Capitolo 12
Celina stava imparando che, ad Amalfi, cenare sulla terrazza sotto il cielo stellato, con le onde che si infrangevano sotto di loro, accompagnati da registrazioni operistiche, era tipico delle serate estive. Quella sera il giradischi suonava una registrazione di Enrico Caruso, Vesti la giubba dei Pagliacci di Leoncavallo. Il disco era stato suonato così tante volte che i graffi erano diventati parte della melodia, ma ciò non intaccava la sorprendente prestazione canora del tenore.
«Non ci sarà mai un altro Caruso», disse Carmine quando la canzone finì e il silenzio aleggiò denso nell’aria mite della sera.
Celina sorseggiò il suo vino rosso, assaporandone le note terrose e cercando di non indugiare sugli occhi di Lauro, il cui sguardo era snervante. «Ho visto Mario Lanza in un film intitolato Il grande Caruso. Ha un talento incredibile».
«Ed è bello», disse Sara, sventolandosi con un ventaglio.
«Non è male», disse Carmine, sbuffando seccato.
«Ma non è Caruso».
Sara agitò la mano in modo sprezzante. «Penso comunque che sia magnifico».
Celina si stava abituando agli amichevoli litigi tra di loro. Forse erano proprio ciò che li teneva uniti dopo tutti quegli anni. «Caruso aveva visitato San Francisco, ma dopo essere sopravvissuto al grande terremoto del 1906, si era ripromesso di non tornarci mai più».
«La sera prima», disse Carmine, guardando in lontananza, «Caruso era apparso alla Mission Opera House e aveva interpretato la parte di Don José nella Carmen di Bizet. E, hai ragione, non è mai tornato a San Francisco, che Dio l’abbia in gloria. Se solo avessi potuto vederlo, Celina». Si baciò le dita per enfatizzare il concetto.
Celina sorrise a suo suocero. Carmine e Sara avevano fatto sentire lei e Marco a casa loro, e stava iniziando a sentirsi parte della famiglia. Osservando le candele tremolanti sul tavolo grezzo davanti a lei, inspirò la fresca brezza marina. Una spallina del prendisole di corallo che le aveva regalato Adele le scivolò via dalla spalla, e lei si affrettò a rimetterla a posto.
Osservando il gesto, Lauro distolse rapidamente lo sguardo e sollevò la bottiglia di vino. «Ne vuoi ancora?»
«Un po’».
Ne versò un goccio nel suo bicchiere. «Ti piace questa annata?»
«Sì», disse lei, incrociando casualmente il suo sguardo diretto. «Ha un vago sentore affumicato. Che cos’è?»
«Taurasi, un altro dei nostri vini regionali campani. Proviene dalle nostre uve Aglianico, miscelate con un po’ di Sangiovese: sanguis Jovis, il sangue di Giove, in latino». Si portò il bicchiere al naso per annusarne l’odore, senza mai distogliere gli occhi dai suoi. «Che cioccolato vorresti servirci insieme?».
Celina si inumidì il labbro con la lingua, pensierosa. «Mmm, cioccolato fondente… infuso con un tè affumicato, il Lapsang Souchong».
«Tè cinese?». Lauro si sporse verso di lei, incuriosito.
«Abbiamo un sacco di tè ed erbe cinesi a San Francisco», disse Celina. «Mi piace sperimentare con sapori diversi».
«Forse potresti introdurlo anche qui», disse Sara, lanciando un’occhiata interrogativa a lei e Lauro.
Visto che Celina non rispondeva, ci pensò Sara a proseguire.
«Adele mi ha parlato della tua idea per una cioccolateria». Le passò un cestino di pane alle olive appena sfornato. «Sembra interessante. Sono sicuro che a Lauro non dispiacerebbe aiutarti a procurarti il cioccolato di cui avrai bisogno per le tue creazioni».
Lauro inarcò un sopracciglio. «Stai pensando di restare qui?»
«È un’idea», disse Celina, chiedendosi perché Sara stesse incoraggiando il figlio. «Ma sono sicura di poterci riuscire da sola. Scriverò al proprietario della cioccolateria dove ho lavorato a San Francisco per le ricette. Ho intenzione di tostare le fave da sola». Poteva anche comprare del cioccolato lavorato, come i pasticceri e la maggior parte dei cioccolatieri, ma voleva sperimentare diverse tostature.
Strappò un pezzo di pane e lo immerse nell’olio per Marco, che si ingozzava avidamente di mozzarella e prosciutto e linguine con pesto di basilico e fagiolini delicati. Non l’aveva mai visto apprezzare così tanto il cibo come da quando erano arrivati. Era attivo tutto il giorno, visto che giocava con i figli di Adele o seguiva Sara quando si prendeva cura dei giardini ogni mattina. Amava aiutare a raccogliere verdure fresche dall’orto e frutta dal frutteto.
«Sciocchezze», disse Carmine.
«Non è un problema per Lauro aiutarti».
«Posso procurarti del Trinitario tramite il nostro fornitore», affermò Lauro.
«Preferisco l’aroma delicato del Criollo o del Porcelana». Adorava il cioccolato venezuelano, una passione anche di sua madre. Si mescolava bene con viola e bergamotto, sapori altrettanto morbidi che componevano le prelibatezze più leggere. Per la maggior parte delle sue creazioni, era più che indicato.
Lauro assunse un’aria seria che non riuscì a comprendere. Celina rifletté su ciò che le aveva detto Adele a proposito di Tony nella boutique. Serio, studioso, intenso. Quegli aggettivi erano più adatti a Lauro che a Tony. Ma suo marito, una volta, era stato come Lauro? In tal caso, doveva essergli successo qualcosa di sconvolgente. Sebbene molti veterani fossero tornati a pezzi o in preda a incubi ricorrenti, Tony aveva vinto i suoi demoni, e molto altro, trasformandosi in una persona socievole.
Carmine e Sara si scambiarono uno sguardo fugace.
«Perché non badiamo noi a Marco, domani?», disse Sara. «Così puoi visitare la nostra fabbrica di cioccolato con Lauro». Lanciò un’occhiata al figlio come per sottolineare il concetto. «Insisto».
Dal tono della voce della suocera, Celina capì di non avere alternative. Anche Lauro doveva averlo avvertito, perché era arrossito, ma non disse nulla.
Marco le strattonò la manica. «Una fabbrica di cioccolato? Mamma, voglio venire anch’io».
Sara e Carmine si scambiarono uno sguardo sconcertato. Celina notò che sembravano comunicare perfettamente in un linguaggio silenzioso fatto di sguardi e tocchi, proprio come faceva lei con Tony.
Carmine arruffò i capelli di Marco. «Allora ci andremo tutti».
Il bambino sorrise a suo nonno e Celina non riuscì a dire una parola. Vedere l’ovvia attrazione e l’amore che stava sbocciando tra Marco e i suoi nonni aggiungeva un certo peso alla decisione che sapeva di dover prendere. Le settimane estive erano scivolate via dal calendario.
Dopo aver finito la cena, Celina si scusò. «Ho una sorpresa per il dessert». Si affrettò in cucina, dove recuperò un vassoio di fragole fresche che aveva infuso con liquore all’arancia e guarnito con cioccolato fondente. Dopo averle sistemate su un piatto, tornò al tavolo. «Ho pensato che potessero piacervi», disse, servendo una succosa fragola rossa a ogni persona seduta a tavola. «E uno speciale per il mio ragazzone, sans liqueur».
«Hanno un aspetto e un profumo divini». Sara si illuminò per un momento, prima di accigliarsi un po’. «Marco può mangiare le fragole?»
«Certo», disse Celina, ridendo. «Le adora, come suo padre. Entrambi amavano fare il gelato alla fragola, in estate. Dovevo sbrigarmi se volevo mangiarne un po’ anch’io».
Marco sorrise e scavò nel suo dessert.
«Che ricordo dolce». Ma Sara aveva ancora uno sguardo pensieroso e malinconico.
Celina la osservò, chiedendosi cosa le stesse passando per la mente. Ricordi di estati passate, forse. Non le fece pressione. Sara si riscosse e riportò la sua attenzione su Marco, che stava divorando la grossa fragola.
«Marco, sei un bambino fortunato a saper fare il gelato. Potremmo raccogliere alcune bacche dal giardino questa settimana». Si portò la fragola alle labbra e la assaggiò. «È paradisiaca».
«Il cioccolato è ben aromatizzato», osservò Carmine.
Di fronte a lei, Lauro incontrò il suo sguardo e annuì. «Squisito».
«Sono contenta che piaccia a tutti». Celina sorrise con modestia. Un nuovo senso di eccitazione per ciò che il futuro poteva serbarle le ribolliva dentro.
Quando la conversazione si spostò sui piani per il matrimonio di una cugina, Celina vide Marco soffocare uno sbadiglio. Si scusò per andare a metterlo a letto.
Dopo averlo aiutato a mettere il pigiama e lavarsi i denti, gli rimboccò le coperte.
Mentre i suoi occhi si chiudevano, gridò: «Dov’è Rocky?».
Celina controllò sotto la coperta e guardò sotto il letto. Per fortuna, la scimmia sempre sorridente era distesa lì. La pescò e la sistemò accanto a Marco. Con un sospiro soddisfatto e un sorriso angelico, il bimbo avvolse il braccio attorno a Rocky e chiuse gli occhi.
Accarezzandogli leggermente la schiena, Celina lo osservò alcuni minuti per assicurarsi che dormisse. Da quando erano arrivati, riposava meglio che a San Francisco. Era spesso agitato quando tornava a prenderlo dalla signora Jackson, ma anche se gli chiedeva cosa c’era che non andava, lui non glielo diceva mai. E quando lo chiedeva alla signora, l’anziana donna scrollava le spalle e diceva che non ne aveva idea. Immaginava che stesse ancora soffrendo per suo padre, proprio come lei.
Quando Marco si mosse nel sonno e borbottò, Celina iniziò a canticchiare una dolce ninna nanna e ripensò a quanto erano fortunati a essere stati accettati dalla famiglia di Tony.
Rifletté sul tempo che avevano trascorso lì, felice di aver deciso di venire. Marco aveva stretto con i nonni e i cugini e, anche se quella visita non avesse portato ad altro, sebbene sperasse di sì, sarebbe comunque stata contenta di aver permesso a Marco di conoscere una grande famiglia che altrimenti lei non avrebbe mai potuto dargli.
Anche Sara, Carmine, Adele e Werner la consideravano una di loro. Perfino Lauro. “La mia nuova famiglia”, pensò, con il cuore gonfio di emozione. Sebbene le circostanze del loro arrivo fossero state decisamente insolite, era profondamente confortata dal fatto che li avessero accolti così bene. “La mia famiglia”. Assaporò silenziosamente quelle parole, rigirandosele sulla lingua e sorridendo tra sé.
Il respiro di Marco rallentò e Celina gli sistemò intorno la leggera coperta estiva. Si chinò e gli baciò la guancia. «Ti amo, mio bambino coraggioso». Si allontanò in punta di piedi dalla stanza e chiuse la porta.
Come da consuetudine, finirono la cena quasi a mezzanotte. Due dei fratelli di Carmine che non aveva ancora incontrato si erano fermati con loro, e tutti ridevano e si raccontavano storie. Sara aveva insistito perché Matilde restasse insieme a Marco, così Celina aiutò Sara a sparecchiare e a portare i piatti in cucina.
«Il tuo dessert era delizioso», le disse Sara.
«Grazie. Le fragole ricoperte di cioccolato erano tra le preferite di Tony».
«Davvero?». Sara sembrava scegliere le parole con cura. «Nelle famiglie, mia cara, quello che non viene detto è spesso più importante di ciò che viene detto».
Celina appoggiò i piatti su un ripiano. «Non ti seguo…».
«No, ci credo». Sara corrugò la fronte e avvicinò le mani alle spalle di Celina. «Qualunque cosa accada, voglio che tu sappia che amo te e Marco e spero che penserai sempre a noi come alla tua famiglia».
«Mentre stavo mettendo a letto Marco, stavo pensando la stessa cosa». Celina sorrise. «Ma cosa intendi con “qualunque cosa accada”?»
«Non importa». La abbracciò forte. «Mi hai fatto il dono più prezioso, quello di un nipote. Abbiamo grandi progetti per Marco, mia cara. Non dovrai mai preoccuparti dell’università per lui. O di qualsiasi altra cosa».
Sorpresa dalla sua generosità, Celina si tirò indietro. «Lo apprezzo, ma non è per questo che siamo qui. E vorrei che Tony ti avesse contattato prima. Mi sento così in colpa. Penso spesso a tutto il tempo che ci siamo persi».
Sara agitò una mano. «Non mi interessa nulla di tutto ciò. Vedere gli occhi di Carmine illuminarsi quando vede Marco, e sapere che lo ha accettato come il figlio di Antonino, per me vale più di quanto tu possa mai immaginare. Lo spirito di mio marito è rinvigorito, e anche il mio. Ne avevamo bisogno, Celina. Quindi, vedi, ci abbiamo guadagnato tutti».
Celina non riusciva a seguirla. «Volevo solo che tu conoscessi tuo nipote e che Marco ti conoscesse. Davvero, non mi aspetto nient’altro».
«Certo che no, cara. Ma cerca di capire». Sara le diede una carezza sulla guancia. «Qualunque sia stato il motivo, sono contenta che tu sia venuta, e sarai la benvenuta per tutto il tempo che desideri, sperando sia per sempre». Detto questo, la abbracciò di nuovo.
Più tardi, quella sera, mentre tornava in camera da letto, Celina ripensò alla strana conversazione, alle sue sfumature e a ciò che Sara aveva cercato di dire. “Qualunque cosa accada… pensa sempre a noi come alla tua famiglia”.
Cosa poteva succedere? Non riusciva a capire cosa intendesse o perché avesse scelto di affrontare il discorso proprio quella sera.
Troppo stanca per pensarci ancora, decise che doveva essere un altro dei tanti segreti della famiglia Savoia. Sarebbe mai riuscita a mettere insieme tutti i pezzi?