissimo. — Itlothis si alzò in piedi. — Chiamerò l'ufficiale medico e organizzeremo al più presto questa… irruzione. Grazie per il suo prezioso aiuto. — Non certo per il ritardo con cui si era decisa a concederlo, aggiunse tra sé.
Era così soddisfatta del risultato raggiunto da non rendersi ancora ben conto di essersi cacciata nella più azzardata avventura che le fosse mai capitata sul lavoro. Incominciò a pensarci solo quando, dopo l'arrivo del medico, fu fatta accomodare nella stanza dei sogni. Un conto era tentare di rintracciare una persona attraverso più di un mondo per tutta la parte abitata della galassia, come aveva già fatto per un certo numero di anni planetari. Un altro era cercare qualcuno all'interno di un sogno. Dubitava che l'esperienza le sarebbe piaciuta, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
Le sognatrici di Ty-Kry erano molto conosciute. Al di fuori dell'antica Arnia presieduta dalla Foostmam sapevano creare mondi immaginari e avventure di ogni tipo, che erano poi ben liete di condividere con chiunque fosse disposto a pagare le tariffe altissime di un viaggio nel mondo dei sogni. Alcune venivano cedute con un contratto permanente a coloro che appartenevano alle classi più abbienti della società e vantavano lussuosissime abitazioni nelle stratosfere delle torri celesti. Lassù, le sognatrici fornivano distrazioni a un unico padrone o a un intero clan familiare. Le altre rimanevano nell'Arnia, ed erano i clienti a presentarsi di volta in volta per chiedere i loro servizi.
Una volta collegato mentalmente con la sognatrice, il cliente veniva introdotto in un mondo che possedeva tutte le caratteristiche della realtà. Una sognatrice d'azione, o del cosiddetto gruppo A, in quel momento era molto di moda e costava una fortuna. Itlothis esaminò la stanza in cui il suo uomo giaceva sdraiato, immerso in chissà quale sogno.
C'erano due lettini, e la Foostmam presiedeva di persona alla sistemazione degli altri due, che minacciavano di occupare tutto lo spazio ancora disponibile. Su uno dei lettini era stesa una ragazza esile, con la pelle chiarissima a la testa seminascosta da una specie di cuffia di metallo. La cuffia era collegata via cavo a una gemella, sistemata sulla testa di Oslan che si trovava sul lettino accanto. Tra i due era anche sistemato una specie di trespolo da cui pendevano i flaconi per l'alimentazione endovenosa.
Itlothis poteva vedere molto poco del viso di Oslan, perché la cuffia gli scendeva quasi fino al naso. Ma riuscì a identificarlo. Aveva rincorso quell'uomo per mezza galassia e ora provava una gran voglia di porre fine alle sue frustrazioni strappandogli via la cuffia e riportandolo immediatamente alla realtà. Solo la certezza che un simile procedimento fosse altamente pericoloso le imponeva di tenere sotto controllo le dita.
I dipendenti della Foostmam avevano già sistemato uno dei lettini vicino a quello della sognatrice e uno dei tecnici era impegnato a compiere i necessari allacciamenti tra la cuffia indossata in quel momento dalla sognatrice e un'altra ancora da destinare. Nel giro di pochi secondi anche l'altro lettino venne sistemato, vicino a quello di Oslan, e il tecnico effettuò gli allacciamenti della relativa cuffia.
Itlothis sentì crescere dentro di sé uno strano disagio, che assomigliava molto alla paura. La disturbava soprattutto sottostare interamente alla volontà altrui. D'altra parte era assolutamente indispensabile riportare Oslan alla realtà, sotto gli occhi di un testimone attendibile come l'ufficiale medico.
Pur non dimostrando esternamente alcuna riluttanza a seguire gli ordini della Foostmam, che le imponevano di sistemarsi sul lettino e di lasciarsi sistemare la cuffia sulla testa, Itlothis ebbe ancora qualche attimo di panico in cui per poco non scaraventò a terra quella specie di strumento circolare di tortura, per quanto imbottito e leggero, per scappare fuori dalla stanza.
Non c'era modo di sapere in anticipo in che tipo di avventura si fosse cacciato Oslan. I sogni non erano mai uguali fra loro e spesso nemmeno la sognatrice sapeva prevedere con certezza quale sviluppo avrebbero seguito le sue stesse creazioni, una volta impostata la partitura iniziale. Inoltre, la Foostmam aveva più volte ribadito il fatto che Oslan avesse fornito personalmente i nastri di preparazione all'ambiente, scartando quelli già presenti nell'archivio dell'Arnia. Ne conseguiva che Itlothis non aveva la più pallida idea del mondo che avrebbe dovuto affrontare.
Non avrebbe mai potuto spiegare, in seguito, come si entrava in un sogno. C'era stato forse un momento di completo oblio, prima di aprire gli occhi e vedere… quel mondo?
Lei seppe solo che, all'improvviso, si ritrovò in piedi sulla superficie sconnessa di una grossa rupe, tra rocce a cui l'erosione atmosferica aveva conferito stranissime forme. Il vento sibilava tra una e l'altra, con un rumore inquietante e lamentoso. C'era anche un altro suono, molto più in basso, che lei riconobbe immediatamente come il tambureggiare ritmato e costante delle onde che si infrangevano contro gli scogli.
Conosceva quel posto! Era Yulgreave, sul suo mondo d'origine! Bastava solo che girasse le spalle al mare e, in tutta la loro spettale severità, le sarebbero apparse le antiche, preistoriche rovine di Yul. La mente incominciò a turbinare. Si era preparata ad affrontare chissà quale mondo lontano, e invece si ritrovava di colpo sul pianeta dov'era nata! Ma perché? Com'era possibile?
Itlothis si girò a guardare Yul, per trovare una conferma alla propria situazione.
Ma…
Niente rovine!
Al posto di quello che si era aspettata si alzavano delle torri pesanti e massicce, tutt'altro che in rovina. Sembrava addirittura che fossero sorte in modo autonomo dalla roccia, come gli alberi sulla terra, e non che qualche creatura umana o simile all'uomo le avesse costruite pezzo per pezzo, posando una pietra sull'altra. L'antica fortezza, in tutta la sua solidità, era di gran lunga molto più imponente delle rovine che lei aveva conosciuto, da qualsiasi punto di vista. Era più grande e più ampia di quanto i resti sopravvissuti fino alla sua epoca avessero suggerito.
E, ricordando quali fossero nella sua epoca le ipotesi sulle antiche funzioni di Yul, Itlothis si appiattì contro la cima della rupe, fino a ferirsi le spalle. Non voleva vedere la fortezza nella sua totalità, eppure non riusciva a distogliere gli occhi. Le sagome scure delle torri e delle mura calamitavano il suo sguardo.
Yul. Yul era già in rovina quando i primi rappresentanti della sua specie erano atterrati su Benold, circa mille anni planetari prima. C'erano anche altre tracce di un'antica civiltà ormai scomparsa, sparse qua e là, ma tutte in condizioni molto più disastrate di Yul. Eppure, per quanto fossero sempre molto curiosi di scoprire i misteri dei popoli che li avevano preceduti nel dominio dei vari pianeti colonizzati, gli antenati che si erano stabiliti su Benold non avevano indagato volentieri sui segreti di Yul. C'era qualcosa, in quelle possenti mura in decadimento, che rendeva inquieti e che pesava sullo spirito di ogni ricercatore finché, presto o tardi, non lo costringeva a ritirarsi.
Così, per quanto lo si guardasse da lontano, com'era Itlothis in quel momento, e le sue immagini in tridimensionale fossero piuttosto conosciute, tutto quello che si sapeva sulla fortezza riguardava l'esterno. Perché mai Oslan aveva scelto di vedere Yul com'era un tempo?
Bastò quell'enigma a cancellare gran parte dell'avversione che provava per lui. Dunque, il sogno aveva probabilmente uno scopo pratico e non rappresentava solo una forma di piacevole svago. La ragazza si scostò dalla balza contro la quale aveva cercato riparo e incominciò a considerare la sua missione sotto una nuova luce.
Oslan Sb Atto era l'erede dei vasti possedimenti che portavano lo stesso nome, secondo le consuetudini di Benold. Così quando Atto Sb Naton era morto, sei mesi planetari prima, si era reso necessario che l'erede designato assumesse i compiti di Capoclan al più presto. Il fratello, Lars Sb Atto, aveva dato incarico all'agenzia di Itlothis di rintracciare Oslan, che si trovava chissà dove in giro per l'universo, e di riportarlo immediatamente sul suo pianeta d'origine. In seguito, quando la prolungata assenza dell'erede delle sostanze Atto aveva assunto anche implicazioni politiche, la ricerca aveva incominciato a interessare anche il Consiglio.
Ora, come si spiegava che Oslan fosse venuto sul pianeta dei sognatori e avesse preso contatto con l'Arnia al preciso scopo di farsi immettere in un sogno che riguardava il passato remoto del suo stesso mondo? Era come se lui a sua volta, stesse cercando qualcosa di vitale importanza. Itlothis ne era ormai convinta.
Ma che cosa, di preciso?
Non le rimaneva che cercare di scoprirlo al più presto, così sarebbero stati entrambi liberi di ritornare sulla vera Benold, lei al suo lavoro e Oslan alla posizione che gli spettava. Anche se odiava persino l'idea di quello che probabilmente l'aspettava, la ragazza incominciò a camminare in direzione della fortezza. Era del tutto certa, come se fosse stato lo stesso Oslan ad assicurarglielo, che là si trovava il bandolo dell'intricata matassa.
Perlomeno, le forme di vita visibile familiari nel suo tempo non si erano alterate. I pappagalli marini continuavano a volteggiare sopra la sua testaj lanciando grida sommesse appena udibili tra il fragore delle onde, con il vivace piumaggio arancione, blu e verde che risplendeva anche con il sole parzialmente velato dalle nubi. Tutt'attorno vegetavano delle piccole piante, grigie e marroni come la roccia in cui si incuneavano, che spingevano arditamente i loro stoloni fino al successivo briciolo di terra su cui mettere radici.
Itlothis continuò a sorvegliare Yul con occhio prudente. Per quanto le mura fossero integre e le torri si spingessero alte verso il cielo senza mostrare il minimo cedimento, la costruzione sembrava disabitata come lo era nel suo tempo. Sulle torri non sventolavano bandiere e dalle finestre non trapelava nessun segno di vita. Erano come tanti piccoli occhi senza palpebre che fissavano il mare e i primi, ripidi pendii delle colline, verso ovest.
Yul si trovava proprio al confine delle proprietà degli Atto. Itlothis l'aveva vista per l'ultima volta proprio quando era andata a parlare con Lars Sb Atto, prima di lasciare Benold. Avevano raggiunto la località in volo da Killamarsh, e avevano sorvolato l'ammasso delle rovine per raggiungere la valle interna oltre le colline.
Di fatto la Casata degli Atto avrebbe potuto tranquillamente reclamare la proprietà di quel maestoso frammento di storia, se avesse voluto. Ma la cattiva fama di cui godeva Yul ne aveva fatto una specie di terra di nessuno.
Itlothis si arrampicò con determinazione su per il sentiero sconnesso, ascoltando le grida dei pappagalli e studiando la sagoma severa della fortezza. Aveva creduto che, una volta entrata nel sogno di Oslan, ne avrebbe incontrato subito il protagonista. Ma era ormai evidente che si sbagliava. Molto bene. Doveva trovarlo, anche a costo di seguire le sue tracce all'interno di Yul. Perché era chiaro che si dirigevano lì, pensò. E dire che lei, in quel momento, avrebbe tanto desiderato di trovarsi da tutt'altra parte.
Continuò la sua avanzata verso le mura esterne e le straordinarie dimensioni dei blocchi sovrapposti non fecero che accrescere la sua inquietudine. L'ingresso era proprio in quella parete, lo ricordava bene. Per quanto strano, si affacciava sul mare invece che verso l'interno, e se voleva raggiungerlo doveva seguire un percorso estremamente disagevole sulla cresta delle rocce.
Non c'era una strada, e nemmeno un sentiero. Il particolare aveva sempre sconcertato gli esperti della sua epoca. Perché l'unica apertura di quelle mura non fronteggiava una strada maestosa almeno quanto la costruzione stessa? Tra l'altro, in basso non c'erano moli né tracce qualsiasi dell'esistenza di un porto.
Itlothis esitò, osservando con grande perplessità il cammino che aveva davanti. La fiducia nelle proprie capacità incominciava a vacillare. Quando aveva assunto l'incarico di quella missione era stata certa che la preparazione e l'esperienza acquisita in molti anni di servizio la mettessero in grado di affrontare qualunque situazione. Dopotutto, era un'agente di alto livello, con alle spalle una serie ininterrotta di casi portati a termine con successo. Ma fino a quel momento aveva sempre operato in un mondo normale… reale, insomma. Lì, invece, si sentiva come un naufrago alla deriva. Tutte le doti e le difese su cui aveva sempre potuto contare erano scardinate e messe alla prova.
In un mondo reale… Respirò a fondo. Era assolutamente necessario convincersi che quello fosse davvero un mondo reale. Se non ritrovava le sicurezza che le era abituale avrebbe finito per compiere qualche sbaglio fatale.
A pensarci bene, molti dei pianeti su cui aveva condotto con grande efficienza le sue ricerche erano sembrati strani e bizzarri, all'inizio. Dunque, doveva smettere di pensare che si trovava su una Benold partorita dalla fantasia, ma immaginare piuttosto che quello fosse uno dei tanti mondi su cui aveva lavorato. Se ci fosse riuscita, avrebbe finalmente ripreso il comando della situazione.
Il percorso che aveva davanti era davvero molto impervio e da lì non c'era modo di sapere se fosse comunque visibile dalla fortezza. Itlothis continuò a guardare verso le finestre, sempre a vuoto. Eppure, non riusciva a scacciare l'inquietante sensazione di essere sorvegliata.
Alzò il mento con espressione decisa, e si spinse in avanti. Lo spazio fra le mura e il bordo del dirupo era estremamente ridotto e le onde del mare, molto più in basso, si infrangevano sugli scogli con un fragore assordante. Lei appoggiò la schiena a monte e incominciò a spostarsi di lato, per paura di cadere di sotto da un momento all'altro.
Si concesse una pausa in corrispondenza di ognuna delle molte rocce che si protendevano verso l'alto. Poi all'improvviso cercò un riparo, con il cuore che le batteva all'impazzata e il fiato corto. C'era ben altro che un volo di pappagalli, al di sopra delle onde!
Qualunque cosa fosse, magari un velivolo, arrivò a una velocità tale da farle persino dubitare che si trattasse di un'allucinazione. Era diretto esattamente all'ingresso sul mare che lei cercava di raggiungere. Si infilò in quell'apertura come una freccia scagliata da qualche immenso arco primitivo, e non accennò il minimo rallentamento.
Era un velivolo… o piuttosto un mostro vivente? Itlothis non avrebbe saputo dirlo. Ebbe la confusa impressione di aver visto delle ali, e un corpo centrale che brillava di una strana luce metallica. Una creazione umana, dunque… o un essere vivo?
Colse un impercettibile spostamento nel suo campo visivo, in alto, e trasalì. In un punto lontano, molto al di sopra di dove si trovava, qualcosa o qualcuno si era mosso, all'interno di una delle finestre.
Itlothis si appoggiò ancora più all'indietro sulla roccia che le offriva riparo. Sì, ora riusciva a vedere meglio.
C'erano una testa e due spalle incorniciate dal telaio di quella finestra. E a giudicare dalle impressioni, o la figura o la finestra erano fuori misura, dato che l'uomo sembrava un nano rispetto all'apertura che gli faceva da cornice.
Ma… stava scavalcando il davanzale!
Lei trattenne il fiato. Voleva buttarsi di sotto? Perché?
No, si muoveva con grande cautela, tenendosi forte con le mani mentre incominciava a calarsi fuori. Si vide con chiarezza che cercava un punto d'appoggio per i piedi, e lo trovò. Ma come osava lanciarsi in una simile prodezza? Si teneva appiattito contro il muro e scendeva molto lentamente, cercando con cura gli appigli per le mani e per i piedi.
Itlothis condivise la sua tensione, per puro spirito di solidarietà. Le sembrava un miracolo anche il solo fatto che lui continuasse a trovare appigli. Eppure, quell'individuo si muoveva con sicureza, anche se lentamente, e sembrava certo delle proprie capacità.
La voglia di seguire meglio quella straordinaria impresa aveva spinto la ragazza a scostarsi dallo spuntone di roccia per spingersi verso le mura, nel punto immediatamente sottostante a quello dove l'uomo era appeso in modo apparentemente così precario. Alzò la mano per tastare la parete, dato che a occhio nudo non riusciva a distinguere nemmeno la più piccola crepa. Quasi per caso, le sue dita trovarono una specie di nicchia scavata con tale precisione da sembrare proprio un gradino invisibile per un eventuale arrampicatore.
Fece un passo indietro per osservare meglio l'uomo, che intanto proseguiva la discesa. C'era qualcosa di familiare in quella testa, e persino nella conformazione delle spalle. Gli occhi di Itlothis, allenati a cogliere ogni più piccolo dettaglio, arrivarono subito all'identificazione.
Oslan!
Sospirò di sollievo e si dispose ad aspettarlo. Ora non le restava che prendere contatto con lui e spiegargli la necessità di interrompere il sogno. Poi avrebbero potuto tornare insieme nel mondo reale. La Foostmam aveva assicurato, infatti, che era la volontà del cliente a tenere in equilibrio gli sforzi della sognatrice. In pratica, Oslan poteva svegliarsi in qualsiasi momento, a patto che lo volesse.
Forse, lui era già riuscito a portare a termine la missione che si era prefissa all'interno dell'antica Yul. In ogni caso, il messaggio di Itlothis era abbastanza importante da impedirgli ogni ulteriore indugio in quel mondo.
Per quanto sicura della sua identità, lei notò che il suo uomo indossava abiti di foggia stranissima, mai vista prima. L'indumento che gli aderiva strettamente al corpo sembrava elastico e formato da minuscole scaglie, collegate in modo tale che ognuna si sovrapponesse leggermente a quella successiva. Solo le mani e i piedi restavano scoperti e la pelle era così scura da confondersi con la pietra alla quale Si aggrappava.
I capelli formavano una calotta regolare e ininterrotta, di colore bruno scuro. Pur senza averlo ancora visto in faccia, Itlothis immaginò i lineamenti affilati e regolari tipici del suo clan. Era probabile che si potesse definirlo attraente anche se lei, dalle immagini in tridimensionale, non aveva potuto cogliere espressioni in grado di rischiarare un aspetto rigidamente formale.
L'uomo lasciò la presa quando si trovava ancora a un'altezza considerevole sulla parete della fortezza, e concluse la discesa con un salto. Quando atterrò aveva il fiato corto e lei poté immaginare che l'impresa dovesse essergli costata un grande sforzo.
Per un attimo Oslan rimase dov'era, riprendendo fiato, con le mani e i piedi appoggiati al suolo e la testa a penzoloni, mentre il respiro stentava a tornare alla normalità.
— Capoclan Oslan — lo interpellò Itlothis, con rigida ufficialità.
Lui rialzò la testa di scatto, come se a parlargli fosse stato chissà quale mostro marino uscito dagli abissi sottostanti. Le puntò gli occhi addosso, raddrizzandosi, e appoggiò la schiena al muro. Poi strinse i pugni e si preparò a fronteggiare un eventuale attacco.
I penetranti occhi verdi si strinsero fino a diventare due fessure taglienti.
Chi aveva detto che quel viso mancava di espressività? Itlothis vi lesse una collera quasi esplosiva.
Poi gli occhi si riaprirono e i pugni si allentarono, come se Oslan avesse deciso che lei non rappresentava il pericolo che si era aspettato.
— Chi sei? — La domanda fu posta quasi con lo stesso tono monotono usato dalla Foostmam, come se lui stesso avesse imposto alla propria voce di non lasciar trapelare alcuna emozione.
— Agente Itlothis Sb Nath della Per-Ricerche — rispose lei con grande professionalità. — Capoclan Oslan, è necessario il tuo rientro immediato.
— Capoclan? — la interruppe lui. — Vuoi dire che Naton è morto?
— Nel Secondo Mese Glaciale, Capoclan Oslan. E necessario il tua rientro immediato su Benold.
— Itlothis si trovò improvvisamente a riflettere sulla stranezza della loro attuale posizione. Dopotutto, si trovavano già su Benold. Era un peccato che il mondo del sogno non corrispondesse a quello reale, avrebbero risparmiato moltissimo tempo prezioso.
— Non solo ci sono da sistemare gli affari del clan — continuò poi — ma si è resa necessaria anche la firma di un nuovo trattato sulla regolamentazione delle estrazioni minerarie. una questione molto urgente e caldeggiata da gran parte dei rappresentanti del Consiglio.
Oslan scosse la testa. Ancora una volta, il suo viso fu attraversato da una strana espressione di allarme, mista a collera.
— Niente da fare, agente! Non ho nessuna intenzione di ritornare adesso! — Le si avvicinò.
A dispetto di se stessa, Itlothis arretrò di qualche passo.
— E adesso, vattene dal mio sogno! — Sembrava una fucilata. Come se ogni singola parola fosse stata lanciata per trafiggerla. Tuttavia, la sua opposizione così netta provocò una reazione altrettanto energica. Itlothis smise di indietreggiare e rimase ferma ad aspettarlo. Non era certo la prima volta che si trovava di fronte a un ricercato recalcitrante, e il suo atteggiamento negativo la rendeva ancora più determinata.
— C'è di mezzo il Consiglio — replicò, spiccia. — Se non…
Rideva! Con la testa rovesciata all'indietro e i pugni sui fianchi Oslan rideva. anche se l'ilarità era chiaramente innescata dalla collera.
— Che cosa vi proponete di fare allora tu e il Consiglio, cara agente della Per-Ricerche? Vuoi forse chiamare una guardia a spalleggiarti… qui?
Itlothis ebbe la momentanea visione di un altro lettino e di un'altra sognatrice, sempre che la stanza dell'Arnia riuscisse a contenerli tutti, con una guardia pronta a essere trasportata. Impossibile, naturalmente. In quel caso, doveva proprio cavarsela da sola.
— Vedi quanto vale l'autorità del Consiglio da queste parti? — Oslan si avvicinò di un altro passo. — Il tuo Consiglio nascerà fra chissà quanti anni, rispetto a dove ci troviamo adesso.
— Ti rifiuti di capire. — Itlothis cercò di mantenere almeno una calma apparente. — Si tratta di cose della massima importanza anche per te. Tuo fratello Lars e il Consiglio hanno assoluto bisogno che tu ritorni su Benold entro il Giorno del Sole Alto. Sono investita dell'autorità necessaria per imbarcarti sulla prima nave interspaziale…
— Ma quale autorità! — Oslan la interruppe per la seconda volta. — Questo è il mio sogno, e solo io posso interromperlo. Te l'hanno detto?
— Sì.
— Bene, allora lo sai. E sei mia prigioniera qui, nonostante tutti i tuoi poteri e la tua autorità, a meno che tu non accetti spontaneamente che io ti rispedisca indietro.
— Non senza di te! — Mentre lo diceva, Itlothis si chiese se, per caso, non stesse compiendo una scelta fatale.
Tuttavia, non aveva intenzione di arrendersi così facilmente come lui sembrava credere. — Vuoi essere considerato una specie di disertore da tutti i membri del tuo clan? — aggiunse in fretta. — Ricordati che il Consiglio è dotato di poteri straordinari e che…
— Zitta! — Lui girò impercettibilmente la testa verso le mura di Yul. Ascoltava qualcosa, era chiaro, tanto che anche lei aguzzò le orecchie.
Si avvertiva una specie di ronzio profondo. Era un suono vero e proprio o una vibrazione trasmessa fino a loro dalla roccia su cui poggiavano i piedi? Lei non riuscì a capirlo.
— Presto, al riparo! — Oslan tese una mano di scatto, le afferrò un braccio e la trascinò con sé sotto le mura. Poi si rimise in ascolto, con l'espressione cupa e la testa piegata ad angolo per osservare dal basso le difese esterne di Yul.
— Che cos'è? — chiese Itlothis a bassa voce, dato che i minuti passavano e lui non cambiava posizione.
— Lo sciame. Taci!
Niente affatto esauriente, ma sufficientemente teso da comunicarle la necessità di seguire i suoi ordini. Dopotutto, Oslan si trovava nel suo sogno ed era appena uscito da Yul, dunque era senz'altro in possesso di conoscenze che a lei mancavano.
Ci fu un'esplosione di luce, come un segnale di avvertimento diretto verso il mare. Poi un altro e un altro ancora tutti proiettati dall'entrata che fronteggiava la rupe in direzione del mare, in successione così rapida che Itlothis alla fine, non vide altro che un susseguirsi continuo di palle luminose. Poi i lampi cessarono, e la luce si disperse in fretta, lontano sull'acqua.
Mentre se ne stavano ancora corpo a corpo, Itlothis sentì che la tensione di Oslan si allentava. Lui trasse un profondo sospiro.
— Se ne sono andati! Adesso siamo al sicuro per un po'.
— Al sicuro da cosa?
Oslan la guardò dritto negli occhi e a lei quello strano sguardo indagatore non piacque affatto. Era come se qualcuno volesse leggerle nel pensiero. Non poteva liberarsi, per quanto lo desiderasse, e l'impossibilità generava in lei un forte senso di risentimento. Non attese che lui rispondesse alla domanda. Al contrario, ripeté il suo messaggio con tutta l'energia di cui era capace.
— Se non interromperai subito il sogno perderai Atto. Il Consiglio è deciso a confermare Lars come capo, per non perdere altro tempo.
Il suo sorriso era tinto di rabbia come la risata di poco prima.
— Lars come Capo? Una buona idea… sempre che gli rimanga una Atto su cui governare.
— Che cosa vorresti dire?
— Perché credi che mi trovi qui? Perché credi che abbia attraversato una buona metà delle rotte stellari per trovare una sognatrice in grado di immettermi nel passato di Yul?
Continuò a fissarla. Come se non bastasse, la prese per le spalle e incominciò a scrollarla, quasi per dare maggior valore alle parole appena pronunciate.
— Tu pensi che Yul sia solo un ammasso di rovine, una specie di terra di nessuno nel nostro mondo, è così? Hanno continuato a ripetercelo fin da quando la nostra razza ha incominciato a esplorare Benold. Ma Yul non significa solo mura crollate e senso di sgomento. E anche la custodia di qualcosa di molto antico, e pericoloso.
Ci credeva davvero. Itlothis glielo lesse nella voce. Ma a cosa credeva, in realtà? Non ebbe la possibilità di chiederglielo perché, una volta incominciato a parlare, le parole continuarono a scorrergli dalle labbra a fiumi.
— Sono stato in questa Yul. Ho visto… — Chiuse gli occhi, come per escludere qualcosa che lo tormentava. — Nemmeno un quarto della parte esterna della nostra Yul ha resistito agli assalti del tempo. Ma il cuore non è morto. Dorme, tutto qui, e incomincia solo adesso a risvegliarsi. Posso dirti che ci ho riflettuto per anni, indagando dovunque. Un anno fa ho preso il coraggio a due mani e ho portato sul posto un analizzatore per effettuare delle rilevazioni. Poi, ho inviato tutti i dati al computer centrale. Vuoi sapere qual è stato il risultato? Vuoi saperlo? — La scrollò di nuovo. — Ebbene, mi hanno detto che le nuove gallerie della miniera, quelle verso est, avevano risvegliato qualcosa. Qualcosa che era pronto a schiudersi…
Itlothis si rese conto che Oslan credeva con tanto fervore a ciò che lo aveva portato fin lì da non voler neanche ascoltare eventuali argomentazioni contrarie. L'immaginario si era impadronito di lui.
— A schiudersi — ripeté. — Ma che cosa potrebbe essere?
— Quello che un tempo riempiva Yul di vita. Hai appena visto lo sciame prendere il volo, no? Ebbene, è solo una millesima parte di quello che Yul può produrre. Quelle strane creature volanti sono costituite di energia, e si alimentano di energia. Se una sola ti si avvicinasse ridurrebbe il tuo corpo a un mucchietto di ceneri. Ci sono anche altri aspetti dello stesso fenomeno. — Lei lo sentì irrigidirsi di nuovo. — Quello che si trova a Yul può prendere molte forme, tutte orribilmente aliene e pericolose per l'uomo.
"Gli uomini, o altri essere simili a loro, eressero questa fortezza e le altre città di cui si possono trovare ancora le tracce sul nostro pianeta. Poi… arrivò questo. Forse trasse origine da un esperimento sbagliato, oppure sbucò da un'altra dimensione, da un altro mondo… Non esistono documentazioni in proposito.
"Qualcuno lo trovò e ne fece un dio. Lo nutrì di energia vitale, finché lui non crebbe e non divenne il padrone incontrastato del pianeta. E a quel punto spazzò via l'uomo, pensando che non gli fosse più necessario.
"Ma quando l'energia vitale diminuì, anche lui incominciò a deperire. Invece di espandersi su tutto il pianeta, fu obbligato a tornare al continente di origine e a rinchiudersi dentro Yul. Incominciò ad avere paura e si rifugiò nel suo nido. Poi si ibernò… per dormire mentre passavano gli anni.
"Sono stati i raggi della ricerca mineraria a risvegliarlo. I raggi gli hanno fornito nuova energia, tanto da aiutarlo di nuovo a crescere. Adesso, Benold può fornirgli nuove sostanze, e…"
— Devi avvertire il Consiglio! Interrompi il sogno.
Lui scrollò la testa. — Non capisci. Sarebbe totalmente impossibile distruggere questo mostro nel nostro stesso tempo… Si nutre delle menti di chi osa affrontarlo, svuota i corpi di tutta la loro energia vitale. Non c'è niente che costituisca una barriera valida contro di lui. Per questo potremo sconfiggerlo solo nel passato. Se il suo nido venisse sigillato per impedirgli l'ingresso, lui finirebbe per deperire e morire di fame. E Benold sarebbe libera.
Itlothis era sconvolta. Quell'uomo doveva per forza essere impazzito. Non si ricordava più di trovarsi in un sogno? E che cosa si poteva ottenere, di reale, in un sogno? Forse, se lei lo assecondava un po'..
— Ho preso tutta la mia documentazione e l'ho portata a una sognatrice — continuò Oslan. — Le ragazze sono allenate anche a basarsi su ricerche vere, per tessere un sogno. Capita spesso, infatti, che i clienti siano interessati al passato. Così, le ho chiesto di concentrarsi sui miei nastri.
— Ma questo è un sogno! — protestò Itlothis. — Non ci troviamo per davvero nel passato più remoto di Benold. Non puoi fare quello che ti proponi…
Lui la scrollò in modo ancora più selvaggio. — Non posso? Aspetta e vedrai! Le dimensioni e i mondi si sovrappongono uno sull'altro e non c'è niente di meglio di una fede incrollabile per renderli reali. Io dico che questa è la Benold che precede quella attuale. — Si scostò in fretta da lei per fronteggiare il muro. — Il mostro ha mandato fuori i suoi alimentatori e ora si concentrerà solo su di loro. E il mio momento!
Allungò una mano per cercare un appiglio e incominciò di nuovo la scalata.
Itlothis arrivò tardi per impedirglielo. Naturalmente, non poteva lasciare quel pazzo lì da solo. Se invece andava con lui, e fingeva di prendere per vero ciò che diceva, magari riusciva a convincerlo a interrompere il sogno. Fin dal momento in cui aveva fatto il suo ingresso in quel mondo si era sentita in netto svantaggio e impossibilitata a mantenere il freddo distacco che le era sempre stato congeniale. E ora, poteva solo aggrapparsi alla speranza di riuscire in futuro a influenzare Oslan, a patto di rimanergli vicino.
Si sedette sulla roccia e si tolse gli stivali. Con le dita delle mani e dei piedi finalmente libere cercò le incavature nella parete e incominciò la scalata delle mura di Yul.
Per fortuna, non soffriva di vertigini. E in ogni caso si guardò bene dal girare la testa verso il basso. Aveva paura e odiava ciò che stava facendo, ma continuò a tirarsi su, con determinazione. Oslan aveva già raggiunto la finestra. Si protese in fuori per aiutarla e scesero insieme dall'ampio davanzale per approdare in una stanza piena di ombre.
— E' meglio che tu sia venuta con me — osservò lui. — Altrimenti la cosa avrebbe potuto percepire la tua presenza. Devi stare calma, perché non puoi neanche immaginare quanto potrebbe costarti la follia di avermi raggiunto m sogno.
ltlothis soffocò la collera. Quell'uomo era proprio pazzo. Non si sarebbe fatto convincere da niente, tantomeno da un sottile ragionamento logico. Meglio tacere, dunque. Così non replicò e lo seguì fiancheggiando i muri, dato che lui evitava con cura la parte centrale della stanza.
L'ambiente, completamente spoglio, aveva il pavimento, le pareti e il soffitto in pietra. Quel poco di luce che c'era proveniva dalla finestra alle loro spalle. Oslan non si diresse alla porta dalla parte opposta della stanza ma si fermò a metà della parete e stese la mano in alto, come per cercare l'appiglio per una nuova scalata.
Non incominciò a salire, come Itlothis aveva temuto per un attimo. Sarebbe stata fatica sprecata, visto che il soffitto non mostrava aperture. Invece, si udì uno strano cigolio. Davanti a Oslan, tre blocchi di roccia massiccia arretrarono con un rumore sordo e lasciarono intravvedere un passaggio buio come l'inchiostro.
Come aveva fatto Oslan a sapere che c'era? Be', dopotutto, un'apertura immaginaria nella parete era del tutto ammissibile, in sogno. Eppure, l'apparente realtà di quella stanza densa di ombre continuava a fare a pugni con la logica. Com'era possibile che un sogno apparisse così vero?
— Dentro! — bisbigliò lui.
La vide esitare e la spinse di persona nel passaggio segreto. Itlothis cercò di liberarsi, ma ormai i blocchi di pietra si erano richiusi, sigillandoli in uno spazio buio ancora più orribile perché lì, in quel momento, lei avvertiva quel misterioso senso di male latente che da sempre aleggiava sulla Yul del suo mondo.
— C'è una scala. — La stretta di Oslan sul polso non si era allentata. — Vado avanti io. Tieni sempre una mano sulla parete laterale. Si staccò da lei e Itlothis udì solo il suono impercettibile dei suoi movimenti. Non aveva più la possibilità di tornare indietro, dunque doveva seguirlo per forza. Strinse i denti e si sentì più spaventata di quanto non si fosse mai sentita in tutta la sua vita. Fece scivolare un piede in avanti e cercò a tentoni il primo gradino.
La discesa fu un incubo che la indebolì nel corpo e la lasciò madida di sudore. Il fatto che continuasse a esserci aria a sufficienza per riempirle i polmoni era una meraviglia del tutto secondaria. E la scala continuava a scendere.
Oslan non aveva più aperto bocca fin da quando avevano lasciato la stanza in alto e lei non osava interrompere il suo silenzio. Aveva la sgradevole e inquietante sensazione che si stessero muovendo, in una cautela generata dalla paura, vicinissimi a qualcosa di molto pericoloso che non doveva in alcun modo essere avvertito della loro presenza.
Una mano sul braccio le strappò un breve grido.
— Ssssst!
Lui la tirò più vicino. I piedi nudi di Itlothis sprofondarono in una specie di cuscino morbido, come se secoli e secoli di polvere avessero rivestito il passaggio segreto con una specie di tappeto. Oslan si era rimesso in marcia, trainandola con sé, e lei fu contenta di avere qualcuno a cui aggrapparsi in quel buio così spaventoso. Non osava pensare a che cosa sarebbe successo se, all'improvviso, avessero perso i contatti.
Alla fine Oslan smise di tenerle il braccio. — Lasciami. Devo aprire una porta.
Lei obbedì, tremando. Davanti a loro apparve una sagoma ovoidale di luce grigiastra. Sembrava persino luminosa, dopo l'oscurità totale in cui si erano mossi fino a quel momento. La sagoma venne parzialmente oscurata da qualcosa di più scuro che doveva essere Oslan e lei si precipitò a seguirlo. Arrivarono in una stanza che sembrava la gemella di quella da cui erano discesi, tranne che qui il soffitto era molto più basso e mancava completamente la parete sulla sinistra. Da lì, si intravvedeva uno spazio molto più grande, che non era vuoto. Per quanto non si capisse da dove proveniva e di che tipo era, la luce, o meglio quella specie di debole riflesso luminoso, rivelò l'esistenza di un vasto parco di veicoli a quattro ruote, addossati gli uni agli altri.
Oslan si fermò e girò leggermente la testa verso destra, come per mettersi in ascolto. Poi fece cenno a lei di seguirlo, e incominciò ad avanzare verso l'area più esterna senza nemmeno guardarsi indietro.
I veicoli lasciavano libero solo uno spazio molto ridotto a ridosso della parete e Oslan cercava di procedere a passo sostenuto nonostante i continui impedimenti. Ogni tanto si fermava a ispezionare una di quelle strane macchine ma poi proseguiva, come se non avesse trovato quello che cercava.
Arrivarono finalmente in corrispondenza di un altro grande spazio e lui si fermò di colpo, con le narici dilatate come se avesse individuato con l'olfatto qualche segnale di avvertimento. Lei ricordò di avere visto un grosso cane da caccia compiere lo stesso movimento appena prima di partire all'inseguimento della preda.
Proprio davanti a loro c'era un altro di quegli strani veicoli e Oslan salì a controllare la cabina di guida. Quando vide che lei si preparava a seguirlo, le fece cenno di rinunciare. Itlothis obbedì, vagamente indispettita, e rimase a guardare mentre lui si chinava per osservare meglio i comandi.
La linea contratta delle spalle si ammorbidì. Oslan annuì, come in risposta ai suoi stessi pensieri, e la invitò a raggiungerlo. Lei non si fece pregare. Il sedile su cui riuscì finalmente a sistemarsi era imbottito, ma così corto e stretto che loro due finirono per trovarsi appiccicati.
Non aveva ancora fatto in tempo a salire che Oslan premette il palmo della mano contro uno dei pulsanti di comando.
In risposta ci fu una vibrazione, un lieve ronzio e infine il veicolo prese vita e si spostò in avanti verso l'imboccatura di un grande corridoio. Itlothis non riuscì più a rimandare il momento delle spiegazioni.
— Che cosa vuoi fare?
— Sigillare il nido.
— Sei sicuro di riuscirci?
— Non lo saprò mai se non ci provo. E non c'è altro da fare.
Impossibile farlo ragionare, finché era così immerso nelle proprie ossessioni. Tanto valeva rassegnarsi a lasciargli seguire le sue fantasie fino alla fine. Poi, forse, l'avrebbe convinto a interrompere il sogno.
— Come hai imparato a guidare questo aggeggio? — gli chiese.
— E' già la mia seconda visita da queste parti. Nella parte iniziale del mio sogno sono arrivato prima, quando c'erano ancora degli uomini a seguire i Suoi voleri.
Era già immerso nel sogno da due giorni, quando lo aveva trovato, e nel sogno si poteva anche passare da un secolo all'altro in pochissimo tempo, se si voleva. La spiegazione aveva una sua logica.
Il veicolo avanzò traballando. Il corridoio incominciò a mostrare qualche biforcazione, a cui Oslan non prestò la minima attenzione. Continuò a proseguire diritto, finché non si trovarono davanti un muro di roccia. Di fronte a una barriera così insormontabile, lui imboccò la deviazione sulla sinistra.
Il nuovo corridoio era molto più stretto del precedente. Itlothis incominciò a chiedersi se, prima o poi, non avrebbero finito per trovarsi circondati dalle mura. Di tanto in tanto Oslan si concedeva una sosta. Saliva in piedi sul sedile e allungava una mano per tastare il soffitto.
La terza volta si lasciò sfuggire una leggera esclamazione di sorpresa e, quando si abbassò, non si preoccupò affatto di avviare di nuovo il veicolo. Piuttosto, si rannicchiò vicino al quadro di con trollo e incominciò a osservarne da vicino i comandi.
— Fuori di qui! — ordinò senza neanche alzare la testa. — Torna indietro! Corri!
Il comando era così imperioso che lei obbedì senza discutere. Si limitò solo a notare, prima di scendere a terra con un balzo, che le dita di Oslan danzavano sui tasti seguendo uno schema rapido e complicato.
Corse a perdifiato, ripercorrendo il corridoio in senso inverso. Alle sue spalle udì il motore accendersi di nuovo. Si voltò, fermandosi, e vide che lui veniva di corsa nella sua direzione mentre il veicolo proseguiva da solo, dalla parte opposta. Riprese di nuovo a correre, felice di non essere stata abbandonata.
Oslan la raggiunse, la prese per un braccio e la costrinse a raddoppiare gli sforzi. Intanto, il rumore del veicolo continuava ad allontanarsi sempre più. Ritrovarono il corridoio centrale e lo imboccarono senza rallentare il passo.
In pratica, stavano ripercorrendo al contrario la stessa strada di prima, ma il terrore che ribolliva in lui contagiava anche Itlothis, che pure non ne conosceva la causa, e la spingeva a lottare contro il tempo e la fatica, come se si fosse trattato davvero di una questione di vita o di morte.
Avevano già raggiunto la caverna delle macchine quando il pavimento e le pareti tremarono. Seguì una specie di ruggito assordante, e poi il buio…
Qualcosa si avvicinò nell'oscurità… qualcosa di così violento da assomigliare a un'esplosione.
Itlo this cercò di sottrarsi alla sua furia, a quella collera gigantesca che minacciava di distruggerli.
Aprì gli occhi, tremante per lo spavento.
A pochi centimetri dalla sua faccia ce n'era un'altra, appena visibile nella luce fioca.
Si inumidì le labbra e quando parlò la sua voce le sembrò fievole e lontana.
— Capoclan Oslan…
Era venuta fin lì per cercarlo e adesso qualcuno, o qualche cosa dava la caccia a lei!
Lui sbatté le palpebre e le aprì. La fissò e Itlothis gli lesse negli occhi lo stesso senso di panico che sentiva dentro di sé. Lo vide schiudere le labbra, per pronunciare qualcosa con un filo di voce.
— Lui ha capito! Lo cerca!
Ancora quella sua folle ossessione. Forse, lei poteva usarla per salvare entrambi. Gli prese la testa fra le mani, imponendogli di continuare a guardarla. Che tutte le Potenze Celesti gli concedessero ancora un minimo di sanità mentale! Lentamente, distanziando ogni parola e raccogliendo tutta la sua forza di volontà, Itlothis impartì un ordine.
— Interrompi il sogno!
C'era ancora un briciolo di lucidità in quegli occhi? Oppure la stessa paura orribile e irrazionale che lei sentiva dentro di sé lo aveva spedito a profondità così fantastiche che lei non avrebbe mai più potuto raggiungerlo? Ancora una volta, Itlothis ripeté quelle parole con tutta la fiera autorità di cui si sentì capace.
— Interrompi il sogno!
La paura le torturò la mente. La cosa che li cercava si stava facendo sempre più vicina. Il rischio era quello di sprofondare nella follia, e l'orrore era peggio di qualunque dolore. Lui doveva fare qualcosa! Lui…
C'era…
Itlothis sbatté le ciglia.
C'era molta luce. Una luce sicuramente più viva di quella della caverna nelle viscere di Yul. Fissò il soffitto. Lì non c'era traccia di polvere, né il profumo dei secoli. Era tornata!
Qualcuno le tolse la cuffia dei sogni e lei si rialzò a sedere sul letto. Non riusciva ancora a credere che fosse tutto finito. Si voltò in fretta verso l'altro lettino. Gli inservienti gli avevano tolto il casco e lui si portava le mani alla testa con fare incerto. Aveva gli occhi aperti.
Si voltò dalla sua parte e la vide. Sgranò tanto d'occhi. — Allora eri vera!
— Sì. — Aveva forse immaginato che fosse solo una parte del sogno? In qualche modo, quel pensiero le pesò come una sconfitta. Dopo tutti i rischi che aveva corso per andarlo a riprendere, scopriva che lui l'aveva considerata solo una sua fantasia.
Anche Oslan si rialzò a sedere e si guardò intorno come se non gli sembrasse vero di essere tornato. Poi rise, non di rabbia come era successo a Yul, ma di trionfo.
— Ce l'abbiamo fatta! — Batté un pugno sul lettino. — Il nido era davvero murato, altrimenti non si sarebbe infuriato in quel modo. Yul è morto!
Aveva portato con sé il frutto della propria fantasia, e l'ossessione continuava a possederlo. Itlothis provò una gran pena. In ogni caso, Oslan Sb Atto era pur sempre un suo cliente. Non poteva, e non voleva, lasciarsi coinvolgere troppo. Dopotutto, aveva portato a termine con successo la sua missione. Ora, toccava alla famiglia Atto occuparsi di lui.
La ragazza si girò verso il medico. — Il Capoclan è ancora un po' confuso.
— Ma niente affatto! Non sono confuso! — protestò con veemenza la voce di Oslan, alle sue spalle. — Aspetta e vedrai, mia cara! Aspetta e vedrai!
Per quanto lei si sentisse sulle spine durante l'ipersalto che doveva riportarli su Benold, Oslan non nominò più il sogno. Non cercò neanche molto la sua compagnia, per la verità, e rimase quasi sempre in cabina. Tuttavia, quando raggiunsero lo spazioporto del loro pianeta natale, lui si assunse il comando della situazione con una autorità tale da travolgerla.
Prima ancora che Itlothis potesse redigere il suo rapporto formale lui l'aveva già caricata a bordo di un velivolo che portava le insegne della Casata di Atto. Più che irritarla, l'iniziativa la mise un po' a disagio. Con il passar del tempo aveva incominciato a sperare che in lui gli effetti del sogno iniziassero a svanire. Ora, invece. vedeva che l'ossessione perdurava anche se non si trovavano più nella Benold ricreata dalla sognatrice di Ty-Kry.
Lui eseguì una perfetta virata verso nord e le lanciò un'occhiata.
— Mi credi pronto per un bel programma di riabilitazione, vero, ltlothis?
Lei si rifiutò di rispondere. Qualcuno li avrebbe seguiti. Era riuscita a inviare un segnale prima del decollo.
— Vuoi che ti dimostri che non sono pazzo? Benissimo, avrai quello che desideri.
Spinse il velivolo alla velocità massima. Davanti a loro si stendevano tutte le proprietà degli Atto, Yul compresa. Che cosa aveva in mente?
Meno di un'ora dopo, tempo del pianeta, Itlothis era già in possesso della risposta. Il minuscolo aeroplano si abbassò sulle rovine. Solo che… quella non sembrava affatto la stessa Yul che lei aveva visto nel corso della sua prima visita a casa Atto. Rimaneva in piedi solo una piccola porzione delle mura esterne e all'interno si vedeva un vasto cratere in cui giaceva solo qualche blocco di roccia sparso qua e la.
Oslan diminuì il numero dei giri e scelse di far atterrare il velivolo proprio nel centro del cratere. Aprì rapidamente la cabina e allungò una mano per aiutare anche lei a scendere. Non la lasciò nemmeno quando si trovarono entrambi a terra.
— Vedi?
Quell'unica parola riecheggiò per parecchi secondi dalle mura ancora In piedi.
— Ma che cosa… — Bisognava ammettere che quella era una Yul del tutto nuova. Ma da lì a credere che una semplice azione compiuta in sogno su un pianeta a diversi anni luce di distanza potesse produrre una simile distruzione…
— La carica esplosiva ha raggiunto il nido! — continuò lui, entusiasta. — Avevo regolato l'energia del veicolo al massimo e quando la corrente ha toccato il punto di guardia la carica è esplosa. E così quella cosa non ha avuto più un posto dove chiudersi in ibernazione. Non le era rimasto nient'altro che questo!
Doveva arrendersi all'evidenza, o almeno così si supponeva. Ma quanto aveva visto cozzava contro tutte le più elementari regole della ragione e della logica. Eppure l'esplosione di cui quel posto era testimone non poteva di certo essere avvenuta nell'arco di poche settimane. Tutto, lì dentro, portava il segno dei secoli! Forse qualcuno li aveva catapultati indietro nel tempo di qualche eone? Itlothis incominciò a sentirsi come se q~ello fosse un sogno, o meglio una terribile allucinazione.
Ma Oslan continuava a spiegare.
— Non senti? Quella strana cosa non esiste più! Adesso non c'è nessuna traccia di vita aliena, qui dentro!
Lei rimase dov'era, tra le sue braccia. Una volta, quando era ancora ragazzina e stava iniziando l'addestramento per il lavoro di ricercatrice, l'avevano portata a Yul. Non si erano spinti più in là della prima cerchia di mura, che già in pochi riuscivano a oltrepassare, e dove comunque nessuno rimaneva mai molto a lungo. L'esperienza le era rimasta molto impressa e Oslan aveva ragione! Non si avvertiva più quell'incombente senso di minaccia. Si sentivano solo le grida degli uccelli marini e il battito ritmato delle onde. Yul era morta, e la vita l'aveva disertata molto tempo prima.
— Ma era un sogno! — protestò, confusa. — Solo un sogno!
Oslan scosse lentamente la testa. — Era la realtà. Adesso Yul è libera. Siamo qui per dimostrarlo. Una volta ti ho chiesto di andartene dal mio sogno. Sbagliavo, quello era destinato a diventare anche il tuo sogno. E ora questa è la nostra realtà… una Yul completamente sgombra, in un mondo libero. E, con il tempo, forse anche qualche altra cosa.
Le braccia attorno a lei si strinsero. Non per angoscia e nemmeno per paura. Itlothis fissò i suoi lucenti occhi verdi e seppe che quel sogno, e i sogni in genere, non lasciavano mai del tutto chi vi si abbandonava.