SECONDA PARTE

La nave delle nebbie

 

1

 

Tam-sin, nata come Tamisan la sognatrice, era in piedi di fronte alla stretta finestra a fessura della torre sulla rupe. Al di sotto, le onde del mare si infrangevano sulle rocce e sollevavano nuvole di spruzzi così alti che lei, chinandosi, avrebbe potuto raccogliere il sale nel palmo della mano. Si preparava una brutta tempesta per quella notte, ma nonostante la furia crescente delle acque lei non provava paura. Era piuttosto l'eccitazione inebriante come il vino di thorson, a riscaldarle il corpo di madreperla sommariamente vestito.

Alle sue spalle c'era la stanza dove si era risvegliata, con le pareti perlacee, il letto a conchiglia, il tappeto e gli arazzi azzurro-verdi che ricordavano il mondo marino. L'ambiente stesso testimoniava l'attaccamento che la gente del Mare Più Vicino aveva nei confronti di quell'elemento che difendeva e circondava le loro isole. Il loro mare rappresentava la vita. Come si poteva temere il respiro della vita?

— Mia bella signora… — La voce, ancora pigra e impastata di sonno, veniva dal letto a conchiglia. — Sembri molto pensierosa…

Lei si girò con lentezza a guardare il corpo dell'uomo pigramente sdraiato, seminascosto da una coperta di seta.

— Ricordavo Kas, mio signore. — Alzò la voce di un tono, perché si sentisse al di sopra della canzone incessante delle onde.

Gli occhi verdi di Kilwar divennero due fessure e la soddisfazione scomparve insieme al sorriso. Nel suo volto, che pure era nuovo, Tam-sin riconobbe gli elementi che lei sola poteva vedere: l'indifferenza stoica di Starrex e la stupefatta meraviglia di Hawarel. Avevano fatto parte della sua mente in passato, e doveva portarne traccia anche adesso.

— Kas, ma certo. — La voce aveva perso il precedente calore e sembrava stanca, come se lui si fosse risvegliato da un piacevole dormiveglia per accollarsi qualche nuovo fardello.

Un sogno? Quello che li teneva insieme in quel momento era ben più di un qualsiasi sogno. Tam-sin li conosceva bene. Un tempo era capace di tesserli e liquidarli a piacere. I sogni e le persone che li popolavano erano stati balocchi con cui giocare, finché non aveva sognato per Lord Starrex, catapultando entrambi in un'avventura che poi non era stata più in grado di controllare. Nella fuga erano approdati lì, con una nuova identità, pronti ad affrontare nuove avventure e, senza dubbio, nuovi pericoli. Ma dov'era Kas, cugino e nemico del suo signore? Dov'era l'uomo che aveva tramato per liberarsi di loro, in due tempi e due mondi diversi, e che doveva essere stato trascinato anche lì, sebbene non in loro compagnia?

L'uomo si rialzò a sedere sul letto. Anche lui aveva la pelle chiara, che assumeva insoliti riflessi verdi dove la coperta di seta la sfiorava. I capelli erano bruno-rossicci come le alghe del mare e come quelli di Tam-sin, che li vide riflessi in uno specchio di metallo argenteo alla parete.

— Sono Kilwar, Signore di LockNar — disse lentamente lui, come per assicurarsi che quell'identità fosse confermata — Quale sogno hai tessuto questa volta, mia Tam-sin?

— Quello di un mondo in cui la Coppa Avvelenata di Nath non giunga alle labbra della nostra gente.

— La Coppa avvelenata di Nath, e il tradimento dei Re del Mare… — Lui si accigliò come se dovesse compiere uno sforzo per ricordare, non con la memoria di Kilwar ma con quella di Starrex.

— Dunque, quell'episodio così nero non infangherà Nath?

— L'ho evitato, mio signore.

Lui sorrise. — Sei davvero una sognatrice portentosa, mia Tam-sin, se puoi addirittura alterare il corso della storia. Credo proprio che troverò LockNar molto più vicina ai miei gusti di quanto non fosse il mondo di Hawarel.

Ci rimane il problema di Kas. Sei sicura di averlo portato con noi?

— Eravamo strettamente collegati, mio signore.

Non saremmo mai riusciti ad arrivare fin qui, se lui non fosse stato con noi.

— A quanto pare, non eravamo poi così vicini. — Kilwar si alzò. Il suo corpo non era robusto come quello di Hawarel e la fessura delle branchie formava un mezzo collare più chiaro, all'altezza della gola. Eppure si percepiva in lui, nudo com'era, lo stesso alone di comando che era appartenuto a Starrex. — Non mi piace affatto che Kas non sia qui. Almeno potrei tenerlo d'occhio… Credi che sia riuscito a tornare nel nostro mondo di origine?

— No. — Tam-sin ne era sicura. — La sua sognatrice si è svegliata là, prima che io lo portassi via. Non ci sono dubbi, è troppo legato a noi.

— Mia potente signora! — Lui attraversò la stanza in due falcate e l'abbracciò, cogliendo un'immediata reazione di gioia, come se i loro corpi fossero stati destinati a fondersi fin dal momento miracoloso della nascita. — Sei così incantevole… — Il suo respiro caldo le accarezzò la guancia. — E la mia Tam-sin ha scelto di unirsi a me per la vita.

Lei si arrese alle sue carezze, ben consapevole che in quel momento Tamisan la sognatrice svaniva per lasciare il posto a Tam-sin, la compagna che lui desiderava. Dentro di sé avvertì una felicità ardente e sicura. Le labbra di Kilwar le baciarono gli occhi chiusi, prima l'uno e poi l'altro. Ma l'incantesimo di quella vicinanza venne interrotto da una specie di clacson lamentoso.

— Il richiamo della conchiglia — Lui si sciolse dall'abbraccio.

Non era già più un amante, mentre prendeva la cintura e il gonnellino di pelle a squame, ma il Signore del castello. Lei gli porse la spada, ricavata dal muso seghettato di un gigantesco e feroce spallen, con i denti affilati nascosti nel fodero di cuoio robusto dello stesso animale.

Mentre lui allacciava la cintura, Tam-sin riordinò l'abito corto e senza maniche, sistemò in molteplici giri i fili di perle che le cingevano i seni e prese il suo stiletto di taskan ricurvo e dentato. Mentre si vestivano, il clacson suonò altre due volte, riecheggiando nelle stanze intagliate nella roccia viva della fortezza sul mare.

La parte di lei che corrispondeva a Tam-sin sapeva che il richiamo era potente, come per l'avvicinarsi di un grave pericolo. E quella certezza le riportò alla mente i dubbi che riguardavano Kas e i tradimenti che lui poteva perpetrare.

Durante il loro primo sogno, Kas aveva tramato per uccidere il cugino con una tenacia che raramente a lei era capitato di incontrare. Tolto di mezzo Starrex, tutti gli onori e il potere sarebbero ricaduti su di lui. Ma nella Ty-Kry che Tamisan aveva sognato, Kas aveva fallito il suo scopo. Forse lì avrebbe rappresentato una più potente minaccia?

La giovane donna seguì Kilwar fuori dalla stanza. Le pareti mancavano del rivestimento lucido presente nelle stanze riservate ad abitazione, e apparivano al naturale, ruvide e piuttosto roze, con tortuosi corridoi interni che univano le stanze più grandi. I gradini erano stati erosi da transiti millenari e le rocce trasmettevano le vibrazioni delle onde che si abbattevano sulle mura alla loro sinistra.

Tam-sin sapeva che ormai si trovavano molto vicini al livello del mare e continuò a seguire Kilwar molto da vicino, mentre attraversavano un portale levigato a mano per introdursi in un'ampia camera con il soffitto di roccia, dove il mare penetrava formando un lungo nastro tra due aree di livello più alte rispetto alla portata dell'acqua. Una minuscola nave cavalcava le onde, all'interno di quel piccolo corridoio. Anche se il Popolo del Mare era a proprio agio nell'acqua, aveva comunque bisogno di navi per il trasporto delle proprie merci e quella svolgeva appunto tale funzione.

Gli uomini scesero dal ponte, saltando con destrezza sulle banchine naturali tra cui si trovavano ancorati.

Altri uomini, tutti armati ma con le spade e i fucili d'acqua ancora nel fodero, salutarono Kilwar che passava tra le loro linee per incontrare i marinai della nave. Erano tutti di Nath, dato che i mercanti della Terraferma, anche se arrivavano fin lì, non avevano il permesso di attraccare nei porti interni. Il loro capo tese in alto una mano in un saluto che Kilwar accolse e restituì.

Erano solo in quattro, e non rappresentavano una ciurma al completo, ma dal ponte non ne sbucarono altri. In loro c'era una tensione che Tam-sin percepì all'istante, come se si fossero messi a gridare per dare il segnale d'allarme.

Lei conosceva il Capitano, Pilhuys. Non era un uomo che si lasciasse sconvolgere facilmente. Un marinaio abituato ad andare a caccia di spallen nel loro stesso territorio marino non era tipo da conoscere da vicino la paura. Eppure, quel disagio che lei percepiva, aveva tutte le caratteristiche del terrore.

— Signore… — Pilhuys pronunciò quell'unica parola ed esitò, come se ciò che aveva da dire fosse così grave da non riuscire a esprimerlo a voce.

Kilwar andò a mettere la sua mano di capo-clan sulla spalla del suddito. — Sei venuto a portare qualche tremenda notizia. Parla, Capitano. Il popolo della Terraferma mostra i denti? Questo non dovrebbe comunque angustiare un uomo che ha assunto il comando nella Battaglia degli Stretti.

— Quei pezzenti della Terraferma? — Pilhuys scrollò la testa. — Non si tratta di loro, mio signore. Anche se non escludo che dietro a tutto questo ci sia anche il loro zampino. La questione è ben altra… — Trasse un profondo sospiro e poi parlò, mangiandosi le parole nella fretta di spiegare. — Stavamo osservando la scogliera davanti a Lochack, perché girava voce che per qualche strana ragione gli spallen si fossero rifugiati nelle secche. C'era quella leggera nebbia che precede il giorno pieno e all'improvviso, nella nebbia, ci siamo trovati davanti una nave deserta.

Si trattava di una delle imbarcazioni da trasporto della Terraferma e il carico a bordo era intatto. Credo che prima di andare alla deriva provenisse da qualche terra orientale, e probabilmente aveva fatto naufragio perché non c erano esseri viventi a bordo. Eppure, tutte le scialuppe di salvataggio erano al loro posto. E avrebbero dovuto prenderle, dato che i pezzenti della Terraferma non riescono a sopravvivere a lungo in acqua, senza le scialuppe.

"Sui tavoli c'era persino del cibo che gli uomini avevano evidentemente abbandonato in fretta, per quanto non vi fosse traccia di un'avvenuta battaglia, né di altri problemi o di guasti provocati dalle tempeste. Così, pensando che Vlasta avesse voluto sorriderci e tenendo conto del fatto che la nave sembrava perfettamente solida ed era carica di merci, ho deciso di mandare a bordo quattro dei miei uomini e di rimorchiarla con la Talquin.

"La nebbia continuava a essere così spessa che pur tenendo la nave a rimorchio e constatando che la corda era sempre tesa, non riuscivamo a vederla. Riker, l'uomo a cui avevo affidato il comando di bordo, doveva suonare la conchiglia a ogni giro di clessidra. Per tre volte ha eseguito il mio ordine. Poi, mio signore, è sceso il silenzio.

"Abbiamo gridato, ma senza ottenere risposta. Alla fine siamo tornati indietro per salire un'altra volta a bordo. I miei uomini non c'erano più, mio signore. Sono scomparsi senza lasciare traccia! Eppure, se fossero stati costretti a cercare scampo in mare, sarebbero stati perfettamente in grado di raggiungere la Talquin. Abbiamo trovato solo la conchiglia per i richiami abbandonata sul ponte, come se fosse caduta."

— E la nave?

— Signore, per la seconda volta sono caduto nella stessa, malaugurata scelta. Wund, il fratello di Riker, e Viktor, che era stato suo compagno in battaglia, hanno chiesto il permesso di assumersi l'incarico di vigilare e di scoprire che cosa ci fosse di così strano in quella nave. Ho acconsentito. La nebbia ci ha avvolto di nuovo, la conchiglia ha smesso di suonare, e ancora una volta gli uomini sono spariti. — Pilhuys allargò le mani in un lieve cenno di impotenza. — Così ho giurato che avrei portato quella nave fin qui perché la gente di LockNar potesse esaminarla.

Ma quando sono tornato sulla Talquin e la nebbia si è chiusa… Mio signore, non ci si può credere, ma la corda si è improvvisamente allentata e quando l'abbiamo tirata a bordo ci siamo accorti che era stata tagliata!

 

2

 

— Una nave del Popolo di Terra — ripeté Kilwar con aria pensierosa. — Sono sicuro che l'avrete ispezionata con molta cura ogni volta.

Pilhuys annuì. — Sì, mio signore. Abbiamo controllato ogni spazio dove fosse possibile nascondersi.

E il portello del cargo era chiuso con un sigillo che nessuno aveva infranto.

— Eppure, Capitano, c'è una spiegazione per tutti questi misteri!

La voce aveva un timbro acuto e un tono così sgradevole che Tam-sin si limitò a guardare da sopra la spalla.

Un altro uomo aveva raggiunto il porto scavato nella roccia. Camminava in modo goffo barcollando di lato, e sul viso aveva una smorfia petulante. Eppure non gli si poteva negare una certa somiglianza con Kilwar. Tam-sin con quella parte di memoria che apparteneva a quel mondo, lo riconobbe subito per Rhuys, fratello di Kilwar, rimasto ferito durante le cacce invernali di due anni prima. Le ferite avevano lasciato in lui un profondo rancore e una lingua maligna.

Tam-sin ricordò anche qualcos'altro, che la riguardava più da vicino. Nella fortezza sulla rupe, Rhuys era suo nemico. Non apertamente, ma con tale sottile acredine che chiunque dotato di un minimo di sensibilità avrebbe finito per notarlo. Specialmente una sognatrice. Anche in quel momento, l'uomo evitò di guardare nella sua direzione. Continuò ad avanzare zoppicando, fino a trovarsi faccia a faccia con Kilwar e il Capitano.

— Posso solo dire che cosa ho visto, Lord Rhuys. — La voce di Pilhuys aveva assunto toni sicuramente più formali. — Abbiamo setacciato quella nave da prua a poppa. Le scialuppe erano tutte appese alle loro allacciature e a bordo non c'era anima viva.

— Anima viva? — gli fece eco Kilwar. — Vuoi forse dire, Pilhuys, che le uniche spiegazioni che ti vengono in mente suggeriscono la presenza di creature che non appartengono al mondo dei vivi?

Il Capitano si strinse nelle spalle. — Signore, viviamo nel mare, del mare e per il mare da un numero immemorabile di generazioni. Eppure ci troviamo ancora di fronte a volte, a misteri che nessuno di noi può spiegare, neanche sulla base delle più antiche leggende. Ci sono ancora profondità in cui le nostre specie non osano avventurarsi.

Chi può dire che cosa vi si nasconda?

— Ma questa non è una storia di Grandi Profondità — osservò Rhuys. — Piuttosto, è una storia di superficie, che riguarda una nave del Popolo di Terra. Quella gente non sa nulla dei nostri misteri, e ci teme. — Tam-sin colse una punta di orgoglio in quelle parole. Forse, dal momento che aveva perso tanto nella vita, Rhuys si aggrappava al pensiero che la loro fosse una razza temuta.

— Vi dico solo quello che è successo, quello che ho visto e sentito — ripeté Pilhuys, imperturbabile. Evitò con cura di guardare nella direzione di Rhuys e si fece chiaramente scrupolo di parlare con Kilwar, senza intermediari.

Rhuys non era molto amato, al castello. Forse, il suo temperamento irritabile affiorava anche troppo spes so.

— Vorrei dare un'occhiata alle registrazioni di rotta, Pilhuys — disse Kilwar. — Forse la nave sta andando ancora alla deriva da qualche parte. Hai detto che la corda era tagliata… non potrebbe essere stata opera di uno spallen? Pilhuys si girò e fece un cenno a uno dei marinai. L'uomo salì con un balzo sul ponte della nave ormeggiata e ritornò a terra con un pesante rotolo di corda sulla spalla. Il Capitano raccolse l'estremità della corda e la tese agli altri perché potessero vederla bene. Persino Tam-sin, pur conoscendo abbastanza poco delle attrezzature marittime, vide che la corda era recisa con un taglio netto. Era necessaria un'accetta, oppure un coltello molto affilato per ottenere un simile risultato.

Kilwar passò un dito sull'estremità della corda. — C'è voluta una lama tagliente, e un colpo vibrato con forza — commentò. — Vi risulta che il taglio sia avvenuto a bordo della nave rimorchiata o a metà tra voi e loro?

— A bordo della nave, mio signore, o comunque molto vicino — rispose Pilhuys senza esitazioni. — Le misurazioni sono state accurate. Non ci sono strappi o asperità di alcun tipo, e dunque non si è trattato di una sega. E stato un colpo unico, e deciso.

Rhuys gli fece eco con una risata malevola. — Potrebbe essere l'opera di un uomo convinto che il carico valesse da solo il rischio di perdere di vista i compagni. Se la nave del Popolo di Terra era davvero intatta come dici, avrebbe potuto veleggiare senza difficoltà verso Insigal dove, come tutti sanno, la popolazione non tiene in gran conto l'onestà.

Pilhuys, per la prima volta, fronteggiò direttamente Rhuys. — Se ci fosse stato anche un solo uomo a bordo, signore, le garantisco che sarebbe saltato fuori. Conosciamo bene le navi e di quest'ultima abbiamo setacciato persino le intercapedini della carena. Se invece allude alla possibilità che uno dei miei uomini abbia pensato di giocarci uno scherzo del genere… — L'occhiata che rivolse al fratello di Kilwar era sicuramente feroce.

Quest'ultimo lo interruppe. — Basta così, Pilhuys. Nessuno riterrebbe mai possibile che uno dei tuoi uomini abbia deciso di portare una nave a Insigal per non far cadere il carico nelle nostre mani. — Era accigliato, ma non guardò il fratello.

Tam-sin sospirò tra sé. Un giorno o l'altro, anche Kilwar sarebbe stato costretto a vedere Rhuys per quello che era, un uomo inacidito dalla sorte, un piantagrane pronto a soffiare sul fuoco ogni volta che se ne presentava l'occasione e un vigliacco sicuro di poter contare sulla fiducia di Kilwar per sfuggire alle proprie responsabilità quando l'incendio incominciava a divampare. Lei non poteva di certo intromettersi. Rhuys sapeva essere molto persuasivo con il fratello, quando voleva. E in più la odiava. Dunque, lei non doveva permettersi di sfidarlo apertamente.

— Portami le tue carte nautiche, Capitano — continuò Kilwar. — Chiederò anche ai signori di Lockriss e di Lochack se per caso hanno visto o sentito qualcosa. Se l'episodio si è verificato al largo delle scogliere, dovrebbero saperne qualcosa. Dopotutto, si tratta di un territorio molto frequentato anche da loro.

Le carte del territorio che circondava la scogliera erano stese sul tavolo nella camera del consiglio, dove Kilwar si era preoccupato di riunire quegli anziani che avevano una conoscenza tale dei più strani racconti di mare da competere persino con gli archivi del paese. Chiese a Pilhuys di riferire ancora una volta la sua versione dei fatti a proposito della nave delle nebbie e poi guardò i personaggi che aveva convocato.

— Si è mai saputo che fosse successo niente del genere? — chiese quando, in seguito al racconto dettagliato di Pilhuys, il silenzio avvolse la sala. Per un lungo istante, nessuno rispose. Poi Follan, che come tutti sapevano aveva compiuto viaggi in oriente almeno una dozzina di volte, si alzò, si diresse alla mappa e usò l'indice per ripercorrere la linea indicata da Pilhuys.

— E' già accaduto, signore. Ma non in queste acque.

— In quali, allora? E quando? — Le domande di Kilwar erano precise.

— C'è un luogo al largo di Quinquare, verso oriente, dove sono state avvistate delle navi che, all'abbordaggio, si sono rivelate deserte. Anche là, nessuno dei capitani è mai stato capace di rimorchiarne una in porto. C'è stato un tempo in cui questo maleficio rappresentava un pericolo tale che nessuno voleva più fare rotta per Quinquare, il commercio deperì, la popolazione emigrò all'interno o si trasferì su altre isole e la città si ridusse a un ammasso di oscure rovine. Passarono gli anni e non furono più avvistate navi fantasma. Quinquare si riprese, ma non ritornò mai più all'antico splendore.

— Quinquare — ripeté Kilwar. — Si trova esattamente dall'altra parte del mare. Ma nessuna di quelle navi è mai stata avvistata su questa costa, vero?

— Nessuna, ma questa storia non mi piace — confessò Follan. — Le navi fantasma di Quinquare si comportavano proprio nello stesso modo e se qualche potenza le manovra e le spinge contro di noi ci aspettano davvero tempi molto duri.

— Signore, ecco i falchi messaggeri… — L'uomo incaricato di badare agli animali si avvicinò al tavolo, con un messaggero alato su ciascun polso. Gli uccelli si guardarono intorno con occhi ardenti e luminosi, muovendo inquieti le zampe sul guanto pesante che difendeva le braccia del Falconiere. Erano rapaci marini selezionati per l'intelligenza e addestrati a volare senza sosta sulle onde per portare i messaggi da una rupe all'altra, in modo che i Re del Mare fossero sempre in contatto tra di loro.

Kilwar prese due frammenti di pelle di serpente marino e vi scrisse con l'inchiostro alcune parole in codice. Dopodiché prese a turno uno dei volatili per infilare il messaggio nel minuscolo tubo che portavano legato alla zampa.

— Liberateli subito — ordinò. — E tenetevi pronti per accoglierli al ritorno.

— Sarà fatto signore.

— Nel frattempo, che si preparino le navi da guerra — decretò ancora Kilwar. — Andremo noi stessi alla ricerca di questo vascello fantasma, se naviga ancora da queste parti e funziona come esca per intrappolare i marinai.

Pilhuys, che tipo di sigillo c'era sul boccaporto della stiva? Lo conoscevi?

— Il disegno era questo, signore. — Il Capitano si impossessò di un altro quadrato di pelle di serpente e dello stilo che Kilwar aveva appena lasciato cadere. Abbozzò uno schizzo. — Non l'avevo mai visto prima. — Depose la penna e spinse lo schizzo verso il Signore di LockNar.

Tam-sin si spostò in avanti di un passo, incurante dell'occhiata di Rhuys, e sbirciò il disegno da sopra la spalla di Kilwar. Quando il significato di quelle linee divenne chiaro, trasalì e trattenne il fiato. Tam-sin di LockNar non l'avrebbe mai riconosciuto, ma Tamisan di Ty-Kry sapeva… E vide, quasi sentì, la tensione improvvisa nel corpo di Kilwar. Anche lui aveva capito.

Rhuys fu pronto a commentare le loro reazioni. — Sembrerebbe, fratello, che sebbene il nostro coraggioso Capitano non conosca quel simbolo, colei che divide il tuo letto ne sappia di più.

Non c'era alcun dubbio! Era la stella a sei punte trafitta da un lampo, il simbolo di Starrex di Ty-Kry, quella Ty-Kry da cui loro provenivano.

 

3

 

Tam-sin non rispose all'accusa che Rhuys le aveva rivolto. Era sicura che anche Kilwar avesse riconosciuto all'istante il simbolo della propria Casata, anche se apparteneva al tempo che precedeva il loro coinvolgimento in quei sogni, per colpa di Kas. Avrebbe lasciato a lui la possibilità di rispondere in un modo o nell'altro. Ma invece fu Follan a parlare per primo, con quella gravità che sembrava una parte dominante del suo modo di essere.

— Lady Tam-sin, è vero che voi conoscete questo simbolo? — Lei lo studiò e non percepì nemmeno un briciolo di quell'odio che la sua natura sensibile avvertiva, invece, in Rhuys. La parte di lei che rispondeva al nome di Tam-sin sapeva che Follan le era stato amico fin dal giorno del suo arrivo nella fortezza. Infatti, Tam-sin non aveva sempre vissuto a LockNar, ma proveniva da un piccolo castello di una rupe più vicina alla terra.

— Lo conosciamo tutti e due. — dichiarò Kilwar prima che lei riuscisse a mettere insieme una risposta. — Si tratta del simbolo di una Casata di Terraferma che a suo tempo rappresentava una considerevole potenza. Adesso è possibile che rappresenti un nemico. — Di sicuro, pensava a Kas. Possibile che in quel mondo di sogno Kas fosse il Signore di Casa Starrex, sempre che quel clan esistesse già? — Non mi piace che entri in questa storia di navi e di fantasmi.

La risposta di Kilwar distolse l'attenzione da lei. Tam-sin fece in tempo a cogliere uno sguardo maligno da parte di Rhuys, alzò con determinazione il mento e si concesse di rivolgergli l'occhiata gelida che si meritava. Rhuys non avrebbe potuto interferire in modo negativo tra questo Kilwar e lei, indipendentemente da quello che era stato in grado di fare in passato con quell'altra Tam-sin che le prestava in quel momento parte del corpo e della mente. C'era un legame tra lei e il Signore di LockNar che nessuno dei presenti avrebbe mai potuto comprendere o disturbare.

— Quei pezzenti della Terraferma! — esplose il Capitano. — Ci sono sempre ostili, ma perché? Non abbiamo mai reclamato le loro terre, e non ci sogniamo nemmeno di impedire che escano in mare aperto, quando ne trovano il coraggio. E allora perché adesso ci sfidano come mai avevano fatto prima?

— E' l'avidità a spingerli — rispose Follan. — Non si accontentano mai di quello che hanno e vogliono sempre di più. La Super-Regina non sopporta che i nostri Signori non vadano a corte a inginocchiarsi davanti a lei, e nemmeno che non le mandino doni. E siccome noi siamo in grado di vivere dove loro non avrebbero neanche il coraggio di avventurarsi, per paura di perdere la vita… — Alzò le dita per toccarsi il margine delle branchie in quel momento chiuse. —…allora dicono che non apparteniamo alla stessa specie. Odiano e hanno paura di tutto ciò che non capiscono. Ma bisogna anche ammettere che noi facciamo lo stesso, in alcune occasioni. Questa era una nave della Terraferma, dunque è naturale che porti il sigillo di una Casata di terra.

— E' l'esca per una trappola.— Rhuys avanzò ancora, con il suo passo barcollante, così da porsi al fianco sinistro di Kilwar, mentre Tam-sin si trovava su quello destro. — Quella barca nasconde una trappola, fratello. Non è forse vero che già sei dei nostri uomini vi sono saliti e non hanno più fatto ritorno? Probabilmente vogliono costringerci a impiegare forze sempre maggiori, in modo che ogni volta le perdiamo. Sarebbe meglio usare subito le armi da fuoco del mare, per distruggerla definitivamente.

— E così distruggeremmo anche la possibilità di capire dove sono i nostri uomini — commentò seccamente Pilhuys. — E dove possiamo ritrovarli?

— Credi davvero che siano ancora vivi? — lo aggredì Rhuys.-Non fare l'idiota, Capitano!

La mano di quest'ultimo corse all'elsa del pugnale che portava appeso alla cintura, e Rhuys sorrise. Tam-sin non ebbe dubbi che avesse provocato il Capitano in modo deliberato.

— Calmati, Rhuys. — Anche la voce di Kilwar era calma, ma il tono bastò a far arrossire la faccia aspra di suo fratello. — Per il momento aspetteremo le risposte da Lochack e Lockriss — dichiarò poi in tono conclusivo. — Se hanno qualcos'altro da dirci a proposito di quella nave è meglio che li ascoltiamo. Poi, all'alba, usciremo con le navi da guerra e vedremo che cosa riusciamo a scoprire. Nel frattempo, se vi vengono in mente dei consigli da offrire teneteli presente per la prossima riunione. Sarò felice di tener conto sia dell'opinione degli Anziani che di quella del Capitano.

Se ne andarono tutti in silenzio, come se avessero la mente oppressa da molti e gravi pensieri.

Kilwar tenne le mani appoggiate alle carte nautiche e li guardò oltrepassare la porta.

Solo Rhuys non si mosse.

— Continuo a credere che sia una trappola.

— Forse hai ragione, fratello, ma dobbiamo assicurarci di che trappola sia, prima di cercare di disinnescarla.

E non ti sembra giusto scoprire chi ha diretto la stessa trappola al largo di Quinquare, negli anni passati? Non abbiamo più nessun contatto con le terre nord-orientali da quando sono state invase dai Kamoek. A loro non importa niente del mare e non permetterebbero mai che dei commercianti stranieri superassero i confini delle terre di cui si sono impadroniti. In ogni caso, se qualcuno aveva escogitato un mezzo per ridimensionare Quinquare, può aver cambiato campo d'azione proprio a causa dei Kamock. Eppure, non riesco a capire chi possa trarre vantaggi da una situazione simile. A quanto sembra, le navi non vengono saccheggiate, a meno che la stiva non sia svuotata e il sigillo contraffatto, cosa che non credo. Pilhuys è un marinaio troppo esperto per non riconoscere una nave zavorrata da un'altra a pieno carico. In conclusione, mi sembra una trappola fin troppo elaborata per catturare un pugno di marinai temerari saliti a bordo con la convinzione che si tratti di un relitto.

— Sei uomini su un equipaggio di dieci non è poco, fratello — gli fece osservare Rhuys.

— Sicuramente no, per il momento. Ma se il gioco dura a lungo… — Kilwar si accigliò. — Basterà aspettare i resoconti di Lochack e Lockriss, e forse ne sapremo di più. Sono in camera, se dovessero arrivare i messaggi. — Tese una mano verso Tam-sin e lei gli appoggiò le dita sul polso, con dolcezza. Poi entrambi girarono le spalle al tavolo e lasciarono Rhuys da solo.

Non si scambiarono una sola parola finché non furono di nuovo nella stanza dove si erano svegliati insieme.

Una volta là, Kilwar raggiunse la finestra e guardò fuori.

— Si avvicina un'altra tempesta — osservò. — Non si può escludere che le navi vengano bloccate in porto, a dispetto della necessità di salpare al più presto.

— Kilwar.

Il richiamo lo obbligò a voltarsi. Tam-sin si guardò intorno. Non riusciva a scacciare l'inquietante sensazione che anche lì, in quella stanza, ci fosse qualcuno che li spiava. Eppure, la parte di lei che conosceva bene il castello sapeva che non esistevano ancora forme di spionaggio tanto sofisticate, in quel mondo.

— Il sigillo… — Esitò.

— Già, il sigillo. — Kilwar si avvicinò, come se anche lui avesse la sensazione di essere sotto qualche strano tipo di esame. — Mi hai detto in precedenza che questi sogni hanno fatto di noi le persone che saremmo state se la storia avesse preso vie diverse, in passato.

— E' quello che credevo.

— Hai parlato al passato. Vuol dire che hai cambiato idea?

— Non lo so. Non ho mai avuto antenati nel Popolo del Mare. E tu, mio signore?

— No, che io sappia. Eppure, sembra che in questo mondo esista la mia Casata, anche se io non ne faccio parte.

— C'è Kas.

— Sì, Kas. E possibile che per qualche strano gioco della sorte sia addirittura il Capo del Clan. Non hai nessun modo per saperlo con certezza, Tam-sin?

Lei scosse la testa. — Mi dispiace. Come ti ho già detto nella nostra prima avventura, questi non sono sogni normali e non posso intervenire nel flusso delle azioni. Io stessa mi ritrovo coinvolta in un modo che non è affatto naturale. Posso spezzare il sogno, o almeno lo spero, ma solo se ci troviamo tutti e tre insieme. E ci manca Kas.

— Se avesse una parte qualsiasi nel mistero della nave fantasma forse potremmo mettergli le mani addosso — commentò Kilwar. — Di solito non sono un uomo che si lascia impressionare con facilità, eppure avverto una sensazione di pericolo imminente. Forse si tratta di qualcosa che ha a che fare con la corte della Super-Regina.

— Guardati da Rhuys — disse lei, rivolgendogli l'avvertimento che le sembrava più importante, in quel momento. — E' un uomo pieno di amarezza e ti invidia perché possiedi tutto quello che manca a lui. Kas voleva le tue ricchezze e il comando sul tuo clan. Rhuys ha le stesse ambizioni, e in più cova il risentimento per il fatto che tu sei sano mentre lui è mutilato e impossibilitato per sempre ad avere una vita normale.

— La parte di me che è nata qui fatica ad accettare quello che dici. — Kilwar parlò lentamente, come per misurare le parole. — Ma hai ragione. I legami di sangue, fino a ora, hanno retto. Dopotutto, siamo fratelli. Ma l'odio tra fratelli, a volte, può essere peggiore di qualunque altro rancore. E Rhuys odia anche te, con forza anche maggiore. Per lui la nostra relazione è scandalosa, perché appartieni a una Casata minore e sei una semplice Cantatrice di Marea. In più, non sopporta l'idea che io possa avere un erede.

— Cantatrice di Marea… — Tam-sin ripeté l'espressione e cercò dentro di sé tutti i ricordi che si riferivano a quella nuova personalità. Sì, era una Cantatrice di Marea. Una volta liberati i ricordi di Tam-sin, in lei si risvegliò anche la consapevolezza di quello che era. Una consapevolezza strana, estranea a qualunque altra sua conoscenza. Doveva setacciare quei ricordi e scoprire quali fossero i suoi poteri in un tempo e in una razza così diversi dalla sua.

Una violenta raffica di vento arrivò fino a loro dalla finestra e Kilwar si affrettò a tirare le tende.

— Proprio una brutta tempesta — osservò.

Ma Tam-sin ebbe la sensazione che per loro si preparassero rivolgimenti assai più gravi di una semplice tempesta.

 

4

 

La bufera si accanì fischiando contro la torre sulla rupe per tutta la notte. Tam-sin dormì solo a brandelli, svegliata a intervalli dal tambureggiare dei venti e delle onde tutt'intorno. Per ben due volte, mentre giaceva tesa e tremante, le mani di Kilwar la cercarono e lei trovò conforto nella sua vicinanza e nelle sue carezze.

Cercò di rovistare nei ricordi di Tam-sin per scoprire di quali poteri fossero dotate le persone della categoria a cui lei adesso apparteneva. Era nata come sognatrice e poi, in un altro mondo, si era ritrovata Bocca di Olava e aveva affrontato le ire della Super-Regina. Adesso era una Cantatrice di Marea, una che chiamava i pesci nelle reti con la forza del proprio canto, e che poteva "vedere" da lontano tutte le navi dei Re del Mare. In ciascuna vita possedeva dei talenti sconosciuti alla maggior parte delle persone normali.

Una Cantatrice di Marea sapeva seguire una nave con la mente se aveva un legame con qualcuno a bordo, ma senza tali vincoli non era in grado di individuare nessuna imbarcazione. Quanto a lei, doveva avere il tempo sufficiente ad assorbire dalla personalità di Tam-sin tutto quello che poteva tornarle utile anche subito.

— Mio signore — bisbigliò — quale pensi che sia il cuore del problema?

— Le mie ipotesi valgono quelle di chiunque altro — ribatté lui, con voce altrettanto bassa. — Ma mi disturba il fatto di conoscere così bene quel sigillo.

Rimase in silenzio e lei lo assecondò, con la testa sulla sua spalla. Sapeva bene che anche lui aveva avvertito il pericolo che li minacciava.

Non parlarono più, e quando le prime grigie luci dell'alba sfiorarono i margini della persiana chiusa lui scivolò fuori dal letto e Tam-sin lo seguì all'istante.

— Lasciami venire con te quando andrai alla ricerca di quella nave — lo supplicò.

— Sai bene che non posso. Le leggi di questa gente mi obbligano a tener lontane le donne da ogni possibile battaglia.

Anche nella memoria di Tam-sin era presente la stessa legge. Eppure, lasciare che si allontanasse era più di quanto lei potesse sopportare. Ritrovarsi di nuovo sola…

Lo guardò e gli lesse nel viso la chiara determinazione a non infrangere le consuetudini del Popolo del Mare.

— Lo sai — gli disse, con i muscoli così tesi da articolare le parole a fatica. — Se dovesse accaderti qualcosa e io non fossi presente, questo sogno non avrebbe più nessuna possibilità di interrompersi.

Kilwar annuì. — Lo so. Ma non c'è altra soluzione. Nella posizione in cui mi trovo, devo seguire le regole. Tu sei una Cantatrice, puoi metterti in contatto con me.

— Certo, ma non avrò nessuna possibilità di aiutarti, anche se i miei pensieri viaggeranno con i tuoi. Non potrei fare nulla nemmeno se mi accorgessi che un terribile destino incombe su di te.

Tam-sin si girò per non fargli leggere l'angoscia che, lo sentiva, portava scritta sul viso. Non c'era modo di fargli cambiare idea, perché quella era la legge dei Re del Mare. Kilwar si sarebbe avventurato a cavalcare le onde non appena la tempesta lo avesse consentito. E lei sarebbe rimasta lì. Sola.

Eppure, più tardi fu in grado di controllarsi al punto di assistere impassibile ai preparativi per la partenza.

Kilwar salì sul ponte della nave da guerra, e i suoi fedeli seguaci in armatura a scaglie alzarono le armi in segno di saluto. Tam-sin guardò la nave sciogliere gli ormeggi e scivolare sotto le direttive del nostromo nello stretto passaggio che conduceva al mare.

La tempesta si era finalmente placata. Anche i falchi avevano potuto far ritorno, un'ora dopo la comparsa delle prime luci, con un messaggio ciascuno. La nave fantasma era stata avvistata dagli abitanti di Lockriss, che in quel mistero avevano perso quattro uomini. A Lochack, invece, non erano giunte voci di un vascello stregato. In ogni caso, entrambi i Signori vicini avrebbero raggiunto Kilwar al largo della scogliera.

Tam-sin guardò la nave scivolare in mare aperto, con il suo prezioso carico, e allontanarsi senza fretta dalla galleria di attracco. Qualche debole raggio di sole fece luccicare le armature e il vessillo di LockNar si spiegò al vento, rosso come sangue appena versato.

Lei continuò a guardare finché la nave non scomparve. Solo allora si accorse che Rhuys, invece di tenere gli occhi puntati al vascello ormai lontano, era intento a scrutarla attraverso le palpebre socchiuse. Era come se con quello sguardo volesse soppesarla. Come se la considerasse una specie di libro magico, con le pagine ricche di segreti nascosti che anche lui voleva conoscere.

Tam-sin rispose a quell'esame con un'occhiata gelida.

Rhuys schiuse le labbra e per un attimo lei si aspettò che parlasse. Invece si limitò a curvare le spalle come per fronteggiare un rigido vento marino e si allontanò zoppicando, girandole le spalle con insolenza, senza nemmeno accennare a un saluto. Ritornò verso l'interno del castello da solo.

Lei rimase a testa alta. Il molo era ancora affollato di gente, gli amici e le mogli degli uomini partiti per una missione dall'esito tanto incerto. Nessuno di loro doveva scorgere il suo imbarazzo di fronte a una mancanza di rispetto così palese.

Anzi, imboccando di nuovo la rete di passaggi che conduceva all'interno, lei ne scelse uno particolarmente stretto e ripido, con una serie infinita di gradini intagliati nella roccia, che oltrepassavano tutti i livelli fino a raggiungere il punto più alto della torre. Da lì, opponendosi con forza alla furia del vento, Tam-sin si schermò gli occhi con le mani e cercò di cogliere, in lontananza, l'ultima immagine della nave di Kilwar. Ma il nostromo doveva aver accelerato l'andatura perché, all'orizzonte ormai si scorgeva soltanto la rupe di Lochack, a metà strada tra LockNar e le scogliere settentrionali.

Gli uccelli marini gridavano e lanciavano richiami sopra la sua testa, volteggiando al di sopra dei detriti ammucchiati dalla tempesta vicino a riva, in cerca di pesci o altri animali marini scaraventati dalla furia del mare in mezzo agli scogli e rimasti intrappolati in qualche anfratto. Guardando in basso, Tam-sin scorse anche un buon numero di donne e bambini di LockNar, occupati a recuperare quel goloso bottino marittimo, contendendolo agli abitanti del cielo. Lei non era dello spirito adatto a raggiungerli.

Si sedette, appoggiò la schiena a una parete di roccia e si abbracciò le ginocchia, facendosi piccola sotto l'incalzare del vento e puntando gli occhi verso l'orizzonte. Ancora una volta setacciò diligentemente i ricordi di Tam-sin, riordinando tutto quello che l'altra parte di sé poteva insegnarle.

Ce n'era abbastanza da rimanere a bocca aperta. Come già nell'ultimo sogno, in cui si era trovata a recitare la parte di una Bocca di Olava, i poteri soprannaturali di Tam-sin le invasero la mente, travasando in lei conoscenze fino a quel momento sconosciute. Per il momento, si affrettò a mettere da parte tutto ciò che non riteneva strettamente indispensabile. Si trattenne anche dal cercare un contatto immediato con Kilwar, preferendo invece imparare il più possibile nel ristretto spazio di tempo che le rimaneva prima che quel contatto risultasse vitale.

— Mia signora.

La voce la distolse così all'improvviso dal suo studio che lei sussultò visibilmente, prima di voltarsi. L'Anziano Follan l'aveva seguita fin lì e la fissava con un'intensità pari a quella di Rhuys poco prima. Eppure, nel suo sguardo non c'era traccia della velenosa malizia che il fratello di Kilwar, invece, le riservava.

— Follan, che cos'altro sai di quelle navi di Quinquare? — gli chiese Tam-sin, con decisione.

— Niente di più di quanto abbia detto a Lord Kilwar — le assicurò lui. — Per quanto ne so, il mistero non è mai stato risolto.

— Ma com'è possibile che dei marinai scompaiano dal ponte di una nave a rimorchio senza lasciare traccia?

— Non lo so. Agli uomini del Popolo di Terraferma può succedere… che so, di farsi travolgere da un panico improvviso, o da un turbine che minaccia di rovesciare la nave. Magari un attacco di follia collettiva può portarli ad aggrapparsi l'uno all'altro e a sprofondare inesorabilmente negli abissi del mare. Dicono che il grano andato a male produca appunto questo genere di follia. Il Popolo di Terra può avanzare molte teorie in proposito, ma nessuna è in grado di spiegare quanto sia successo agli uomini di Pilhuys. Il Capitano è un uomo di mare attento e prudente. Forse c'era qualche nascondiglio a bordo della nave fantasma che i suoi marinai non sono nusciti a trovare…

— Un nascondiglio che celava quale tipo di minaccia? — lo incalzò Tam-sin, vedendolo esitare.

— Mia signora, ci sono molte cose in questo mondo e nel mare che rappresentano ancora un'incognita.

Ma… — Follan esitò di nuovo e riprese a parlare in tono accorato. — Lady Tam-sin, tu sei fedele al mio signore in tutto, e lui ti ha scelta. Ma ti prego, cerca di non compiere passi falsi.

— L'avevo già intuito, caro amico. Non sono amata da tutti, a LockNar.

Il viso del vecchio lasciò trasparire un'ondata di sollievo, come se fosse contento di vedere accolto con tanta prontezza il suo avvertimento. — C'è sempre qualcuno che parla troppo — continuò. — E per chi ascolta senza pensare, le chiacchiere assumono sempre un'ombra di verità, o almeno così sembra. Tu non sei nata qui tra noi e c'è chi pensa, e adesso dice, che il nostro signore avrebbe potuto compiere una scelta migliore. Senza contare che, in genere, tutti diffidano di una Cantatrice di Marea.

— Follan, ti ringrazio di aver parlato chiaro. Ho già individuato chi desidera allontanarmi da qui, ma non avrei mai pensato che fosse deciso a uscire così presto allo scoperto.

Tam-sin strinse i pugni. Dunque, Rhuys aveva dei sostenitori e lei avrebbe dovuto immaginarlo. Che tipo di storie venivano diffuse alle sue spalle? E che cosa sarebbe successo se Kilwar non ritornava?

— Sei colei che Lord Kilwar ha scelto — le ricordò Follan. — Come tale, mia signora, non hai che da comandare e troverai la maggior parte di noi pronta a soddisfare i tuoi desideri.

Lei abbozzò un sorriso. — Grazie, amico mio. Le tue parole sono come uno scudo e una spada, per me. Spero solo di non dover mai impugnare queste armi.

Ma l'espressione di Follan rimase inquieta. — Mia signora, stai in guardia. Secondo le nostre leggi, è Lord Rhuys ad assumere il comando mentre il nostro signore è via. E' mutilato e noi non l'avremmo mai scelto come Re, il che acuisce in lui il desiderio di comandare, quando può.

 

5

 

Tam-sin era sdraiata nel suo letto a conchiglia.

Aveva gli occhi aperti ma non vedeva nulla dell'intricato mosaico di madreperla che ricopriva il soffitto sopra la sua testa. Piuttosto, si concentrò sugli altri poteri visivi che le. erano propri e vide subito Kilwar davanti a sé, in piedi a gambe larghe sulla tolda ondeggiante della nave. Attorno a lui si intrecciavano tentacoli di nebbia, grigi come le ossa di uomini morti da tempo.

Lo vedeva con tanta chiarezza che le sembrava quasi di poterlo toccare. Allungò persino la mano, sollevandola dal letto, per appoggiarla sul braccio muscoloso del Re del Mare e costringerlo a voltarsi. Ma la distanza li teneva separati nel corpo, se non nella mente.

— Kilwar — Le sue labbra ne pronunciarono il nome, pur senza emettere alcun suono. Eppure Tam-sin ebbe la certezza che in qualche modo lui avesse avvertito il richiamo, per quanto muto. Infatti voltò leggermente la testa e cercò qualcosa al di sopra delle spalle.

Ma, appena dopo, sussultò e si irrigidì. Tam-sin capì che doveva avere udito qualcosa che lei non era in grado di percepire. A quanto risultava chiaro, il collegamento mentale era solo visivo e non sonoro. Con l'aggiunta di un tipo di comunicazione extraverbale che lei esitava ancora a usare per non distrarlo da ciò che in quel momento assorbiva tutta la sua attenzione.

Dalle spire di nebbia sbucò un secondo uomo e Tam-sin capì che si trattava di Pilhuys, anche se l'immagine ondeggiava e non era nitida come quella di Kilwar. Tra lei e il Capitano, infatti, non esisteva alcun legame specifico.

Pilhuys sventolò una mano verso sinistra, come per richiamare la piena attenzione del suo signore verso qualcosa che evidentemente si trovava da quella parte. E quando Kilwar raggiunse a grandi passi la balaustra per scrutare nella nebbia sempre più fitta… anche Tam-sin poté distinguere la prua snella di una nave che bucava il velo di nebbia come un ago buca un pezzo di tessuto.

Lo strano vascello non manteneva una rotta precisa, ma si lasciava spingere alla deriva dalle onde. Era chiaro che non c'era nessun nostromo a governarlo. Tam-sin scorse Kilwar girare di nuovo la testa e vide i movimenti delle sue labbra. Alle sue spalle sul ponte apparvero dei marinai che si affrettarono a calare una scialuppa su un fianco della nave da guerra. Dunque, il suo signore e padrone si era davvero imbattuto nel fantasma della nave delle nebbie.

Una fitta di terrore la colpì così a fondo da farle perdere il controllo. Kilwar, la nave avvolta nella nebbia, tutto scomparve lasciandola svuotata, con il palmo delle mani madido di sudore e la bocca secca. Il terrore che provava era troppo violento e irragionevole. Tam-sin cercò di valutarlo. Non si trattava del timore normale di chi affronta un pericolo sconosciuto. Era piuttosto una specie di panico mai sperimentato prima, come se il vascello sconosciuto emanasse un fetore da ossario che la colpiva direttamente alla base delle sue doti di sensitiva.

Doveva assolutamente tornare al fianco di Kilwar, pensò, anche se aveva la pelle d'oca e il corpo le tremava come se si trovasse nudo sotto il vento gelido dell'inverno.

Kilwar! Ancora una volta lottò per ritrovare l'equilibrio, spingere lontane le paure e rinnovare il contatto. Si trattava forse… della morte? No, c'era qualcos'altro acquattato in attesa su quella nave solo parzialmente visibile. Qualcosa di altrettanto devastante per la sua gente. Tam-sin lo percepiva come se avesse già visto con i propri occhi un mostro ergersi di colpo sugli uomini dell'equipaggio e tendere gli artigli per catturare la preda.

Kilwar! Tam-sin raccolse le forze disperse e ricostruì l'immagine di Kilwar nella mente. Il mondo sprofondò in un dondolio nauseante e lei si ritrovò di nuovo laggiù, ma in un diverso punto di osservazione. Questa volta approdò accanto al Re del Mare, proprio sul ponte di quello che doveva essere il relitto.

Si trattava di un'imbarcazione che per dimensioni si collocava a metà tra quella da guerra di Kilwar e quella da trasporto di Pilhuys, per quanto la nebbia permettesse di vedere. Non aveva le linee nette di una nave disegnata dal Popolo del Mare, ma era più arrotondata e sicuramente adatta a trasportare molte più mercanzie di quanto un solo Re del Mare possedesse. C'era un boccaporto proprio davanti a Kilwar e la corda che lo teneva chiuso era ben stretta e fermata con un sigillo grande quasi quanto il palmo della mano di Tam-sin. Lui si inginocchiò per esaminarne il disegno e lei non fu affatto sorpresa di scorgervi il disegno che Pilhuys aveva già disegnato per loro.

Kilwar gesticolò e impartì degli ordini che lei non sentì. Dalla scialuppa sottostante gli uomini salirono a bordo e incominciarono a ispezionare la nave a due a due, con le armi spianate. Kilwar si avventurò di persona nelle stanze riservate agli ufficiali, portando con sé anche gli occhi lontani di Tam-sin.

Il tavolo era avvitato al pavimento per sicurezza in caso di tempesta. Accanto al tavolo c'era una sedia, a sinistra una panca, e vicino alla parete più lontana era appoggiata una cuccetta rivestita da una coperta cremisi scolorita dal sale. Sul pavimento rotolava un orcio che già da tempo aveva perso tutto il suo contenuto in un appiccicoso e inutile percorso tra le tavole del pavimento. C'era anche una rastrelliera per le spade, nessuna mancante, e più in basso una fila di asce per abbordaggio a doppia lama. Ma a parte Kilwar e gli uomini che erano saliti a bordo con lui, su quella nave non c'era traccia di vita. E dall'espressione del Re del Mare seduto al tavolo mentre i suoi uomini venivano a due a due a fare rapporto, Tam-sin capì che non si era scoperto niente di più di quanto Pilhuys non avesse già raccontato. La nave era deserta.

Tuttavia, quel senso di minaccia incombente che l'aveva atterrita fin dall'inizio non se n'era andato e lei riusciva a mantenere il contatto solo a prezzo della più strenua volontà. Le sembrava incredibile non riuscire a individuare nessuna presenza in agguato, niente che non fosse un'ombra indistinta e inafferrabile. Aveva la certezza che il pericolo fosse presente, ma nonostante l'uso ben determinato dei propri mezzi, non riusciva a chiudere i suoi sospetti su niente di concreto.

L'ultima coppia di guardie aveva fatto rapporto. Kilwar continuò a rimanere seduto, con i gomiti piantati sul tavolo, il mento squadrato appoggiato al pugno e l'espressione pensierosa. Quando parlò, Pilhuys fece un cenno di dissenso. Poi si lanciò in una discussione appassionata che Kilwar troncò con una parola, o due al massimo. E guardando alle spalle del Capitano indicò due dei soldati in attesa. Erano i compagni di tante passate battaglie, e Tam-sin li riconobbe subito. A un gesto del loro signore, i due sguainarono la spada e la puntarono verso l'alto in segno di saluto.

Pilhuys azzardò ancora qualche protesta, ma un ordine netto da parte di Kilwar lo spedì fuori dalla cabina. Se ne andarono tutti, tranne i due che il Re del Mare aveva scelto. Tam-sin poteva ben indovinare quali fossero gli ordini. Kilwar aveva scelto di rimanere di persona a bordo della nave maledetta, per cercare di risolvere al più presto i suoi misteri. Il panico la sommerse di nuovo, annullando i suoi poteri e riportandola nella stanza della torre a lottare con la propria paura.

Questa volta la lotta durò più a lungo. Forse, la volontà si era già indebolita, nel corso del primo scontro.

Eppure, lei lottò con coraggio, facendo appello a tutte le sue forze. Quando alla fine riuscì a tornare da Kilwar trovò che la cabina era piena di ombre. Le due lanterne della nave erano sul tavolo e la fiamma all'interno, molto debole, riusciva a illuminare solo il settore immediatamente circostante. Kilwar era di nuovo seduto sulla sedia. O forse non si era mai mosso.

Sul piano del tavolo, oltre alla spada sguainata, giacevano anche due asce a doppia lama, tutte a portata di mano. La rastrelliera da dove provenivano adesso era completamente vuota. Tam-sin immaginò che fosse stato lui a togliere tutto per evitare che qualcuno, o qualcosa, ne approfittasse per armarsi.

L'atteggiamento era quello di un uomo in ascolto. Di sicuro non aveva ancora udito niente di sospetto, ma aspettava che qualcosa succedesse da un momento all'altro. Di quando in quando la sua bocca si apriva e lei immaginò che chiamasse i suoi uomini, per assicurarsi che si trovassero sempre al loro posto di guardia.

Parve che il tempo si trascinasse così per un'eternità. La luce delle lanterne continuava a tremare e ogni tanto Kilwar si alzava in piedi per sgranchirsi le gambe avanti e indietro. Mentre camminava impugnava la spada, come se non intendesse farsi cogliere di sorpresa da un nemico sconosciuto.

All'improvviso gridò di nuovo, corse al tavolo e agguantò una delle asce con la mano sinistra. Poi balzò di nuovo nell'ombra, al di là del cerchio di luce proiettato dalle lanterne. Il ponte! Era forse diretto al ponte?

Probabilmente sì, perché Tam sin scorse una cortina di nebbia argentata e luminosa. Capì subito che non si trattava di una nebbia normale perché al suo interno galleggiavano minuscoli granellini luminosi, che volavano avanti e indietro come insetti. Da quella nebbia sbucò all'improvviso una sagoma scura e barcollante. L'uomo ombra cadde, proprio mentre Kilwar irrompeva dove la nebbia era più spessa. Con un balzo si mise a cavallo di quella sagoma supina, con la spada pronta a colpire e la testa leggermente piegata come se avesse difficoltà a vedere.

In quel momento il terrore che era riuscita per ben due volte a sconfiggere la colpì in pieno. Tam-sin venne scaraventata in un'oscurità fatta di orrore puro, e corse disperatamente per sfuggire a qualcosa che non osava guardare, né immaginare in alcun modo. Finché, alla fine, non si accorse più di nulla e non cercò rifugio nell'incoscienza.

 

6

 

— Lady Tam-sin!

Il richiamo veniva da lontano e lei non intendeva ascoltarlo. Lì si trovava al sicuro…

— Lady Tam-sin!

Riprese lentamente coscienza del proprio corpo, anche se rifiutava ancora di aprire gli occhi. La memoria era ritornata e le presentava l'ultima immagine mentale del suo signore, avvolto da una nebbia scintillante e dannata. Ma la mano sulla sua spalla continuò a scrollarla, e per la terza volta una voce la chiamò, come se fosse questione di vita o di morte.

— Lady Tam-sin!

Lei aprì gli occhi con riluttanza. Althama, la sua ancella personale, era china sul letto con l'espressione angosciata. Alle sue spalle, Tam-sin scorse Follan. Che un Anziano si spingesse fino alla sua camera privata era sicuramente indice di qualcosa di grave.

Lei si rialzò a sedere. — Il nostro signore… — La voce era rauca, come se fosse rimasta per troppo tempo senza parlare. — Sta affrontando un grave pericolo.

— Mia signora — ribatté Follan con tristezza — è arrivato un falco con una brutta notizia. Quando i Signori di Lockriss e di Lochack sono arrivati sul luogo fissato per l'incontro hanno saputo che il nostro sovrano era scomparso con due dei suoi uomini a bordo della nave fantasma. L'hanno cercato a lungo ma la nave, ancora una volta, era completamente deserta.

— Non è morto!

— Mia signora, hanno setacciato ogni cabina da cima a fondo, e non hanno trovato anima viva.

— Lui non è morto — ripeté Tam-sin, caparbia. — Lo saprei, Follan.

Quando due persone sono collegate mentalmente e una delle due muore, l'altra subisce un trauma tremendo, che non è possibile confondere. Ero collegata con lui al momento del duello…

— Un duello? E con chi? — domandò l'Anziano, ansioso di saperne di più. — Che cosa hai visto mia signora?

— Niente, se non una nebbia densa di frammenti di luce in movimento. Non era un tipo di energia che conosco. E subito dopo sono stata respinta…

Follan scrollò la testa. — Lady Tam-sin, il messaggio parlava chiaro. Il nostro signore, morto o no, ci ha lasciato. E' venuto il momento di Rhuys, il quale si è subito nominato reggente. Un uomo con il corpo deforme non ha la possibilità di ambire al trono, ma può detenere il potere finché non passi un po' di tempo e i nostri sudditi non accettino il fatto che Kilwar è morto.

— Ma io proclamerò a tutti che è vivo!

— Mia signora, quali degli uomini che adesso brindano a Rhuys ti ascolteranno, se avranno il dubbio che tu parli solo per mantenere il tuo prestigio al castello? Rhuys ha parlato molto, nelle ultime ore. Ripete in continuazione che hai stregato il nostro sovrano fin dal vostro primo incontro e che Kilwar è morto proprio a causa di questo incantesimo. Racconta una storia logica e chi non possiede le tue doti di intuizione finisce per credergli.

Tam-sin si passò la lingua sulle labbra, che sentì improvvisamente secche. Anche lei poteva cogliere un certo filo logico nelle argomentazioni di Rhuys e non sapeva come controbatterle.

Era una Cantatrice di Marea, d'accordo, e chi non possedeva i suoi stessi poteri la guardava con diffidenza, quando non la invidiava apertamente.

— Che cosa mi farà? — chiese a Follan, senza mezzi termini.

— Mia signora, hai già due guardie davanti alla porta.

Non so che cosa abbia in mente lui, ma di sicuro non sarà un trattamento di favore nei tuoi confronti.

— Eppure, sei venuto fin qui per avvertirmi.

— Lady Tam-sin, ti conosco fin dal giorno in cui il mio signore ha incominciato a corteggiarti. Lui ha scelto te e, ai miei occhi, tu non l'hai mai tradito. Ora affermi che Kilwar di LockNar è vivo. Dimmi, dove si trova?

Si protese in avanti, con gli occhi fissi su di lei. C'era qualcosa di imperioso e ardente, nel suo sguardo. Le aquile marine facevano proprio così, quando avvistavano qualcosa.

— Non lo so, ma sono sicura che non è morto. Non mi rimane che una cosa da fare… andarlo a cercare. Eravamo collegati con la mente… Insomma, deve pur esserci qualche indizio, su quella dannata nave, che mi aiuti a rintracciarlo! Ma non posso farlo da qui. E hai appena detto che ci sono due soldati di guardia alla porta… — Lanciò una rapida occhiata alla sua ancella.

— Althama, fino a che punto sei disposta a obbedirmi? — domandò Tam-sin senza alcun apparente nesso logico.

— Sono al tuo servizio, mia signora — replicò umilmente l'altra. — Ogni tuo desiderio è legge.

— Le guardie ti lasciano entrare e uscire senza problemi?

— Sì, mia signora.

Ma prima si assicurano che non porti messaggi.

— Quali sono i tuoi piani? — volle sapere Follan.

— Quelli che rappresentano la mia unica speranza. Caro amico, ti sei sempre dimostrato un vassallo fedele al mio signore. Sarai altrettanto fedele anche a me?

— Hai detto che Kilwar di LockNar non è morto, e si dice che il tuo talento riesca appunto a veder chiaro tra la vita e la morte, in certe situazioni. Puoi contare su di me, mia signora. E adesso dimmi, qual è il tuo piano?

— E' semplice. — Lei guardò ancora Althama. — Posso usare i miei poteri per assumere l'aspetto della mia fedele ancella. Il travestimento non durerà a lungo, ma forse mi basterà per uscire di qui. E perché Rhuys non la incolpi della mia fuga la legherò al letto. Che cosa ne pensi?

L'ancella annuì con convinzione. — Padrona, se puoi compiere un simile incantesimo non perdere altro tempo. Anche tra le donne girano molte voci su di te e alcune sono tremende. Lord Rhuys ha finalmente il potere che sognava e tu sei la persona che teme e odia di più. Ma dove andrai? Nessuna nave può allontanarsi senza che qualcuno lo sappia e glielo vada a riferire. Ti impediranno di partire…

— Non mi servirà una nave. Ma non ti dirò altro, Althama, così nessuno potrà obbligarti a parlare. Fingi pure di odiarmi e racconta che sono uscita di senno a causa della scomparsa del sovrano. Fa' credere a tutti che ho preso la Strada oscura dell'autodistruzione, a causa del mio amore perduto e della paura nei confronti di Rhuys. Il sapere che lo temo fino a questo punto sarà musica per le sue orecchie.

Si alzò, mentre Follan si occupava di legare strettamente i polsi e le caviglie di Althama al letto. Le tappò anche la bocca con una specie di bavaglio, ma senza stringere troppo, in modo che l'ancella alla fine potesse liberarsi e chiamare le guardie per chiedere aiuto.

Tam-sin indossò gli abiti corti dell'ancella e poi rimase a occhi chiusi per un lungo istante, chiamando a raccolta tutti i suoi poteri di sognatrice, per essere chi non era. Udì Follan trasalire e schiuse di nuovo le palpebre.

— Mia signora, se non l'avessi visto con i miei occhi, non l'avrei mai ritenuto possibile.

— Non posso mantenere quest'illusione a lungo — gli ricordò lei. — Accompagnami sulla spiaggia, dove la gente sta ancora spigolando tra i detriti portati a riva dalla tempesta.

— Sarà fatto — replicò lui senza esitazioni.

E così, con le sembianze di Althama, Tam-sin si avventurò lungo i corridoi mantenendosi a rispettosa distanza da Follan, che spinse da parte le guardie come se non avessero proprio nulla da temere.

Scesero i gradini di una scala ripida e stretta, poi di un'altra più ampia. Quando uscirono all'aperto, lei poté udire le grida di richiamo delle donne intente a raccogliere tutti i doni che la tempesta aveva inviato sulla spiaggia. A quel punto fu lei a precedere l'Anziano, come se fosse ancora più ansiosa di aggiudicarsi la propria parte di bottino, dopo che qualcuno gliel'aveva impedito per troppo tempo. Ma dal momento che vicino all'entrata del castello non era rimasto più niente, doveva spingersi per forza più lontano per trovare qualcosa degno di essere recuperato.

Arrivò ad arrampicarsi su un ammasso di scogli sferzati dalle onde, solo per trovare al di là una sacca riparata, dove un paio di donne tiravano e scostavano fasci di alghe inzuppate di acqua, solo per vedere che cosa si celasse al di sotto.

Follan la raggiunse. — Mia signora, non c'è nessuna imbarcazione in partenza da qui.

Lei annuì. — Lo so, amico mio.

Ma ho ancora i miei poteri, e saranno loro a portarmi nel punto dove il Signore di LockNar è scomparso. — Proseguì verso altre rocce ancora più esposte, inondate dagli spruzzi delle onde, che ritornavano a rivoli verso il mare.

Si arrampicò sulla punta più estrema degli scogli e infine guardo in basso, verso Follan.

— Che cosa ti farà Rhuys se scoprirà che mi hai offerto il tuo appoggio incondizionato?

Follan sorrise, con un pizzico di amarezza. — Non scoprirà proprio niente. In fondo, sarò semplicemente testimone di un atto di follia che ti ha spinto a consegnarti al mare, come una Grande Madre. Stai tranquilla, Lady Tam-sin. Con o senza reggenza, Rhuys non troverà per niente facile governare su LockNar. Tanto per incominciare, a lui non fornirò proprio nessun appoggio.

— Mio buon amico — disse lei, con un sorriso commosso. Follan non era certo un uomo facile da comprendere, ma di sicuro le aveva reso un grande servigio. — Racconta quello che vuoi, ma non la verità, se puoi.

Slacciò la gonna e rimase nuda, con addosso solo la cintura a cui era appeso il lungo pugnale regalatole da Kilwar al momento della loro reciproca scelta. Poi rivolse il viso al mare e, mettendosi le mani a coppa davanti alla bocca, lanciò un richiamo acuto e squillante. Lo ripeté per tre volte e al terzo vide qualcosa cavalcare le onde in lontananza, e seppe di essere stata ascoltata.

Per il momento poteva accontentarsi. Tam-sin si lasciò andare all'abbraccio del mare, scegliendo con cura il momento per non essere scaraventata contro gli scogli dalle onde, e incominciò a nuotare. Non si era ancora allontanata granché dalle onde quando le creature che aveva chiamato la fiancheggiarono da entrambi i lati, con i corpi azzurri e arrotondati visibili solo per metà. Lei tese le mani in fuori e se le sentì catturare in una stretta ferma ma gentile.

Quelle bocche spaventose, armate di denti taglienti come rasoi, non si sarebbero mai rivoltati contro qualcuno che conosceva il segreto del loro richiamo. Venne sospinta in avanti a una velocità che nessun nuotatore, per quanto appartenente al Popolo del Mare, sarebbe mai riuscito a eguagliare. Con un simile aiuto, non aveva bisogno di barche per raggiungere la scogliera.

 

7

 

Ogni tanto Tam-sin smetteva di farsi trainare e proseguiva a nuoto da sola, con i loxsa sempre al fianco, pronti a offrirle aiuto se si sentiva stanca. Risalì in superficie per dare un'occhiata e scoprì che i pallidi raggi di sole andavano scomparendo a poco a poco e il cielo assumeva ormai i profondi bagliori purpurei del tramonto. Il mondo marino in cui si muoveva le era familiare come la stanza nell'Arnia delle sognatrici da dove quell'altra persona che era in lei proveniva. C'erano altre sagome scure che percorrevano le stesse vie, ma non avrebbero mai osato attaccarla finché i loxsa rimanevano al suo fianco.

I loxsa erano creature dotate di straordinaria intelligenza, ma con una struttura mentale così complessa e lontana da quella umana che la comunicazione risultava spesso difficile e necessariamente ridotta. In quel momento sapevano dove lei voleva andare. Non era necessario spiegare il perché, né loro l'avrebbero chiesto.

Si alzò la luna e, ancora una volta, Tam-sin si lasciò rimorchiare dai suoi compagni marini. In superficie trovarono un'altra coppia di animali pronti a dare il cambio alla prima, con la stessa rapidità ed efficienza.

Lei aveva fame e sete, ma per il momento era ben decisa a mettere da parte le necessità del corpo. Una volta raggiunta la scogliera avrebbe finalmente allentato la ferrea volontà che la spingeva avanti e che l'aiutava a mantenere il contatto con i loxsa che l'aiutavano.

Il tempo perse valore e a Tam-sin sembrò di avere viaggiato per un numero incalcolabile di ore. Alla fine, durante un'emersione, avvistò la sagoma scura di una nave. Per un momento, con il cuore in gola, pensò che si trattasse proprio del vascello fantasma, poi sull'acqua aleggiò il suono di un gong e lei capì che doveva essere, invece, una delle navi sentinella inviate dal Popolo del Mare.

In quel momento non aveva alcun desiderio di incontrare navi diverse da quella che cercava. Dopotutto, a bordo dello stesso vascello di Kilwar avrebbe rischiato di cadere di nuovo in mano agli uomini di Rhuys. Non c'era dubbio, infatti, che il fratello del Re avesse le sue spie dovunque. Anche se si fosse imbattuta nelle navi da guerra di Lochack e Lockriss, alla fine il risultato sarebbe stato lo stesso. Quindi, doveva raggiungere la scogliera da sola e, una volta là, attendere l'occasione di trovare la trappola misteriosa che si era impadronita di Kilwar e dei suoi uomini.

I loxsa virarono a sinistra allontanandola dalla nave e nuotarono sott'acqua, dove di notte non era possibile individuarli. Davanti a loro si erse all'improvviso una barriera di rocce e Tam-sin capì di aver finalmente raggiunto la base di quel muro sconnesso e frastagliato che in superficie dava vita alla scogliera. Abbandonò la presa sui loxsa e nuotò lentamente verso la propria meta, cercando di individuare un punto che le offrisse abbastanza appigli per sollevarsi al di sopra delle onde e uscire dall'acqua. Sulla pelle nuda, l'aria della notte era così gelida che quasi le manco il fiato. Lei si arrampicò in alto e cercò di aderire alla roccia per evitare che qualche osservatore particolarmente attento riuscisse a individuarla. Respirò a fondo per svuotare le branchie e tornò a servirsi dei polmoni.

Dal punto in cui si trovava riusciva a vedere le luci di tre navi, ancorate a distanza di sicurezza dalla scogliera. Non c'era nebbia, e forse valeva la pena di chiedersi se lo stesso vascello fantasma non fosse strettamente connesso con quel fenomeno. Magari, la nebbia non era altro che un mantello, steso per nascondere il demone che abitava a bordo.

Gli occhi servivano a ben poco, ormai. Tam-sin doveva usare l'altra vista di cui era dotata per frugare gli anfratti della notte e trovare la mente a cui aveva la possibilità di collegarsi. Ci fu all'inizio una lieve interferenza che non tentò neanche di chiarire. Si trattava probabilmente dei pensieri dei loxsa, che per lei non avevano valore. Capì che doveva allargare ancora di più la sua rete, spingerla avanti, con la speranza di cogliere qualcosa di Kilwar, anche una scintilla fievolissima, che le facesse da guida. Ma non riusciva a trovare nulla…

Aveva ormai spinto la ricerca quasi al limite massimo dei suoi poteri. In mancanza di un vero collegamento era proprio difficile fare di più. Strinse le mani a pugno e girò di scatto la testa a sinistra, verso nord. Cercò ancora una volta la concentrazione e inviò le sue sonde mentali in quella direzione.

Non era un vero e proprio contatto. Piuttosto, era come trovare un unico capo di un filo aggrovigliato quando si cercava un intero pezzo di tessuto. Ma bastava per farle capire che le sue ricerche dovevano continuare in quella direzione. Rincuorata, Tam-sin scivolò in acqua e i suoi custodi marini fecero di nuovo quadrato tutt'attorno senza che lei li avesse chiamati.

La scorta era salita a sei esemplari. I loxsa erano notoriamente curiosi, specie per ciò che riguardava gli uomini. Accompagnavano spesso il Popolo del Mare, magari a distanza, solo per studiare le loro azioni. Così, almeno, si diceva. Il fatto che si avvicinassero così tanto a Tam-sin dipendeva invece dall'antico richiamo che lei aveva usato. Gli animali continuarono a scivolare rapidamente nell'acqua al suo fianco, e con l'udito subacqueo di cui era dotata, lei captò lievi tracce di quelle loro strane grida stridule che, come i pensieri, interferivano senza danno con le sue capacità sensoriali. I corpi snelli, due volte più lunghi del suo creavano un formidabile anello difensivo, ma Tam-sin sapeva bene che neanche loro avrebbero potuto offrirle protezione, una volta che il suo obiettivo fosse stato raggiunto.

Dal momento che si erano messi a nuotare sott'acqua e che la trainavano a turno alla loro velocità abituale, Tam-sin si disinteressò totalmente del viaggio e si concentrò nel tentativo di rintracciare e fissare nella mente la tenue traccia che l'aveva spinta in quella direzione.

Aveva già stabilito che non si trattava di un vero collegamento. Piuttosto, era come vedere un'ombra lievissima al posto di un uomo in carne e ossa. Eppure sapeva di non sbagliarsi. Il contatto con Kilwar, in qualche modo, esisteva.

Purtroppo non si rafforzava a mano a mano che procedevano, come lei aveva sperato. Tanto che ne fu delusa. Si staccò dai loxsa e salì in superficie. Sopra di lei…

Incominciò a batterle forte il cuore e si sentì combattuta tra l'apprensione e un gran senso di trionfo. Una nebbia fitta e turbinosa nascondeva tutto, persino la superficie del mare, e non si capiva più dove fosse l'est, l'ovest, il nord o il sud. I loxsa che l'avevano seguita alzarono il muso dalle onde e guardarono avanti. Lei se ne sentì leggermente rassicurata. Il fenomeno non confondeva le creature marine, dunque era stato creato dall'uomo.

Di che altro poteva trattarsi, se non del vascello fantasma? Tam-sin inviò per via telepatica agli animali la richiesta di trainarla vicino alla nave, se di una nave si trattava, e rimase stupefatta quando, per la prima volta, i loxsa le rifiutarono il loro aiuto.

Avvertiva le loro vibrate proteste anche se non riusciva a captare le voci ultrasonore né a stabilire un contatto diretto con i loro pensieri. Qualunque fenomeno si nascondesse nella nebbia dietro a quel ribollire di onde li spaventava.

Proprio come spaventava lei. Proseguì da sola, più che mai decisa a non cedere alla paura, e avvertì gli sforzi disperati dei precedenti compagni di viaggio, alle sue spalle, che cercavano di dissuaderla e di convincerla a tornare in acque che consideravano meno pericolose.

Fu la sua ostinazione a spingerli a rinunciare alla fine. In ogni caso si guardarono bene dall'accompagnarla e anzi si ritrassero per osservarla a distanza. Una distanza che continuava ad aumentare, dato che lei proseguiva, imperterrita. I loxsa erano noti a tutti per il loro coraggio, e Tam-sin lo sapeva. Il disagio che avevano appena mostrato era un chiaro avvertimento che lei si prese consapevolmente la libertà di ignorare, per quanto la decisione rappresentasse una follia.

Ormai, la nebbia era spessa come un muro. Tam-sin si tuffò sott'acqua dove non era costretta a vederla. Avanti, molto più avanti, una strana fosforescenza delineava una sagoma che non era possibile confondere con qualcos'altro. La chiglia di una nave. La fosforescenza era già di per sé un avvertimento, dato che a produrla erano le conchiglie di certe creature che trovavano il loro habitat ideale nel legno corroso dal sale. Un tipo di corrosione che si riscontrava solo nelle imbarcazioni rimaste per troppo tempo in mare. Il fatto che ce ne fossero così tante, tutte concentrate lì sotto, significava che da molto, moltissimo tempo nessuno si preoccupava più della pulizia dello scafo.

Tam-sin si diresse senza esitazioni verso quella debole fonte di luce. Sapeva che i loxsa l'avevano ormai abbandonata al suo destino e il suo unico pensiero era quello di trovare un modo per salire a bordo. A meno che non ci fossero funi che pendevano dalle fiancate, issarsi sul ponte sarebbe stato sicuramente un problema.

Tornò ancora una volta in superficie e alzò la testa sopra il pelo dell'acqua con una mano sulla fiancata piena di alghe del relitto. Per quanto poteva vedere, non c'erano né funi né sistemi di risalita di alcun tipo. La catena dell'ancora, forse?

Si spostò verso poppa e finalmente la vide. La udì anche, mentre raschiava il legno avanti e indietro in un punto ormai perfettamente ripulito dalle alghe e dalle conchiglie. L'ancora non c'era, ma la catena continuava a rimanere tesa, dato il peso, e sfiorava l'acqua quel tanto che bastava a Tam-sin per aggrapparsi a una maglia semi-aperta e tirarsi su.

Riuscì a raggiungere la fessura da cui usciva la catena dopo una salita così faticosa da lasciarla senza fiato. e scoprì che l'apertura era decisamente troppo piccola anche per il suo corpo sottile e flessuoso. Cercò un appiglio più in alto, ansimando per lo sforzo, e trovò il legno scheggiato della balaustra del ponte. Un attimo dopo era a bordo. La nebbia consentiva una visibilità di un metro al massimo. Tam-sin si accucciò per ascoltare, questa volta con le orecchie e non con la mente.

 

8

 

Lì c'era vita, poteva sentirla. Ma si trattava di vita aliena, quasi come quella dei loxsa, che si sovrapponeva e minacciava di oscurare le tracce di Kilwar che lei tentava di seguire. Di una cosa Tam-sin era sicura. Non avrebbe trovato proprio niente di interessante nelle cabine comuni e nei corridoi del vascello alla deriva. Le ricerche condotte a bordo fino a quel momento erano state tutt'altro che trascurate e non rimaneva altro su cui indagare.

Eppure c'era qualcosa che covava lì dentro…

A piedi nudi, si spinse in avanti sul ponte senza fare rumore, con il pugnale in mano. L'aveva sguainato per puro istinto. ln fondo, era convinta che qualsiasi pericolo si celasse nell'ombra non sarebbe stato di certo possibile sconfiggerlo con una lama, per quanto ben adoperata.

Ma se non era sulla nave, allora dov'era?

La nebbia si addensava come una cappa su quasi tutto il ponte, tranne che nel punto immediatamente circostante a dove si trovava lei. Pur con le orecchie tese Tam-sin riuscì a cogliere solo lo sciacquio delle onde contro il fianco del vascello e lo strusciare costante della catena dell'ancora che si spostava avanti e indietro, come un pendolo.

C'era qualcosa nella nebbia, vicino al ponte. Molto lentamente, Tam-sin si mosse verso la zona d'ombra. Nessun dubbio. Era il famoso portello sigillato del boccaporto, che portava a una stiva che tutti avevano giudicato stracolma. Lei vi appoggiò la mano sinistra, tastò la rete di corde che lo teneva saldamente chiuso e fece il giro tutt'attorno. Quello era l'unico posto dove nessuno aveva cercato. Neanche i marinai di Pilhuys.

Dal momento che le corde risultavano ben tese e apparentemente intatte, grazie anche al sigillo, nessuno aveva riservato a quel portello la minima attenzione. Eppure, se il relitto costituiva una minaccia, quello era l'unico posto rimasto dove poteva celarsi la spiegazione di tutti i misteri.

Tam-sin toccò il sigillo. Era grande come il palmo della sua mano, o quasi, e anche sotto la debole luce che sembrava parte integrante della nebbia stessa vi si scorgeva chiaramente il simbolo della Casata a cui Starrex faceva capo nella vita reale.

Lei si inginocchiò. Il ponte era bagnato da rigagnoli di umidità, forse causati da un fenomeno di condensa della nebbia, e c'era un vento freddo che faceva rabbrividire. Ma a dispetto di tutto, Tam-sin alzò il sigillo, posto proprio nel punto di giunzione delle corde, e tirò con forza.

Le sembrò che qualcosa, nell'intricato sistema di nodi, avesse ceduto. Tirò ancora, più forte. Il sigillo scivolò via e le estremità delle corde si sciolsero, anche troppo facilmente. Non si trattava di un vero sigillo, dunque, ma solo di un'imitazione ben eseguita.

Tam-sin lavorò in fretta per liberare il portello dalla rete di corde. Sempre che avesse poi la forza di alzarlo, ma quello era un altro problema. Il portello si divideva in due parti che si aprivano nel mezzo. Con il pugnale tra i denti per maggiore sicurezza, lei infilò le dita nella fessura centrale e tirò con tutte le sue forze.

Rischiò di perdere l'equilibrio, perché la metà a cui si era aggrappata si alzò in fretta, come se fosse molto più leggera di quanto lei si era aspettata oppure come se ci fosse una molla che ne facilitava l'apertura. Dal basso provenne una luce: pallida, verdastra e nettamente sgradevole. E insieme alla luce arrivarono anche un tanfo e un fetore orribili, come lei non era mai stata costretta a inalare prima di quel momento.

Si ritrasse, con la gola chiusa per la nausea, aspettandosi che da un momento all'altro si materializzasse chissà quale altro orrore. Ma alla luce e alla puzza non si aggiunse nulla. Ancora una volta, lei si avvicinò al boccaporto, con una mano sul naso per difendersi in qualche modo.

Si impose di guardare verso il basso, anche se ogni fibra del corpo e tutte le sue doti di sensitiva glielo vietavano.

Quello che vide fu così orrendo che all'inizio non capì. Vinse l'orrore e obbligò i suoi occhi a guardare, cercando di catalogare tutto con la mente.

Immediatamente al di sotto dell'apertura centrale c'era una lunga bara, o comunque una cassa. E in quella cassa c'era un uomo. Al di sopra della testa era appoggiata una sfera di luce che irradiava una bizzarra luminescenza verdastra. Ma…

Ogni lato di quella cassa aperta era circondato… da corpi esanimi! Tam-sin si premette le nocche della mano contro le labbra, per soffocare un grido. Alcuni dei cadaveri sembravano molto vecchi, con la pelle ridotta a pochi brandelli incartapecoriti che ricoprivano qua e là le ossa. Rappresentavano solo un lontanissimo ricordo di ciò che una volta era stato un uomo. Ma riverso contro quella cassa aperta, dalla parte della testa, Tam-sin vide Kilwar! E con lui i suoi vassalli e poco più in là altri tre, forse gli uomini messi di guardia da Pilhuys… Quei tre erano morti di sicuro, a giudicare dagli occhi vacui e infossati.

Kilwar! Aiutandosi con le doti di lettura del pensiero, Tam-sin sondò la mente di quel corpo inerte. No, non era morto!

Ma come poteva liberarlo da quella prigionia pestilenziale?

Le corde che aveva tolto dal portello del boccaporto! Si voltò, le prese tra le dita e cercò di annodare le più lunghe. Non conosceva il significato di ciò che aveva appena scoperto, ma di una cosa era certa. La fine di Kilwar poteva essere imminente e non rimaneva molto tempo per salvarlo.

Fissò la corda alla più vicina balaustra del ponte e controllò con cura ogni nodo della scala improvvisata, prima di avvicinarsi di nuovo al bordo dell'apertura.

A quel punto non restava che affrontare la prova più difficile. Doveva calarsi in quella specie di ossario e fare in modo di riportare Kilwar sul ponte insieme ai suoi uomini, se anche loro erano vivi. Le fu indispensabile fare appello a tutta la propria forza di volontà per trovare il coraggio necessario. Scavalcò il bordo del boccaporto e incominciò a scendere.

Fu solo quando si trovò vicino al Re del Mare che avvertì la potenza ancora attiva di quella trappola terrificante. Era da lì che proveniva la sensazione che lei aveva percepito. Qualcosa di orrendo e satollo sembrò vibrare nell'aria. Anche lei sarebbe rimasta in trappola… Si era salvata solo grazie al fatto che per il momento la spaventosa avidità della creatura sconosciuta era stata soddisfatta.

Tam-sin si chinò e sguainò la spada di Kilwar. Era molto più pesante del pugnale e lei la manovrava in modo maldestro, dal momento che nessuno le aveva mai insegnato come tenerla. La luce, quella bizzarra luminescenza verdastra, si stava accentuando. Tam-sin guardò la sfera e vide qualcosa che turbinava all'interno. in profondità.

Lì dentro c'era vita!

La sfera…

Qualcosa si chiuse su di lei, avvolgendola come se volesse soffocarla, togliendole l'aria dai polmoni e lasciando solo quel fetore orrendo che le provocava violenti conati di vomito. La cosa… ia voleva come preda!

Tam-sin si aggrappò alla spalla di Kilwar e la scosse con decisione. C'era ancora un barlume di vita in lui, ne era sicura. Dunque doveva svegliarsi e cercare da solo una via d'uscita. Lei si trovava ormai a fronteggiare una forza che superava di gran lunga tutte quelle che aveva mai incontrato. nel sogni o no.

— Kilwar! — Gridò il suo nome e lo sentì muoversi appena. Da sola non sarebbe mai stata in grado di trascinarlo più vicino alla fune. Un uomo inanimato era sicuramente troppo pesante, per lei. Cercò di sollevargli la testa e le spalle, ma lui traballò e ricadde in avanti, spingendola contro il fianco della cassa. Per la prima volta, Tam-sin posò gli occhi sull'uomo sdraiato all'interno. Lo vide e capì…

Kas! Era morto, prosciugato di tutte le forze vitali come gli altri, oppure dormiva?

La sfera pulsò di luce.

Da lei si sprigionava una smisurata e arrogante fiducia in se stessa. Quella cosa non aveva mai conosciuto la sconfitta aveva raccolto le proprie vittime come e quando voleva e nessuno era mai riuscito a oppor si.

Tam-sin fece appello a quella parte di sé che era sognatrice e Cantatrice di Marea. Quella cosa non apparteneva al genere umano, e andava oltre qualunque classificazione suggerita dalle sue vaste conoscenze. Eppure, per qualche bizzarro meccanismo, fu proprio il fatto di aver ritrovato Kas in quella stiva a restituirle la forza e l'energia necessarie a contrastarla. Dopotutto, anche in lei c'era una parte che non era mai stata sconfitta.

Era la sfera a nutrire l'uomo posto sotto la sua tutela, o nutriva solo se stessa? Non c'era alcun segno di deterioramento sul corpo di Kas. A lei sembrò persino di aver visto il torace alzarsi e abbassarsi in un fievole respiro.

La sfera…

La creatura che dimorava lì dentro si rafforzava sempre di più, e ormai era pronta a sopraffarla. Tam-sin rovesciò la spada che teneva ancora in pugno. Incurante del fatto che il bordo seghettato le lacerasse il palmo, la prese per la punta e calò con forza il pomello sulla sfera.

Lo strano oggetto non andò in mille pezzi, come Tam-sin aveva sperato. Al contrario, mentre lei barcollava per il contraccolpo la luce generò un lampo maligno. Il pomello colpì ancora, mentre il sangue sgorgava dalle mani ferite, rendendo la presa meno salda.

La sfera non intendeva rompersi. E nello spazio di un altro istante, o forse due, avrebbe preso il sopravvento su di lei. Che cosa la governava?

Tam-sin rivoltò ancora una volta la spada, con il sangue che le scendeva a rivoli sui polsi. Non aveva che un solo secondo e un'ultima, assurda ipotesi. Impugnò l'arma per il verso giusto, meglio che poteva, e la puntò esattamente contro il cuore dell'uomo nella cassa. Non aveva altra scelta.

 

9

 

Si udì una specie di ululato sinistro. Non usciva di certo dalla gola di Tam-sin perché lei, in quel momento, non avrebbe potuto formulare alcun suono. Tutti i sensi le vennero meno, come sotto un colpo mortale. Barcollò e cadde in quel groviglio di corpi, aggrappandosi disperatamente alla scintilla di vita che aveva ancora, dentro di sé.

L'ululato era una tortura per le orecchie e la luce crebbe fino a diventare abbagliante. Lei emise un fievole lamento. Non aveva più forze a cui fare appello, poteva solo fare del suo meglio per sopravvivere.

Ci fu un movimento, lì vicino a lei.

La cosa nella cassa… Tam-sin non poteva sapere se, in un ultimo sprazzo di lucidità, aveva colpito nel segno. No, no e no!

In qualche modo, si appellò agli ultimi rimasugli di volontà. Lottò per rialzarsi, nauseata da ciò che si trovava sotto di lei e tutt'attorno. La luce aveva smesso di ferirle gli occhi. Tremolava nella sfera come se lottasse per non estinguersi. Quell'odio terribile che l'aveva investita… per fortuna, adesso se ne era liberata. Tam-sin mise una mano sul fianco della cassa e con le dita si aggrappò al bordo. Poi, tenendosi forte, cercò di rimettersi in piedi.

All'interno della sfera, la luce si contorse avanti e indietro come un serpente dolorante e ferito. Lei desiderò con ardore un'ascia e la forza di colpire senza misericordia né impacci di alcun tipo.

— Tam-sin!

Anche se l'ululato era diminuito di intensità, lei udì appena il richiamo. Fissava, stupefatta, il fondo della cassa. La spada di Kilwar era ancora con l'elsa puntata verso l'alto e la parte inferiore piantata tra le costole dell'uomo addormentato. Solo che non era più un uomo addormentato. La carne si era sfaldata e staccata in fretta, lasciando solo brandelli di pelle qua e là sulle ossa.

— Tam-sin. — Sentì un braccio sulle spalle mentre un violento conato di vomito le scuoteva il corpo.

— Kas — disse, puntando l'indice tremante verso ciò che giaceva all'interno della cassa con l'aspetto di un cadavere in decomposizione ormai da mesi.

Collera, una collera incredula e impotente. Nonostante quel braccio sulla spalla, lei non riuscì a distogliere lo sguardo dalla sfera. Non era più un globo perfetto di luce ma mostrava qua e là dei rigonfiamenti, come se qualcosa all'interno lottasse per liberarsi.

— Fuori… — Mormorò quella parola due volte, prima che le tornasse la voce. — Fuori di qui…

Il braccio la tirava indietro verso la corda, lontano dalla cassa e dalla sfera. Il riflesso verdastro continuò a contorcersi ma i suoi sforzi sembrarono indebolirsi sempre di più. Qualcuno la costrinse con le mani a voltarsi e a fronteggiare la rudimentale scala che portava al livello superiore, poi la sollevò da quell'ammasso fetido sul pavimento. Senza aver nemmeno piena coscienza di quel che faceva, Tam-sin si aggrappò alla corda.

Non aveva più un briciolo di forza. Non ce l'avrebbe mai fatta ad arrampicarsi fin su.

— Sali, Tam-sin!

L'ordine, così netto e perentorio, spezzò il suo torpore e la costrinse in qualche modo a obbedire. Qualcuno, sotto di lei, continuò a incitarla. Alla fine, con un ultimo sforzo e un ultimo atto di coraggio, lei si lasciò cadere sul ponte, ancora avvolto nelle nebbie.

Non aveva più neanche l'energia sufficiente ad alzarsi da dove si trovava.

— Non ti muovere! — Di nuovo un ordine imperioso. — Vado a cercare Trusend e Lother.

Lei chiuse gli occhi. Non si era mai sentita così stanca. La cosa che ora lottava nella sfera sembrava averle succhiato tutta l'energia e la determinazione. Ma ormai non le importava più, era sufficiente trovarsi fuori da quella stiva marcescente e pestilenziale e respirare l'aria del mare a pieni polmoni.

Alla fine, riuscì a girarsi per vedere il boccaporto. La corda era tesa, e a tratti vibrava.

Una testa si sollevò dal bordo del boccaporto e un uomo si rialzò in piedi sul ponte.

Kilwar. Lei non riusci ad assaporare il sollievo per il fatto di vederlo vivo. Si sentiva troppo svuotata. Lui si girò e incominciò a tirare la corda, finché non apparve una seconda testa, apparentemente priva di vita. Il corpo immobile venne fatto rotolare accanto a quello di Tam-sin e lui scomparve un'altra volta verso il basso. Ne riemerse poco dopo, con un altro uomo, anche lui privo di sensi.

E fu allora che, su tutti loro, si abbatté una nuova e tremenda minaccia. Dal boccaporto aperto incominciò a uscire una corona di fiamme accecanti, che si spinsero a lambire con furia vendicatrice il soccorritore proprio mentre metteva in salvo il suo secondo uomo.

— Al fuoco! — gridò Kilwar. — Per la Faccia di Vlasta, non riusciremo mai a fermarlo…

Si curvò su di lei e la prese per le spalle costringendola a rimettersi in piedi sulle gambe malferme. — Buttati. — L'aveva tirata fino alla balaustra.

Mentre rimaneva lì aggrappata, lei lo vide balzare verso il portello del boccaporto e cercare di chiuderlo con la spada. Ma non bastò. Kilwar lasciò perdere e si precipitò verso la balaustra di legno. La scardinò, la sollevò e con uno sforzo la mandò a cadere fra le onde. Poi si girò verso Tam-sin.

— Buttati! Te li passerò tutti e due. Usa la balaustra come zattera.

In qualche modo lei riuscì a saltar giù, fendendo l'acqua di traverso ma assaporando l'abbraccio purificante del mare sul corpo stanco. Raggiunse a nuoto la zattera di fortuna e si issò a bordo. Kilwar abbassò i corpi dei suoi vassalli sulla balaustra e si tuffò a sua volta. La raggiunse mentre lei giaceva esanime, con la mano stretta sulla cintura dei due uomini ancora privi di conoscenza.

Alle loro spalle, anche la nebbia luccicava come se avesse preso fuoco. Tam-sin guardò stancamente la linea di fuoco che avanzava proprio nel punto dove lei si trovava fino a pochi momenti prima. Qualcosa, forse il calore stesso della nave che bruciava, stava dissolvendo la nebbia, e ne asciugava ogni traccia mentre loro continuavano ad allontanarsi in balia delle onde.

Kilwar le staccò le dita dalle cinture dei suoi uomini e fece rotolare i due corpi verso il centro di quella zattera improvvisata.

— L'incendio richiamerà l'attenzione delle navi di guardia — disse, con un cenno verso il vascello fantasma ormai divorato dalle fiamme. — Possiamo rimanere qui, finché non arrivano.

— Un incendio… — Tam-sin osservò senza emozione la nave che veniva distrutta a poco a poco. Le esperienze di quella tremenda notte l'avevano svuotata.

— E' stata quella strana cosa nella sfera a rompere l'involucro che la conteneva — spiegò lui. — Ecco il risultato.

C'era qualcosa che doveva dirgli, anche se la sua mente sembrava incapace di coordinare i pensieri. Era una cosa importante… ma in quel momento si sentiva troppo esausta anche solo per cercare di ricordarla.

— Rrrrruuuuu!

Molto più in là del vascello in fiamme qualcuno aveva suonato il corno a conchiglia. Kilwar si mise in ginocchio, bilanciandosi con grande attenzione sulla zattera. Rispose con un grido penetrante come il suono del corno. Un secondo più tardi, un altro grido gli fece eco.

— Tam-sin. — La sua mano le sfiorò la spalla, ed era calda e gentile. — Vengono a prenderci.

Lei non riuscì a parlare. Si limitò a sollevare la testa per appoggiargliela su un ginocchio. Nell'intontimento della stanchezza vide uno degli uomini salvati da Kilwar girare la testa e guardare il suo Re.

La nebbia si diradava in fretta. Ormai era possibile scorgere persino il luccichio di qualche stella in cielo, mentre il furioso incendio a bordo del vascello fantasma illuminava a giorno il mare. Il muso di una nave entrò nel cerchio di luce, dirigendosi verso di loro.

Tam-sin si rese conto a malapena di essere issata a bordo, coricata su una cuccetta e ricoperta con un tessuto caldo e morbido. Kilwar la lasciò sola e ricomparve con un bicchiere in mano prima ancora che lei si rendesse ben conto della sua assenza. La ragazza si aggrappò alla sua spalla per sollevarsi e trangugiò quello che le veniva offerto, senza nemmeno chiedere che cosa fosse. Le sembrò di aver bevuto del fuoco liquido.

— Quella… cosa — bisbigliò. — Se è riuscita a uscire…

Nella sua mente si addensò l'ombra di un incubo. Che cosa sarebbe successo se la cosa, libera dal suo involucro, fosse stata in grado di seguirli e di tormentarli?

— Si è spenta. Ed è andata comunque distrutta — le assicurò in fretta lui. — Adesso dormi tranquilla, mia bella signora. qui nessuno potrà farci del male.

Lei lasciò che Kilwar l'aiutasse di nuovo a stendersi sulla cuccetta. Una volta o l'altra doveva cercare di capire che cosa fosse successo, ma adesso era troppo stanca. La aspettava un lungo sonno ristoratore.

 

10

 

Da una delle finestre della cabina filtrava una luce grigia che si posava sul corpo di Kilwar. Il Signore di LockNar era addormentato su una sedia, con la testa rovesciata all'indietro e gli occhi chiusi. Tam-sin lo guardò dormire e cercò di mettere ordine nella moltitudine di ricordi frammentari del suo più recente passato. La nave fantasma e il suo carico… Ancora una volta ripensò all'uomo apparentemente addormentato sotto la luce malevola della sfera.

Kas!

Solo in quel momento comprese l'inevitabile conseguenza di quel suo attacco contro l'uomo della cassa. Loro tre erano strettamente collegati in quel sogno che, a quanto sembrava, esisteva anche al di là del suo potere di controllo. E se Kas era morto…

Aveva visto con i suoi occhi il corpo che, trafitto dalla spada, avvizziva e si rattrappiva fino a trasformarsi in un cadavere in decomposizione da giorni, settimane e anche di più. Era possibile che quella fosse la stessa nave che aveva sparso il terrore al largo di Quinquare? Se era così, in quel piano di esistenza Kas era già morto da tempo, oppure si trovava in una specie di limbo garantito dalla sfera.

Che tipo di bizzarra e spaventosa magia si nascondeva dietro a ciò che era esistito dentro la stiva di quella nave?

Kilwar si mosse, schiuse gli occhi e si raddrizzò sulla sedia. Poi rivolse in fretta lo sguardo verso di lei e Tam-sin riuscì in qualche modo a trovare la forza di sorridere.

— Mia bella signora!

Le fu rapidamente al fianco.

— Mio Re! — Si commosse nel vederlo tanto preoccupato per lei, e capì di essergli necessaria, come un'ancora sicura in mezzo a qualcosa che nemmeno lei riusciva a comprendere.

— Hai osato avventurarti… Laggiù. — Kilwar le prese le mani e le strinse tanto forte da farle male, ma lei non avrebbe voluto niente di diverso.

— Come avrei potuto farne a meno, dal momento che era necessario? — replicò Tam-sin. — Ma è stata la tua forza a toglierci di là, Kilwar. Che cos'era quella cosa orrenda?

Lui scosse lentamente la testa. — Qualcosa a cui non riesco neanche a dare un nome. Si nutriva… della forza vitale di coloro che cadevano nelle sue mani. E ha fatto molte vittime.

Tam-sin rabbrividì ripensando a quello che aveva visto all'interno della cassa. Si passò la lingua sulle labbra.

Se Kilwar non lo sapeva doveva dirglielo subito. E si trattava di qualcosa che pesava dentro di lei come un macigno.

— Kilwar, hai visto che cosa c'era all'interno della cassa?

— Un altro morto, immagino.

— Non esattamente… Credo che non fosse del tutto morto, finché non l'ho trafitto con la tua spada.

Kilwar, era Kas.

— Kas! — Lui la fissò, allibito. — L'hai visto davvero?

— L'ho visto e l'ho riconosciuto. L'aspetto e la faccia erano gli stessi di sempre. Hai capito bene, Kilwar? L'ho ucciso!

Lo stupore non si era ancora spento sul viso del Signore di LockNar. — Kas? — ripeté, incredulo. — Ma quella nave viaggiava da chissà quanto tempo!

Lei provò un'improvvisa sensazione di malessere mentre intuiva il pieno significato di ciò di cui era stata testimone. Kas trasportato in quel mondo di sogno e imprigionato nella propria controparte del luogo, una specie di morto vivente governato da una sfera stregata. Era stato cosciente di quello che gli succedeva? No, Tam-sin non osava nemmeno crederlo.

Kilwar la prese tra le braccia e l'attirò contro di sé, per riscaldarla e difenderla dai suoi stessi pensieri… quei pensieri che trasudavano orrore puro.

— Non è colpa tua, se quello era il Kas di questo mondo.

— Ma sono stati i miei poteri e la mia volontà a portarci qui…

— E a toglierci da una morte sicura — le ricordò lui. — Non so quale possa essere l'origine della nave della morte, ma se la sfera ha fatto tanto per mantenere parzialmente in vita la controparte di mio cugino, forse era stato proprio lui a innescare questa trappola stregata fin dall'inizio. Dovevano comunque essere strettamente collegati, perché quando hai ucciso Kas anche la sfera è impazzita. Qualunque fosse la sua natura, era comunque un essere sanguinario. E nessuna colpa può ricadere su di te, mia Tam-sin.

— Ma sono stata io a portarlo qui… a questa fine… — La sua voce era poco più che un sospiro.

— Tu l'hai portato verso la salvezza, o così credevi. In questo mondo, Kas doveva aver commesso ogni genere di malvagità, altrimenti non si sarebbe mai trovato unito a quel divoratore di vite umane.

— Non possiamo saperlo. — Tam-sin aveva un gran bisogno di essere confortata e di credere che Kilwar avesse ragione… Ma chi mai sarebbe stato in grado di dire loro la verità?

— Io ero là, ricordi? — Kilwar le scostò i capelli dalla fronte, con tenerezza. — Ero la preda che quella cosa cercava. E cercava anche di assassinare altri uomini, cinquanta o forse anche di più, tutti miei sudditi. Avrei dato io stesso l'ordine di distruggerla, perché non era degna di appartenere a questo mondo. Aveva ucciso, e poi ucciso ancora, con una crudeltà e un'ingordigia che nauseerebbe chiunque. Kas, vivo o morto, rappresentava il suo collegamento con la nave. Credi che qualcuno, date le circostanze, possa sostenere che la sua morte non era ben meritata?

— Non hai ancora capito. — Tam-sin cercò di sciogliersi dal suo abbraccio. — Kas è morto… e io non posso più interrompere il sogno! Non torneremo mai indietro.

Il viso di Kilwar perse lentamente tutta la sua espressività, persino gli occhi sembrarono offuscarsi. Ora sapeva, e non avrebbe mai potuto, né voluto, perdonarla per ciò che aveva fatto. Erano dispersi in un sogno… non ci sarebbe più stato alcun ritorno a Ty-Kry e al suo impero di torri celesti.

— Dunque è così? Ne sei proprio sicura? — La domanda fu posta con calma, e in un tono inespressivo come la sua faccia.

— Sì — confermò lei, desolata. Aveva odiato Kas per quello che aveva tramato, per i suoi tentativi di far morire Starrex all'interno dei sogni che lei stessa aveva tessuto. Ma avrebbe dovuto preservarlo a ogni costo, perché il loro ritorno restasse possibile.

— Ebbene, meglio così!

Kilwar sorrise, e la sua faccia si illuminò come quella di Starrex non avrebbe mai potuto fare.

— Non ricordi, mia bella Tam-sin? In quella Ty-Kry ero solo un uomo a metà~ rinchiuso in un corpo che non obbediva più ai miei comandi. Anche come Hawarel mi sentivo in un certo senso a metà. Non avrei mai potuto convivere a lungo con la sua semplicità di pensiero. Ma qui… — Alzò la testa con un moto di orgoglio. — Qui ho tutto quello che cercavo! Credi che ritenga il passato migliore del presente? Niente affatto! Sono il Signore di LockNar, e ho la mia donna al fianco. Se Kas è morto, accettiamolo come un fatto inevitabile e rivolgiamo lo sguardo al futuro. Guarda. — La prese tra le braccia e la sollevò, portandola davanti all'oblò della cabina.

La luce del sole illuminava la cresta delle onde. Una sagoma scura uscì dall'acqua e rimase sospesa per un attimo, con il muso girato nella loro direzione. Lei fu certa che il loxsa l'avesse vista e riconosciuta.

— E' un nuovo giorno, mia Tam-sin. Abbiamo sconfitto una notte di nebbie e ora dobbiamo far buon uso del giorno. Ci riusciremo. Rimpiangi forse il passato?

— No!

E non mentiva. Era stata una sognatrice, ma ormai non le importava più di sapere se quello fosse un sogno irreale in cui erano stati interamente intrappolati. Forse il suo corpo reale giaceva in una stanza della torre di Ty-Kry, ma lei si rifiutava di considerarlo ancora reale… non più. Ora era Tam-sin e colui che la teneva tra le braccia non era Starrex, ma Kilwar. Entrambi avrebbero potuto seguire liberamente il sentiero della vita, e non quello obbligato di un sogno. Rise di gioia finché le labbra di Kilwar non si chiusero sulle sue e un altro tipo di felicità prese il sopravvento.