PRIMA PARTE

I balocchi di Tamisan

 

1

 

— E' garantita dalla casa Foostmam, Lord Starrex. Una vera sognatrice d'azione alla decima potenza!

Jabis dimostrava un entusiasmo eccessivo, un po' al di sopra delle righe. Insomma, stava forzando la mano. Tamisan ne rise tra sé mantenendo il viso perfettamente impassibile e lanciò rapide occhiate intorno, da sotto le palpebre semichiuse. La contrattazione la riguardava molto da vicino, dato che era lei il prodotto in discussione, ma non le era permesso intervenire.

Quella, pensò, doveva essere una tipica torre celeste. Sembrava che galleggiasse da sola, ma una serie di sostegni sottili e quasi invisibili la tenevano sollevata in alto, al di sopra di Ty-Kry. Eppure, nessuna delle sue finestre si affacciava davvero sul cielo. Ognuna faceva da cornice a un paesaggio diverso che, per quello che lei ne poteva capire, apparteneva a pianeti differenti o lontani. Forse si trattava di sogni indotti o generati dal ricordo.

Attorno al lettino su cui l'acquirente giaceva per metà seduto e per metà sdraiato c'era un tappeto vivente di erba-lambil.

A Jabis non era stato offerto neppure uno dei seggiolini ribaltabili a parete, e del resto anche le altre due persone al servizio di Lord Starrex erano in piedi. Si trattava di veri esseri umani, e non di androidi, il che testimoniava l'appartenenza dell'acquirente alla classe dei personaggi più che abbienti. Uno era la guardia del corpo, pensò Tamisan.

L'altro, più giovane e più magro, aveva una smorfia di insoddisfazione sulle labbra e un abbigliamento molto simile a quello dell'uomo sul lettino. La lieve differenza di tonalità indicava una posizione di poco inferiore nella gerarchia familiare.

Tamisan registrò quello che vedeva e lo immagazzinò per usarlo come punto di riferimento in futuro.

Le sognatrici, in genere, non Si preoccupavano affatto di osservare il mondo circostante ed erano sempre troppo immerse nelle proprie creazioni per interessarsi alla realtà. Tamisan si accigliò. Lei era una sognatrice. Jabis e la Foostmam potevano dimostrarlo. Il fannullone sul lettino poteva sperimentarlo di persona, se accettava di pagare la cifra richiesta. In ogni caso, lei sapeva di essere anche qualcosa di più, per quanto non riuscisse a capire che cosa.

Il buon senso le aveva suggerito di mascherare la particolarità che la rendeva diversa. Aveva taciuto fin dal giorno in cui aveva scoperto per la prima volta che le altre nell'Arnia della Foostmam non erano in grado di distaccarsi in modo netto dai sogni per entrare nel tempo e nello spazio reale. Alcune dovevano addirittura essere imboccate, vestite e accudite come se non sapessero nemmeno di avere un corpo!

— Sognatrice d'azione. — Lord Starrex spostò le spalle contro l'imbottitura del lettino, che si adattò immediatamente ai suoi movimenti per offrirgli il massimo comfort. — I sogni d'azione sono roba da bambini.

L'autocontrollo di Tamisan non ebbe cedimenti, anche se lei avvertì nel cuore una piccola vampata di rabbia.

Roba da bambini, eh? Le sarebbe proprio piaciuto fargli constatare di persona se erano davvero così infantili le avventure che lei sapeva tessere per distrarre i suoi clienti. Ma Jabis non si lasciò di certo smuovere dall'osservazione sprezzante del possibile acquirente. Ai suoi occhi si trattava solo di una logica tattica di contrattazione.

— Be', se vuole una sognatrice “E”… — Si strinse nelle spalle. — Le faccio comunque notare che la richiesta pervenuta all'Arnia parlava di una “A”.

Si azzardava persino a trattarlo con un pizzico di scortesia. Doveva essere molto sicuro che avrebbe abboccato, pensò Tamisan. Con ogni probabilità, Jabis era in possesso di informazioni confidenziali che lo autorizzavano a ritenersi sicuro, altrimenti avrebbe strisciato pancia a terra per la paura, come l'ultimo dei mendicanti. Sempre che ritenesse quel gesto indispensabile per assicurarsi un certo numero di vantaggi.

— Kas, l'idea è stata tua. Quanto vale, secondo te? — domandò Starrex in tono abulico.

Il più giovane dei suoi compagni si spostò in avanti di un paio di passi. Ecco dunque la ragione per cui Tamisan si trovava lì: Lord Kas, il cugino del proprietario di tutta quella magnificenza. Come lei aveva prontamente dedotto, nella gerarchia familiare il giovane non godeva certo di molta autorità. Il fatto che Starrex giacesse sul lettino non era dettato dall'indolenza, quanto piuttosto da ciò che veniva nascosto dall'ampio mantello in seta-fas che gli copriva una buona metà del corpo. Un uomo che non era più in grado di camminare eretto poteva anche trarre piacere dalle prestazioni di una sognatrice d'azione.

— E' valutata al decimo livello — ricordò Kas al cugino.

Le sopracciglia nere, che conferivano un'espressione severa ai lineamenti di Starrex, si inarcarono impercettibilmente. — Davvero?

Jabis fu pronto ad approfittarne. — Ma certo, Lord Starrex. Di tutto lo sciame di quest'anno lei ha dimostrato di essere la migliore. E per questo… che abbiamo pensato di proporla a sua eccellenza.

— Non pagherò niente sulla base di semplici resoconti — ribatté lui.

Jabis non si lascia intimidire. — Un esemplare di decimo livello non offre dimostrazioni, mio signore.

Come saprà, le credenziali dell'Arnia non possono essere falsificate. Ho affrettato la vendita solo perché devo partire al più presto per Brok, dove mi aspettano certi affari urgenti. Ma alla Foostmam mi avevano chiesto di trattenere questo particolare elemento per affittarlo.

Se avesse avuto qualcosa da scommettere, o qualcuno con cui fare una scommessa, in quella ripresa Tamisan avrebbe puntato tutto sulla vittoria di suo zio. Zio? A mente fredda non riusciva nemmeno a concepire di avere qualche legame di sangue con quella specie di piccolo uomo insetto con la faccia grinzosa, gli occhi sempre in movimento e le mani sottili con certe dita contorte che l'avevano sempre fatta pensare alle chele spiegate di un granchio. Di sicuro, sua madre doveva essere stata molto diversa da zio Jabis, altrimenti suo padre non avrebbe di certo visto in lei niente per cui valesse la pena di portarsela a letto. E non solo per una notte ma addirittura per la metà di un anno solare.

Non era la prima volta che si soffermava a riflettere sull'enigma di chi l'aveva generata. Sua madre non era stata una sognatrice, anche se aveva avuto una sorella che disgraziatamente, dal punto di vista delle fortune familiari, era morta nell'Arnia durante le stimolazioni adolescenziali come sognatrice E. Suo padre invece veniva da un altro mondo, era insomma un alieno, anche se umanoide quanto bastava per generare un incrocio.

Era scomparso di nuovo nell'universo quando il desiderio di vagabondare tra le stelle era diventato troppo forte da soffocare. Se non fosse stato per il suo precoce ed evidente talento di sognatrice, né zio Jabis né il resto dell'avido clan degli Yeska si sarebbero mai preoccupati di lei, specialmente dopo che sua madre era rimasta vittima della mortale epidemia celeste.

Tamisan era dunque un incrocio e l'intelligenza l'aveva portata a intuire in fretta che proprio questo particolare rendeva diversi i suoi poteri da quelli degli altri abitanti dell'Arnia. La capacità di sognare costituiva un talento innato.

Per le sognatrici dotate di poteri minimi si trattava di una fuga dal mondo, e le loro doti erano considerate inutili. Ma le altre, quelle in grado di proiettare i sogni fino a coinvolgere spettatori esterni attraverso misteriosi meccanismi di aggancio, garantivano cospicui guadagni direttamente proporzionali alla forza e alla stabilità delle loro creazioni. Le sognatrici E, capaci di proiettare mondi lontani dominati dall'erotismo e dalla lussuria, un tempo erano pagate molto di più delle sognatrici d'azione. Ma negli ultimi anni le tendenze si erano invertite, anche se nessuno poteva dire con certezza fino a quando il vento non sarebbe cambiato di nuovo. I fortunati che avevano una sognatrice A da vendere si affrettavano a gonfiare i prezzi per paura che il mercato perdesse quota.

Il talento segreto di Tamisan era che lei, a differenza delle persone che riusciva a coinvolgere, non era mai completamente persa nel mondo del sogno. In più, e questa era una scoperta recentissima che aveva tenuto gelosamente per sé, riusciva entro certi limiti a controllare il meccanismo di aggancio in modo da non essere mai una prigioniera senza possibilità di scelta, obbligata a sognare secondo i desideri altrui.

Cercò di riflettere su quel che sapeva di Lord Starrex.

Era stato chiaro fin dall'inizio che Jabis avrebbe fatto di tutto per venderla al proprietario di una torre celeste, e naturalmente avrebbe cercato di scegliere la persona con cui supponeva di concludere l'affare migliore. Ma per quanto nell'Arnia circolassero molte voci, Tamisan era convinta che la maggior parte delle notizie sul mondo esterno fossero imprecise e incomplete. Le sognatrici erano recluse e ben protette da qualunque contatto con la vita di tutti i giorni.

Il loro talento veniva alimentato e favorito in modo quasi febbrile da lunghe sedute davanti ai proiettori tridimensionali e ai nastri di informazione.

Starrex, a differenza di molti appartenenti alla sua stessa classe, era stato un uomo attivo e aveva infranto lo schema di casta uscendo dal proprio mondo natale per affrontare lunghi viaggi. Era diventato un recluso solo in seguito al misterioso incidente che lo aveva colpito, e vivendo in solitudine si supponeva che cercasse di nascondere e dimenticare un corpo mostruosamente mutilato. Non assomigliava di certo a tutti gli altri che avevano visitato l'Arnia in cerca di merce da acquistare. E comunque, era stato Lord Kas a convocarli lì.

Sdraiato sul lettino, coperto quasi per intero dal favoloso mantello di seta, il proprietario della torre era un personaggio difficile da giudicare. In piedi, avrebbe probabilmente sovrastato Jabis di tutta la testa, e i muscoli lo rendevano più simile alla guardia del corpo che non al suo esile cugino.

Il viso aveva una struttura insolita, con una fronte spaziosa e gli zigomi larghi. La metà inferiore del volto si assottigliava sul mento forte, tanto che la conformazione della testa ricordava vagamente un cuneo. La pelle era scura, quasi come quella di un nostromo dello spazio. I capelli, neri e cortissimi, gli ricoprivano il cranio come un cappuccio aderente di velluto, in contrasto con i riccioli più lunghi del cugino.

Indossava una tunica di lutrax, con riflessi tra il ruggine e il rame, molto lussuosa ma meno ornata di quella di Lord Kas. Le maniche erano ampie e rigonfie, e di tanto in tanto Starrex si passava una mano sul braccio per spingerle indietro. Portava un unico gioiello, un orecchino con incastonata una splendida pietra koros che dondolando gli sfiorava la mascella.

Tamisan non lo trovava attraente, ma c'era qualcosa in lui che catturava l'attenzione. Forse era proprio l'aria di arrogante sicurezza di chi, in tutta la vita, non si era mai trovato davanti qualcuno che contrastasse i suoi desideri.

Ma prima di quel giorno non aveva mai avuto a che fare con Jabis. C'era da scommettere che adesso persino Lord Starrex avrebbe avuto qualcosa da imparare.

Il mercante continuò a trattare, abile e sfuggente, a tratti indignato e a tratti persuasivo, usando ogni trucco imparato in molti anni di fortunato commercio. Si appellò agli dei e ai demoni dell'inferno, per testimoniare il suo desiderio disinteressato di compiacere un cliente così importante e la delusione di non essere creduto. Fu una recita memorabile e Tamisan memorizzò i passi più salienti nell'archivio mentale che le serviva a costruire i sogni. Le immagini dal vivo erano di gran lunga molto più stimolanti delle sedute davanti al proiettore tridimensionale e lei si chiese come mai nell'Arnia non venisse mai fornito questo tipo di materiale. Forse, la Foostmam e i suoi assistenti ne avevano paura, così come temevano ogni altro brandello di realtà capace di risvegliare le sognatrici dalla concentrazione indotta nelle loro stesse creazioni.

Per qualche istante, Tamisan si chiese se anche Lord Starrex non apprezzasse lo spettacolo.

Sul suo viso era dipinta una stanchezza che suggeriva piuttosto noia, il che era normale per chiunque volesse una sognatrice personale. Poi di colpo, come se tutta quella faccenda lo avesse profondamente seccato, Lord Starrex interruppe con un'unica frase una delle più appassionate suppliche di Jabis per invocare la comprensione celeste della propria necessità di ottenere ciò che gli era dovuto.

— Ne ho abbastanza. Prendi la cifra che vuoi e vattene. — Chiuse gli occhi per congedarlo.

Fu la guardia del corpo a togliergli una carta di credito dalla cintura e a far ruotare un braccio mobile sullo schienale del lettino in modo che lui avesse un punto d'appoggio per imprimere il pollice, così da autorizzare il pagamento. Infine, la guardia lancio la carta verso Jabis. La carta cadde sul pavimento e l'uomo dovette chinarsi a rovistare per terra con le dita deformi. Tamisan colse lo sguardo dei suoi occhi pungenti. Lord Starrex piaceva poco a Jabis, il che non significava naturalmente che il mercante disdegnasse la carta di credito, anche se doveva chinarsi per raccoglierla.

Uscì con un inchino, senza rivolgere nemmeno uno sguardo alla sognatrice. Tamisan venne lasciata in piedi dov'era, come un androide. Fu Lord Kas a farsi avanti per primo. Le sfiorò il braccio come se la considerasse bisognosa di guida.

— Vieni — disse. Le mise le dita attorno al polso e la condusse con sé. Lord Starrex si disinteressò completamente della sua nuova proprietà.

— Come ti chiami? — Il giovane aristocratico parlava lentamente, come se per squarciare il velo che li separava fosse necessario enfatizzare ogni sillaba. Tamisan ne dedusse che aveva avuto contatti con qualche sognatrice di basso livello, una di quelle che nel mondo reale si trovavano estremamente confuse. La prudenza le suggerì di lasciargli credere che anche lei fosse altrettanto inebetita Alzò lentamente il capo e cercò di dare l'impressione di far fatica a mettere a fuoco la sua immagine.

— Tamisan — rispose, dopo una lunga pausa. — Io, Tamisan.

— E' un bel nome — ribatté lui, come si fa con i bambini ritardati. — Io sono Lord Kas. Un tuo amico.

Lei, sensibile a ogni sfumatura della voce, pensò che aveva fatto bene a fingersi confusa. Kas era sicuramente di tutto tranne che suo amico, a meno che la ritenesse utile per i propri scopi.

— Questo appartamento è tuo. — L'aveva scortata giù nell'atrio fino a una porta isolata e aveva compiuto sulla superficie certi movimenti precisi con la mano in modo da aprire una serratura fotoelettrica. Poi, sempre tenendola per il polso, l'aveva condotta in una stanza dal soffitto alto. La stanza era ovale e non c'erano finestre che interrompessero il muro ricurvo. Il centro sprofondava in una serie di gradini larghi e poco profondi che portavano a una vasca color avorio. Lo zampillo di una piccola fontana sollevava una nebbiolina profumata che scendeva dolcemente sull'acqua.

Sui gradini era disposta una quantità di cuscini e di sedili morbidi in delicate sfumature azzurre e verdi. I muri ricurvi erano ornati da drappeggi scintillanti di membrane zidex color grigio pallido, ricoperti da fili e striature di un verde pallidissimo.

La stanza era stata costruita e arredata con grande cura. Forse Tamisan rappresentava solo l'ultima di una lunga serie di sognatrici, perché quello era proprio il luogo di ritiro ideale per quelle come lei, anche se simili livelli di lusso erano sicuramente estranei all'Arnia.

Una striscia di tappezzeria a rete si sollevò dalla parete e lasciò passare un'androide per la cura personale. La testa era una palla ovoidale, con la superficie interrotta solo da due piastre sfaccettate per gli occhi e da due sensori acustici. La struttura umanoide, priva di vestiti, era color avorio.

— Ti presento Porpae — disse Kas. — Si occuperà di te.

La mia custode, pensò Tamisan. Non dubitò neanche per un attimo che le attenzioni dell'androide nei suoi confronti sarebbero state incessanti e accurate, così come non ebbe dubbi sul fatto che Porpae avrebbe costituito una solida barriera tra lei e la libertà.

— Se hai qualche desiderio, dillo a lei. — Kas le lasciò libera la mano e si girò verso la porta.— Quando Lord Starrex vorrà sognare ti chiamerà.

— Come il mio padrone desidera — borbottò lei. Era la risposta corretta.

Guardò Kas andarsene e poi spostò lo sguardo sull'androide. Aveva buoni motivi per supporre che fosse programmata per registrare ogni sua mossa. Ma chi avrebbe mai immaginato, in quel posto, che una sognatrice desiderasse niente di meno che la libertà? Le sognatrici desideravano solo sognare, e per loro era quella la vita. Lasciare un posto che sembrava fatto apposta per incoraggiare la loro massima aspirazione di vita sarebbe stato una specie di suicidio, e una sognatrice autentica non l'avrebbe mai preso in considerazione.

— Ho fame — disse all'androide. — Vorrei mangiare.

— Il pranzo è pronto. — Porpae raggiunse la parete, spinse ancora una volta da parte la tappezzeria a rete e schiacciò una serie di pulsanti seguendo uno schema complicato.

Il cibo arrivò in un vassoio chiuso, con le vivande ben suddivise nei vari scompartimenti caldi o freddi. Tamisan incominciò a mangiare e riconobbe i piatti tipici della dieta studiata per le sognatrici. Il tutto era cucinato meglio e presentato con molta più cura di quanto non avvenisse nell'Arnia. Lei mangiò, si servì della stanza da bagno che Porpae le indicò dietro un'altra apertura nel muro, sempre mascherata dalla tappezzeria, e dormì comoda e tranquilla sui cuscini accanto alla vasca, con il lieve rumore dell'acqua che le faceva da ninna-nanna.

Nella sala ovale il tempo aveva ben poco significato. Tamisan mangiava, dormiva, faceva il bagno e guardava le proiezioni tridimensionali che aveva chiesto a Porpae di fornirle. Se fosse stata come tutti gli altri che uscivano dall'Arnia, quel tipo di esistenza le sarebbe sembrato ideale. Invece, quando vide che nessuno la chiamava per mettere alla prova il suo talento, Tamisan incominciò a sentirsi inquieta. Era prigioniera nella torre celeste e nessuno di quelli che vivevano lì sembrava curarsi di lei.

Al suo secondo risveglio decise che non le rimaneva che un'unica cosa da fare. Alle sognatrici era consentito, anzi richiesto, di studiare la personalità del padrone che dovevano servire. Soprattutto se erano state vendute come sognatrici private, e non semplicemente affittate. A quel punto, lei aveva il diritto di chiedere le registrazioni che riguardavano Starrex. A pensarci bene, sarebbe stato addirittura strano che non le avesse richieste, dunque le richiese. In quel modo imparò molto su di lui e sulla sua famiglia.

Kas, per esempio, aveva posseduto una grossa fortuna personale, spazzata via da un'imprecisata catastrofe quando era ancora bambino. Era stato in qualche modo adottato dal padre di Starrex, che era anche il capo del clan, e da quando il cugino era rimasto vittima dell'incidente aveva praticamente agito come suo sostituto. La guardia del corpo si chiamava invece Ulfilas, ed era un mercenario di altri mondi che Starrex aveva portato con sé di ritorno da uno dei suoi viaggi tra le stelle.

Ma il personaggio Starrex, a parte qualche dato di fatto concreto, restò un enigma. Tamisan incominciò persino a dubitare che provasse emozioni umane nei confronti degli altri. Aveva vagato nell'universo in cerca di novità e cambiamenti, ma qualunque cosa avesse trovato non era bastata a guarirlo da una cronica stanchezza di vivere. Le registrazioni personali erano scarse. Tamisan giunse alla convinzione che qualunque membro della sua famiglia fosse ormai per lui solo uno strumento da usare, o un inutile ingombro sul cammino, da ignorare o spazzare via. Non era sposato e quelle poche compagnie femminili che aveva languidamente incluso nella famiglia, più per gli sforzi delle interessate che per propria volontà, non erano durate a lungo. Ormai era sprofondato a tal punto nel proprio guscio di indifferenza che forse, sotto l'involucro esterno, l'essere umano non esisteva nemmeno più.

Tamisan incominciò a chiedersi perché mai Starrex avesse permesso al cugino di aggiungere anche lei alle altre proprietà che già aveva. Per trarre i migliori vantaggi da una sognatrice il proprietario avrebbe dovuto essere disposto a partecipare, ma tutto quello che lei aveva appreso dai nastri lasciava intendere che l'indifferenza di Starrex avrebbe fatto da barriera a qualunque vero sogno.

Gli aspetti negativi erano tantissimi, eppure Tamisan ormai li percepiva come un'entusiasmante sfida. Giaceva assorta vicino alla piscina e i pensieri vagabondavano molto più lontano di quanto lei stessa riuscisse a valutare secondo il rigido schema di esercizi mentali usato dalle sognatrici del decimo livello. Partorire un sogno capace di catturare Starrex era davvero una sfida. Lui voleva l'azione, ma la preparazione a cui Tamisan si era sottoposta, per quanto accurata, non era sufficiente ad allettarlo. Di conseguenza, lei doveva essere in grado di imprimere alle sue azioni una svolta del tutto inattesa.

Era un'epoca di sofisticazioni straordinarie, in cui i viaggi interstellari erano ormai un fatto acquisito. Tramite i nastri, per quanto limitati rispetto alle imprese reali nel mondo esterno, Starrex aveva già vissuto molta della realtà del proprio tempo.

Dunque, bisognava presentargli l'ignoto. Niente, nei nastri che lo riguardavano, lasciava intuire che avesse tendenze sadiche o perverse e se così fosse stato Tamisan non avrebbe saputo soddisfare le sue esigenze. Del resto, in quel caso, Lord Kas avrebbe provveduto a fare una richiesta specifica all'Arnia.

C'erano molti rotoli di storia da cui attingere ma erano già stati setacciati con ogni mezzo. Anche il futuro era stato supersfruttato e usurato. Le sopracciglia scure di Tamisan divennero una linea unica, sopra gli occhi chiusi.

Banale. Tutto ciò che riusciva a pensare era banale! Perché se ne preoccupava tanto, in ogni caso? Non se ne spiegava il motivo, ma era diventato quasi un imperativo creare un sogno che, quando le avessero chiesto di trasmetterlo, riuscisse a far uscire Starrex dal suo guscio e a provargli che lei valeva perlomeno quello che costava. Forse dipendeva in parte dal fatto che lui non si era nemmeno degnato di mandarla a chiamare per vedere che cosa sapesse fare. Tanta indifferenza doveva nascondere per forza la convinzione che lei non avesse niente da offrirgli.

Tamisan aveva il diritto di attingere all'intero archivio di nastri dell'Arnia, il più completo di tutte le rotte stellari. Del resto, le navi venivano inviate all'esterno senza altro scopo che quello di riportare indietro nuove conoscenze per alimentare la fantasia delle sognatrici!

La storia.

Non c'era modo di distogliere la sua mente dal passato, anche se era così consunto per l'uso che intendeva farne. Che cos'era in fondo la storia? Una serie di eventi, di azioni compiute da singoli individui o da nazioni. E le azioni portavano a delle conseguenze. Tamisan si rialzò a sedere di colpo tra i cuscini. Le conseguenze! A volte le conseguenze più lontane e disparate scaturivano da una singola azione, dalla morte di un condottiero o dall'esito di una battaglia, dall'atterraggio o dal mancato atterraggio di una nave spaziale.

Ma allora…

Il barlume di idea diventò più chiaro. La storia avrebbe potuto percorrere molte altre vie oltre a quelle conosciute. C'era un modo per trarne vantaggio? Ma certo! Le possibilità erano innumerevoli. Tamisan serrò le dita sul velo che incominciava a diradarsi. E poi, dove poteva arrivare? A un sistema solare, magari. Cercò di rimettersi al passo con il tempo… L'indifferenza del suo padrone non la infastidiva più. Ora sapeva come sfruttare ogni singolo secondo che le restava.

— Porpae!

L'androide si materializzò da dietro la tenda.

— Ho bisogno di alcuni nastri dell'Arnia. — Tamisan esitò. A dispetto dell'impazienza che la dominava doveva comportarsi in modo pacato e sicuro. — Porta alla Foostmam questo messaggio: mandate a Tamisan di Starrex i rulli di storia di Ty-Kry degli ultimi cinque secoli.

Era la storia della città che, da sola, costituiva la base di quella torre celeste. Sarebbe partita dalle cose piccole, per provare e verificare la sua idea. Oggi si sarebbe trattato di una città, domani di un mondo e poi, chi poteva saperlo? Magari di un sistema solare. Trattenne a stento l'eccitazione. C'era tanto da fare, e aveva bisogno di un registratore di appunti, oltre che di tempo. Ma, per i Quattro Seni di Vlasta… doveva farcela!

Sembrava che il tempo a disposizione fosse molto, ma in fondo alla mente di Tamisan c'era sempre una scintilla di paura. Da un momento all'altro poteva arrivare la chiamata di Starrex. Ma dall'Arnia mandarono i nastri e il registratore, e lei incominciò a passare dall'uno all'altro senza sosta, prendendo nota di ciò che imparava. Dopo che i nastri vennero restituiti, studiò freneticamente gli appunti. Ormai la sua idea era molto di più che un semplice trucco per divertire un padrone dai gusti difficili. L'assorbiva per intero come una sognatrice di basso livello che rimanesse prigioniera di una delle sue stesse creazioni.

Quando Tamisan ne comprese il pericolo, interruppe il suo esame e tornò a studiare i nastri della famiglia per approfondire la sua conoscenza di Starrex.

Ma stava di nuovo rivedendo gli appunti quando, alla fine, giunse l'attesa chiamata. Non sapeva più da quanto tempo si trovava nella torre di Starrex, perché nella stanza ovale i giorni e le notti scorrevano tutti uguali. Solo le cure assidue di Porpae le avevano consentito di rispettare i normali ritmi di sonno e di alimentazione.

Fu Lord Kas a venire a cercarla e quando entrò lei ebbe appena il tempo di ricordare la sua parte di sognatrice con la testa fra le nuvole.

— Stai bene? Sei felice? — chiese lui, usando la forma di saluto tradizionale.

— Sì, vivo bene.

— E' desiderio di Lord Starrex sperimentare uno dei tuoi sogni. — Kas le cercò la mano e lei se la lasciò prendere. — Lord Starrex è molto esigente. Offrigli il massimo, sognatrice. — Poteva anche essere un avvertimento.

— Una sognatrice sogna — rispose lei, in tono vago. — E il suo sogno può essere condiviso.

— E' vero ma il tuo padrone non si accontenta facilmente. Cerca di fare del tuo meglio, mia cara.

Tamisan non replicò e lui la portò con sé fuori da}la sala ovale, fino alla colonna grigia dell'ascensore che li trasferì a un livello più basso. La stanza in cui arrivarono alla fine conteneva strumenti a lei molto familiari. Un lettino per la sognatrice e uno per colui che doveva partecipare al sogno, con la macchina di collegamento nel mezzo. Ma c'era anche un terzo lettino. Tamisan alzò gli occhi, sorpresa.

— Si sogna in due, non in tre.

Kas scrollò la testa. — E' desiderio di Lord Starrex che al sogno partecipi anche un'altra persona. Il sistema di collegamento è di modello nuovissimo, molto potente e ben collaudato.

Chi sarebbe stato il terzo? Ulfilas? Possibile che Lord Starrex pensasse di dover portare la guardia del corpo con sé anche in un sogno?

La porta si spalancò di nuovo, per lasciar passare il padrone della torre celeste. Camminava a fatica, appoggiandosi a un androide, e ruotava rigidamente una gamba come se non potesse piegare il ginocchio e nemmeno controllare i muscoli. Quando il servitore lo aiutò a sedersi sul lettino non guardò Tamisan ma si limitò a salutare brevemente Kas con un cenno del capo.

— Prendi posto anche tu — ordinò.

Forse aveva paura dei sogni e voleva il supporto del cugino perché lo riteneva più esperto in materia?

Alla fine, Starrex si girò verso Tamisan e allungò una mano per afferrare la cuffia che si doveva indossare. Imitò tutti i suoi movimenti, sistemandosela con cura sulla testa.

— Vediamo che cosa ci puoi offrire. — C'era una nota di ostilità nella sua voce, una sfida a produrre qualcosa di cui non la riteneva affatto capace.

 

2

 

Il momento era arrivato e non doveva permettersi di pensare a Starrex, ma solo al sogno. Doveva creare qualcosa, senza dubitare che la sua creazione sarebbe stata perfetta come sperava. Tamisan chiuse gli occhi, chiamò a raccolta la propria forza di volontà e, dopo aver cercato nei meandri della mente tutti gli spunti radunati nei passati giorni di studio, incominciò a tessere il suo sogno.

Per un momento, o forse più d'uno, non fu diverso dall'inizio di qualunque altro sogno, e poi…

Guardandosi intorno con attenzione e spirito critico, mentre si spostava con la consueta abilità, Tamisan non si aspettava niente di particolare. Fu come se una rete si materializzasse all'improvviso, catturandola senza possibilità di scampo. Un meraviglioso cervo volante dalle ali blu invischiato nella tela mortale di un ragno azzurro.

Quel sogno non assomigliava a nessuno di quelli che lei aveva sperimentato in precedenza. Si sarebbe messa a gridare, se il panico non le avesse irrimediabilmente serrato il petto e la gola. Dall'altezza in cui si trovava precipitò in basso, sempre più in basso, fino a una serie di arbusti che attutirono la caduta, ma che la lasciarono dolorante e quasi priva di sensi. Giacque immobile, respirando a fatica e con gli occhi chiusi. Temeva che, aprendoli, si sarebbe scoperta realmente prigioniera di un incubo selvaggio, invece che di un sogno come gli altri.

Mentre se ne stava sdraiata immobile, uscì lentamente dallo stato di inebetito stupore in cui era caduta e si sforzò di riprendere il controllo non solo sulle sue paure ma anche sui suoi poteri di sognatrice. Poi, con molta cautela, schiuse gli occhi.

Sopra la testa vide un arco di cielo color verde pallido, con tracce di nuvole grigie e filamentose simili a lunghe dita rapaci. Era un'immagine realistica come quella di qualunque altro sogno, ma lei camminava davvero sotto quel cielo, in un tempo e in un mondo che era il suo. Il mio mondo e il mio tempo!

Ripensò all'idea che aveva elaborato per suscitare l'interesse e la meraviglia di Starrex, e le sue capacità di ragionamento si acuirono. Aveva lavorato a una nuova teoria nel tentativo di imprimere ai sogni una forza nuova, una forza capace di infrangere l'indifferenza di un uomo annoiato. Possibile che dal suo lavoro fosse scaturito tutto questo?

Tamisan si rialzò a sedere. Le membra ammaccate fecero udire la loro protesta, e lei strinse i denti, guardandosi intorno. Godeva di un punto di osservazione privilegiato, la cresta di un piccolo rigonfiamento del terreno.

L'area circostante non era selvaggia, i declivi erano dolci e coltivati e qua e là affiorava qualche gruppo di rocce abilmente scolpite e rivestite di rampicanti fioriti. Altre rocce, invece, erano completamente nude, a gruppi. E tutte erano rivolte verso valle, dove c'era un muro.

Le sagome avevano forme svariate, da quelle più accettabili e vagamente umanoidi ad altre nettamente mostruose e grottesche. Studiandole più attentamente, Tamisan decise che non gliene piaceva nessuna. Quelle immagini non erano il frutto della sua fantasia.

Al di là del muro incominciava un vasto ammasso di edifici. Dal momento che lei era abituata alla vista delle torri celesti e di poche altre strutture minori, sebbene più solide quei palazzi le sembrarono eccezionalmente tozzi e grevi. Il più alto vantava al massimo tre piani. Gli uomini non si protendevano verso le stelle, in quel posto. Piuttosto, facevano di tutto per appiattirsi al suolo.

Ma quel posto dove si trovava? Non era una sua creazione. Tamisan chiuse gli occhi e si concentrò sull'inizio del sogno che aveva programmato. Erano stati sul punto di avventurarsi in un mondo partorito dalla sua fantasia, ma non era quello. L'idea di fondo era abbastanza semplice, eppure nessuna delle sognatrici l'aveva mai utilizzata prima, per quanto ne sapesse lei. Tutto si basava sulla possibilità che la storia del suo mondo potesse essere alterata più volte durante il suo svolgimento. Tamisan aveva scelto tre punti chiave nel passato e aveva studiato le possibili alterazioni della storia se il fato avesse seguito un corso diverso.

Ora, tenendo gli occhi ostinatamente chiusi per non vedere la realtà apparente in cui era caduta, Tamisan si concentrò con grande determinazione sui punti prescelti.

— Il Benvenuto della Super-Regina, Ahta — recitò.

Che cosa sarebbe successo se la prima nave spaziale, al momento dell'atterraggio, non fosse stata accettata come un evento soprannaturale? O se gli abitanti del piccolo regno in cui era capitata avessero accolto i membri dell'equipaggio con le frecce avvelenate invece che con gli onori riservati agli dei? Era il primo punto cruciale.

— Il guasto del Wanderer. — Era il secondo.

Il Wanderer era una nave colonia uscita di rotta a causa di un guasto ai computer di bordo. Era stata costretta a tentare un atterraggio di fortuna per evitare che i passeggeri morissero. Se quel guasto non si fosse verificato e il Wanderer avesse proseguito per dare vita alla colonia prevista altrove, che cose ne sarebbe stato della storia del pianeta?

— La morte di Sylt Lingua Dolce davanti all'Altare di Ictio. Forse, in condizioni diverse, il profeta non sarebbe mai riuscito a ottenere il potere, il suo governo spietato non avrebbe mai provocato una folle e sanguinaria insurrezione di tempio in tempio e tre quarti del pianeta non sarebbero mai caduti in una terribile epoca di oscurantismo e di intolleranza.

Tamisan aveva scelto quei tre punti senza nemmeno essere sicura che uno non escludesse l'altro. Sylt aveva guidato la ribellione contro i coloni del Wanderer. Se il benvenuto non fosse avvenuto… Tamisan non poteva essere sicura. Aveva solo cercato di trovare uno schema di eventi diverso da quelli realmente accaduti e di immaginare il mondo moderno che ne sarebbe scaturito.

Riaprì gli occhi. Quello non era il mondo che aveva immaginato. E nei sogni non capitava di massaggiarsi i lividi, né di trovarsi seduti su una zolla di terra umida o di sentire il vento soffiare e le prime gocce di pioggia bagnarti i capelli e i vestiti. Si portò entrambe le mani alla testa. Che fine aveva fatto la cuffia per la trasmissione dei sogni?

Le dita trovarono comunque qualcosa di metallico, da cui non partiva alcun cavo. Per la prima volta, Tamisan si ricordò di Starrex e Kas. Era collegata a loro quando tutto era successo. Si alzò in piedi e si guardò intorno. Per un attimo sperò di vedere gli altri due nelle vicinanze, ma invece era sola e la pioggia cadeva con intensità sempre maggiore. Vicino al muro c'era uno spazio coperto e lei si affrettò a raggiungerlo.

Il soffitto a cupola era sorretto da tre pilastri. Non c'erano pareti e lei cercò riparo nel punto più interno, per difendersi dal vento e dall'umidità. Non riusciva a scacciare la sensazione che quello non fosse un sogno ma un'autentica realtà.

Se… se solo si fosse potuto sognare il vero. Tamisan lottò contro il panico e cercò di esaminare la situazione.

Era possibile che fosse approdata nella Ty-Kry derivata da un diverso esito dei tre punti chiave individuati? E se era così, per tornare indietro bastava semplicemente visionarli al contrario?

Chiuse gli occhi e si concentrò. Provò un senso di vertigini che partiva dallo stomaco. Si slanciò in fuori e venne risospinta indietro per una, due volte. Tremante di nausea, lei smise di tentare. Rabbrividì, aprì gli occhi e si ritrovò davanti la pioggia. Ancora una volta si sforzò di capire che cosa fosse successo. Lo slancio portava in parte con sé le sensazioni tipiche dell'interruzione di un sogno. Dunque, di un sogno si trattava. Eppure, risultava chiaro che lei veniva trattenuta lì come prigioniera. Ma come? E perché? Socchiuse le palpebre, anche se guardava dentro di sé, e non verso il giardino avvolto nelle nebbie che le stava davanti. Da chi?

Supponiamo… sì, supponiamo che uno di coloro che doveva dividere il sogno con me sia finito anche lui in questo posto. O che ci siano tutti e due, anche se non proprio qui… Allora devo ritrovarli! Dobbiamo rimetterci insieme, altrimenti quello mancante inchioderà quaggiù anche gli altri. Bisogna ritrovarsi, e subito!

Per la prima volta guarda gli indumenti che aderivano al suo corpo umido e snello. Non si trattava della tuta grigia e unisex delle sognatrici, ma di un vestito lungo, che le sfiorava le caviglie. E il colore era una specie di viola polvere, una tonalità che lei trovò stranamente piacevole e adatta.

Dall'orlo alle ginocchia c'era un bordo a ricamo dall'intreccio così complesso ed elaborato che lei trovò difficile definirlo in ogni dettaglio. Per quanto strano, più lo studiava e più si accorgeva che non si trattava di semplici ricami su tessuto, ma di parole apparentemente manoscritte, così come le aveva viste nei nastri video della storia antica. I ricami erano di un bel verde-argento metallico, con qualche lieve spunto violetto, di una sfumatura più chiara del vestito.

Attorno alla vita aveva una cintura di anelli d'argento fermati da una grossa fibbia dello stesso metallo, adorna di pietre color porpora. Alla cintura era attaccata una minuscola borsa con la chiusura a sacco e l'indumento, o meglio il vestito. era allacciato dalla cintola in su da cordicelle d'argento infilate in minuscoli occhielli metallici che foravano il tessuto. Le maniche erano lunghe e rigonfie, e dal gomito in giù si dividevano in quattro spicchi. Gli spicchi danzarono nell'aria quando lei alzò le braccia per prendere la cuffia ed esaminarla.

Quello che si ritrovò in mano non era il consueto copricapo da mettere sui capelli corti, ma piuttosto un cerchietto d'argento con fili o strisce minuscole che partivano dall'interno e si chiudevano in alto in una punta conica che raggiungeva almeno i venti centimetri. Proprio sulla punta c'era una creatura volante meravigliosamente realizzata, con le ali leggermente schiuse per spiccare il volo e un paio di lucenti pietre preziose al posto degli occhi.

Lo straordinario oggetto era congegnato in modo tale che, girando la corona, il lungo collo cambiava posizione e le ali si spostavano in modo impercettibile, tanto che lei, all'inizio, ne fu così sorpresa da lasciar cadere tutto, convinta che si trattasse di una cosa viva.

Ma alla fine lo riconobbe per qualcosa che aveva già visto in uno dei nastri storici. Quell'uccello era il flacar di Olava. Indossarlo significava essere una Bocca. Una Bocca di Olava, sacerdotessa, maga e anche, per quanto strano, intrattenitrice. La fortuna, almeno in questo, l'aveva aiutata. Una Bocca di Olava poteva andare dovunque senza dover subire domande o indagini, e sarebbe sembrato un comportamento del tutto normale.

Tamisan si passò la mano sulla testa, prima di rimettere a posto la corona. Invece dei consueti capelli a spazzola da sognatrice le dita incontrarono una massa di ciocche morbide e umide, lunghe abbastanza per coprirle la fronte e scendere, a riccioli, dietro la nuca.

Nei suoi sogni aveva naturalmente immaginato anche gli indumenti da indossare, ma non quella volta. Dunque, il fatto di ritrovarsi vestita come una Bocca di Olava non era una scelta sua. Tuttavia, quel culto apparteneva alla stessa epoca di governo delle Super-Regine. Era possibile che fosse tornata indietro nel tempo? Doveva scoprire in che luogo e in quale epoca si trovava. Prima ci riusciva e meglio era.

Il ritmo della pioggia si era allentato.

Tamisan uscì da sotto la cupola, raccolse il vestito con le mani per risalire il pendio e, una volta in alto, si girò lentamente in tutte le direzioni per scrutare i dintorni. Sperava con tutte le sue forze di non essere finita da sola in quello strano mondo.

A parte le sagome di pietra e i campi dall'aspetto lussureggiante non c'era proprio niente da vedere. Il muro e la cupola giacevano più in basso. Eppure alle sue spalle, dalla parte opposta rispetto alla cupola, c'era un secondo pendio che conduceva a un punto ancora più in alto. Un punto circondato da una tettoia di cui si indovinavano solo i contorni, attraverso le fronde degli alberi oarn. Su entrambi i lati, il tetto terminava con un bordo rivolto verso l'alto, simile a una curiosa orecchia. Era verde, con una superficie lucida e quasi scintillante a dispetto delle nuvole nel cielo.

A destra e a sinistra Tamisan colse rapidamente le immagini del muro che si incurvava, di altre sagome di pietra, di arbusti e di piantagioni fiorite. Raccolse ancora più saldamente le gonne e incominciò a percorrere la curva del pendio più alto in cerca di una strada o di un sentiero che conducesse al tetto.

Incontrò quello che cercava quando deviò per evitare un folto roveto su cui stavano trafitti degli immensi fiori scarlatti. La strada era ampia e pavimentata con piccoli ciottoli colorati, incastonati in una superficie solida. Partiva da un cancello aperto e saliva per la curva del pendio fino alla facciata dell'edificio.

La struttura era vagamente familiare, anche se Tamisan non riuscì a identificarla.

Forse le ricordava qualcosa che aveva visto in una proiezione tridimensionale.

La porta, dello stesso verde brillante del tetto, contrastava con le pareti color giallo pallido interrotte a distanze regolari da finestre strette e severe così alte da coprire l'intera distanza dal pavimento al tetto.

Mentre stava lì a chiedersi dove avesse già visto quella casa, dalla porta uscì una donna. Anche lei, come Tamisan, indossava un vestito lungo, con il corpino stretto da lacci argentati e le maniche tagliate, ma il suo era della stessa tonalità di verde della porta, sicché solo la testa e le braccia risultavano chiaramente visibili. La donna gesticolava con energia, e Tamisan si rese conto all'improvviso che doveva essere proprio lei la destinataria di tutti quei richiami. Sembrava che la donna l'aspettasse.

Ancora una volta si sentì profondamente a disagio. Nei sogni era abituata agli incontri e agli addii, ma era sempre lei a progettarli e non accadevano mai senza un suo preciso desiderio. Le persone dei sogni erano burattini, pedine da spostare avanti e indietro a piacere ed era sempre lei a dominarle.

— Tamisan, ti aspettano. Vieni subito! — gridava la donna. Lei fu immediatamente tentata di correre nella direzione opposta, ma la necessità di sapere che cosa stesse succedendo la spinse a obbedire al richiamo, per quante insidie potesse celare.

— Accidenti, sei tutta bagnata! Non è questa l'ora di passeggiare in giardino. Una Prima Permanente chiede di conferire con la Bocca. Se vuoi attingere generosamente al suo portafoglio sarà meglio che ti sbrighi, altrimenti si stancherà di aspettarti!

La porta introduceva in un piccolo vestibolo e la donna in verde spinse Tamisan verso una seconda porta direttamente opposta alla prima. Lei si trovò così in una vasta sala con un certo numero di divani disposti in cerchio.

I divani erano forniti di tavoli, in quel momento carichi di piatti. Le cameriere stavano sparecchiando, come se il pranzo si fosse appena concluso. Qua e là erano disposti anche numerosi candelabri, alti come la stessa Tamisan e con le candele spesse come braccia. Le candele irradiavano luce e, bruciando, sprigionavano anche un dolcissimo profumo.

Verso la metà del cerchio di divani c'era una poltrona con lo schienale alto, coperta da una specie di baldacchino. Nella poltrona sedeva una persona, con un calice in mano. Il mantello di pelliccia sulle spalle le nascondeva gran parte del vestito, ma da quel vestito la luce guizzante delle candele strappava a tratti un lampo. Solo il volto era visibile, incorniciato da un cappuccio di uno strano tessuto metallico, ed era il volto di una donna molto vecchia, segnato dalle rughe e con gli occhi infossati.

I divani, notò Tamisan, erano occupati indifferentemente da donne e da uomini, ma le prime fiancheggiavano l'anziana nobildonna da vicino, mentre i secondi erano relegati nei posti più lontani. Esattamente di fronte alla poltrona ce n'era un'altra, altrettanto imponente ma senza baldacchino. Sul tavolo appena di fronte, a ciascuno dei quattro angoli, erano Sistemate quattro minuscole ciotole: una color panna, una di un rosa pallido, una celeste chiaro e la quarta verde come la spuma del mare.

L'archivio di nozioni immagazzinato da Tamisan le venne in aiuto. Si trovava nel bel mezzo di una fase preparatoria per il rito magico compiuto dalla Bocca ed era chiaro che le sue doti di preveggenza sarebbero state messe ben presto alla prova. Che cosa aveva fatto per cacciarsi in una situazione simile? Era possibile fingere così bene da trarre in inganno tutta quella gente?

— Ho fame, Bocca di Olava. Ho fame di qualcosa che non nutra il corpo, ma la mente. — La vecchia si protese per un attimo in avanti. Aveva una voce sottile, forse a causa dell'età, ma carica di forza e di autorità. Era la voce di una donna a cui non era capitato spesso di sentirsi contrastare un ordine o un desiderio.

Doveva improvvisare, decise Tamisan. Non era il caso di dimenticare che, come sognatrice, aveva vissuto nei sogni situazioni anche più strane. Avanzò, con le gonne bagnate che si appiccicavano alle gambe e alle cosce. Non disse nulla in risposta alla donna, ma andò a sedersi sulla poltrona che le stava di fronte. Attingeva alle emozioni di una memoria che la guidava, ma che non le sembrava più la sua, anche se non aveva ancora avuto il tempo di rendersene pienamente conto.

— Che cosa vuoi sapere, Prima Permanente? — Alzò le mani alla fronte in un gesto istintivo, con gli indici puntati alle tempie.

— Che cosa si sta preparando per me… e per i miei. — Le ultime parole erano state aggiunte come dopo un ripensamento.

Le mani si mossero senza che Tamisan l'avesse consapevolmente ordinato. Lei soffocò lo stupore. Era come se ripetesse un rito imparato a memoria, come le tecniche di sognatrice. Con la mano sinistra prese una manciata di sabbia dalla ciotola color panna. La sabbia era più scura del contenitore di un paio di tonalità, e lei la lanciò con un movimento deciso del polso. Un sottile velo marroncino ricoprì il piano del tavolo.

I movimenti non erano dettati dalla parte conscia della sua mente. Anzi, sembrava che qualcun altro avesse assunto il comando delle sue azioni. In ogni caso, la donna sulla poltrona si protese in avanti e, a giudicare dal silenzio dei presenti, i gesti erano quelli corretti.

In modo del tutto autonomo, la mano destra di Tamisan si protese verso la ciotola azzurra, colma di sabbia blu.

Questa volta la manciata non venne lanciata di colpo. Il pugno chiuso si mosse lentamente sul piano del tavolo e lasciò cadere un filo sottile di granelli color cielo. Sul primo velo di sabbia si formò un disegno.

Era un disegno, non uno scarabocchio senza senso. Si riconosceva una spada, con un'elsa tonda e la lama leggermente ricurva, che si restringeva in punta.

La mano si spostò verso la ciotola rosa. Lì la sabbia aveva un colore molto più vivido, un rosso scuro inquietante, simile al sangue appena versato. Ancora una volta, lei tenne il pugno sollevato e il rivolo sottile sceso dal palmo divenne… una nave spaziale! Era leggermente diversa, come sagoma, da quelle che lei aveva visto nel corso della vita. Eppure non c'erano dubbi. Sul piano del tavolo era disegnata una nave, che minacciava di scendere sopra la punta sguainata della spada. Oppure era la spada a minacciare la nave?

Tamisan percepì un gemito di sorpresa. O forse di paura? Ma il suono non apparteneva alla donna che le stava di fronte. Era sfuggito a un altro dei presenti, qualcuno colpito dal disegno che lei aveva tracciato con là sabbia.

La mano destra si spostò finalmente verso la quarta e ultima ciotola. Questa volta la sabbia non fu una manciata, ma un pizzico generoso trattenuto tra l'indice e il pollice. Tamisan tenne la mano alta sul tavolo e infine liberò il suo carico. Una minuscola pioggia di granelli verdi cadde sul disegno e si raccolse in un simbolo. Un cerchio con un segmento mancante.

Lei lo fissò e il simbolo parve alterarsi appena sotto l'intensità del suo sguardo. Il risultato fu qualcosa che conosceva bene, e che la fece trasalire.

Sopra alla nave e alla punta della spada era comparso il sigillo, molto semplificato ma riconoscibile di Casa Starrex.

— Leggi! — ordinò la nobildonna in tono brusco.

Le parole le salirono subito alle labbra, provenienti da chissà dove. — La spada è quella di Ty-Kry, sguainata per difesa.

— Certo. Certo. — Tra i divani corse un mormorio.

— La nave viene a noi come un pericolo.

— Quella cosa è una nave? Ma non sembra affatto una nave.

— E' una nave che viene dalle stelle.

— Porta maledizione. E dolore, e sventura! — Non era più un mormorio, ma un grido di paura, a piena voce. — Proprio come i nostri padri, che si trovarono a combattere contro i falsi dei. Ahta, lascia che il tuo spirito sia uno scudo per le nostre braccia, una spada nelle nostre mani!

La nobildonna fece un gesto con la mano, per chiedere il silenzio. — Basta! Rivolgersi ai nostri venerati spiriti può dare coraggio, ma non si è mai sentito che abbiano aiutato chi non sa difendersi con le proprie armi. Ci sono state altre navi celesti dai tempi di Ahta, e le abbiamo trattate come conveniva a noi. Se ne arriverà un'altra siamo avvertiti, e dunque già armati. Ma che cosa c'è in quel disegno verde, Bocca di Olava, che ha sorpreso persino te?

Tamisan aveva avuto qualche prezioso momento per riflettere. Se era vero, come aveva dedotto, che lei era legata a quel mondo dalle dúe persone che aveva portato con sé, allora doveva ritrovarle. Era chiaro che non si trovavano lì con lei, dunque doveva sfruttare gli avvenimenti a proprio vantaggio.

— Il simbolo verde appartiene a un campione, qualcuno che si rivelerà molto importante per la battaglia che si avvicina. Ma sarà possibile riconoscerlo solo grazie a un segno. Sono quasi certa che il segno si manifesterà solo a qualcuno in possesso del dono.

I vecchi occhi della nobildonna si fissarono su di lei, facendola rabbrividire. I vestiti ancora bagnati non c'entravano. Qualcosa, in quello sguardo gelido e adombrato, lasciava intendere che la cliente non intendeva accettare senza prove ciò che le veniva detto.

— Dunque, secondo te la persona in possesso del dono dovrebbe andare in giro a mettere il naso per tutta Ty-Kry, comprese le zone limitrofe alla città, fino ai confini più estremi del mondo?

Tamisan non si lasciò intimidire. — Sì, se ce n'è bisogno.

— Un lungo viaggio, direi, probabilmente denso di pericoli. E se la nave arrivasse prima che il campione fosse trovato? Il destino di una città, di un regno e del suo popolo sarebbero legati a un filo troppo sottile, Bocca. Incomincia pure le tue ricerche, se vuoi, ma io sono sicura che abbiamo altri modi più efficaci per trattare con gli intrusi che vengono dai cieli. Ma ci hai avvertiti, Bocca, e che tutti lo ricordino.

Mise le mani sui braccioli della poltrona e li usò come punti d'appoggio per alzarsi. Il resto della compagnia la imitò e due donne Si avvicinarono in fretta, in modo che la vecchia usasse le loro spalle come sostegno. Se ne andarono senza rivolgere a Tamisan neanche un saluto, né lei si alzò per congedarli. All'improvviso si sentì esausta, stanca come era stata in passato alla fine di un sogno, quando si ritrovava sdraiata supina sul lettino, svuotata di ogni energia.

Ma questo sogno non si interruppe. La tenne seduta da vanti al tavolo e ai suoi disegni di sabbia, concentrata sul simbolo conosciuto, ancora saldamente invischiata nella rete di quel nuovo mondo.

La donna in verde ritornò, per offrirle un calice che teneva tra le mani.

— La Prima Permanente andrà a far visita alla Super-Regina nel Castello Alto. Ho visto che ha preso quella strada. Bevi, Tamisan, e forse la Grande Madre in persona ti chiederà una predizione.

Tamisan? Era già la seconda volta che quella donna la chiamava con il suo vero nome. Com'era possibile, in un sogno? Tuttavia non osò formulare quella domanda, e nessuna delle altre a cui aveva bisogno di trovare una risposta. Bevve il contenuto del calice e le sembrò che il liquido caldo e aromatico scacciasse i brividi dal suo corpo.

C'era ancora così tanto da imparare e da sapere ma non poteva scoprirlo, se non indirettamente, a meno di rivelare chi era e chi non era.

— Sono stanca.

— La stanza da riposo è già pronta — assicurò la donna. — Vieni, ti accompagno.

Tamisan dovette far leva sui braccioli della poltrona proprio come la vecchia nobildonna. Si sentì girare la testa e dovette sostenersi allo schienale. Poi seguì la sua ospite e sperò disperatamente di venire a conoscenza di qualcosa.

 

3

 

Era normale dormire in un sogno e magari anche sognare? Tamisan se lo chiese prima di sdraiarsi sul lettino che la donna in verde le indicava. Poi mise da parte la corona, appoggiò la testa sul rotolo che faceva da cuscino, e si ritrovò ancora una volta perfettamente lucida, ma con un turbine di pensieri nella mente e impigliata in una confusione spaventosa, che le faceva girare la testa come quando si era alzata dal tavolo delle predizioni.

Nel disegno di sabbia il simbolo di Starrex sovrastava la spada e la nave spaziale. Significava forse che lei avrebbe trovato ciò che cercava solo quando la forza di quel pianeta si fosse scontrata con quella degli uomini che arrivavano dallo spazio? Era davvero precipitata chissà come in un passato dove avrebbe rivissuto il primo arrivo dei viaggiatori spaziali a Ty-Kry? Eppure, la vecchia nobildonna aveva parlato di precedenti incontri di quel tipo, tutti conclusi in modo favorevole a Ty-Kry.

Tamisan aveva cercato di immaginare un mondo della sua epoca che avesse alle spalle una storia generata da decisioni diverse. E, invece, molto di quello che la circondava apparteneva al passato. Voleva dunque dire che, senza determinate scelte, il mondo di Ty-Kry sarebbe rimasto per secoli fondamentalmente invariato?

Reale, irreale, vecchio, nuovo. Tamisan aveva perso la capacità di controllo delle azioni tipica di ogni sognatrice. Ormai non si trovava più alle prese con balocchi da manovrare a suo piacimento. Piuttosto, era stata catturata da una serie di avvenimenti impossibili da prevedere, e su cui non aveva il minimo potere. Eppure, già due volte una donna l'aveva chiamata con il suo vero nome e, senza volerlo, lei aveva compiuto i riti di previsione di una Bocca di Olava, come se non avesse fatto altro per tutta la vita.

Possibile? Tamisan si morse il labbro superiore e sentì male, proprio come aveva avvertito il dolore delle ammaccature lasciate dal suo brusco ingresso in quel mondo misterioso. Possibile che certi sogni fossero così profondi e ben tessuti da regalare alla sognatrice la sensazione di vivere nella realtà? Era dunque questo il destino di quelle sognatrici "chiuse" che l'Arnia considerava prive di valore? Nelle loro fughe dalla realtà vivevano dunque un numero infinito di vite? Ma lei non era una sognatrice "chiusa".

Svegliarsi! Stesa sul lettino, Tamisan provò di nuovo a usare la tecnica corretta per uscire dai sogni, e ancora una volta si sentì sprofondare in un inquietante nulla in cui le sembrava di girare a vuoto, fino alla nausea, trattenuta da un'ancora che le impediva il salto finale verso la realtà. C'era solo una spiegazione. Da qualche parte, in quella strana Ty-Kry, uno dei personaggi con cui Si era preparata a dividere il sogno, o entrambi, aspettavano di essere trovati per tornare con lei nel mondo reale.

Devo trovarli al più presto. Ma da dove incomincio? Anche se una strana sensazione di debolezza le appesantiva le membra, obbligandola a muoversi così lentamente come se camminasse controcorrente nel bel mezzo di un fiume, Tamisan riuscì ad alzarsi. Si girò per prendere la corona e le cadde lo sguardo su un piccolo specchio ovale.

Trasalì e rimase immobile. L'immagine riflessa, la sua immagine, le era completamente sconosciuta.

Non erano tanto il vestito o la corona a renderla diversa, si trattava proprio di un'altra persona. Da sempre, per quanto ricordava, lei aveva avuto i capelli cortissimi e la pelle chiara di chi esce molto raramente alla luce del sole.

Ma il viso della donna nello specchio aveva un colorito scuro e uniforme, con gli zigomi larghi, gli occhi grandi e le labbra molto rosse. Le sopracciglia… Tamisan si avvicinò allo specchio per vedere che cosa desse loro quella strana inclinazione verso l'alto, e decise che erano state depilate o rasate per ottenere l'effetto voluto. I capelli non erano affatto biondi, ma neri e ricciuti, lunghi tre o quattro dita.

La Tamisan nello specchio non corrispondeva a quella di sempre, ma non era nemmeno il prodotto di una sua scelta.

Ne conseguiva in modo logico che se lei non aveva più l'aspetto di prima, anche i due che cercava probabilmente non erano più come li ricordava. Dunque la sua ricerca diventava doppiamente difficile. Sarebbe stata in grado di riconoscerli?

Spaventata, Tamisan si sedette sul lettino, con il viso rivolto allo specchio. Non osava esprimere liberamente le sue paure, per il timore di perdere definitivamente il controllo di sé. In quel mondo così strano, doveva essere proprio la logica ad aiutarla a pensare con lucidità.

Che valore avevano le sue divinazioni? Di sicuro, lei non aveva influenzato in alcun modo la caduta della sabbia. Forse, la Bocca di Olava possedeva davvero doti soprannaturali. In passato, Tamisan si era divertita ad arricchire i sogni con qualche spunto magico, ma si era trattato di creazioni sue. Adesso, era in grado di usare quelle doti a suo piacimento? Sembrava quasi che la parte sconosciuta di sé avesse la possibilità di attingere a chissà quale ignota e oscura fonte di potere.

Forse, doveva fissare la mente su uno dei due uomini che cercava e concentrarsi per scoprire dove si trovava. Il legame del sogno poteva condurla fino a Kas o a Starrex. Purtroppo, tutto quello che sapeva del suo padrone l'aveva imparato dai nastri, ed era dunque una conoscenza molto superficiale. Non si poteva studiare una persona basandosi solo su una serie di azioni la cui comprensione era spesso vaga e incompleta. Kas invece le aveva parlato direttamente, l'aveva toccata. Per questo, dovendo scegliere tra i due, era forse meglio puntare su Kas.

Tamisan ricostruì nella mente la sua immagine, come avrebbe fatto per la preparazione preliminare di un sogno. All'improvviso, il Kas che ricordava sparì e ricomparve, cambiato. Lei si trovò davanti un altro uomo. Sembrava più alto e indossava un'uniforme completa di stivali. I lineamenti erano difficili da distinguere e la visione durò solo pochi centesimi di secondo.

La nave! Nel disegno di sabbia, il simbolo di Starrex sfiorava sia la spada che la nave. Di sicuro, era più facile individuare qualcuno all'interno di una nave piuttosto che setacciare le strade di una città sconosciuta senza il minimo indizio sull'aspetto della persona che si voleva trovare.

La ricerca era comunque appesa a un filo. La nave poteva anche scegliere di non avvicinarsi a Ty-Kry, e non era comunque detto che ricevesse un'accoglienza cordiale al suo arrivo. E se Kas, o il suo alterego, fosse ucciso? Rimarrei dunque inchiodata qui per sempre? Tamisan spinse le congetture più negative in fondo alla mente. Una cosa per volta. La nave non è ancora atterrata. Non c'era che un'unica soluzione.

Al suo arrivo, lei doveva assolutamente fare in modo di trovarsi tra coloro che si preparavano a offrirle il benvenuto.

Il fatto di aver preso uria decisione le permise finalmente di addormentarsi. La stanchezza che l'aveva assalita dopo la visita della nobildonna le ritornò centuplicata, tanto che ricadde sul lettino come se risentisse dell'effetto di un potente sonnifero. Non ricordò più nulla fino al risveglio, quando trovò la donna in verde china su di lei, che le scuoteva dolcemente una spalla per richiamarla alla realtà. Sempre che di realtà si trattasse.

— Svegliati.

Ti hanno mandato a chiamare. Per sognare, pensò lei con la mente ancora un po' annebbiata. Ma bastò un'occhiata a quella stanza così poco familiare e tutti gli avvenimenti del suo più recente passato le tornarono alla memoria.

— La Prima Permanente Jassa ti vuole vedere. — La donna sembrava emozionata. — Ha mandato un messaggero con un cocchio coperto e lui dice che andrai al Castello Alto! Forse vedrai addirittura la Super-Regina! Ma sono riuscita a ottenere un buon margine. Hai tutto il tempo di lavarti, mangiare e cambiarti d'abito. Guarda, sono andata a pescare qualcosa per te nel baule del mio corredo. — Indicò una poltrona su cui aveva steso un ampio vestito, non esattamente violetto come quello che lei indossava, ma di un bel color vino che vi si avvicinava molto.

— Era l'unico della tonalità giusta, o quasi. — Ne accarezzò con affetto la gonna lunga e ricca.— Sbrigati, però — aggiunse in fretta la donna. — Come Bocca di Olava puoi chiedere tempo per prepararti come si deve, ma se tardassi troppo ti attireresti le ire di tutti i potenti del regno.

Nella stanza accanto c'era una vasca grande abbastanza per fare il bagno, già piena d'acqua. Su una sedia Tamisan trovò della biancheria fresca di bucato e quando ritornò davanti allo specchio per sistemare la corona e la cintura d'argento si sentì fresca e come nuova.

Rivolse alla donna pochi ringraziamenti, caldi e sinceri, che lei interruppe con un gesto spiccio. — Non apparteniamo allo stesso clan, cugina? Vuoi forse che si dica che Nahra non è generosa con le sue figlie? Siamo orgogliosi di avere tra di noi una Bocca di Olava. Lascia che lo dimostriamo!

Le portò una ciotola coperta e un bicchiere a calice. Il pasto era composto da frutta secca e carne tritata, cotti insieme. Il sapore si rivelò ottimo, e Tamisan mangiò tutto fino all'ultima briciola. Vuotò anche il bicchiere, colmo di una strana bevanda agrodolce.

— Forza Tamisan! E un gran giorno per il clan di Fremont. Una delle sue figlie andrà al Castello Alto e forse vedrà la Super-Regina. Possano i tuoi auspici essere pieni di gioia, anche se sei solo una Bocca di Olava e non possiedi i poteri di Colei che decide della vita e della morte!

— Grazie per l'aiuto e le parole d'augurio — rispose lei. — Spero anch'io che oggi la fortuna prevalga sulla malasorte. — Era la sacrosanta verità, pensò. Doveva raccogliere la fortuna per sé in abbondanza, e tenerla stretta perché il gioco non le sfuggisse di mano.

Il messaggero della Prima Permanente Jassa era un ufficiale, con i capelli raccolti a nodo sotto un elmo crestato, fatto apposta per offrire una maggiore protezione in battaglia. Aveva la spada bene in vista e la parte frontale della corazza smaltata d'azzurro, con inciso il simbolo della doppia corona della Super-Regina Misurava a grandi passi la strada e si comportava come se la città fosse già in guerra. Alle stanghe del cocchio era legato un piccolo grifone, trattenuto per la cavezza da un soldato. Un altro uomo in divisa tirò da parte le tendine quando l'ufficiale aiutò Tamisan a salire a bordo. Le richiuse in fretta, senza chiedere il permesso, e lei capì che quella visita al Castello Alto era probabilmente destinata a rimanere segreta.

Sbirciò quell'ignota Ty-Kry dalle fessure delle tende e anche se in generale la trovò strana, vi scoprì tante analogie con la città che conosceva da sentirsene in qualche modo rassicurata. Le torri celesti e le altre forme di architettura spaziale introdotte dai viaggiatori dello spazio erano completamente assenti. Ma le strade, i parchi e le aiuole colme di fiori erano gli stessi che lei conosceva da tutta la vita.

Anche il Castello Alto aveva fatto parte del suo mondo, sebbene soltanto come ricordo del passato. Il vederlo comparire oltre il fiume un po' scostato dalla città, le procurò un'intensa emozione. Era intatto, a differenza di quello che lei conosceva, semidistrutto dalla guerra di ribellione di Sylt. Nella Ty-Kry dalla quale proveniva, il Castello veniva considerato quasi un luogo di maledizione e la gente tendeva a evitarlo, con l'unica eccezione dei turisti di altri mondi in cerca di sensazioni proibite.

Lì, invece, la costruzione era nel suo pieno splendore, certamente più ampia di come lei la ricordava. Sembrava quasi che le generazioni che vi si erano susseguite si fossero aggrappate alla sua solida struttura come a un simbolo. Ormai non si trattava più solo di un castello, ma di una vera e propria cittadella, pur senza negozi o edifici pubblici. Le case servivano come abitazione per quei nobili che passavano la maggior parte del loro tempo a corte, oltre che per i servi e per i molti ufficiali del regno.

Nel cuore di quel piccolo mondo aristocratico sorgeva il Castello che dava il nome a tutto il resto, con una gran moltitudine di torri che si staccavano dalla parte massiccia della base. Le mura erano grigie in basso e di un azzurro sempre più intenso a mano a mano che si spingevano verso l'alto. Le case avevano le pareti color grigio piombo e i tetti blu.

Il cocchio proseguì cigolando sulle due ruote, con il grifone mantenuto al passo dall'uomo alla testa del minuscolo corteo. Passarono sotto lo spesso arco delle mura esterne e proseguirono su per una stradina stretta, fiancheggiata da una serie di edifici posti l'uno accanto all'altro. Per quanto molto più bassi rispetto alle torri, erano alti abbastanza da incutere una certa soggezione in chi li costeggiava.

Ci fu una seconda porta, altri edifici, un'ultima cerchia di mura e infine lo spazio aperto tra le torri centrali. Fin dall'ingresso nella cittadella, non incontrarono che gente immersa nel silenzio più assoluto. Alcuni erano soldati della guardia reale, altri avevano sul giustacuore stemmi diversi e Tamisan immaginò che fossero al servizio di qualche nobile in visita a corte. Riuscì anche a vederne alcuni, che camminavano per strada con lo sguardo altero, con la scorta al seguito a passo di marcia e in fila per tre. Lei li osservò divertita. Come se il numero di componenti della scorta fosse da solo un segno di distinzione!

Fu aiutata a scendere con qualche cerimonia in più di quando era salita. L'ufficiale le offrì il polso, i soldati si inchinarono e un paggio si affrettò a fare strada, riservandole un minimo di onore in più.

Le torri del Castello, con la loro imponenza, ispiravano comunque una tale soggezione che lei fu contenta di avere una scorta. Il suo disagio crebbe, mentre percorrevano una sala dopo l'altra. Era come se, spingendosi sempre più all'interno, Tamisan avesse paura che le venisse preclusa per sempre ogni eventuale possibilità di ritirata.

Per ben due volte si arrampicarono lungo ripide rampe di scale, finché lei non sentì le gambe deboli e ogni gradino non diventò una montagna insormontabile. Finalmente, il corteo arrivò in un lungo corridoio, illuminato da una fila di candelabri e da sottili raggi di luce provenienti dalle finestre. Le aperture erano così in alto che non era possibile scorgere nient'altro oltre al cielo. La Tamisan che sembrava avere una certa familiarità con quel mondo riconobbe subito la cosiddetta Galleria dei Nobili, e identificò il gruppo di gente lì riunito come appartenente alla casta dei Permanenti di Terzo livello. Poco più in là c'erano i nobili del Secondo livello e oltre ancora, all'estremità opposta del tappeto azzurro su cui la sua guida le faceva strada, quelli del Primo. I Primi Permanenti erano seduti. Occupavano due mezzelune concentriche di poltrone coperte da un baldacchino. Al centro di quelle mezzelune, su una pedana alta tre o quattro gradini, c'era il trono. Il baldacchino che lo sovrastava era ornato da una doppia corona traboccante di pietre preziose e sui gradini erano allineati soldati in uniforme da guardia reale e paggi con i capelli sciolti e le tuniche variopinte.

Fu appunto verso quel trono che l'ufficiale si diresse. Dal gruppo di nobili del Terzo livello si alzò un lieve mormorio. Tamisan non guardò né a destra né a sinistra. Non vedeva l'ora di incontrare la Super-Regina, perché ormai era chiaro che questo era l'onore che le veniva concesso. All'improvviso provò una sensazione strana, come la puntura di uno spillo nel profondo del cuore. Non conosceva la ragione di tutto quanto stava succedendo, ma era sicura che la aspettasse qualcosa di davvero sorprendente.

Ormai erano arrivati all'altezza delle prime poltrone, e Tamisan vide che a occuparle erano soprattutto donne.

Donne mature, se non addirittura vecchie. Arrivò ai piedi della pedana e non si inginocchiò per l'inchino, come aveva fatto l'ufficiale che la precedeva. Piuttosto, alzò la mano per sfiorare con le dita il bordo della propria corona. Un'illuminazione improvvisa le aveva chiarito che in quel posto la categoria che lei rappresentava non aveva alcun dovere di inchinarsi. Bastava rinnovare l'omaggio al potere terreno che la Super-Regina rappresentava, pur mantenendo saldo il concetto che lei tributava a un'altra e più grande potenza tutta la sua lealtà.

La Super-Regina abbassò su di lei uno sguardo profondamente indagatore. Tamisan alzò a sua volta gli occhi e scorse una donna dall'età indefinibile. Giovane o vecchia che fosse, gli anni non l'avevano segnata. L'abito sulla figura tornita, di un tessuto color perla, non presentava ornamenti particolari a parte una cintura di catene d'argento intrecciate tra di loro e una collana dello stesso metallo prezioso, da cui pendeva una corona di gemme color latte, tagliate a goccia.

Tra i folti capelli rosso fiamma si nascondeva un diadema intessuto di pietre identiche a quelle della collana. Era bella? Tamisan non avrebbe saputo dirlo. Non c'erano comunque dubbi che la Super-Regina fosse una donna straordinariamente vivace e piena di vita. Per quanto fosse seduta, irradiava tutt'attorno una carica di energia straordinaria. Quanto alla sua giornata di lavoro, c'era da scommettere che quella fosse solo una breve pausa ritagliata tra impegni molto più gravosi. Era la personalità più forte ed esigente che Tamisan avesse mai conosciuto, tanto che le sue difese di sognatrice si risvegliarono all'istante. Servire una simile padrona, pensò, avrebbe voluto dire cedere ogni brandello di personalità per diventare da quel momento in poi, un semplice specchio della volontà altrui, un ricordo costante della propria resa.

— Benvenuta, Bocca di Olava. So che dalla tua bocca sono uscite strane parole. — La voce della Super-Regina era beffarda, quasi provocatoria.

— Una Bocca è solamente un mezzo, Grande Madre. Pronuncia parole che vengono da lontano. — Tamisan trovò la risposta con prontezza, senza che la sua mente l'avesse consciamente formulata.

— Così ci hanno insegnato, infatti, anche se gli dei possono diventare vecchi e stanchi. O questa è solo una prerogativa degli uomini? In ogni caso, è nostra volontà che Olava parli di nuovo, se così vuole il fato. Sia come ho detto, dunque!

L'ultima frase, chiaramente un ordine, suscitò una certa animazione tra i personaggi in piedi sui gradini davanti al trono. Due delle guardie portarono un tavolo, una terza fornì uno sgabello e una quarta arrivò con un vassoio su cui erano preparate le quattro ciotole colme di sabbia. Sistemarono tutto davanti al trono.

Tamisan prese posto sullo sgabello e si portò ancora una volta gli indici alle tempie. Avrebbe funzionato di nuovo, o sarebbe stata lei stessa a dover comporre un disegno con la sabbia? avvertì un brivido di nervosismo che si sforzò di controllare.

— Che cosa desideri sapere, Grande Madre? — Si rallegrò di sentire che la voce era limpida, senza traccia di paura.

— Che cosa ci riservano, diciamo, i prossimi quattro passaggi del sole?

Tamisan attese. L'altra forza, di qualunque entità si trattasse, avrebbe preso il sopravvento su di lei come era già accaduto? La mano rimase immobile. La sua strana inquietudine, invece, crebbe. Si sentì costretta a girare la testa, come se una calamita le attirasse in modo inesorabile la fronte. Obbedì a quella forza e guardò dove i suoi occhi erano stati costretti a guardare. Vide solo una schiera di ufficiali allineati sui gradini del trono, che la fissavano come se fosse trasparente. Nessuno mostrò in alcun modo di riconoscerla. Starrex! La speranza la fece sussultare, ma nessuno di loro assomigliava all'uomo che cercava.

— Forse Olava dorme? Oppure la sua Bocca è stata dimenticata per un po'?

La voce della Super-Regina era ancora più tagliente e Tamisan interruppe la propria concentrazione per rivolgersi di nuovo al trono e alla donna che vi sedeva.

— Non è conveniente che la Bocca parli se Olava non lo desidera — incominciò a dire Tamisan, sempre più nervosa. All'improvviso, qualcosa di strano accadde alla sua mano sinistra, come se un'altra volontà se ne fosse impossessata. Raccolse in silenzio una manciata di sabbia marroncina e la gettò sul tavolo per formare lo sfondo.

Non si preoccupò più della sabbia azzurra, ma tuffò direttamente la mano nella ciotola rosa. I granelli scarlatti disegnarono la sagoma di una nave spaziale e, poco più in alto, un singolo cerchiolino rosso.

Ci fu un attimo di esitazione. Poi, le dita affondarono nella ciotola verde, presero un pizzico generoso di sabbia e tracciarono ancora una volta il simbolo di Starrex sotto la nave.

— Un unico sole — commentò la Super-Regina. — Manca un solo giorno all'arrivo del nemico. Ma qual è il resto della parola di Olava, Bocca?

— Che dev'esserci uno tra di voi destinato a diventare la chiave della vittoria.

Si ergerà contro il nemico e il fato sarà con lui.

— Allora? Chi è quest'eroe?

Tamisan guardò di nuovo gli ufficiali allineati. Era saggio fidarsi di un istinto? Qualcosa la obbligò a continuare.

— Sono loro a proteggere Ty-Kry — disse, alzando un dito per indicarli. — Lascia che ognuno di quegli uomini venga qui e tocchi la sabbia della conoscenza. Lascia che la Bocca tocchi quella mano e cerchi la risposta.

Forse, Olava chiarirà in questo modo la sua parola.

Con grande stupore di Tamisan la Super-Regina scoppiò a ridere. — Un modo come un altro per scegliere un campione, immagino. Spero solo che anche Olava sia d'accordo. — Il sorriso impallidì quando si girò a guardare gli ufficiali. Era come se ci fosse un pensiero che la disturbava.

A un suo cenno, gli uomini si avvicinarono a uno a uno. I visi, messi in ombra dall'elmo, appartenevano alla stessa razza e si confondevano l'uno con l'altro. Tamisan, studiandoli, non aveva nessuna possibilità di indovinare chi di loro fosse Starrex.

Ciascuno prese un pizzico di sabbia verde e lo lasciò cadere sul tavolo, mentre Tamisan gli teneva le dita sulle nocche. La sabbia si sparpagliò senza formare disegni né simboli di alcun tipo.

Con l'ultimo fu diverso. La sabbia ricadde sul tavolo disegnando un simbolo identico a quello che c'era già.— Tamisan alzò gli occhi. Invece di guardarla, l'ufficiale fissava il tavolo a denti stretti. L'espressione era quella di un uomo con le spalle al muro e una corona di spade puntate alla gola.

— Questo è il vostro campione — dichiarò Tamisan. Era Starrex? Doveva esserne sicura. Sempre che fosse possibile ottenere la verità in un istante!

Le sue preoccupazioni vennero spazzate via. — Olava dice il falso! — il grido proveniva dall'ufficiale alle sue spalle, quello che l'aveva accompagnata in sala.

— Forse non dobbiamo dimostrare tanta diffidenza verso i consigli di Olava. — La voce della Super-Regina tradì una nota gutturale e sorniona. — Forse la Bocca di questo cavaliere non è particolarmente fedele ai suoi obblighi, e a volte parla per conto di qualcuno che non è Olava. Dunque, Hawarel, sarai tu il nostro campione?

L'ufficiale cadde in ginocchio, con le mani giunte bene in vista davanti a sé come se volesse far vedere a tutti che non cercava una via d'uscita con le armi.

— Io servo la Grande Madre. — Nonostante la tensione chiaramente visibile nel corpo rigido, parlava con calma e senza un tremito.

— Grande Madre, questo traditore… — Due ufficiali si fecero avanti, con l'intenzione evidente di mettergli le mani addosso e di trascinarlo via.

— No. Olava non ha forse parlato per lui? — Nella voce della Super-Regina il sarcasmo si era accentuato. — Ma per essere sicuri che il volere di Olava si compia sarà bene prenderci buona cura del nostro futuro campione. Dal momento che Hawarel è destinato a combattere la nostra battaglia contro quei dannati nemici arrivati dalle stelle, bisognerà preservarlo per tale compito. — Fissò lo sguardo su Tamisan, che era rimasta sbalordita per il rapido susseguirsi degli eventi e per la chiara ostilità dimostrata nei confronti dei voleri di Olava. — E lasciamo che la Bocca di Olava divida con Hawarel questa attesa. Magari riuscirà a instillare nel campione prescelto quella forza e quel vigore che sono necessari per affrontare la lotta. — Ogni volta, la Super-Regina pronunciava la parola "campione" con una nota di derisione e di sottile minaccia. — L'udienza è tolta.

— La Super-Regina si alzò e si avviò dietro il trono mentre tutti i presenti si inginocchiavano, dopodiché scomparve. L'ufficiale che aveva condotto Tamisan in sala scomparve con lei. Hawarel, di nuovo in piedi, fu immediatamente fiancheggiato da due guardie, una delle quali gli tolse la spada dal fodero. Tamisan venne condotta fuori appena dopo di lui, senza che nessuno la sfiorasse nemmeno con un dito.

Per un attimo la situazione non le dispiacque più di tanto. Tutto sommato, avrebbe avuto modo di verificare l'esattezza delle proprie supposizioni. Se Hawarel e Starrex erano la stessa persona lei aveva trovato il primo dei suoi compagni di sogno.

Attraversarono molte sale, finché non arrivarono davanti a una porta che una delle guardie si affrettò ad aprire.

Il prigioniero varcò la soglia e Tamisan venne invitata a fare altrettanto. Poi la porta si richiuse con un tonfo e a quel suono Hawarel si voltò di scatto.

Dietro la visiera rostrata dell'elmo gli occhi mandavano lampi di fuoco. L'uomo sembrava sul punto di voler strangolare con le mani qualcuno che considerava il suo peggior nemico.

Le labbra emisero solo un rauco bisbiglio. — Chi ti ha convinto a condannarmi a morte, strega?

 

4

 

Tese le mani per afferrarla alla gola. Lei alzò un braccio per proteggersi e tentò un passo indietro.

— Lord Starrex! — Se mi sono sbagliata, se…

Le sue dita la sfiorarono, senza riuscire a prenderla. Toccò a lui indietreggiare di qualche passo, con la bocca semiaperta per la sorpresa.

— Strega! Strega! — Quelle parole avevano la stessa rabbiosa violenza di un paio di frecce scagliate da un arciere, come Tamisan ne aveva viste nei nastri di storia antica.

— Lord Starrex — ripeté, rassicurata dal suo palese sbigottimento. Non aveva più paura di essere assalita, e la reazione a quel nome era sufficiente a farle capire che aveva colto nel segno, anche se lui non sembrava riconoscerlo.

— Io sono Hawarel dei Vanora. — Pronunciò quelle parole come un ultimo, rantolante respiro.

Tamisan si guardò intorno. La stanza aveva le pareti spoglie, e non c'erano nascondigli per chi volesse ascoltare senza essere visto. Nel tempo e nel luogo da cui proveniva avrebbe potuto temere ogni genere di dispositivi spia, ma era chiaro che nella Ty-Kry in cui si trovavano quei dispositivi non erano ancora stati inventati. A quel punto era assolutamente necessario guadagnarsi la collaborazione di Hawarel-Starrex.

— Tu sei Lord Starrex — insisté con piglio sicuro. Si augurò di avere un'aria convincente. — lo sono Tamisan, la sognatrice. E questo, in cui siamo rimasti intrappolati, è il sogno che mi avevi ordinato.

Lui si portò una mano alla fronte e cozzò contro la visiera. Si tolse l'elmo di scatto e lo lasciò cadere, incurante del fragore metallico che l'oggetto produsse rotolando sul pavimento lucido. I capelli neri e folti, raccolti in una specie di cuscinetto protettivo sulla sommità della testa, gli conferivano un aspetto alquanto insolito. Anche la pelle era scura, marrone come quella del nuovo corpo di Tamisan. Senza il riparo dell'elmo il viso era ben visibile, ma non mostrava la minima somiglianza con quello del lontano proprietario di torri celesti. In un certo senso, quel viso apparteneva a un uomo più giovane e meno sicuro di se.

— Io sono Hawarel — ripeté con ostinazione. — Tu vuoi tendermi una trappola, o forse la trappola si è già chiusa su di me e stai solo cercando di farmi dire qualcosa che sancisca la mia stessa condanna. Te lo dico ancora, non sono un traditore. Mi chiamo Hawarel e ho sempre tenuto fede al giuramento di sangue fatto alla Grande Madre.

Tamisan sentì crescere dentro di sé un'ondata di impazienza. Non aveva mai pensato che Lord Starrex fosse uno stupido. Dunque, al suo interlocutore mancava qualcos'altro della sua antica personalità, oltre alla faccia.

— Tu sei Lord Starrex, e questo è un sogno! — Se non lo era, non ci teneva affatto a porsi il problema proprio in quel momento. — Ricordi la torre celeste? Mi hai comperato da Jabis per sognare. Poi mi hai convocato insieme a Lord Kas e mi hai chiesto di dimostrare il mio valore.

Lui la guardò e le sue sopracciglia disegnarono un'unica linea nera sulla fronte aggrottata.

— Che cosa ti hanno dato, o promesso di darti, per farmi questo? — chiese per tutta risposta. — Non sono nemico giurato né tuo né dei tuoi, che io sappia.

Tamisan sospirò. — Allora neghi di conoscere il nome di Starrex? — insisté.

Per un lungo istante l'ufficiale rimase in silenzio.

Poi si scostò da lei, a grandi passi.

Diede un calcio all'elmo e lo mandò a rotolare più avanti. La ragazza attese finché lui non si girò di nuovo a guardarla.

— Tu sei una Bocca di Olava…

Tamisan lo interruppe, scrollando la testa. — Abbiamo poco tempo per queste schermaglie, Lord Starrex. Tu conosci questo nome, e in testa ho la certezza che ricordi anche il resto, almeno in parte. Io sono Tamisan, la sognatrice.

Toccò a lui sospirare. — L'hai già detto.

— E continuerò a dirlo. Magari qualcun altro mi ascolterà.

— Proprio come pensavo! — si infiammò il prigioniero. — Vuoi che mi tradisca da solo.

— Se sei davvero Hawarel, come sostieni, quale segreto avresti da tradire?

— E va bene. Io sono… sono due persone diverse! Hawarel e anche qualcun altro che possiede strani ricordi e che, per quanto ne so, potrebbe essere un demone della notte venuto a reclamare la proprietà del mio corpo. Ecco, ci sei riuscita. Adesso vai a riferire tutto a coloro che ti hanno mandata e fammi condurre al campo di tiro al bersaglio, in modo che questa storia finisca in fretta. Forse sarà meglio che continuare questa interminabile lotta tra due entità opposte, dentro di me.

Non si trattava di semplice ostinazione, pensò Tamisan. Era possibile che il sogno avesse su Starrex una presa maggiore di quella che aveva su di lei. Dopotutto, lui non era un sognatore allenato e non aveva l'abitudine quotidiana di avventurarsi nelle illusioni create dalla fantasia.

— Se riesci a ricordare qualcosa, ascoltami. — Lei gli si avvicinò e incominciò a parlare con un tono di voce più basso. Era poco probabile che qualcuno sentisse, ma valeva comunque la pena di non rischiare. In poche parole, gli fornì un resoconto completo del pasticcio in cui si trovavano, per quello che era riuscita a capire.

Quando finì, si accorse con un certo stupore che i lineamenti del suo compagno di cella si erano induriti, tanto da farlo apparire più risoluto e meno disposto a considerarsi intrappolato in un labirinto senza via d'uscita.

— E' questa è la verità?

— Su quale dio o potenza divina vuoi che te lo giuri? — Tamisan era esasperata, delusa dal fatto che lui avesse ancora dei dubbi.

— Non ho bisogno di nessun giuramento. Le tue parole spiegano quello che fino a questo momento consideravo inspiegabile. Nelle ultime ore la mia vita è stata un inferno denso di dubbi e questo ha attirato su di me mille sospetti. Ero diviso tra due persone diverse. Ma com'è possibile, se dici che questo è un sogno?

— Non lo so. — Tamisan preferì essere franca. Poteva tornarle utile in seguito. — Questo sogno è diverso da tutti quelli che ho creato in precedenza.

— In che senso? — domandò lui con voce tagliente.

— Fa parte dei doveri di una sognatrice studiare la personalità del padrone e sforzarsi di incontrare i suoi desideri, anche quelli più inespressi e nascosti. Da quello che ho appreso su di te, come Lord Starrex, mi sono resa conto che avevi già visto, vissuto e conosciuto troppo perché qualcosa risvegliasse di nuovo il tuo interesse. Se volevo che l'esperienza non si rivelasse un fallimento dovevo inventare per forza un nuovo modo di impostare il sogno.

"Così ho evitato le ambientazioni nel passato o nel futuro, come si fa di solito, e mi sono proposta di mettere a fuoco un soggetto diverso. Ci sono stati dei momenti, nella storia, in cui l'evoluzione futura è dipesa da una singola decisione. Ho cercato di selezionare alcune di queste decisioni e di immaginare che gli eventi seguissero una strada opposta a quella reale. Quale sarebbe stato, al presente, il risultato di quelle diverse decisioni passate?"

— Dunque è di questo che si tratta. E quali decisioni hai scelto per riscrivere in pratica la storia? — Il suo compagno di cella le dedicava ormai una piena attenzione.

— Ne ho scelte tre. Prima decisione, il benvenuto della Super-Regina Ahta. Seconda, il guasto della nave colonia denominata Wanderer e, terza, la ribellione di Sylt. Se nella prima occasione invece di un'accoglienza pacifica ci fosse stato un rifiuto, se la nave colonia non fosse mai atterrata e se Sylt avesse fallito la sua rivolta ne sarebbe derivato un mondo molto interessante da visitare in sogno. Così, ho esaminato tutti i nastri di storia su cui sono riuscita a mettere le mani e quando mi hai chiamato per sognare avevo già le idee piuttosto chiare. Ma non ha funzionato come pensavo. Invece di proiettare il sogno che volevo, creando gli incidenti secondo un ordine preciso, mi sono rapidamente trovata prigioniera di un mondo che non conoscevo e che non ho contribuito a costruire.

Mentre parlava fu in grado di osservare tutti i cambiamenti che gli si manifestarono sul viso. Il fervido antagonismo iniziale sparì e a poco a poco Tamisan vide affiorare nel corpo ancora poco familiare di quell'uomo tutte le caratteristiche che aveva associato alla personalità di Lord Starrex.

— Così, non ha funzionato come doveva.

— No. Come ho già detto, mi sono ritrovata immersa nel sogno, senza nessuna possibilità di governare gli avvenimenti né di ritrovare fattori creativi riconoscibili. E non capisco il perché.

— No? Una spiegazione potrebbe esserci. — La linea nera gli solcò di nuovo la fronte, ma il suo cipiglio non era più diretto verso di lei. Era come se cercasse di ricordare qualcosa di importante che continuava a eludere i suoi sforzi. — Esiste una teoria, anche se è molto vecchia. Sì, la teoria dei mondi paralleli.

Nelle sue lunghe indagini sui nastri, Tamisan non ne aveva trovato traccia. — Di che cosa si tratta? — chiese, ansiosa di saperne di più.

— Non sei stata la prima ed è comprensibile, a interrogarsi sulla possibilità che a volte la storia e il futuro fossero attaccati a un filo. A volte basta che il filo ruoti leggermente e le cose prendono una direzione invece che un'altra. Qualcuno ha avanzato una teoria secondo la quale in occasione di questi eventi così particolari la stessa decisione che porta il mondo conosciuto a sinistra genera un altro mondo in cui il corso delle cose prosegue verso destra.

— Ma dove si trovano questi mondi alternativi, e come possono esistere senza che noi ce ne accorgiamo?

— Forse, tutto è costruito a strati — spiegò lui, mettendo le mani una sull'altra, in senso orizzontale. — So che esistevano anche delle vecchie storie, inventate per divertirsi, in cui l'eroe non viaggiava all'indietro nel tempo, o in avanti, ma dentro e fuori da questi mondi sovrapposti.

— Può darsi, ma intanto noi sia mo qui. Io sono una Bocca di Olava e non sembro affatto quella che ero, così come in te apparentemente non c'è nulla del vecchio Lord Starrex.

— Forse siamo le persone che saremmo state se il nostro mondo avesse scelto la direzione opposta nelle tre occasioni che hai citato. Un'invenzione davvero molto abile per creare un sogno, Tamisan.

Lei scelse di dirgli subito anche l'ultima verità. — Molto abile, certo.

Solo che non credo di aver creato io qu.esto sogno, e di sicuro non riesco a controllarlo.

— Hai già tentato di interromperlo?

— Certo, ma mi ritrovo sempre inchiodata qui. Forse sono legata a te e a Lord Kas. Finché non ci proviamo tutti e tre insieme è probabile che nessuno di noi possa fare ritorno.

— Vuoi dire che cercherai di trovare anche lui con il trucco del tavolo e della sabbia?

Lei scrollò la testa. — Temo che Kas si trovi a bordo della nave spaziale in procinto di atterrare. Ho la sensazione di averlo visto, anche se non era proprio la sua faccia. — Sorrise debolmente. — A quanto pare, pur rimanendo in sostanza la Tamisan di sempre, ho acquisito anche certi poteri di una Bocca. Proprio come te, che sei Hawarel oltre che Starrex.

— Più ti ascolto e più mi sembra di tornare quello che ero prima — dichiarò lui. — Così, per uscire da questa specie di trappola dobbiamo recuperare anche Kas? Sarà un problema. In me c'è abbastanza di Havarel per sapere che gli spaziali riceveranno la stessa accoglienza che viene riservata ai loro simili da queste parti. Un falso benvenuto e l'immediata distruzione. I tre punti cruciali di cui parlavi hanno avuto proprio l'esito che avevi previsto. Nella prima occasione non c'è stato un benvenuto ma un massacro, e nessuna nave colonia è mai atterrata da queste parti. Quanto a Sylt, è stato infilzato da una guardia permalosa la prima volta che ha alzato un po' la voce per radunare un po' di gente attorno a sé. Hawarel conosce la verità su questi tre episodi e come Starrex so anche che c'è un'altra verità. Qualcosa che ha davvero rivoluzionato la vita su questo pianeta. Dimmi, mi hai cercato di proposito, inventando la storia del campione proprio per farmi fare da tramite per ritrovare Kas?

— No. O almeno non a livello conscio. Te l'ho detto. A volte, alcuni dei poteri di una Bocca prendono il sopravvento.

Lui rispose con una specie di latrato, che non era una risata ma ci andava vicino. — Per il pugno di Jimsam Taragon, ci mancava anche la magia a complicare le cose! E immagino che non saprai neanche dirmi fino a che punto ci si può fidare della preveggenza di una Bocca, vero? Né che cosa dobbiamo fare per premunirci e uscire da questa trappola…

Tamisan scrollò la testa. — Le Bocche sono nominate nei nastri storici e si sa che un tempo erano molto considerate. Ma dopo la rivolta di Sylt vennero uccise, o comunque scomparvero. Erano avversate da entrambe le fazioni e gran parte di quel che si sa su di loro appartiene alle leggende. Non so dirti quali sortilegi fossero in grado di eseguire. A volte qualcosa prende il sopravvento in me, forse la memoria o la parte conscia di questo corpo, e io mi ritrovo a compiere strane azioni. Non sono io a comandarle, e non le capisco.

Lui attraversò la stanza e prese due sgabelli che si trovavano in un angolo. — Possiamo anche metterci comodi ed esplorare quanto possiamo di questo mondo di ricordi. Magari, insieme riusciremo a capire qualcosa di più. Peccato che ci sia un problema…

La invitò a seguirlo e lei gli appoggiò meccanicamente le dita sul dorso della mano in uno strano modo distaccato e cerimonioso che non le era abituale. Si lasciò guidare a uno dei due sgabelli e fu contenta di potersi sedere.

— Un problema serio — ripeté lui sedendosi appena più in là, stendendo le lunghe gambe e infilando le dita nella cintura da cui pendeva il fodero della spada, tristemente vuoto. — Tanto per incominciare, ero un po' frastornato quando mi sono svegliato, diciamo così, in questo corpo. Chi mi ha incontrato in quei primi momenti non deve aver avuto una gran bella impressione sul mio stato mentale. Fortunatamente, Hawarel ha ripreso il controllo abbastanza in fretta da salvarmi. Ma la mia nuova identità presenta uno svantaggio. Sono un elemento sospetto perché provengo da una provincia in cui si è appena verificata una sommossa. C'è di peggio. In realtà, sono qui a Ty-Kry come ostaggio più che come membro effettivo della guardia reale. Non ho potuto fare domande e sono à conoscenza di questi particolari solo grazie a brandelli di conversazione raccolti qua e là. Il vero Hawarel è un soldato dall'animo semplice e sincero, molto ferito dai sospetti contro di lui e sicuramente fedele alla corona. Mi chiedo in che panni si sia risvegliato Kas. Se conserva qualche traccia del suo vero io, immagino che a quest'ora si trovi in un'ottima posizione.

Sorpresa, Tamisan formulò una domanda a cui sperava di ottenere una risposta aperta e sincera. — Provi simpatia per Lord Kas… o hai qualche ragione per temerlo?

L'ombra di Starrex sull'immagine di Hawarel si fece più consistente. — La simpatia e la paura sono emozioni, e io ho avuto poco a che fare con le emozioni, per un lungo periodo di tempo.

— Ma hai chiesto che lui condividesse il tuo sogno — insisté lei.

— E' vero. Forse non provo grandi emozioni nei confronti del mio stimato cugino, ma sono un uomo prudente. Dal momento che era stato lui a suggerirmi il tuo acquisto, e anche a organizzarlo, ho pensato che fosse giusto offrirgli la possibilità di godere del divertimento insieme a me. Kas è sempre molto sollecito nei confronti del suo povero cugino storpio. Cerca di servirlo in ogni modo ed è generoso in termini di tempo e di energia.

— Hai dei sospetti su di lui? — Tamisan pensò di aver colto qualcosa, fra le righe.

— Di che cosa potrei sospettarlo? E stato il mio migliore amico, per quanto io l'abbia permesso.

Tutti sarebbero pronti a giurarlo.

Un'occhiata avvertì la ragazza di non tentare ulteriori approfondimenti.

— Il suo povero cugino storpio. — Hawarel pronunciò quelle parole come se parlasse a se stesso. Poi alzò gli occhi e la guardò. — Se non altro, sulla scala dei vantaggi c'è una nota positiva. — Batté il piede destro a terra con una soddisfazione che non apparteneva allo Starrex che lei aveva conosciuto. — Mi hai fornito un corpo in ottimo stato, il che sarà indubbiamente utile dato che in questo mondo, al momento, gli aspetti negativi superano quelli positivi.

— Hawarel, anzi, Lord Starrex…

Lui la interruppe. — Hawarel e basta, ricordalo. Non c'è alcun bisogno di aggiungere altri sospetti a quelli che già gravano su di me nel Castello.

— Hawarel, allora. Non sono stata io a indicarti come campione. La scelta l'ha compiuta una potenza che non conosco e che opera tramite me. Se la Regina e gli altri accetteranno questa scelta, tu avrai buone probabilità di ritrovare Kas. Potresti persino chiedere che sia lui il guerriero con cui ti batterai in duello.

— E in che modo?

— Be', potrebbero permettermi di scegliere la persona giusta tra i rappresentanti della nave spaziale — suggerì lei.

Era un filo molto sottile a cui appendere ogni speranza di salvezza, ma lei non riusciva a vedere di meglio.

— Credi di riuscire a individuarlo con un disegno di sabbia, come hai fatto con me?

— Ha funzionato una volta, no?

— Non posso negarlo.

— E' la mia prima predizione, per una vecchia nobildonna, ha suscitato tanta impressione da provocare l'immediata convocazione da parte della Super-Regina.

— Una magia! — Di nuovo quella sua strana risata di gola.

— In un mondo che non è preparato, gran parte delle azioni che i viaggiatori dello spazio considerano normali diventano magiche, non credi?

— Ben detto. Io stesso ho visto molte strane cose, con i miei occhi e mentre ero ben sveglio. D'accordo, mi offrirò volontario per incontrare un campione nemico proveniente dalla nave e tu, con i tuoi giochini di sabbia, cercherai di individuare quello giusto. E poi? Che cosa succederà se riuscirai a trovare Kas?

— E' semplice. Ci sveglieremo.

— Vuoi dire che ci porterai con te?

— Se siamo così strettamente collegati che nessuno se ne può andare senza gli altri, basterà che uno solo si svegli è tutti lo seguiranno.

— E sei proprio sicura che abbiamo bisogno anche di Kas? Dopotutto, sono io quello per cui avevi preparato il sogno.

— Vuoi che ce ne andiamo e che lasciamo Lord Kas qui da solo?

— Mia cara sognatrice, pensi che sarebbe un modo vigliacco di ritirarsi, vero? Eppure ti assicuro che risolverebbe molti problemi. In ogni caso, credi che potresti rimandarmi indietro e farmi tornare a prendere Kas in un secondo tempo? Qualcosa mi dice che farei bene a sapere che cosa mi sta succedendo nel mio mondo. Le sognatrici non giurano che la salvezza del loro padrone viene prima di ogni altra cosa?

Era chiaro che provava un segreto disagio a proposito di Kas, ma aveva comunque ragione. Tamisan decise di agire subito, prima ancora che lui se ne rendesse conto. Gli prese la mano e pronunciò la formula per il risveglio. Ancora una volta la nebbia del nulla l'avvolse, ma non servì. La sua intuizione iniziale si dimostrava più che fondata, non c'era modo di muoversi di lì. Lei sbatté le palpebre e si ritrovò nella stessa stanza di prima. Hawarel si era afflosciato e rischiava di cadere dallo sgabello, tanto che lei dovette inginocchiarsi e sostenerlo con la spalla per evitare che finisse disteso sul pavimento. Gli si irrigidirono i muscoli, sussultò e ritornò eretto. Poi riaprì gli occhi e li fissò in quelli di Tamisan, con la stessa collera fredda e minacciosa di quando l'aveva accolta in quella stessa stanza.

— Che modi sono?

— L'hai chiesto tu — si difese lei.

Lui abbassò le palpebre e Tamisan non poté più leggergli negli occhi quello che provava. — Sì, lo so. Ma non mi aspettavo di essere esaudito così in fretta. In ogni caso, la dimostrazione è stata efficace. Ce ne andremo in tre, o non se ne andrà nessuno. E rimane sempre da vedere se si riuscirà a recuperare il terzo che manca.

Non fece altre domande e lei gliene fu grata, perché lo slancio nel nulla e il tentativo fallito di risveglio l'avevano sfinita. Scostò lo sgabello da lui e lo spostò più vicino alla parete per appoggiarvi la schiena. Non passarono neanche cinque minuti e il suo compagno di cella incominciò a camminare avanti e indietro, come se fosse divorato dal desiderio di passare all'azione, in un modo o nell'altro.

A un certo punto la porta si aprì, ma non per farli uscire. Una delle guardie portò da bere e da mangiare, mentre l'altra sorvegliava i prigionieri con la balestra in pugno.

— Ottimo servizio — commentò Hawarel. Sollevò i coperchi delle ciotole per ispezionare il contenuto. — Sembra proprio che ci trattino con tutti i riguardi. Dimmi un po', Rugaard, quando pensi che ci tireranno fuori da questo buco? Incomincio ad annoiarmi.

— Mettiti il cuore in pace. Avrai abbastanza da fare quando la Grande Madre lo deciderà — rispose il soldato con la balestra. — Hanno avvistato la nave che viene dalle stelle e i segnali sulla montagna hanno già brillato due volte.

Sembra che la nave si diriga verso la pianura alle spalle di Ty-Kry. E strano che siano tutti così idioti da infilarsi ogni volta nella stessa trappola. Forse aveva ragione Dalskol quando sosteneva che non pensano a se stessi, ma eseguono semplicemente gli ordini di una potenza esterna che non permette loro di esprimere un giudizio indipendente. In ogni caso, verrà anche il tuo momento, come vedi. — La guardia mosse un passo verso Tamisan, per vederla meglio. — Quanto a te, Bocca di Olava, la Grande Madre consiglia di fare pronostici anche sulla tua stessa vita. I falsi veggenti vengono consegnati nelle mani di coloro che hanno ingannato e vilipeso, per essere trattati come questi ultimi decidono.

— Io non ho. affermato il falso — ribatté lei, decisa. — Lo dimostreranno i fatti, a tempo e luogo debiti.

Quando se ne andarono le venne fame ed evidentemente lo stesso accadde ad Hawarel perché si divisero equamente il cibo e non lasciarono nulla nelle ciotole.

Alla fine lui si concesse un'osservazione. — Se sei una lettrice attenta della storia, e se conosci gli usi e costumi dei popoli, saprai anche che presso certe genti si concedeva un lauto pasto ai condannati a morte.

— Hai scelto un pensiero davvero incoraggiante.

— Io non ho scelto proprio niente. Questo mondo l'hai voluto tu, cara sognatrice.

Tamisan chiuse gli occhi, prima di appoggiare la testa e le spalle contro il muro. Uscì dal dormiveglia all'improvviso, con un sussulto, per colpa di un violento rumore metallico. Nella stanza buia si aprì uno spiraglio di luce. In piedi sulla soglia, in controluce, comparvero l'ufficiale di poco prima e una guardia dei lancieri.

— E' arrivato il momento.

— L'attesa è stata lunga. — Hawarel si alzò in piedi e stirò le braccia come se fosse già pronto da tempo.

Poi si girò verso di lei e le offrì ancora una volta il braccio. Tamisan avrebbe preferito farne a meno, ma si scoprì così rigida e indolenzita da gradire un appoggio.

Seguirono un percorso complicato, tra grandi stanze e scale, finché non si ritrovarono all'aperto, nel buio della notte. Li attendeva una carrozza coperta, molto più ampia del cocchio che aveva trasportato lei al Castello. Alle stanghe erano attaccati ben due grifoni alati.

Le guardie li fecero salire in fretta, tirando le tende e chiudendo ogni fessura, in modo che anche se avessero voluto non sarebbero mai riusciti a guardare fuori. Mentre la carrozza si avviava cigolando, Tamisan ascoltò i suoni cercando di indovinare dove fossero diretti.

Non c'erano molte tracce che potessero aiutarla.

Era come se attraversassero una città profondamente addormentata.

Ma nella penombra della carrozza lei percepì un movimento, più che vederlo.

Poi una spalla sfiorò là sua e all'orecchio le giunse un bisbiglio quasi impercettibile.

— Siamo ormai fuori dal Castello.

— Dove andiamo?

— Nel campo, immagino. Il posto proibito.

La Tamisan di quel mondo trovò la spiegazione nella propria memoria. Si trattava del posto dove altre due navi spaziali erano atterrate, per non alzarsi mai più. Tra l'altro, quella arrivata una cinquantina di anni prima non era mai stata smantellata. Ne rimaneva la struttura di metallo corrosa dagli anni, come un doppio avvertimento. Il primo per gli invasori venuti dalle stelle e l'altro per gli abitanti di Ty-Kry, perché non si lasciassero mai cogliere di sorpresa.

A Tamisan sembrò che quella corsa non sarebbe mai giunta a termine. Invece, l'alt fu così improvviso che la mandò a sbattere con violenza contro il fianco della carrozza. Le tende vennero tirate da parte e le luci la abbagliarono.

— Campione e designatrice di campione, avanti prego!

Hawarel obbedì per primo e si girò per offrirle ancora una volta il braccio, ma un ufficiale lo spinse da parte a gomitate. Poi, senza tanti complimenti, tirò Tamisan all'esterno. Erano circondati da lancieri con le torce in mano. Più in là, una doppia fila di guardie tratteneva una folla variopinta che sul retro si perdeva nell'oscurità.

— Guarda lassù. — Hawarel era di nuovo al suo fianco.

Tamisan alzò gli occhi. Rimase quasi accecata da un'improvvisa vampata di fuoco che incendiò il cielo notturno. Una nave spaziale scendeva lentamente, aiutandosi con i razzi di coda per bilanciarsi meglio in fase di atterraggio.

 

5

 

L'intera pianura risultò illuminata dalla luce dei razzi. Poco più in là si intravvedeva la sagoma della sfortunata nave spaziale atterrata per ultima. E proprio in quel punto, ben allineati, c'erano soldati armati di lance e di balestre, e ufficiali con l'elsa della spada in pugno. Mentre aspettavano, comparve anche un drappello di guardie d'onore della Regina, la quale assisteva allo spettacolo da una carrozza scoperta. Una scelta davvero poco consona alla prospettiva di una battaglia.

Gli occupanti della nave dovevano considerare con un pizzico di disprezzo quella parata di armi tanto arcaiche quanto inutili. Ma come avevano fatto gli abitanti di Ty-Kry ad annientare gli altri veicoli spaziali con i loro equipaggi? C'erano riusciti grazie a vili espedienti, come avrebbero potuto sostenere le vittime, oppure in seguito a trucchi astuti, come suggeriva la parte di Tamisan che corrispondeva alla Bocca di Olava?

La superficie del terreno parve ribollire sotto la pressione dei razzi. Poi le fiamme svanirono e lo spiazzo piombò nell'oscurità finché gli occhi non si abituarono alla luce più fioca delle torce.

La folla in attesa non tradì alcuna espressione di meraviglia. Per quanto i loro ornamenti, le armi e i vestiti fossero indietro di centinaia di anni rispetto alle conoscenze tecniche dei loro visitatori, la storia li sosteneva con la convinzione che non si trovavano di fronte a esseri divini dotati di poteri soprannaturali? ma a semplici mortali con cui avevano gia avuto a che fare con successo in precedenza. Che cosa ispira in loro questo atteggiamento nei confronti dei viaggiatori dello spazio? pensò Tamisan. E perché sono cosi ostili a ogni contatto con le altre civiltà stellari? Sembra che si accontentino di ristagnare in uno stadio di civilizzazione che il mio mondo superava già cinquecento anni fa. Possibile che non producano menti capaci di investigare i misteri che li circondano o di desiderare che le cose vadano in modo diverso?

La nave si posò al suolo. Non diede apparenti segni di vita, anche se Tamisan immaginava l'intenso lavorio degli analizzatori che in quel momento procedevano sicuramente all'esame di tutte le informazioni raccolte attraverso i videoschermi. Se le telecamere avevano individuato il relitto dell'altra nave i nuovi arrivati avrebbero ricevuto almeno un minimo di avvertimento. Spostò lo sguardo dalla sagoma silenziosa della nave appena atterrata alla Super-Regina, appena in tempo per vederla alzare la mano in un cenno. Dalle file di nobili e guardie si staccarono quattro uomini. A differenza degli altri, non indossavano né armature né elmi ma solo certe corte tuniche nere. In mano non avevano le balestre in dotazione all'esercito ma proprio gli archi di antica memoria, quelli usati dagli arcieri medioevali.

La parte di Tamisan che apparteneva a quel mondo trattenne il fiato, perché quegli archi erano diversi da tutti gli altri archi del paese e le persone che li impugnavano erano sicuramente diverse da chiunque altro. Avevano un aspetto mostruoso e non c'era affatto da meravigliarsi se tutti si fecero da parte. Sulla testa di ciascuno era sistemata una maschera, in modo così abile da non farla sembrare affatto una struttura posticcia, ma una faccia vera e propria. Solo che quella faccia non era umana. Le maschere ricopiavano fedelmente le grandi teste, una per ogni punto cardinale, che sormontavano le grandi mura difensive di Ty-Kry. Le teste avevano qualcosa di umano e qualcosa di animale, pur non essendo né l'uno né l'altro e trascendendo entrambe le categorie.

Gli archi che sollevarono erano forgiati con ossa umane e tesi con corde di capelli veri. Erano le ossa e i capelli di antichi nemici e di antichi eroi. I vivi avrebbero tratto maggior vigore dalla mescolanza delle forze di entrambi.

Dalle faretre chiuse ciascuno tolse una freccia, che scintillò alla luce delle torce. Sembrò quasi che le frecce raccogliessero e concentrassero dentro di sé tutta la luminosità presente, fino a diventare schegge di luce solida. Incoccate nell'arco, dimostrarono di possedere effetti quasi ipnotici, perché catturarono l'attenzione a dispetto di tutto quello che c'era intorno. Tamisan se ne rese immediatamente conto e cercò di distogliere gli occhi, ma proprio in quel momento i mostruosi arcieri scoccarono il loro colpo. Tutte le teste, compresa la sua, si girarono per seguire le linee di fuoco che solcarono il cielo all'improvviso. Le frecce salirono sempre più in alto, ben al di sopra della massa scura della nave curvarono la propria rotta e infine ricaddero dall'altra parte, tuffandosi dietro l'orizzonte.

Stranamente, si lasciarono dietro lunghe e persistenti scie arcuate di luce che illuminarono di riflessi lo scafo metallico della nave. Un altro trucco che una parte della mente di Tamisan conosceva bene. Una pioggia di magia e antichi incantesimi per influenzare quelli che si trovavano a bordo della nave. La parte di lei che apparteneva alla sognatrice non credeva granché nell'efficacia di una simile cerimonia.

Si era avvertito un rumore, al passaggio di quelle frecce, una specie di sibilo, un fischio acuto che feriva le orecchie. I presenti si erano portati le mani alla testa per proteggersi. Il vento si alzò all'improvviso, con un crepitio sonoro. Tamisan alzò lo sguardo e, sopra la testa della Super-Regina, vide un gigantesco uccello che sbatteva le ali azzurre e dorate. Uno sguardo più attento rivelò che non si trattava affatto di un volatile, ma di un grosso stendardo sistemato in modo tale che il vento lo facesse sembrare una cosa viva.

Gli arcieri in nero erano ancora allineati al di fuori dello schieramento di guardie. A un certo punto, senza che avessero ricevuto un ordine preciso, gli accompagnatori di Hawarel e Tamisan spinsero i due prigionieri in avanti, finché non giunsero di fronte alla carrozza-trono della Super-Regina e alle sue quattro mostruose maschere.

— Bene, campione. E tua intenzione assumere i compiti che questa indaffarata Bocca ti ha assegnato? — Lo scherno era palese. Evidentemente la Super-Regina non credeva affatto alle profezie di Tamisan ma era comunque disposta a lasciare che quel sempliciotto marciasse a cuor leggero verso la propria distruzione.

Hawarel piegò un ginocchio, preoccupandosi di mettere in evidenza il fodero vuoto della spada. Se doveva battersi, aveva bisogno di un'arma.

— Ai tuoi ordini, Grande Madre. Sono pronto. Ma è tua volontà che affronti il nemico senza nemmeno una lama d'acciaio?

Tamisan scorse un sorriso sulle labbra della donna che li governava e riuscì per un attimo a leggerle nella mente il desiderio di lasciare che Hawarel andasse davvero a mani nude verso il suo destino. La Super-Regina si trastullò per un attimo con quell'idea, poi la mise da parte. Fece un cenno a una delle guardie.

— Dategli una spada e lasciategliela usare. La Bocca ha detto che sarà lui la nostra difesa, questa volta.

Non è vero Bocca?

L'occhiata che rivolse a Tamisan aveva un fondo di crudeltà.

— Sono state le divinazioni a sceglierlo. Per ben due volte. — Tamisan trovò le parole giuste e ri spose con voce ferma, come se la sua fosse una sentenza inappellabile.

La Super-Regina rise. — Ti auguro molta forza, Bocca. Spero che anche tu sia ben disposta verso questa scelta, dato che ho deciso di mandarti con lui. Mi raccomando, offrigli tutto il sostegno di Olava!

Hawarel aveva accettato una spada dall'ufficiale alla sua sinistra. Si alzò in piedi e la fece roteare in alto per il saluto militare. Se anche sapeva di essere destinato alla morte, sembrava che volesse marciare verso il suo destino tra squilli di fanfare e rullar di tamburi.

— La ragione sia forza per il tuo braccio e corazza per il tuo corpo — intonò la Super-Regina. Una nota particolare nella sua voce indicava che le parole erano una pura formalità. Non le interessava incoraggiare il campione.

Hawarel girò il viso verso la nave immersa nel silenzio. Dal terreno bruciato e disseccato attorno ai piani stabilizzatori di atterraggio si alzavano tracce di fumo e di vapori. Le tracce arcuate prodotte dalle frecce si erano ormai dissolte nell'aria.

Il campione designato si sposto in avanti e Tamisan lo seguì a di stanza di un passo. Se la nave continuava a rimanere chiusa, senza che si aprisse un portello o che sbucasse una rampa, lei non riusciva a capire come sarebbero riusciti a portare a termine il loro disegno. E, in quel caso, che cosa si aspettava da loro la Super-Regina? Che rimanessero fermi per ore a sperare che il comandante della nave si decidesse a contattarli?

Per loro fortuna, l'equipaggio spaziale dimostrò una certa intraprendenza. Forse la vista del relitto al margine dello spiazzo li aveva spinti a cercare di saperne di più. Il portello che si apn non era quello dell'entrata principale, ma un'apertura più modesta sopra uno degli stabilizzatori. Dallo spiraglio uscì un raggio paralizzante.

Per fortuna il raggio centrò Hawarel e Tamisan prima che raggiungessero il bordo di una piccola radura divorata da fiamme rabbiose, altrimenti i loro corpi esanimi sarebbero inesorabilmente caduti nel fuoco. Persero ogni controllo sui muscoli, ma la mente rimase perfettamente sveglia.

Tamisan era crollata a faccia in giù e solo il fatto di avere appoggiato a terra una guancia le permetteva di respirare. Il suo campo visivo era drasticamente accorciato da ciuffi d'erba in fiamme che sembravano sempre più vicini. Lei li vide e dimenticò tutto il resto.

I momenti che seguirono furono i peggiori di tutta la sua vita. Nei sogni aveva evocato spesso situazioni estreme e pericolose, ma in fondo alla mente c'era sempre stata la certezza che all'ultimo momento si sarebbe comunque trovata una via d'uscita. Questa volta era diverso. Non c'era niente in grado di difendere il suo corpo inerte dalla linea del fuoco che avanzava.

Qualcosa, come un'esplosione improvvisa, fece vibrare di colpo il suo fragile corpo ammaccato. Una gigantesca pinza si chiuse su di lei e la sollevò, sempre a faccia in giù, mentre il calore e il fumo generato dalla vegetazione in fiamme minacciavano di soffocarla. Tamisan tossì fino a star male, sospesa per aria in quella stretta brutale, ormai sempre più vicina alla nave.

Si ritrovò nel bel mezzo di una stanza fortemente illuminata. Qualcuno l'afferrò, la tirò giù e la sostenne in posizione eretta. Con ogni probabilità, la forza del raggio paralizzante era stata regolata al minimo, perché gli effetti incominciavano già a svanire. Tamisan avvertì il lento ritorno di un briciolo di sensibilità nelle braccia e nelle gambe, che per il momento rimanevano comunque pesanti come il piombo. Riuscì a compiere un impercettibile movimento con la testa e scorse attorno a sé un gruppo di uomini in uniforme spaziale. Portavano il casco, come se avessero la convinzione di essere approdati in un mondo decisamente ostile, e alcuni tenevano la visiera abbassata. Due di loro la presero e la trascinarono senza tanti complimenti lungo un corridoio spazioso, fino a una piccola cabina che aveva tutta l'aria di una cella. E lì l'abbandonarono.

Tamisan giacque sul pavimento, riprendendo a poco a poco possesso del proprio corpo e cercando di pensare a che cosa l'aspettava. Anche Hawarel era stato catturato? Non c'era ragione di credere il contrario, tuttavia non era stato messo nella sua stessa cella.

Riuscì a sedersi, con la schiena appoggiata al muro, e sorrise tristemente. Il coraggioso tentativo di organizzare un duello tra due campioni sembrava andato in fumo. Forse la Super-Regina non desiderava altro, ma loro avevano comunque raggiunto il loro massimo obiettivo. Erano giunti a bordo della nave dove, secondo le sue supposizioni, si trovava anche Kas. Bastava che loro tre riprendessero i contatti e avrebbero potuto uscire dal sogno. E la nostra uscita spazzerà via questo mondo? Fino a che punto è reale? Tamisan non era sicura di nulla, e comunque non era il caso di preoccuparsi anche degli effetti collaterali. Era venuto il momento di concentrarsi su un obiettivo solo: Kas.

Che cosa devo fare? Bussare alla porta della cella per chiedere attenzione e domandare udienza al comandante? E poi? Avrebbe chiesto di poter esaminare tutto l'equipaggio per individuare il suo uomo, per quanto mimetizzato dalle nuove sembianze di quel mondo? Nutriva il sospetto che solo Hawarel-Starrex fosse disposto ad accettare la sua versione della storia.

In ogni caso, era Importante trovare il modo di liberarsi e di continuare la ricerca.

La porta si aprì e Tamisan rimase sorpresa per la risposta così rapida alle sue speranze.

L'uomo che comparve sulla soglia non portava il casco. Indossava invece una tunica con i gradi di un alto ufficiale, leggermente diversi da quelli della Ty-Kry che Tamisan conosceva. In mano aveva una pistola a raggi paralizzanti, puntata contro di lei, e alla gola era fissata la minuscola scatola di un interprete vocale.

— Vengo come amico.

— Con un'arma in mano? — ribatté lei.

Lui parve sorpreso. Probabilmente si aspettava la risposta in chissà quale lingua, e invece Tamisan parlava in Basic, il linguaggio comune di tutti i pianeti della Confederazione.

— Abbiamo ragione di credere che le armi siano più che necessarie per trattare con la tua gente. Sono Glandon Tork della Sorveglianza.

— E io sono Tamisan, una Bocca di Olava. — Si portò la mano alla testa e scoprì che in qualche modo, nonostante la pinza, il trasporto aereo e il trasferimento sulla nave, la corona era ancora al suo posto. Ma c'era un altro e più pressante problema.

— Dov'è il campione?

— Il tuo compagno? — L'uomo aveva abbassato l'arma e il tono di voce non era più così aggressivo. — Anche lui si trova al sicuro. Ma perché lo chiami campione?

— Perché lo è. Siamo qui per sfidare il vostro campione in un giusto duello.

— Capisco. Dunque, anche noi dovremmo scegliere un rappresentante. Ma non capisco il motivo del duello.

Lei cercò di trovare una spiegazione verosimile. — Se reclamate il possesso di una terra, dovete incontrare in duello il campione scelto da chi ha governato quella terra fino a quel momento.

— Ma noi non intendiamo prendere possesso di questa terra! — protestò lui.

— Eppure avete fatto atterrare la vostra nave di fuoco sui campi di Ty-Kry.

— La tua gente considera il nostro atterraggio come una forma di invasione? Ma non si può decidere una faccenda del genere con un duello tra due campioni! E poi, se noi scegliamo un rappresentante…

Tamisan lo interruppe. — Il compito non tocca a voi. Sarà la Bocca di Olava a sceglierlo. O piuttosto la sabbia, e le sue divinazioni. E per questo che sono qui, anche se non mi avete riservato grandi onori.

— Tu vuoi scegliere un campione in che modo?

— Come ho già detto. Con le mie doti di veggente.

— Io non vedo come, ma immagino che al momento giusto lo saprò. E dove si dovrebbe svolgere questo duello?

Lei indicò con un cenno quelle che riteneva le pareti esterne della nave. — Fuori da qui, sulla terra contesa.

— Logico — concesse lui. Poi parve rivolgersi all'aria che li circondava. — Tutto registrato? — Dal momento che l'aria non gli rispose parve ritenersi soddisfatto.

— Queste sono consuetudini vostre, Signora Bocca di Olava. E dal momento che noi in genere ci comportiamo in modo diverso, dobbiamo discuterne. Con il tuo permesso, provvederemo subito.

— Come volete. — Il fatto che l'uomo si fosse presentato come membro della Sorveglianza giocava sicuramente a loro favore. Era stato senz'altro allenato a credere nella necessità di comprendere e tollerare gli usi e costumi dei mondi alieni. Ne derivava un corollario molto semplice. Su ogni pianeta bisognava seguire, nei limiti del possibile, le usanze degli abitanti. Se l'equipaggio accettava l'idea del duello, era molto probabile che si adeguasse anche a tutte le sue regole. Lei avrebbe potuto chiedere di controllarne ogni membro e sarebbe dunque riuscita a trovare Kas. A quel punto, sarebbe stato finalmente possibile infrangere il sogno.

Ma non è il caso di contare su una soluzione troppo rapida della vicenda, si disse Tamisan. In fondo alla sua mente si agitava un piccolo dubbio inquietante, qualcosa che aveva a che fare con quelle strane frecce lanciate nel cielo, e con il relitto della precedente nave spaziale. La gente di Ty-Kry, nonostante una rete di difesa apparentemente irrisoria, era riuscita per secoli a tenere lontani i viaggiatori dello spazio. Quando lei tentava di sondare i ricordi della Tamisan di quel mondo a proposito dei metodi usati, otteneva in risposta solo l'accenno a certe forze magiche solo parzialmente comprese. Era sicura che il lancio delle frecce corrispondesse appunto al primo passo per risvegliare tali forze. Ma oltre a questo sembrava esserci solo una passiva accettazione di misteri molto simili a quelli che lei sperimentava di persona, come Bocca di Olava. Lei stessa impiegava delle forze che non riusciva a comprendere.

Incominciava ad accettare tutto come se quel mondo esistesse davvero, e non fosse semplicemente un sogno che le era sfuggito di mano. Se ne rese conto all'improvviso. Era possibile che avesse ragione Starrex, quando sosteneva l'ipotesi che fossero finiti in un mondo parallelo àl loro?

In ogni caso, la sua pazienza era ormai agli sgoccioli. Aveva bisogno di agire e l'attesa diventava sempre più difficile da sopportare. Eppure, Tamisan era sicura che su di lei fosse puntato ogni genere di analizzatore spia. Dunque doveva recitare fino in fondo la propria parte, senza innervosirsi, mostrandosi calma e perfettamente sicura di sé e della sua missione. Cercò di fare del suo meglio.

Forse il tempo dell'attesa le sembrò più lungo di quanto poi non fosse in realtà. Comunque Tork ritornò. La fece uscire dalla cella e la scortò su per una scala, un piano dopo l'altro. Lei trovò piuttosto complicato destreggiarsi con le pieghe della lunga gonna. Arrivarono in una cabina spaziosa e ben arredata, dove erano seduti alcuni uomini. Tamisan li scrutò tutti con attenzione, senza approdare a nulla. Non percepiva neanche quel leggero senso di disagio sperimentato nella sala del trono in presenza di Hawarel. Naturalmente poteva significare che Kas non si trovava in quel gruppo, anche se le navi della Sorveglianza non avevano mai un equipaggio molto numeroso. In genere si trattava di una ventina di uomini, tra esperti di navigazione e specialisti nei vari campi di ricerca. Trenta nella migliore delle ipotesi. Oltre ai sei presenti c'era dunque un discreto margine.

Tork la condusse a una poltrona che possedeva alcuni degli attributi tipici di una cuccetta da riposo.

L'imbottitura si auto modellò per offrirle il massimo comfort.

— Ti presento il Capitano Lowald, il dottor Thrum, lo psicotecnico Sims e lo storico El Hamdi. — Ciascuno dei personaggi nominati abbozzò un mezo inchino. — Ho spiegato loro la tua proposta, e ne abbiamo discusso insieme.

Con quali mezzi sceglierai un campione tra di noi?

Non aveva sabbia. Per la prima volta, Tamisan si rese conto dell'inconveniente. Avrebbe dovuto basarsi solo sul contatto fisico, eppure era sicura che sarebbe bastato per ritrovare Kas.

— Fate venire i vostri uomini e lasciate che mi tocchino la mano. — La preparò già sul tavolo, con il palmo rivolto verso l'alto. — Olava mi indicherà il prescelto.

— Sembra tutto molto semplice — osservò il Capitano. — Si faccia pure come questa signora desidera. — E si protese in avanti per dare l'esempio e sottoporsi alla prova. Non ci fu alcuna risposta né per lui, né per gli altri nella stanza. Il Capitano impartì un ordine all'interfono e i membri dell'equipaggio si presentarono uno dopo l'altro per appoggiare il palmo della mano su quello di Tamisan. Lei, con crescente disagio, incominciò a credere di essersi sbagliata. Forse era proprio necessaria la sabbia, per individuare Kas. Ma per quanto scrutasse le facce delle persone che si sedevano via via sulla poltrona di fronte alla sua, non trovò in loro alcuna somiglianza con il cugino di Starrex. Né avvertì in altro modo che il suo uomo fosse lì.

— Ora li hai visti tutti — disse il Capitano, quando l'ultimo membro dell'equipaggio si alzò dalla poltrona. — Quale sarà il nostro campione?

— Non l'ho trovato. — La delusione prevalse sulla cautela e Tamisan non riuscì a nascondere la verità.

— Eppure hai toccato la mano di tutti gli uomini presenti sulla nave — le fece osservare il Capitano. — Ci prendi in giro, per caso?

Venne interrotto da un suono così netto e improvviso da farlo sobbalzare. Il dispositivo di comunicazione da braccio incominciò a riversare nella stanza un mare di cifre che non significavano assolutamente nulla per Tamisan, ma che suscitarono una reazione immediata in tutti gli altri. La pistola a raggi paralizzanti nella mano di Tork fece fuoco su di lei senza concederle nemmeno il tempo di alzarsi. Ancora una volta, Tamisan si ritrovò cosciente ma incapace di muoversi. Mentre gli altri ufficiali uscivano di corsa, Tork tese una mano per impedirle di cadere dalla poltrona e con l'altra schiacciò un pulsante di allarme sul tavolo.

Due uomini dell'equipaggio risposero in fretta al suo richiamo. Trascinarono la ragazza lungo il corridoio e la riportarono ancora una volta in cella. Immagino che dovrò farci l'abitudine, pensò amaramente lei, mentre la buttavano senza tanti complimenti sulla cuccetta e se ne andavano senza neanche guardare com'era atterrata. Di qualunque emergenza si trattasse, l'unico risultato certo era stato quello di riportarla alla condizione di prigioniera.

Le due guardie, evidentemente molto sicure dell'effetto del raggio, lasciarono la porta della cella socchiusa.

Lei udì il rumore dei passi che si allontanavano e il suono di altri allarmi secondari.

Che tipo di attacco aveva mai potuto scatenare la Super-Regina contro una nave spaziale ben armata e già in stato di all'erta? Eppure, era chiaro che quegli uomini si ritenevano in pericolo e cercavano di difendersi. Starrex e Kas. Dov'è Kas? Il Capitano sosteneva di averle fatto incontrare tutti coloro che si trovavano a bordo. Significava dunque che la visione avuta in precedenza era falsa e che l'uomo senza volto in tuta spaziale era solo un frutto della sua immaginazione troppo fervida?

Non devo scoraggiarmi. Kas è 4ui. Deve esserci! Rimase immobile, cercando inutilmente di indovinare dai suoni che cosa stesse succedendo. Ma il turbinio iniziale di rumori e movimenti si era placato, per lasciare posto a un grande silenzio. Hawarel. Dov'è Hawarel?

L'effetto del raggio incominciò a diminuire. Tamisan era appena riuscita a rimettersi faticosamente in posizione eretta quando la porta si spalancò per lasciar passare Tork e il Capitano.

— Alzati, Bocca di Olava — la interpellò quest'ultimo in tono così gelido da ricordarle la fredda collera di Hawarel, non molto tempo prima. — Non so chi sei, in realtà, e forse non è stata tua l'idea di guadagnare tempo con quella sciocca storia di campioni e duelli. Magari, la tua sovrana ha tradito anche te. In ogni caso, ormai non ha più importanza. Là fuori hanno fatto di tutto per prenderci prigionieri e non rispondono alla richiesta di una trattativa, così siamo costretti a usarti come messaggera. Di alla tua Super-Regina che teniamo in ostaggio il suo campione e che possiamo usarlo quando vogliamo per aprire le porte che lei ci ha chiuso in faccia. Abbiamo armi molto più potenti delle lance e delle spade. Più potenti anche di quelle di quei poveri diavoli che probabilmente sono morti nel relitto al margine della radura. Potete trattenerci per un po', ma prima o poi riusciremo a infrangere i vincoli che ci immobilizzano a terra. Non siamo venuti come invasori e, che ci crediate o no, non siamo soli. Se i nostri segnali non riusciranno a raggiungere la nave gemella che ci aspetta in orbita, succederà qualcosa che la tua gente non si aspetta e che non riesce neanche a immaginare. Ora ti libereremo, e tu andrai a riferire alla tua sovrana quello che ti ho detto.

Se non manda qualcuno a parlamentare prima dell'alba, tanto peggio per lei. Sono stato chiaro?

— E Hawarel? — chiese Tamisan.

— Hawarel?

— Il campione. Lo terrete qui?

— Come ho già detto, abbiamo i mezzi per trasformarlo in una chiave capace di aprire tutte le porte della vostra fortezza. Dillo alla tua Super-Regina, Bocca. Da quel che abbiamo letto nella mente del campione possiedi abbastanza autorità per farti ascoltare.

Hanno letto nella mente di Starrex? In che modo? Tamisan si sentì di colpo molto spaventata. Forse sono in possesso di una sonda mentale? Ma se è così, hanno saputo anche il resto. Si sentiva tanto confusa da non riuscire nemmeno a concentrarsi sul suo prossimo compito. In pratica, doveva riferire alla Super-Regina il messaggio di sfida degli uomini della nave.Doveva farlo, dal momento che non aveva una ragione valida per rifiutare. Che accoglienza riceverò a Ty-Kry? Tamisan rabbrividì mentre Tork la costringeva ad alzarsi dalla cuccetta e, trascinandola e sostenendola, la portava con sé.

 

6

 

Per la terza volta, Tamisan si ritrovò in prigione. Non tra le pareti lisce di una cabina spaziale, ma tra le pietre antiche delle mura del Castello Alto. A dispetto delle valutazioni del Capitano Lowald, la stima di cui godeva presso la Super-Regina era molto scarsa e la mediazione in favore di una trattativa con gli uomini venuti dallo spazio non era nemmeno stata presa in considerazione. La minaccia riguardante le armi misteriose e la possibilità di usare Hawarel come una "chiave" aveva suscitato solo ilarità. Il fatto che la gente di Ty-Kry avesse già avuto a che fare con simili minacce in precedenza e ne fosse uscita vittoriosa li rendeva sicuri che anche questa volta non avrebbero avuto problemi. Tamisan non aveva idea di quali fossero i loro metodi di difesa, tuttavia era certa che alla nave fosse successo qualcosa prima che i suoi occupanti decidessero di scaricarla fuori senza tanti complimenti.

Hawarel era stato trattenuto a bordo, Kas non si trovava e, finché non li avesse avuti entrambi sottomano, anche lei sarebbe stata prigioniera. Kas… La sua mente continuava a rimuginare sul fatto che lui non si trovava tra gli uomini dell'equipaggio. Eppure, il Capitano Lowald sosteneva che non ce n'erano altri a bordo.

Un momento! Lei cercò di ricostruire le parole esatte. Che cosa aveva detto? "Hai toccato la mano di tutte le persone a bordo. " Non di tutto l'equipaggio. C'era qualcun altro, al di fuori? Tutto quello che lei sapeva a proposito dei viaggi spaziali l'aveva imparato dai nastri, che erano comunque abbastanza dettagliati da fornire alle sognatrici tutti i concreti elementi di ispirazione con cui costruire i loro mondi fantastici. Quella nave in particolare sosteneva di appartenere alle squadre della Sorveglianza e di non essere sola. Dunque, deve avere una sorella in orbita, e Kas potrebbe trovarsi li. Il che significava che lei non aveva alcuna speranza di riuscire a raggiungerlo.

Ora, se questo fosse solo un sogno… Tamisan sospirò e appoggiò la testa all'indietro, contro le pietre del muro.

Si scostò, perché l'umidità le penetrava nelle ossa, facendola rabbrividire. Un sogno.

Si raddrizzò di colpo, eccitata. E se per ipotesi riuscissi a sognare nel sogno, troverei Kas? E' possibile? Non si può escluderlo, senza aver prima provato. Non aveva né stabilizzatori né amplificatori, ma erano strumenti necessari solo se si divideva un sogno con qualcun altro. Poteva avventurarsi nell'impresa da sola. Ma posso sperare di rimettere tutto a posto semplicemente sognando in un sogno? Inutile porre domande senza risposta prima di compiere almeno una prova!

Tamisan si distese sul pavimento nudo della cella mettendo risolutamente a tacere quelle parti della mente che protestavano per la scomodità di una simile sistemazione. Per contro, iniziò la respirazione profonda e sistematica delle sognatrici e raccolse tutte le energie per raggiungere lo stato di auto-ipnosi che rappresentava la chiave di ingresso di tutti i suoi sogni. L'unico obiettivo che aveva era Kas, e lui si trovava nel suo corpo reale. E così poco per trovarlo…

Stava scivolando. Dunque, poteva sognare.

Attorno a lei comparvero delle pareti. Pareti di un materiale quasi opalescente da cui trasparivano colori piacevoli e delicati. Non poteva essere una nave spaziale. L'immagine oscillò e Tamisan scartò in fretta il dubbio, per non forare il tessuto fragile del sogno. Le pareti si appiattirono e si consolidarono in qualcosa di concreto. Un corridoio. E davanti a lei c'era una porta.

Tamisan desiderò di vedere l'interno e si trovò subito trasportata oltre la parete, proprio come in un vero sogno. In quella sala, le pareti erano ornate dalle stesse reti luminose che l'avevano circondata durante la sua permanenza nella torre celeste. Cercando Kas era tornata nel suo mondo di origine. Si trattenne nel sogno, curiosa di scoprire che cosa l'avesse riportata lì. Possibile che si fosse sbagliata e che Kas non fosse partito insieme a lei? Ma allora, perché lei e Starrex rimanevano intrappolati in quell'altro sogno?

Nella stanza non c'era nessuno, eppure qualcosa le suggerì di proseguire. Era lì alla ricerca di Kas, no? Ebbene, qualcosa l'assicurava che lo avrebbe trovato. C'era anche una seconda stanza. Tamisan entrò e trasalì. La conosceva bene: era la stanza di una sognatrice. Kas era in piedi vicino a un lettino vuoto, mentre l'altro era occupato.

La sognatrice indossava una cuffia di compartecipazione, ma sull'altro lettino, invece di una seconda persona addormentata, erà sistemata una scatola metallica lunga e piatta, da cui partivano i soliti cavi di trasmissione. E la sognatrice non era Tamisan. Per un attimo, lei si era aspettata di vedere se stessa, invece si trattava di un'appartenente alle cosiddette menti chiuse. Impossibile confonderne l'aspetto e l'assoluta mancanza di espressione. L'energia del sogno era dunque creata da una mente chiusa, che lì era probabilmente collegata alla scatola.

Bastarono pochi indizi per aiutare Tamisan a ricostruire anche il resto. Quella non era la stessa sala per sognatori dove lei si era addormentata, ma una stanza molto più piccola. Kas, più che sveglio, era intento a comporre chissà quale combinazione sui tasti della scatola. La mente chiusa e la scatola, combinate insieme, riuscivano a trattenere lei e Starrex lontano dal quel mondo. Ma allora da dove viene quella debole immagine di Kas in uniforme spaziale? E' stata prodotta appositamente per confondermi? Oppure tutto il sogno è destinato a confondermi? Quale strana ragione può giustificare i sospetti che ho percepito in Starrex, a proposito del cugino? Da tutti quei ragionamenti non derivava che un'unica conclusione logica. Lei era stata mandata con il suo padrone in un mondo di sogno e poi bloccata laggiù da una mente chiusa e da una macchina. Verità o sogno… quale dei due?

Ma Kas può vedermi? Se quello fosse stato un sogno la risposta sarebbe stata sì, ma se era la realtà… Le girava la testa per la lunga lista di cose che potevano essere vere o false, o vere solo in parte. Decise di compiere almeno una piccola verifica. Si spostò in avanti e appoggiò la mano su quella di Kas, proprio mentre lui si chinava per regolare ancora qualcosa sulla scatola.

Il giovane trasalì e lanciò un grido. Ritrasse di scatto la mano e si guardò intorno, ma per quanto fissasse proprio nella sua direzione era chiaro che non vedeva nulla. Per lui Tamisan era incorporea proprio come uno spirito delle vecchie leggende. Eppure, anche se non ml vede, ha sentito qualcosa…

Kas si chinò nuovamente sulla scatola e la osservò con attenzione, come se pensasse che la sensazione di cui era rimasto vittima fosse venuta proprio da lì. La sognatrice non si era mossa. Se non fosse stato per il respiro lento e regolare che le gonfiava il torace, e che testimoniava un'immersione profonda nel suo mondo auto-generato, la si sarebbe potuta credere morta. La faccia era pallida ed esangue, tanto che Tamisan, guardandola, si sentì a disagio.

Quella ragazza era rimasta per troppo tempo uno strumento nelle mani di Kas. Bisognava svegliarla, se non ci riusciva da sola. Uno dei pericoli maggiori per le menti chiuse era appunto quello di perdere la capacità di interrompere il sogno. In quel caso, doveva pensarci il guardiano. La maggior parte delle cuffie presentava il dispositivo di guardia incorporato, con tutti gli stimoli necessari per il risveglio, ma quella della sognatrice di Kas aveva subito modifiche apparentemente incomprensibili, e che forse impedivano una corretta interruzione del sogno.

Che cosa sarebbe successo se Tamisan fosse riuscita a indurre il suo risveglio? Anche lei e Starrex, dovunque lui si trovasse in quel momento, si sarebbero liberati del loro sogno per tornare al mondo a cui appartenevano? Tamisan era ben allenata alle tecniche di interruzione del sogno. Le aveva usate spesso, nella realtà, per salvare i malcapitati che avevano superato i tempi di sogno regolamentari.

Allungò una mano, tastò la gola della sognatrice per controllare le pulsazioni ed eseguì un breve massaggio. Ma sebbene le sue mani le sembrassero perfettamente concrete, sulla sognatrice non ottennero alcun effetto positivo. Per prova, Tamisan premette l'indice contro il cuscino del letto. Il cuscino non subì la minima modifica e il dito vi sprofondò come se fosse stato completamente incorporeo.

Esisteva anche un altro sistema. Era piuttosto drastico e veniva usato solo in caso di emergenza. Il che, data la situazione, lo rendeva più che lecito. Tamisan appoggiò le sue dita fatte di nulla alle tempie della sognatrice, appena al di sotto della cuffia. Poi si concentrò su un singolo ordine.

La sognatrice si mosse, i lineamenti tradirono un fremito convulso e dalle sue labbra uscì un gemito.

Kas proruppe in un'esclamazione di rabbia e si chinò sulla scatola.

Le sue dita continuarono a manovrare i tasti, con la cura che si usa per i compiti molto importanti e delicati.

— Svegliati! — ordinò Tamisan chiamando a raccolta tutte le proprie forze.

Le mani della sognatrice si alzarono tremando dal lettino e si avvicinarono lentamente alla cuffia. Gli occhi rimasero chiusi e l'espressione rivelò un dolore intenso, difficile da sopportare. Kas, con il respiro affrettato, continuò a manovrare i pulsanti sulla scatola.

Continuarono a combattere in silenzio per il possesso della sognatrice. Molto lentamente, Tamisan fu costretta ad ammettere che la forza nella scatola, qualunque fosse, superava tutte le tecniche che lei aveva imparato. Kas avrebbe continuato a tenere quella povera disgraziata sotto il proprio dominio, e la morte sarebbe stata una conseguenza inevitabile. Ma lui, forse, non se ne preoccupava.

Se non poteva svegliare la sognatrice e spezzare i vincoli che, ora lo sapeva, tenevano inchiodati lei e Starrex in un mondo che non era il loro, doveva comunque esserci un modo per arrivare a Kas in persona. Aveva pur reagito quando lei l'aveva toccato, poco prima.

Tamisan si scostò dal lettino dov'era stata fino a quel momento e si mise proprio alle spalle del giovane. Lui raddrizzò la schiena e dal suo viso trasparì un certo sollievo. Evidentemente, gli strumenti di controllo sulla scatola riferivano che le interferenze erano cessate.

Lei alzò le mani e gliele mise da una parte e dall'altra della testa, allargando le dita per simulare la forma di una cuffia. Poi le abbassò velocemente, chiudendogliele sulle tempie anche se non poteva esercitare pressioni.

Kas soffocò un grido e scosse la testa, come per liberarsi di qualcosa che lo opprimeva. Tamisan tenne duro, con tutta la determinazione di cui era capace. Una volta, nell'Arnia, aveva assistito proprio a una scena del genere. Allora, però, la tecnica era stata usata su un soggetto docile ed entrambi i protagonisti si trovavano sullo stesso piano di esistenza. Ora, invece, lei poteva solo sperare di disturbare il corso dei pensieri di Kas al punto da convincerlo a liberare di persona la sognatrice. E fu appunto con quello scopo che si mise all'opera. Faticò molto, perché lui non solo scuoteva la testa, ma si dondolava avanti e indietro e dimenava le braccia come per strapparsi di dosso qualcosa. Ben presto fu chiaro che non riusciva a toccarla, così come per lei era impossibile mantenere la presa.

Tutta l'energia che la rendeva capace di creare nuovi mondi e di trasmetterli a un compagno di sogni venne raccolta e impiegata nel tentativo di influenzare Kas. Ma con sua grande delusione, anche se le braccia cessarono di dimenarsi e i tentativi per liberarsi divennero meno pressanti, l'unica reazione che Tamisan riuscì a ottenere fu di fargli chiudere gli occhi e di imprimergli sul viso la stessa espressione di orrore e di ribrezzo che avrebbe potuto assumere un bambino. Kas non si avvicinò alla scatola.

Al contrario, crollò in avanti sul lettino, così all'improvviso che lei fu colta completamente di sorpresa. E, mentre cadeva, urtò con un braccio la scatola e la mandò a schiantarsi sul pavimento. I cavi si tesero e la cuffia sulla testa della sognatrice scivolò via.

Quest'ultima trasse una serie di respiri profondi, e il suo viso cereo incominciò a poco a poco a riprendere colore. Tamisan, ancora scossa dall'esito così inatteso dei suoi sforzi per influenzare Kas, incominciò a chiedersi se per caso non avesse peggiorato definitiva mente la situazione. Non sapeva di preciso quanto c'entrasse la macchina con la possibilità di andare e venire da eventuali mondi paralleli ma, se la scatola si era rotta, esisteva anche la possibilità che loro rimanessero bloccati per sempre.

C'era solo una precauzione da prendere, sempre che fosse possibile. Devo riuscirci, prima di ritornare in quella cella di prigione nel Castello Alto! L'alternativa è che abbandoni Starrex-Hawarel al suo destino o che lasci Kas qui, a manovrare quella dannata macchina che forse funziona ancora. Devo impedirlo. Ma come, dal momento che le mie forze non bastano?…

Tamisan fissò la sognatrice che incominciava a muoversi. La ragazza lottava per uscire dalle profondità di un'incoscienza che non le permetteva neanche di ricordare dove si trovasse. In quello stato, forse era possibile sfruttare i suoi poteri. Non restava che provare.

Tamisan lasciò perdere Kas e le si avvicinò. Le impose ancora una volta le mani sulla fronte, nel tentativo di influenzarla.

La sognatrice si rialzò a sedere con lentezza esasperante. Sembrava che a ognuno dei suoi muscoli fosse legato un peso insopportabile. Si portò le mani alla testa e cercò una cuffia che ormai non c'era più da molti minuti. Poi rimase seduta, con gli occhi ancora chiusi, mentre Tamisan attingeva a tutte le proprie forze per impartire l'ultima serie di ordini.

Alla cieca, dato che non aprì mai gli occhi, la sognatrice tastò il bordo del lettino dov'era rimasta sdraiata per tutto quel tempo fino a trovare i cavi che collegavano la cuffia alla scatola. Le dita, ancora deboli, li strinsero nervosamente e, con un paio di strattoni li liberarono. Con i cavi stretti in una mano, la ragazza scese dal lettino con un movimento rigido e goffo che la fece finire in ginocchio, con la parte superiore del corpo sull'altro lettino e una guancia che toccava quella di Kas, che non aveva ancora ripreso coscienza.

Tamisan era ormai allo stremo delle forze e anche la sua capacità di controllare la ragazza seguiva bruschi sbalzi. L'energia veniva meno e le mani della sognatrice ricadevano inerti, ma ogni volta lei riusciva a dare di nuovo impulso all'azione. Alla fine, tutto sembrò pronto. La cuffia era ben sistemata sulla testa di Kas e i cavi che l'avevano collegata la scatola riposavano sotto la testa della ragazza, su un cuscino.

Un'attrezzatura così scarsa per una situazione tanto importante! Tamisan non poteva contare su nessun risultato, ma solo sperare. La sognatrice sconosciuta appoggiava la testa sul cuscino dalla parte opposta a quella dove si trovava Kas, al quale era comunque collegata mediante i cavi e la cuffia. Lei abbandonò il proprio controllo sulla ragazza e chiamò a raccolta tutte quelle strane forze che sentiva di avere sempre posseduto, che la rendevano diversa dalle altre sognatrici e che aveva sempre tenuto segretamente nascoste. Toccò ancora una volta la fronte della dormiente e interruppe il suo sogno con un altro sogno.

Fu come scalare una montagna ripidissima con un carico intollerabile su una schiena già a pezzi. O come essere obbligati a tirare a galla il peso morto di un altro corpo che rischiava di scomparire nelle sabbie mobili.

Uno sforzo tremendo, che lei non riusciva più a sopportare…

All'improvviso il peso scomparve e il sollievo che provò fu tale che per un attimo a Tamisan bastò la soddisfazione di non essere sprofondata insieme a lui. Aprì gli occhi e quel movimento, per quanto lieve, la lasciò completamente esausta.

Non era più nella torre celeste. I muri che la circondavano erano di pietra e la luce, molto fioca, proveniva da una fessura alta sulla parete che aveva di fronte. Si trovava di nuovo nel Castello Alto. Il punto di partenza per un ritorno alla sua Ty-Kry, che era stato solo un sogno nel sogno. Ma quel tentativo le aveva fruttato qualcosa?

Era troppo stanca anche solo per pensarci. Il ricordo di ciò che aveva visto e fatto dal momento del suo risveglio nella torre celeste di Ty-Kry le fluttuava nella mente a brandelli senza che lei riuscisse ancora a formare un quadro completo.

Fu l'immagine del viso di Hawarel, come l'aveva visto l'ultima volta mentre marciavano verso la nave spaziale, a toglierla da quella specie di nebulosa incoscienza. Si ricordò di lui e della minaccia pronunciata dal capitano della nave, che la Super-Regina non aveva nemmeno voluto ascoltare. Se Tamisan era davvero riuscita a spezzare il vincolo creato da Kas per inchiodarli in quel mondo, forse ci sarebbe stata una via d'uscita. Ma lei era sfinita. Cercò di ricordare la formula per il risveglio e sperimentò un brivido di paura quando la memoria fece cilecca. Non poteva agire subito, doveva prendersi il tempo di far riposare il corpo e la mente. Per il momento aveva fame e sete, e il bisogno di acqua e di cibo era così forte da tormentarla. Vogliono lasciarmi qui senza nessun mezzo per sopravvivere?

Giacque immobile, con le orecchie tese. Poi, dal livello del pavimento dove si trovava, girò impercettibilmente la testa per scrutare la profondità delle tenebre che la circondavano. Non era sola.

Kas!

Era riuscita a portare Kas con sé? Se era così e lui aveva conservato le sembianze di sempre, dipendeva forse dal fatto che non possedeva una controparte in quel mondo?

Tamisan non ebbe il tempo di valutare quella possibilità perché si udì un secco rumore metallico. Uno spiraglio di luce delineò la sagoma di una porta e l'alone della torcia illuminò lo stesso ufficiale che era già stato in precedenza la sua scorta. Lei si sollevò, facendo leva sulle braccia. Nello stesso istante, dall'angolo più estremo della cella provenne un grido.

In quel punto c'era qualcuno. Una testa si alzò, rivelando gli stessi lineamenti che lei aveva visto per l'ultima volta nella torre celeste. Kas aveva mantenuto il corpo che gli era sempre appartenuto. Arrancò per rimettersi in piedi, mentre l'ufficiale e una guardia accorsa alle sue spalle lo fissavano dalla soglia come se non riuscissero a credere ai propri occhi Lui scrollò la testa, come per liberarsi da una nebbia che gli offuscava la mente.

Scoprì i denti in un ghigno terrificante e tese davanti a sé una minuscola pistola a laser. Lei non poteva muoversi e lui l'avrebbe incenerita. Per un attimo, Tamisan ne fu talmente sicura da non provare nemmeno paura. Si limitò ad attendere che la sua carne si trasformasse in fumo.

Invece, l'arma la scavalcò per puntare verso la porta. L'ufficiale e la guardia crollarono sotto l'effetto del raggio. Kas avanzò, con una mano contro il muro per sostenersi, fino a raggiungerla. Solo allora si staccò dal muro di pietra, trasferì la pistola da una mano all'altra e si chinò per toccarle il vestito all'altezza della spalla.

— In… piedi. — Pronunciò quelle parole con estrema difficoltà, come se la stanchezza che provava uguagliasse la sua. — Non so come, chi e perché…

La torcia, caduta insieme alla mano carbonizzata dell'uomo che l'aveva sostenuta fino a poco prima, irradiava una debole luce. Kas obbligò la ragazza a girarsi, avvicinando il viso per guardarla meglio. La fissò con intensità, come se pensasse di strapparle di dosso la maschera con la sola forza del proprio sguardo, per far riemergere la persona che cercava.

— Tu sei Tamisan… non può essere altrimenti! Non so come sei riuscita a fare questo, figlia del demonio. — La scrollò con violenza, inchiodandola contro il muro. — Dov'è lui?

Dalla gola disseccata della ragazza non uscirono che suoni rauchi e indistinti.

— Non importa. — Kas parve raddrizzarsi e dalla sua voce trasparì una maggiore energia. — Lo troverò, dovunque sia. E non perderò neanche te, demonio, perché rappresenti il mio biglietto di ritorno. Quanto a Lord Starrex, qui non ci saranno né guardie né ripari capaci di salvarlo. Forse è meglio così, dopotutto. Che cos'è questo posto? Rispondi! — La schiaffeggiò e il colpo fu così violento che lei batté la testa contro la parete e il bordo della corona la ferì, strappandole un grido.

— Parla! Dove siamo?

— Nel Castello Alto di Ty-Kry — riuscì finalmente a dire Tamisan.

— E che cosa ci fai in questo buco?

— Sono prigioniera della Super-Regina.

— Prigioniera? Che cosa significa? Sei una sognatrice, e questo è il tuo sogno. Perché sei prigioniera?

Lei era così sconvolta e stordita da non riuscire nemmeno a mettere insieme le parole, figurarsi a formulare una spiegazione sul genere di quella fornita a Starrex. In ogni caso, pensò, Kas sarebbe stato comunque poco disposto a crederle.

— Non è… interamente un sogno — asserì.

Lui non parve sorpreso. — Dunque, il tuo controllo ha questa funzione, non è vero? Conferisce un senso di realtà. — Gli occhi si fissarono nei suoi cupi e ardenti.

— Ma questa volta non riesci a controllare la tua creazione. Magnifico. A quanto sembra, la fortuna mi assiste.

Dove si trova Starrex, in questo momento?

Poteva dargli una risposta sincera e ne fu felice, perché non credeva che sarebbe riuscita a mentirgli con successo. I suoi occhi erano così penetranti che probabilmente sarebbe riuscito a leggerle nel pensiero. — Non lo so.

— Ma si trova in questo sogno, da qualche parte?

— Si.

— Allora lo troverai per me, Tamisan. E in fretta. Dobbiamo cercarlo in questo castello?

— Quando l'ho visto l'ultima volta era fuori.

La porta, con quello che vi stava in mezzo, le incuteva ribrezzo, tanto che evitava di guardare per non sentirsi male. Ma lui la trascinò proprio in quella direzione. Tamisan non aveva idea di dove si trovassero all'interno della cittadella che prendeva il nome di Castello Alto. Quella volta, le guardie non l'avevano condotta vicino alle torri centrali, ma avevano girato subito dopo il primo muro di cinta e l'avevano fatta scendere per una lunga serie di scale. E in ogni caso, dubitava di poter uscire dalla fortezza con la facilità che Kas sembrava aspettarsi.

— Vieni. — Lui la tirò, senza riguardi, e spinse da parte con un calcio ciò che giaceva in mezzo alla porta. Tamisan chiuse gli occhi, ma il fetore della carne carbonizzata era così forte che barcollò, scossa dai conati di vomito.

Kas continuò a tirare, impietoso, obbligandola a camminare e a seguirlo in fretta.

Per due volte si trovò ad assistere, testimone impassibile, al tremendo spettacolo di due guardie arse vive. Kas aveva dalla sua il vantaggio della sorpresa. Arrivarono ai piedi delle scale, incominciarono a salire e Tamisan iniziò a sperare che ce l'avrebbero fatta. Anche perché, ora che si ritrovava in piedi e che camminava, le sembrava di aver ritrovato gran parte delle proprie energie. Perlomeno non sarebbe caduta, anche se Kas la lasciava andare. Quando finalmente uscirono all'aperto, nel buio della notte, l'odore dei sottopassaggi venne spazzato via da un vento leggero e lei si sentì fresca e rinnovata, tanto da riuscire di nuovo a riflettere con lucidità.

Kas l'aveva portata con sé perché la riteneva tanto debole da non riuscire a causargli fastidi, e lei avrebbe continuato a farsi credere tale finché non le fosse capitata l'occasione giusta per agire. Forse la sua arma, così estranea a quel mondo e dunque doppiamente efficace, poteva condurli davvero fino a Starrex. La qual cosa non significava che, una volta raggiunto l'obiettivo, lei avrebbe continuato a obbedire a Kas. Senza contare che, a faccia a faccia con il cugino, anche Kas poteva perdere gran parte della propria sicurezza.

Non fu una guardia a fermarli, ma un cancello dall'aria massiccia. Kas esaminò il catenaccio e rise, prima di alzare la pistola e inviare un raggio sottile come un ago a tagliare il ferro dov'era necessario. Si udì un grido di allarme sopra alle loro teste e lui, senza fretta, diresse il raggio verso una scaletta stretta che scendeva dai bastioni. Continuò a ridere quando il grido si interruppe e un corpo inerte piombò al suolo.

— Adesso. — Kas puntò la spalla contro il cancello e lo aprì con con una facilità che Tamisan non avrebbe mai ritenuto possibile. — Da che parte si trova Starrex? Non ti consiglio di mentire… — Le labbra si curvarono in un ghigno carico di minacce.

— Là.— Ormai Tamisan era sicura della direzione giusta. Indicò il punto dove una corona di torce circondava la sagoma di una nave spaziale a terra.

 

7

 

— Una nave!

— Sì. Una nave assediata dalla gente del posto — lo informò lei.

— Starrex è a bordo come ostaggio, sempre che sia ancora vivo. Hanno minacciato di usarlo in qualche modo come arma e la Super-Regina, per quanto ne so, non se ne cura.

Kas si girò verso di lei, e dal suo volto sembrò scomparsa ogni traccia di divertimento. Rise e parve che ringhiasse. Poi scrollò la testa. — E' il tuo sogno, controllalo!

Per un attimo Tamisan esitò. Doveva cercare di spiegargli quali fossero i suoi sospetti? Kas e la sua arma rappresentavano forse l'unica speranza di raggiungere Starrex e lui si sarebbe sicuramente prestato anche a un attacco frontale, in mancanza di alternative. Ma che cosa sarebbe successo se lei gli avesse rivelato che non era più tanto certa di poter interrompere il sogno? Con ogni probabilità l'avrebbe incenerita e poi si sarebbe preoccupato di salvare la pelle.

Ma lei aveva un'idea migliore.

— Le sue interferenze hanno scombinato tutto lo schema, Lord Kas. Ho perso il controllo su alcuni elementi e non posso interrompere il sogno finché Lord Starrex non sarà qui con me, perché in questo schema eravamo legati. Un risposta tanto ferma parve sortire un certo effetto.

Kas la scrollò ancora una volta per punirla della sua insolenza e brontolò un'oscenità, ma fissò lo sguardo sulle torce e sulla sagoma della nave, come per formulare un piano.

Descrissero un ampio cerchio attorno allo spiazzo, tenendosi bene in ombra, e sbucarono dalla pianura a sud della nave. Qualcosa di grigio nel cielo all'orizzonte, suggeriva che forse l'alba non era lontana. Ora che riuscivano a vederla meglio, si capiva subito che la nave era sigillata. Niente portelli aperti in superficie, niente rampe di risalita.

In quelle condizioni, nemmeno la pistola di Kas poteva aprir loro la strada, come era successo con il cancello del Castello Alto.

Apparentemente anche lui approdò alle stesse conclusioni, perché si fermò di scatto prima di raggiungere lo spiazzo, obbligandola a fare altrettanto. Le torce facevano quadrato intorno alla nave e loro si trovavano a qualche decina di metri di distanza, riparati da un affossamento del terreno.

Le torce, che all'inizio erano state sostenute dalle guardie reali, ora erano piantate direttamente nel terreno, a intervalli regolari, e sembravano tante gigantesche candele. La massa variopinta che aveva fatto corona alla Super-Regina e al suo corteo durante la prima visita di Tamisan aveva lasciato il posto a un'unica linea di guardie che circondavano da vicino la nave sigillata.

C'era da chiedersi perché l'equipaggio non decollasse per atterrare da qualche altra parte. Forse la confusione di cui era stata testimone poco prima del momento di scendere a terra significava proprio che la nave non poteva muoversi. Si era anche parlato di una nave gemella in orbita, che per il momento non aveva fatto nulla per aiutarli, anche se lei non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso dall'inizio di quella vicenda.

Kas si girò di nuovo verso di lei.

— Puoi mandare un messaggio a Starrex? — domandò.

— Posso provare. Perché?

— Digli di chiedere il permesso per noi di salire a bordo. — Kas era rimasto in silenzio per un attimo prima di fornirle la spiegazione richiesta.

E' così stupido da credere che non potrei inviargli anche un avvertimento, insieme al messaggio? Oppure ha già preso le sue precauzioni? E poi, sono davvero in grado di comunicare con Starrex? Tamisan aveva creato un sogno secondario per entrare in contatto con Kas, ma adesso non c'era tempo per replicare la stessa procedura. Poteva solo applicare la tecnica mentale di induzione al sogno e vedere che cosa provocava. Glielo disse, senza promettere nulla.

— Fai quello che puoi. E fallo subito! — replicò lui, brusco.

Tamisan chiuse gli occhi per ripensare ad Hawarel come l'aveva visto l'ultima volta, in piedi accanto a lei in quello stesso campo. Udì Kas soffocare un'esclamazione di stupore. Aprì gli occhi e vide Hawarel, proprio come se fosse stato lì di persona. La sua copia, purtroppo, incominciò subito a impallidire e a farsi più indistinta, come se dovesse svanire da un momento all'altro. Lei non perse altro tempo.

— Riferisci ai Capitano che veniamo a parlargli da parte della Super-Regina — disse in fretta. La sagoma evanescente di Hawarel scomparve nella notte.

— In che modo può esserci utile uno stupido fantasma? — borbottò Kas, irritato.

— Se ritorna all'entità di cui fa parte riuscirà a consegnare il messaggio. Quanto al resto… — Tamisan si strinse nelle spalle. — Ti ho già detto che questo è un sogno che non riesco a controllare. Credi che se ci riuscissi ci troveremmo qui in questo stato?

Lui schiuse le labbra in uno dei suoi soliti sorrisi privi di allegria.

— Tu non ci saresti, sognatrice. Di questo, sono più che sicuro!

Girò la testa a destra e a sinistra, sorvegliando lentamente la fila di torce piantate a terra e gli uomini di guardia alla nave. — Ci spostiamo in avanti, sperando che ci aprano?

— Hanno usato un raggio paralizzante per catturarci, all'inizio — lo avvertì lei. — Potrebbero rifarlo.

— Un raggio paralizzante. — Kas sventolò la pistola laser e lei si augurò che non avesse intenzione di sferrare con quella un attacco all'interno della nave.

Lui usò la pistola per farle cenno di precederlo verso la fila torce. — Grazie dell'avvertimento — commentò. — Se aprono, adesso so che cosa ci aspetta.

Tamisan raccolse attorno gambe la lunga gonna del veste era strappata in più punti e aveva l'orlo così sfilacciato da farla inciampare a ogni passo. Per di si impigliava nei cespugli che contornavano la radura, alti fino al ginocchio, e la faceva barcollare, rallentando l'andatura e provocando la collera di Kas, che continuava a spingerla, affondando le dita nelle spalle già livide.

Raggiunsero finalmente la di torce. Le guardie tenevano la faccia rivolta alla nave e in quella linea di luce Tamisan vide che no tutti armati di balestra, e non di quegli strani archi d'osso usati dagli gli uomini in nero per lanciare le frecce. Una pioggia di dardi contro tutte le armi della nave. Sembrava un confronto ridicolo, una burla per divertire la gente semplice. Eppure, la nave era ancora lì e lei ricordava bene la costernazione degli uomini con cui aveva parlato all'interno.

Sullo scafo della nave c'era un'ombra più scura. Un portello si aprì all'improvviso e lei lo riconobbe subito per uno strumento di battaglia, anche se l'aveva visto solo sui nastri.

— Kas, ci sparano! — Con un raggio laser, da quel punto, erano in grado di arrostire tutto quello che si trovava sul campo e di spazzar via ogni cosa fino alle mura del Castello Alto.

Tamisan cercò di sfuggire alla presa di quelle mani d'acciaio e di correre il più lontano possibile, ma era una battaglia persa in partenza. Kas non la lasciò andare.

— Niente bocche da fuoco. — osservò.

Lei cercò di vedere meglio attraverso la luce tremula delle torce. Forse fu un lampo nel cielo a rendere definitivamente chiaro che dal portello non spuntavano armi capaci di proiettare su di loro una vampata di fuoco e fiamme. Eppure, quel portello era stato creato per sparare.

In fretta come si era aperto, il portello si chiuse. La nave era di nuovo ermeticamente chiusa.

— Be'?

Kas fornì una risposta alla sua mezza domanda. — O non possono o non vogliono usarla. Il che significa, in ogni caso, che abbiamo una possibilità. Non muoverti da qui! Se cerchi di prendere il volo, giuro che ti verrò a cercare e che te ne farò pentire amaramente. Ti ritroverò, stai tranquilla! — Lei non aveva intenzione di metterlo alla prova.

Rimase immobile. Anche senza le minacce di Kas, dove avrebbe potuto andare? Se qualcuna delle guardie la vedeva, nella migliore delle ipotesi l'avrebbe riportata in cella. Lei, invece, aveva disperatamente bisogno di raggiungere Starrex. Se voleva uscire da quell'incubo.

Guardò Kas sfruttare al massimo l'interesse che teneva inchiodati gli occhi delle guardie alla nave. Il giovane strisciò alle spalle di uno degli uomini in divisa con una rapidità davvero straordinaria per chi fosse abituato al lusso di una torre celeste.

Non si vide che arma usò, ma non si trattò comunque del laser. Tamisan lo scorse ergersi all'improvviso in tutta la sua altezza alle spalle della guardia ignara, stendere un braccio e, in apparenza, toccare semplicemente l'uomo sul collo. Il malcapitato si afflosciò senza un suono. Kas lo afferrò prima che cadesse a terra e lo trascinò indietro, fino alla leggera depressione nel terreno dove Tamisan l'aspettava.

— Svelta — ordinò. — Dammi il suo mantello e l'elmo.

Si liberò in fretta della stravagante tunica con le spalle imbottite, mentre Tamisan si chinava per sganciare il fermaglio e togliere il mantello alla guardia. Spazientito, lui glielo tolse di mano, lo strappò da sotto il corpo dell'uomo appena ucciso e sè lo mise sulle spalle. Sfilò l'elmo e se lo assestò in testa, poi prese anche la balestra.

— Cammina davanti a me — intimò a Tamisan. — Se quelli della nave hanno una telecamera a largo raggio in funzione, voglio che vedano una prigioniera sotto tiro. Forse questo li convincerà a trattare. E' una possibilità molto labile, ma non abbiamo di meglio.

Non poteva sapere che il trucco aveva davvero qualche possibilità di riuscita, dal momento che lei era già salita una volta a bordo e forse era attesa di ritorno con un messaggio della Super-Regina. Tamisan gli aveva raccontato solo il minimo indispensabile, e anche adesso si guardò bene dal rivelargli che sarebbe stato un suicidio attraversare la linea di luce a testa alta, rischiando di farsi notare dalle altre guardie molto prima di essere sufficientemente vicini alla nave. Dopotutto, non aveva alternative da suggerire.

Quella non era un'avventura come le altre vissute tante volte in sogno. Era certa che se fosse morta lì sarebbe stato per sempre e non avrebbe più avuto la possibilità di svegliarsi al sicuro nel suo mondo. I muscoli erano rigidi per la paura. Aveva la bocca secca e le mani così sudate e tremanti da non riuscire a reggere le pieghe del vestito. Da adesso in poi qualunque momento è buono per sentire l'impatto di una freccia, per udire un grido, per essere…

Eppure avanzò, un passo dopo l'altro, con le orecchie tese a percepire ogni più piccolo rumore. Il lieve scalpiccio dei passi di Kas alle sue spalle, e lo sprezzo del pericolo che lùi dimostrava, la portarono a domandarsi se il giovane fosse cosciente di trovarsi in un sogno che lei non riusciva più a controllare. Se lo avesse capito, probabilmente avrebbe smesso di considerarla come l'unica persona da cui guardarsi. Ma Tamisan non riusciva a trovare le parole per chiarirgli un equivoco tanto triste.

Era così preoccupata di un attacco alle spalle da non badare nemmeno più alla nave. Poi, all'improvviso, vide un altro portello aprirsi e si irrigidì, in attesa dello sconvolgente effetto del raggio paralizzante.

Ma, ancora una volta, l'attacco che si aspettava non arrivò. Il cielo si schiarì, anche se non c'era traccia di sole, e un temporale di passaggio lasciò cadere le prime gocce di pioggia. L'umidità e l'improvviso abbassamento di pressione provocato dalle nuvole fece sibilare e crepitare le torce, che alla fine si spensero. La visibilità non peggiorò di molto.

Arrivarono abbastanza vicini alla nave da salire a bordo, a patto che una rampa si abbassasse, e rimasero fermi ad aspettare. Tamisan sentì crescere dentro di sé una specie di allegria isterica. E se quelli della nave si rifiutano di accoglierci? Che brutto colpo! Non potevano di certo rimanere lì all'infinito, e non avevano nemmeno il modo di aprirsi una strada all'interno con la forza. La fiducia di Kas nella possibilità che lei stabilisse un contatto con il fantasma di Hawarel era stata troppo alta.

Invece, proprio mentre Tamisan si prospettava ormai il fallimento più assoluto, sopra di loro si udì un suono simile a un sospiro. Il portello di un boccaporto ruotò su se stesso e scomparve nella parete metallica della nave. Una minuscola rampa, poco più solida di una scala di legno, sbucò dall'alto, cigolò e affondò nel terreno bruciacchiato a pochi passi da loro.

— Vai! — Kas la incitò a salire.

Tamisan scrollò le spalle e obbedì. Era difficile salire, con le gonne stracciate e appesantite dalla pioggia. Si aggrappò con tutte e due le mani all'unico corrimano della rampa e cercò di fare del suo meglio. Non riusciva ancora a credere che gli uomini di guardia alla nave non avessero fatto nulla per fermarli. Possibile che il travestimento di Kas li avesse ingannati? Avevano forse creduto che lei fosse stata inviata per la seconda volta a parlamentare con gli occupanti della nave?

Ormai aveva raggiunto l'apertura del boccaporto, e poteva vedere gli uomini in tuta, fermi ad aspettarla all'interno. I lanciarete erano spianati. Ancora qualche secondo e loro due si sarebbero ritrovati avvolti da un groviglio di lacci autoavvolgenti capaci di impedire qualunque movimento. Ma prima che i lanciarete sparassero e i lacci si chiudessero sulle loro prede, ancorandosi a ogni brandello di carne scoperta, gli uomini in tuta si portarono le mani ormai carbonizzate al petto e ricaddero in forme scheletriche sul pavimento, liberando piccole e macabre spirali di fumo.

Si aspettavano un uomo armato di balestra e avevano incontrato una pistola a laser, che li aveva spiazzati esattamente come era successo ai soldati di guardia al Castello. Una spallata di Kas nel bel mezzo della schiena mandò Tamisan a ruzzolare sui corpi carbonizzati degli uomini che erano stati mandati ad accoglierli.

Lei sentì i rumori di un nuovo attacco, e cercò di sfuggire ai colpi facendosi da parte, lontano dalla bocca di apertura della nave. Le gonne continuavano a intralciarle i movimenti ma in qualche modo, aiutandosi con le mani e con le ginocchia, Tamisan riuscì ad avanzare. In ogni caso, non avrebbe potuto ritirarsi. Si appiattì contro la parete di un breve corridoio e si girò quanto bastava per vedere come andava a finire.

Due uomini erano già morti. Ma Kas ne teneva sotto tiro un terzo. Senza nemmeno guardarsi intorno, impartì un ordine a cui lei obbedì meccanicamente.

— Il lanciarete, presto!

Ancora carponi, Tamisan si addentrò nello scompartimento quanto bastava per raggiungerne uno. Ce n'era anche un altro, e lei sentì improvvisamente rinascere in sé il desiderio di un minimo di difesa personale. Kas non le diede il tempo di organizzarsi.

— Sbrigati!

Con la pistola laser ancora saldamente puntata al petto del terzo soldato, Kas tese una mano indietro, senza guardare.

Non ho scelta. Non ho scelta, eppure… Si sbaglia se crede di avermi completamente domato. Tamisan si girò di scatto, con il lanciarete in mano, e sparò senza neanche prendere la mira.

Il materiale adesivo roteò nell'aria e andò a colpire il muro, da dove si staccò rimbalzando. Colpì un braccio del prigioniero, che se ne stava immobile sotto il tiro della pistola laser e si spiegò nell'aria raggiungendo in pieno Kas. Gli imprigionò la mano armata, gli si avviluppò alla vita e raggiunse anche l'altro braccio, aderendovi all'istante e avviluppando insieme prigioniero e carceriere.

Kas lottò contro quei lacci che gli toglievano mobilità e cercò di puntare il laser contro Tamisan. Probabilmente avrebbe sparato, accecato com'era dalla collera, ma la rete avvolgente glielo impedì. In un colpo solo lei aveva neutralizzato entrambi gli uomini che la minacciavano. Se ne rese conto all'improvviso, tolse il dito dal grilletto del lanciarete e si concesse un profondo sospiro di sollievo.

Ma non era finita. Doveva assicurarsi che Kas fosse definitivamente in condizione di non nuocere. Alzò di nuovo la pistola e questa volta prese la mira con cura, centrandogli le gambe. Lui restò in piedi, immobile come sotto l'effetto di un raggio paralizzante.

Tamisan gli si avvicinò con cautela. Dovette scansarsi di colpo perché lui, intuendo le sue intenzioni, incominciò a dimenarsi nel tentativo di avvicinarle i lacci autoavvolgenti alle porzioni di pelle scoperta. Lei reagì strappando una striscia di tessuto dalla gonna ormai lacera e avvolgendosela attorno alla mano per non lasciarsi intrappolare.

Dovette lottare, ma alla fine riuscì a togliergli dalle dita la pistola laser. Per la seconda volta, Tamisan si sentì sommergere da un'ondata di sollievo. Lui non parlò, ma negli occhi gli brillò una luce selvaggia. Gli venne persino la schiuma alla bocca e una goccia di saliva gli scivolò lungo il mento. In quel momento, fissandolo spassionatamente, lei pensò che fosse pazzo.

Il soldato superstite si stava muovendo. Strisciava lateralmente, mentre lei dondolava la pistola in segno di avvertimento. Teneva le spalle saldamente appoggiate al muro per non perdere l'equilibrio e il fatto che non avesse le gambe impigliate gli lasciava una certa libertà di movimento, nonostante i lacci che lo ancoravano a Kas. Tamisan si guardò intorno, cercando l'oggetto che lui sembrava così ansioso di raggiungere. E vide una scatola di comunicazione.

— Fermo dove sei! — ordinò.

La minaccia del laser immobilizzò l'uomo all'istante. Con la pistola ancora puntata su di lui, Tamisan sbirciò più volte al di sopra della spalla per tenere d'occhio il portello. Scivolò lungo la parete a un passo per volta, con il lanciarete che le pendeva dondolando dal centro della cintura, e arrivò a chiudere il portello con un colpo secco, senza dimenticarsi di girare il catenaccio.

Poi, usando la pistola come indicatore, fece cenno al soldato di avvicinarsi al dispositivo di comunicazione. Ma il corpo immobile di Kas era una zavorra troppo pesante. Se la sentiva di affrontare l'uomo da sola? Non c'era alternativa. Con una mano gli fece cenno di muoversi.

— Spostati in là.

Lui non aveva detto nulla durante tutto quel tempo, ma l'agilità con cui obbedì lasciò intendere che la vista di quella pistola tra le sue mani gli piaceva ancora meno di quando si trovava in mano a Kas. Tese la corda fino al massimo limite consentito, finché lei non fu in grado di bruciarla.

Kas sputò una serie di volgarità che, per quanto la riguardava, erano solo dei rumori senza senso. Fino al momento della loro partenza da quel mondo, per lei Kas sarebbe rimasto solo un pacco ben legato e zavorrato. Il marinaio, invece, era molto più importante.

Raggiunse il dispositivo prima di lui. e glielo indicò. Mise in gioco la carta migliore che aveva, in un tentativo disperato.

— Dov'è Hawarel, l'indigeno che è stato portato a bordo?

Era chiaro che l'uomo poteva mentire, e lei non l'avrebbe mai saputo. Ma sembrava disposto a rispondere, forse perché pensava che la verità la ferisse più di qualunque bugia.

— Lo tengono nel laboratorio, per sottoporlo al condizionamento. — Sogghignò, con un po' di quella maligna soddisfazione che lei aveva già notato in Kas.

Tamisan ricordò la minaccia iniziale del Capitano, quella di ridurre Hawarel a uno strumento da usare contro la Super-Regina e le sue guardie. Era forse arrivata troppo tardi? Non le rimaneva che un'unica strada da prendere, quella stessa che aveva scelto poco prima, nei brevi istanti in cui si era impadronita del lanciarete e l'aveva usato.

Parlò come se fosse convinta che il suo interlocutore facesse fatica a comprenderla. — Adesso chiamerai, e chiederai che Hawarel venga rilasciato e condotto qui.

— Perché dovrei? — rispose il marinaio, in tono insolente. — Che cosa pensi di fare? Uccidermi? Fai pure, ma non riuscirai a intralciare i piani del Capitano. E' disposto a vederci bruciare a uno a uno.

— Forse sì — replicò lei. Non conosceva abbastanza il Capitano per stabilire se si trattava di un bluff. — Ma credi che il sacrificio di quell'uomo basti a salvare la nave?

— Tu puoi fare qualcosa? — ribatté lui. Poi tacque. Il sogghigno scomparve e nei suoi occhi brillo una curiosità nuova. Forse, in quella veste, lei non sembrava così tremenda da costituire una seria minaccia per la nave, ma lui non poteva esserne certo. C'era una lezione che anche Tamisan aveva imparato, nel proprio tempo e nel proprio spazio. Viaggiando tra le stelle e visitando nuovi pianeti, nessuno doveva mai dare nulla per scontato. Ci si poteva sempre imbattere in qualcuno che possedeva poteri sconosciuti.

— Che cosa posso fare? Abbastanza, mi sembra. — Cercò di trarre tutti i vantaggi possibili da quell'attimo di esitazione. — Siete forse riusciti a far decollare la nave? — Si spinse oltre, sperando disperatamente di aver colto nel segno. — Siete stati capaci di mettervi in contatto con la nave, o con le navi, che vi aspettano in orbita nello spazio?

Le bastò l'espressione che gli lesse sul viso, come risposta. La speranza lievitò e divenne eccitazione. La nave era davvero inchiodata al suolo. Nemmeno loro erano stati capaci di spezzare il vincolo che le impediva di alzarsi nello spazio.

— Il Capitano non ti ascolterà. — Il tono era astioso.

— Staremo a vedere.

Digli di portare Hawarel qui, e di venire anche lui, altrimenti vi mostreremo per davvero che cosa è successo a quel relitto al margine del campo.

Kas non aveva più detto una sola parola. La fissava, non con l'aria stanca del marinaio, ma con una specie di intensa emozione che lei non riusciva a classificare. Sorpresa, forse? Oppure la speranza segreta di trarre vantaggio del suo bluff, pur nella condizione di prigioniero?

— Parla! — Tamisan si sentì rodere dal bisogno di affrettare i tempi.

Ormai, quelli del piano superiore incominciavano senz'altro a chiedersi che fine avessero fatto i nuovi prigionieri.

E le guardie, all'esterno, avevano sicuramente riferito alla Super-Regina che la Bocca di Olava era entrata nella nave in compagnia di qualcuno che indossava la loro divisa I nemici potevano farsi avanti su due fronti.

— Non arrivo ad azionare il dispositivo — si difese il marinaio.

— Dimmi come si fa.

— Basta schiacciare il pulsante rosso.

Lei gli lesse negli occhi un lampo di sfida. Alzò la mano e schiacciò il pulsante verde, senza peraltro accusarlo di averla ingannata.

— Avanti, parla! — ordinò ancora, con rabbia.

— Qui Sannard. — L'uomo avvicinò il più possibile le labbra al dispositivo. — Mi hanno preso. Rooso e Cambre sono morti. Vogliono l'indigeno…

— In buone condizioni — sibilò Tamisan. — E subito!

— Lo vogliono qui subito, in buone condizioni — ripeté Sannard — Minacciano di distruggere la nave.

Nessuna risposta. Era possibile che il pulsante giusto fosse proprio quello rosso e che lei avesse sbagliato a non fidarsi? Che cosa sarebbe successo? Non poteva aspettare.

— Sannard. — La voce che usciva dal dispositivo aveva un timbro metallico ed era priva di toni o inflessioni umane.

— Signore?

Ma lei gli diede una spinta che lo mandò prima a sbattere contro la parete e poi a ricadere su Kas. I lacci immediatamente si unirono e i due diventarono un unico recalcitrante fagotto. Tamisan avvicinò il dispositivo alle labbra.

— Capitano, non scherzo. Mandatemi il prigioniero oppure guardate bene il relitto là fuori e ripetetevi a vicenda "quella sarà la fine della nostra nave". Perché è così, com'è vero che uno dei vostri uomini è mio prigioniero. Mandatemi Hawarel da solo, e pregate tutte le potenze immortali a cui siete devoti che lui possa camminare fin qui! Ormai c'è poco tempo, e se non farete come vi dico il vostro destino sarà segnato. Vi garantisco che non vi piacerà.

Il marinaio, con le gambe ancora libere, cercava di staccarsi da Kas a suon di calci. Ma i suoi sforzi servivano solo a farli rotolare sul pavimento in un groviglio sempre più stretto. Tamisan si appoggiò alla parete, con le mani abbandonate lungo i fianchi e il respiro corto. Desiderava con tutta se stessa di riuscire a controllare gli avvenimenti come faceva nei sogni, ma ormai tutto sembrava nelle mani del destino.

 

8

 

Appoggiata alla parete, lei si sentì di colpo rigida come se l'avessero rivestita d'acciaio. Il tempo scorreva con una lentezza esasperante e la sensazione di impotenza cresceva, imprigionandole il corpo e lo spirito. Il soldato e Kas ormai non lottavano più. Il primo aveva la faccia nascosta, mentre i lineamenti dell'altro erano ben visibili, così contratti e distorti da fare paura. Era come se, davanti agli occhi della sognatrice e comunque non per sua volontà, Kas cambiasse per diventare un altro.

Rappresentava un pericolo. Tamisan se n'era accorta fin dal momento del suo ritorno nella torre celeste, durante il secondo sogno. E anche adesso provò l'impulso di ritrarsi ancora più lontano, come se la sola forza del suo sguardo intensamente ostile potesse in qualche modo tramutarsi in un'arma. Lui continuò a fissarla, immobile e minaccioso, come se avesse già previsto per lei una terrificante sconfitta.

Ne sapeva così poco, pensò Tamisan. Eppure si era sempre preoccupata di raccogliere informazioni utili, in nome di quella cultura che riteneva necessaria per la tessitura dei sogni di azione. In quel momento, per esempio, l'equipaggio stava forse studiando il modo di inondare lo scompartimento di gas velenosi, o di ucciderli utilizzando il raggio nascosto di qualche telecamera. Lei si ritrovò a passare freneticamente le mani lungo le pareti della stanza e a studiarne la superficie ininterrotta, alla ricerca di una fessura da dove la morte potesse arrivare, silenziosa e invisibile.

Il corridoio si concludeva con un'altra porta a chiusura ermetica, dalla parte opposta a quella dove si trovavano i prigionieri, e a pochi passi dal portello esterno c'era una scala, che saliva verso una botola chiusa. Lei continuò a girare la testa da una parte all'altra, per tenere d'occhio questa o quella entrata, finché non riuscì a guadagnare di nuovo un controllo più fermo sul proprio sistema nervoso. Se aspettano ancora finiranno per scoprire che li ho ingannati… questione di poco…

Ecco! Avevano aspettato e adesso…

L'aria attorno a loro stava cambiando e portava con sé un aroma fastidioso. Non era cattivo, ma anche il profumo più celestiale sarebbe sembrato disgustoso in quelle condizioni. Persino la luce che si irradiava dal punto di giunzione tra il soffitto dello scompartimento e quello del corridoio incominciava a cambiare. Se prima assomigliava a quella di un normale giorno di sole adesso sembrava quasi blu. Sotto quella luce, la sua pelle marrone assumeva una colorazione bizzarra. Ho perso il mio equilibrio! Forse, se riuscissi a riaprire il portello e a far entrare un po' d'aria…

Barcollò fino a raggiungerlo, mise le mani sul sistema di chiusura e raccolse le forze per sbloccarlo. Intanto, Kas aveva ripreso a lottare per liberarsi dal suo involontario compagno. Stranamente, il soldato non reagì. Il corpo rimase esanime e, quando i contorcimenti di Kas raggiunsero il parossismo, la testa si rovesciò all'indietro. Aveva gli occhi chiusi. Nello stesso istante lei, appoggiata alla parete e concentrata nello sforzo di aprire il portello, sperimentò un lampo di sorpresa. Era solo colpa dell'immaginazione troppo fervida se aveva la sensazione di essere in pericolo? Si riposò un attimo e prese fiato.

Era così sorpresa che si sarebbe messa a urlare, invece si lasciò sfuggire solo un gemito impercettibile. Stava guadagnando forza, non il contrario. Respirò a pieni polmoni quell'aria profumata e il suo respiro divenne sempre più profondo e regolare, come se fosse proprio il corpo a reclamare quel nutrimento. La sensazione era rigenerante.

Anche per Kas? Si girò a guardarlo. Mentre lei respirava a fondo e con apprensione sempre minore lui rantolava. La faccia, sempre più orrenda in quella luce spettrale, ebbe un sussulto. I movimenti cessarono e la testa ricadde all'indietro come quella del soldato inerte a cui era legato.

Qualunque cambiamento fosse avvenuto lì dentro aveva avuto effetto sui due uomini, sebbene in tempi diversi, ma non su di lei. L'immaginazione, ben allenata, spiccò un altro balzo. Forse non aveva avuto torto nel prospettare un pericolo imminente agli uomini della nave. Anche se non aveva idea dei mezzi impiegati, era molto probabile che quanto stava succedendo fosse opera della Super-Regina.

E Hawarel? Non credeva che il Capitano e gli altri avessero mai avuto l'intenzione di rilasciarlo davvero. Devo correre il rischio di andare a cercarlo? Tamisan tentennò, con una mano sulla serratura del portello e lo sguardo puntato verso l'altra porta. Se l'aria profumata aveva avuto lo stesso effetto anche sulle altre persone a bordo, nessuno sarebbe stato in grado di fermarla. Al contrario, se lei lasciava la nave avrebbe perso le chiavi per rientrare nel suo mondo e probabilmente si sarebbe trovata in una pessima situazione, nelle mani della Super-Regina. Era fuggita di prigione lasciandosi alle spalle più di una guardia uccisa. Rabbrividì, pensando a quello che le spettava come Bocca di Olava se per caso l'accusavano di aver praticato atti soprannaturali dannosi.

Si diresse risolutamente alla porta in fondo al corridoio. Dopotutto, non aveva scelta. Doveva rintracciare Starrex e trovare il sistema di farlo scendere fin lì, in modo che fossero di nuovo tutti e tre insieme. Poi avrebbe cercato un piccolo ritaglio di tempo in cui tentare l'interruzione del sogno. Altrimenti la sua sconfitta sarebbe stata completa.

Allentò un po' la cintura, in modo da raccogliere le gonne, dimezzarne la lunghezza e avere le gambe più libere. Poteva contare sul lanciarete e sulla pistola laser di Kas. In più, avvertiva un crescente senso di benessere e di forza, anche se la prudenza le suggeriva di non fidarsi troppo delle impressioni.

La porta cedette sotto una semplice pressione e lei vide una scena che dapprima la fece trasalire e poi la rassicurò. In corridoio c'erano dei soldati, ma giacevano tutti sul pavimento come se qualcosa li avesse colti di sorpresa appena prima di raggiungere la porta da dove lei stava entrando. Avevano lasciato cadere le pistole laser, di un modello leggermente diverso da quella di Kas, e altri tre o quattro lanciarete.

Si fece strada tra i corpi attenta a non urtarli, e raccolse le armi nell'ampio risvolto della gonna, come avrebbe fatto una fanciulla in un campo di fiori. Gli uomini erano vivi, come ebbe modo di stabilire osservandoli da vicino, e avevano il respiro calmo e regolare di chi è immerso in un profondo sonno.

Tamisan impugnò uno dei lanciarete e scartò quello che aveva in mano per paura che avesse esaurito la sua carica. Poi radunò il resto delle armi in un mucchietto vicino alla parete e lo centrò con un raggio della pistola di Kas.

Rimase solo un piccolo ammasso di metallo fumante, ormai completamente inutilizzabile.

Non aveva le idee molto chiare circa la geografia interna della nave, ma c'era un unico modo di affrontare il problema. Doveva esplorare ogni livello e continuare finché non fosse riuscita a trovare Starrex. Decise di procedere dall'alto, ma prima di trovare una scala e di iniziare le sue ricerche si imbatté per ben tre volte in piccoli gruppi di soldati addormentati. Ogni volta, prima di lasciarli, si assicurò che non avessero più armi.

La luce divenne sempre più azzurra, e i riflessi sui volti dei soldati addormentati assunsero connotazioni sempre più bizzarre. Finalmente, con il risvolto della gonna saldamente fissato alla cintura, Tamisan incominciò a salire. Aveva già ispezionato il terzo livello quando, scendendo, udì un suono. Era il primo che rompeva il silenzio irreale della nave da quando lei si era spostata dallo scompartimento di ingresso.

Si fermò ad ascoltare e le sembrò che il rumore provenisse proprio dal livello che aveva appena raggiunto. Lasciò la scala, con la pistola laser in mano, e cercò di usare il suono come guida, anche se non era facile individuarne la provenienza. Spinse la porta di ogni cabina e scorse altri dormienti, alcuni ammucchiati uno sull'altro, altri sul pavimento e altri ancora seduti alla scrivania con la testa appoggiata alle braccia. Questa volta non si fermò per raccogliere le armi. Il desiderio di portare a termine in fretta il suo compito e di liberarsi della nave agiva su di lei come la frusta di un carceriere su un paio di spalle deboli.

All'improvviso, proprio mentre Tamisan raggiungeva l'ultima porta, il suono divenne più forte. Lei entrò e le parve subito che quella cabina non fosse predisposta per la vita, ma piuttosto per una morte atroce. Due uomini in tunica erano riversi vicino alla soglia, uno sull'altro, come se un lieve presagio di pericolo li avesse spinti a cercare la fuga. Alle loro spalle c'era un tavolo, e sul tavolo il corpo di un uomo, sicuramente vivo, che lottava con ostinata determinazione per liberarsi delle cinghie che lo tenevano legato.

Anche se i lunghi capelli erano stati rasati fino a esporre il cranio nudo, non c'era dubbio che si trattasse di Hawarel. Lottava per spezzare le cinghie ma muoveva anche con rabbia la testa per scrollar via una serie di piastre attaccate alla fronte e collegate al pannello di una grossa macchina che occupava da sola un quarto della cabina.

Tamisan scavalcò i due corpi immobili, raggiunse il fianco del tavolo e tolse le piastre dalla fronte del prigioniero. Forse, i disperati tentativi che lui aveva compiuto fino a quel momento le avevano già parzialmente staccate. In ogni caso, con le piastre ancora attaccate, Hawarel aveva aperto e chiuso la bocca come per formulare parole che lei non poteva sentire o a cui lui non riusciva a dare fiato. Quando le piastre si staccarono, lui proruppe finalmente in un'esclamazione di trionfo.

— Toglimi di qui! — ordinò.

Lei, dopo aver appoggiato la pistola laser sul tavolo, stava già guardando al di sotto per trovare il meccanismo di apertura delle cinghie e degli anelli di contenzione. Passarono solo pochi secondi prima che riuscisse a trovarlo e ad azionarlo. Hawarel si rialzò a sedere, nudo fino alla cintola, e Tamisan gli scorse sulla schiena una complicata serie di dischi, tra le spalle e la parte superiore della spina dorsale, nel punto dove era rimasto appoggiato alla superficie dura del tavolo.

— Ooh! — Hawarel si impossessò della pistola laser prima che lei avesse il tempo di raddrizzarsi del tutto. E il gesto che fece, indicando la porta, non sottolineava solo la necessità di fare in fretta, ma probabilmente rappresentava anche un avvertimento. Come se, impugnando quell'arma, lui si sentisse finalmente padrone della situazione.

— Dormono tutti — gli riferì lei. — E Kas è prigioniero.

— Pensavo che non saresti riuscita a trovarlo. Non faceva parte dell'equipaggio.

— No, infatti. Ma adesso è qui con noi e possiamo tentare di tornare da dove siamo venuti.

— Quanto tempo ci vorrà? — Starrex aveva chinato un ginocchio e ispezionava i due uomini a terra. — Hai bisogno di una preparazione particolare?

— Non lo so. — Ancora una volta, lei fu sincera. — Quanto credi che dormiranno? Questo sonno dev'essere un trucco della Super-Regina.

— Li ha colti di sorpresa — osservò Starrex. — Quanto al fatto che si tratd di un trucco, credo proprio che tu abbia ragione. Probabilmente è solo il preludio a un'invasione della nave. Sono riuscito a capire che i loro strumenti hanno subito forti danni, insieme alla maggior parte dell'attrezzatura di ricerca. A bordo, non hanno più niente che funzioni come dovrebbe. — Sotto i riflessi lividi e bluastri, la faccia di Hawarel sembrava ancora più cupa. — Per me è stato un bene, altrimenti non sarei mai sopravvissuto fino a ora.

— Andiamo via! — Ora che le sue ricerche avevano avuto un esito buono, anzi miracoloso, Tamisan si sentiva inquieta. Non voleva che nulla minacciasse la loro fuga. Ripercorsero a ritroso la strada verso il portello d'uscita mentre la nave continuava a dormire. Starrex si inginocchiò vicino a Kas e alzò lo sguardo su Tamisan, incredulo. — Ma questo è il Kas reale!

— Più reale di quanto tu non creda — concordò lei. — E c'è una ragione precisa, ma dobbiamo proprio parlarne adesso? Se gli uomini della Super-Regina decidono di prendere la nave ti assicuro che il trattamento che ci riserveranno sarà peggiore di tutti quelli che hai sopportato finora. Ricordo abbastanza della Tamisan Bocca di Olava per saperlo.

Lui annuì. — Puoi spezzare il sogno subito?

Tamisan si guardò intorno, allibita. Concentrazione… no, non riesco a pensare chiaramente, chissà perché. Era come se l'esultanza risvegliata in lei dallo strano aroma nell'aria si stesse prosciugando. E con quell'esultanza se ne andava anche tutto ciò di cui aveva più bisogno.

— Ho… paura di no.

— Allora è semplice. — Lui si fermò per un attimo a osservare il groviglio di corde. — Andremo dove sei in grado di portarci.— Tamisan lo vide regolare il laser alla potenza minima e bruciare le corde che univano Kas all'uomo dell'equipaggio, lasciando tuttavia intatto il resto del groviglio.

Che cosa succederà se ci imbattiamo nelle guardie della Super-Regina, appena fuori dal portello? Avevano dalla loro il laser, il lanciarete e forse anche un briciolo di fortuna. Dovevano rischiare.

Tamisan aprì la porta interna della camera di decompressione. Gli uomini morti giacevano dove erano caduti e lei, lottando contro un soprassalto di nausea, si spostò per fare spazio a Starrex, che portava il corpo di Kas sulle spalle e camminava a fatica sotto il peso. Le pieghe di un mantello attorno al prigioniero impedivano che i lacci autoavvolgenti entrassero in contatto con la pelle nuda della sua schiena. Il portello era aperto.

Una raffica di pioggia gelida, con l'aggiunta del vento che la sospingeva, si abbatté con violenza su di loro Tamisan era salita a bordo all'alba ma anche adesso, all'esterno, la giornata non sembrava molto più luminosa. Le torce erano sempre spente e lei non distinse altre luci mentre cercava di individuare la fila di guardie, schermandosi con la mano per difendersi dal vento e dalla pioggia.

Forse l'inclemenza del tempo li aveva fatti fuggire tutti. Era sicura che nessuno fosse in attesa in fondo alla rampa, a meno che non fossero andati tutti a cercare riparo sotto gli stabilizzatori della nave. Era un rischio che dovevano comunque correre. Lo disse a Starrex e lui annuì.

— Dove andiamo?

— In un punto qualunque, lontano dalla città. Ho bisogno solo di un po' di tempo e di un riparo…

— Che la Mano di Vermer ci protegga. Ce la faremo — ribatté lui. — Prendi.

Spedì qualcosa nella sua direzione con un calcio. La pistola laser di uno dei soldati morti scivolò sul pavimento metallico della cabina, Tamisan la raccolse e alzò anche l'altra mano, armata di lanciarete. Starrex, appesantito dal corpo di Kas, non poteva di certo aprirle la strada e lei si trovò così a recitare per davvero un ruolo che le era capitato di sognare spesso. Ma questa volta non era un gioco. Era solo il desiderio di fuggire in fretta e verso qualunque forma di riparo che il vento e la pioggia le consentissero di utilizzare.

La rampa era così ripida che ebbe paura di scivolare. Infilò il lanciarete nella cintura, usò la mano libera per aggrapparsi al corrimano e incominciò a scendere molto più lentamente di come i battiti del suo cuore avrebbero suggerito. Era preoccupata anche per Starrex. Se lui avesse messo un piede in fallo, le sarebbe rovinato addosso portandoli tutti al disastro.

La forza della tempesta era tale che anche il solo fatto di toccare terra, dopo tutti quegli scalini, rappresentava una scommessa vinta. Tamisan non sapeva in quale direzione andare per evitare il Castello e la città. I ricordi erano resi ancora più nebulosi dal temporale e non poteva far altro che tirare a indovinare. Per di più, aveva una gran paura di perdere contatto con Starrex. Infatti, per quanto andasse piano, lui la seguiva con difficoltà sempre più evidente.

Tamisan finì per scontrarsi con qualcosa di eretto e allungando la mano capì che si trattava di una torcia infradiciata dalla pioggia. La rincuorò il fatto che fossero giunti fin lì senza incontrare guardie. Forse la tempesta rappresentava davvero la loro salvezza. Si fermò e rimase in attesa che Starrex la raggiungesse. Lo vide appoggiarsi alla torcia e raddrizzare la schiena, come se l'appoggio fosse più che gradito.

Sentì la sua voce farsi strada a tratti, coperta dalla furia del vento. Era rauca per la fatica. — Il corpo di questo Hawarel è abbastanza robusto, ma non come quello di un androide per i lavori pesanti. Bisogna che troviamo al più presto il riparo che ti serve.

Alla loro sinistra c'era un'ombra più scura, forse un bosco. Nulla vietava di cercare riparo sotto gli alberi, o sotto una macchia di cespugli alti.

— Di là. — Tamisan la indicò con la mano. Non sapeva nemmeno se l i in quell'aria così cupa, era in grado di vedere.

— Va bene. — Hawarel-Starrex si assestò meglio il suo fardello sulle spalle e incominciò ad avanzare barcollando nella direzione indicata.

Dovettero aprirsi una via in mezzo alla vegetazione. Tamisan, con tutte e due le braccia libere faceva strada. Avrebbe potuto usare il laser, ma non voleva sprecarne la carica per paura che ce ne fosse bisogno in seguito per difesa personale.

Finalmente, a prezzo di molti graffi e lividi sulla pelle, arrivarono in una specie di radura.

Starrex scaricò a terra il suo fardello.

— Puoi infrangere il sogno, adesso? — Si lasciò cadere di fianco a Kas e lei si sedette lì vicino con il fiato corto.

— Posso…

Non andò oltre. All'improvviso si udì un suono che sovrastava persino il fragore della tempesta e la parte di lei che apparteneva a quel mondo lo riconobbe immediatamente per quello che era, il segnale di apertura della caccia. Dal momento che si trovavano così vicini da udirlo, le prede dovevano essere proprio loro.

— I cani di Itter! — Starrex tradusse in parole il pericolo che li minacciava.

— E vengono per noi! — Bocca di Olava o no, quando i cani di Itter trovavano una traccia e venivano sguinzagliati non c'era più modo di controllarli.

— Possiamo cercare di difenderci.

— Non esserne troppo sicura — ribatté lui. — Abbiamo i laser, ma non appartengono a questo mondo. Le armi che hanno messo fuori combattimento l'equipaggio della nave non sono riuscite ad avere effetto su di noi, quindi può darsi che si verifichi il contrario e che le armi che vengono da lontano non funzionino su di loro.

— Ma Kas si è addormentato. — Tamisan pensò di aver trovato il punto debole del ragionamento. Ma al tempo stesso avrebbe voluto credergli.

— Kas è nella sua forma originale, probabilmente più simile agli spaziali che a noi. A proposito, vuoi spiegarmi perché?

Lei gli raccontò, nel modo più conciso possibile, del sogno nel sogno e di come aveva trovato Kas.

Lo sentì ridere.

— Dunque, avevo ragione a sospettare che fosse stato proprio il mio caro cugino a tessere questa specie di trappola. Sono felice che alla fine ci sia rimasto invischiato anche lui. Come compagno di sventura può darsi che sia più disposto a collaborare.

— Puoi contarci, mio nobile signore. — La voce che si intromise nella conversazione era calma e composta.

— Dunque sei sveglio, mio caro. Bene, fra poco avremo bisogno di tutte le nostre risorse. A quanto pare, è in corso una battaglia tra due schieramenti opposti che sarebbero entrambi molto felici di farci la festa. Sarà meglio trasferirci in tutta fretta da qualche altra parte, se vogliamo salvare la pelle. Tamisan, allora?

— Ho bisogno di tempo.

— Qualunque cosa possa fare per aiutarti, la farò. — La promessa aveva la stessa solennità di un giuramento. — Se i laser agiscono al di fuori delle leggi di questo mondo, non è detto che non possano comunque fermare i cani di Itter. Ma intanto datti da fare!

Non aveva un trasmettitore adatto, niente a parte la volontà e il bisogno di sfuggire a quella tremenda situazione. Tamisan tese una mano e toccò la spalla nuda e bagnata di Starrex. Fu molto più cauta con Kas, per non incontrare uno dei lacci autoavvolgenti. Poi si concentrò, chiamò a raccolta tutte le proprie forze e cercò in sé lo slancio per spiccare il grande balzo.

Non servì, il passaggio non avvenne. Per un attimo lei ebbe la sensazione di trovarsi sospesa tra due mondi, ma alla fine si ritrovò lì, in quella radura buia dove le pareti arboree non riuscivano a tener fuori la pioggia.

— Non riesco a sprezzare il sogno. Non c'è nessuna macchina che amplifichi l'energia. — Non aggiunse che forse, da sola, ce l'avrebbe fatta.

Kas ne rise. — Sembra proprio che il mio sigillatore funzioni ancora, nonostante le tue interferenze, cara Tamisan. Ho paura, mio nobile signore, che alla fine dovrai provare davvero l'efficacia delle tue armi. Puoi sempre liberarmi e darmene una, dato che la necessità ci rende alleati.

— Tamisan! — La voce di Starrex era sufficiente da sola a distoglierla dalla cupa angoscia del fallimento. — Questo sogno forse è diverso da tutti gli altri. Potrebbe essersi aperta la porta di accesso di un altro mondo, ricordi?

— Quale? — In quel momento lei aveva in testa un turbine di ricordi, tra letture e nastri di visionamento. I richiami muti dei cani di Itter, su cui la Tamisan di quel mondo era sintonizzata, la fecero rabbrividire e restare ancora più rannicchiata al suolo, mentre la mente si confondeva sempre di più.

— Come, quale? Uno qualsiasi… pensaci, ragazza, pensaci! Scegli una sola possibilità, se devi, ma pensaci!

— Non ci riesco. I cani, senti… Ci arrivano addosso! Siamo carne per le fauci di belve che percorrono sentieri oscuri nelle notti senza luna. Siamo perduti… — La Tamisan che sognava scivolò nella Bocca di Olava, la Bocca di Olava scomparve e rimase soltanto una creatura spoglia e indifesa rannicchiata sotto l'ombra di una morte contro la quale non poteva alzare nessuno scudo di difesa. Era…

La testa oscillò e le guance bruciarono sotto gli schiaffi inferti a palmo aperto da Starrex.

— Sei una sognatrice! — La voce era imperiosa. — Sogna come non hai mai sognato prima, perché c'è qualcosa in te che può farlo, se vuole.

Fu come l'effetto dell'aria dallo strano profumo, sulla nave spaziale. Lei si sentì rinata, e la mente ritrovò il suo equilibrio. Tamisan la sognatrice spinse via quell'altra Tamisan, più debole. Ma quale mondo? Un punto decisivo, ho bisogno di un punto decisivo nella storia!

— Iaaa! — Il grido provenne dalla gola di Starrex e non era inteso per lei. Forse si trattava del grido di battaglia di Hawarel.

Attraverso i rami di un arbusto si intravide un muso pallido, attorno al quale aleggiava una fosforescenza nauseante e mortale. Lei intuì il raggio della pistola di Starrex, più che vederlo.

Una decisione… la impone l'acqua, con la sua forza. Il vento si alza, come per sollevarci nella sua morsa dal nostro povero rifugio e consegnarci ai nostri inseguitori. Un mare che ci affoga, un mare… Il Re del Mare di Nath!

Si aggrappò febbrilmente a quell'idea.

Sapeva poco dei re che una volta avevano dominato i grappoli di isole a est di Ty-Kry. Avevano minacciato la stessa città così tanto tempo prima da diventare leggenda, e non storia vera. Ed erano stati ingannati. Il re e i capi guerrieri erano stati vinti solo grazie a un tradimento.

La Coppa avvelenata di Nath. Tamisan si sforzò di ricordare, di fissarsi su quell'idea. E una volta compiuta la scelta, la sua mente si schiarì. Tese le mani per toccare ancora una volta Starrex e Kas. Non raggiunse quest'ultimo di proposito, ma la mano eseguì il gesto senza che lei l'avesse consciamente programmato. Come se anche Kas dovesse essere incluso per forza, se non si voleva che il balzo fallisse.

La Coppa avvelenata di Nath. Questa volta non sarebbe stata bevuta!

Tamisan aprì gli occhi. Tamisan? No, sono Tam-sin! Si rialzò a sedere e si guardò intorno. Dal suo corpo nudo scendevano delicati petali di uri velo color verde pallido. Ed esaminando quello stesso corpo, lei si accorse che non era più di un caldo color marrone, ma bianco come madreperla. Si trovava seduta su un grande letto a forma di conchiglia con la valva superiore che faceva da baldacchino.

E non era sola. Si girò con molta circospezione per esaminare in qualche modo l'uomo che dormiva al suo fianco. La testa era seminascosta, si vedevano solo due spalle forti, pallide come le sue, e una testa di capelli ricciuti, dello stesso color bruno-rossiccio delle alghe portate a riva dalla tempesta.

Con cautela anche maggiore, lei gli appoggiò delicatamente un dito sulla spalla ricurva, e seppe! Lui sospirò e incominciò a girarsi dalla sua parte. Tamisan sorrise e incrociò le braccia sotto i piccoli seni alti.

Lei era Tam-sin e quello era Kilwar, un tempo Starrex e poi Hawarel, e adesso Signore di LockNar del Mare Più Vicino. Ma erano partiti in tre! Il sorriso impallidì e i ricordi divennero più vividi. Kas! Scrutò la stanza con ansia, e vide le pareti rivestite di madreperla e ornate da grandi arazzi verdi. Tutti particolari molto familiari per Tam-sin.

Kas non c'era, il che non significava che non potesse essere nascosto in qualche parte nell'ombra, come la sua natura distruttiva suggeriva.

Un braccio caldo la prese alla vita. Lei trasalì e si specchiò in quegli occhi color verde mare. Occhi che la conoscevano, e she conoscevano anche quell'altra Tamisan. Sotto a quegli occhi così bene informati, le labbra erano curvate in un sorriso.

La voce era familiare, eppure strana. — Credo che questo sarà un sogno molto interessante, mia Tam-sin.

Lei lascio che Kilwar l'attirasse accanto a sé. Forse… Anzi, no. Di sicuro, lui aveva ragione.